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Permesso di soggiorno per motivi familiari: revoca legittima in caso di separazione Consiglio di Stato, sez. IV, decisione 28.02.2005 n° 767
Il permesso di soggiorno per motivi familiari può essere revocato se viene meno la convivenza fra i coniugi a seguito della separazione legale. Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 767 del 28 febbraio 2005, precisando che la ratio della normativa concernente il permesso di soggiorno relativo allo straniero che sia coniugato con cittadino italiano è da individuare non già nel semplice fatto del matrimonio, bensì nella convivenza familiare che normalmente caratterizza lo stato coniugale.
Repubblica Italiana In nome del popolo italiano Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
Decisione
sul ricorso in appello n. 461/1997 proposto dal Ministero dell’interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato ope legis in Roma, via dei Portoghesi n.12;
contro
E.J., rappresentata e difesa dagli avvocati Daniele Parini e Vincenzo D’Onofrio, elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio del secondo, via Bassano del Grappa 4, per l’annullamento della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Valle d’Aosta 4 ottobre 1994 n. 133. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellata; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Relatore, alla pubblica udienza del 14 dicembre 2004, il Consigliere Filippo Patroni Griffi; Udito l'Avvocato dello Stato Giordano; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
Fatto e diritto
La signora J.E. ha impugnato innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Valle d’Aosta il provvedimento di revoca del permesso di soggiorno 27 agosto 1993, emesso dal Questore di Aosta, e il provvedimento di convocazione per l’espulsione dal territorio nazionale 9 settembre 1993. Il Tribunale amministrativo, con la sentenza indicata in epigrafe, ha annullato i detti provvedimenti. Propone appello il Ministero dell’interno. Resiste, con memoria, l’appellata. All’udienza del 14 dicembre 2004, la causa è stata trattenuta in decisione.
L’appello è fondato.
La signora E.J., originaria ricorrente, ha ottenuto il permesso di soggiorno in conseguenza del matrimonio contratto con un cittadino italiano la contestata revoca è stata disposta dall’Amministrazione sul rilievo dell’intervenuta separazione legale tra i coniugi e del conseguente venir meno della "coesione familiare" tra gli stessi. La questione da risolvere in diritto, pertanto, è se la separazione legale fra i coniugi faccia venir meno il presupposto del permesso di soggiorno ottenuto in conseguenza del matrimonio. Il Tribunale amministrativo ha ritenuto illegittima la revoca del permesso di soggiorno, sul rilievo che la separazione legale dei coniugi non fa venir meno gli effetti del matrimonio e anzi li presuppone in vita, anche in vista di una possibile riconciliazione cui è anzi in primo luogo preordinato il periodo di separazione, come sottolinea anche l’appellata. La tesi non può essere condivisa. Non è in discussione che la separazione legale non faccia venir meno gli effetti del matrimonio, che cessa solo con la pronuncia di divorzio. È però incontestabile che la separazione legale fa venir meno la convivenza tra i coniugi, il cui protrarsi è anzi inconciliabile con lo stato di separati e costituisce fatto idoneo a farne cessare gli effetti nel senso della riconciliazione dei coniugi. La ratio della normativa concernente il permesso di soggiorno relativo allo straniero che sia coniugato con cittadino italiano è da individuare –ad avviso della Sezione- non già nel semplice fatto del matrimonio, bensì nella convivenza familiare che normalmente caratterizza lo stato coniugale. Altrimenti il permesso sarebbe stato rilasciato per altro legittimo motivo (studio, lavoro, turismo, affari, etc.). Il permesso di soggiorno è stato rilasciata all’appellata "per motivi di famiglia, poiché coniuge di cittadino italiano" (v. relazione 4-8 novembre 1993, all.1 al fascicolo di primo grado dell’Amministrazione v. anche annotazione di proroga al 26 agosto 1993 sul permesso di soggiorno, nello stesso fascicolo). Già l’articolo 4, comma 3, del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito in legge 28 febbraio 1990, n. 39, al comma 7, prevede la durata illimitata del permesso di soggiorno degli stranieri "coniugati col cittadino italiano e residenti, in stato di coniugi " : il che lascia intendere che la residenza assunta dalla norma a presupposto di fatto sia quella coniugale, nel senso che i coniugi risiedono insieme. E anche la normativa successiva (d.lg. n. 286 del 1998), avente valenza di testo unico delle disposizioni concernenti lo straniero, continua ad assumere la convivenza tra i coniugi a presupposto giustificativo del soggiorno. L’articolo 19, lett. c), infatti, preclude l’espulsione degli stranieri conviventi con il coniuge di nazionalità italiana. L’articolo 28, che prende in considerazione il "diritto all’unità familiare", comprensivo delle fattispecie sia del ricongiungimento familiare (art. 29) sia del permesso di soggiorno per motivi familiari (art. 30), presuppone pur sempre la convivenza effettiva dei coniugi (Cass. 22 maggio 2003 n. 8034; v. pure Cass. 20 agosto 2003, n. 12226). Più in generale, sia la Corte costituzionale (sent. 6 luglio 2001, n. 232), sia la Corte di giustizia della Comunità europea (sent. 11 luglio 2002, n. 60, ric. Carpenter) hanno sempre individuato nella tutela dell’unità familiare il presupposto della normativa in materia di soggiorno dei coniugi del cittadino italiano o comunitario. Deve, in definitiva ritenersi, che la normativa concernente il permesso di soggiorno per motivi familiari, consistenti nel rapporto di coniugio, presuppone che tale rapporto sia in atto nel senso della convivenza tra i coniugi. Ne deriva pertanto che è enucleabile il principio secondo cui, venendo meno tale convivenza a seguito della separazione legale, in tale caso si giustifica la revoca del permesso di soggiorno.
L’appellata sostiene che il permesso di soggiorno comunque non avrebbe potuto essere revocato essendone possibile la conversione in permesso per motivi di lavoro. La tesi è esatta, ma ne va precisato il senso, perché essa è inidonea a fondare il ricorso originario. L’Amministrazione dovrà nondimeno tener conto delle considerazioni che seguono, perché, pur essendo il mezzo di gravame infondato con riferimento al provvedimento impugnato, tali considerazioni dovranno nondimeno conformare l’ulteriore attività amministrativa. Se è vero, infatti, che normalmente il cd. effetto conformativo della sentenza amministrativa spiega rilevanza riguardo a decisioni di annullamento, non può essere escluso in linea di principio, che, in fattispecie particolari come quella in esame, l’Amministrazione possa essere tenuta a conformare la propria ulteriore attività a quelle ragioni contenute in un giudicato, pur di rigetto, che, peraltro, di quel rigetto costituiscano il necessario presupposto logico-argomentativo, sì da non potersi tollerare che l’ulteriore attività amministrativa, discostandosi dalla fattispecie come ricostruita dal giudice, faccia venir meno le ragioni del rigetto e, con esse, la ritenuta legittimità del provvedimento impugnato. Con riferimento al caso in esame, va condiviso –come si è anticipato- l’assunto dell’appellata secondo cui, qualora vengano meno i presupposti per il permesso di soggiorno per motivi di famiglia, il permesso può essere utilizzato o convertito in permesso di soggiorno per motivi diversi. Tale possibilità è stata riconosciuta da questo Consiglio di Stato già in relazione all’espresso disposto di cui all’articolo 4, comma 5, D.L. n. 416 del 1989, conv. In l. N. 39 del 1990 (IV, 22 giugno 2000 n. 3506). E risulta confermata dal comma 5 dell’articolo 30, d.lg. n. 286 del 1998. È però vero che tale "conversione" deve essere chiesta dall’interessata, non essendo ipotizzabile una sorta di conversione di ufficio del titolo del soggiorno, e l’Amministrazione deve essere in grado di valutare se ricorrano i presupposti per il rilascio del permesso ad altro titolo. Mentre, d’altra parte, solo la mancata presentazione di una istanza in tal senso da parte dell’interessata, pur invitata a ciò dall’Amministrazione, ovvero l’insussistenza delle condizioni per il rilascio del permesso ad altro titolo possono giustificare l’espulsione della straniera dal territorio nazionale. Facendo applicazione dei principi sin qui esposti alla fattispecie in esame, deve, conclusivamente ritenersi: che il provvedimento impugnato è immune dalle censure dedotte dall’odierna appellata,con la conseguenza che, in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo, il ricorso di primo grado deve essere respinto, in accoglimento del presente appello; che l’Amministrazione dovrà mettere l’interessata in condizione di presentare eventualmente istanza di permesso di soggiorno ad altro titolo e dovrà quindi valutare la sussistenza dei relativi presupposti. In considerazione della novità delle questioni trattate, ricorrono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunziando sul ricorso meglio indicato in epigrafe, accoglie l’appello e, in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo, rigetta il ricorso originario. Spese del doppio grado compensate. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma. Addì 14 dicembre 2004, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale.
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