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L’appellativo "marocchino" rivolto con attitudine di spregio integra l’ingiuria Cassazione , sez. V penale, sentenza 20.05.2005 n° 19378
Sostantivare l’aggettivo che riflette la provenienza etnica di una persona ed apostrofare quest’ultima in tal modo, con evidente atteggiamento di scherno e dileggio, costituisce ingiuria, che si connota, per giunta, di chiaro intento di discriminazione razziale, rendendo così più riprovevole sotto il profilo soggettivo la condotta offensiva. Lo ha stabilito la Cassazione, con la sentenza n. 19378 depositata il 20 maggio 2005, confermando nella specie la condanna per ingiuria del datore di lavoro che aveva rivolto l’appellativo "marocchino" con attitudine di spregio ad un proprio dipendente proveniente dal Marocco.
(Altalex, 6 giugno 2005)
Cassazione - Sezione Quinta Penale Sentenza 5 aprile-20 maggio 2005, n. 19378 (Presidente Marini – relatore Amato)
Svolgimento del processo
S. Saverio è stato condannato dal tribunale di Asti alla pena della reclusione, per ingiuria e lesioni volontarie, in continuazione. La corte d’appello di Torino ha confermato, sulla scorta delle deposizioni testimoniali e del referto sanitario. Ricorre il difensore, deducendo il vizio di motivazione: il teste B., dirigente della ditta nei cui locali si è svolto l’episodio, era assente al momento in cui fu pronunciata l’ingiuria; l’appellativo "marocchino" non ha valenza lesiva, poiché designa semplicemente la provenienza etnica della p.o.; il querelante ha reso dichiarazioni incerte e contraddittorie; il teste B. ha escluso che la p.l. T. sia stata aggredita e che presentasse escoriazioni o lamentasse alcunché.
Le censure non possono essere condivise.
Va disatteso l’avviso del Pg presso questa Corte, non potendosi dubitare dell’idoneità lesiva dell’appellativo "marocchino" rivolto con attitudine di spregio al querelante, ignorandone deliberatamente come esattamente osserva il giudice di merito – il nome di battesimo e il patronimico. Innanzi tutto, non può non rilevarsi che il rispetto dell’altrui persona esige che ad essa ci si rivolga appropriatamente, mediante l’uso del nome o del cognome. Ciò che, del resto, era di certo possibile nella specie, ove si considera che il querelante "era validamente inserito nella realtà operativa dello stabilimento". Il teste B. ha consapevolmente riferito che l’imputato soleva indirizzarsi costantemente alla p.o. con il termine di "marocchino". Orbene, sostantivare l’aggettivo che riflette la provenienza etnica di una persona ed apostrofare quest’ultima in tal modo, con evidente atteggiamento di scherno e dileggio, costituisce ingiuria, che si connota, per giunta, di chiaro intento di discriminazione razziale, rendendo così più riprovevole sotto il profilo soggettivo la condotta offensiva. Il giudice di merito ha ineccepibilmente chiarito che le inesattezze nelle quali è incorso il querelante (riguardo al braccio attinto dall’imputato ed alla timbratura del cartellino di presenza) sono affatto marginali, poiché non attengono al "thema probandum" e non intaccano, pertanto, l’attendibilità del querelante, suffragata dalle deposizioni testimoniali e dal referto in atti. La corte di merito, poi, si è soffermata con attenzione anche sulle dichiarazioni del B., definendole "prudenti" e sostanzialmente riduttive.
Le censure mosse dal ricorrente sono, dunque, prive di fondamento.
Ciò nonostante, la statuizione sanzionatoria va annullata "ex officio". Ed infatti per i reati attribuiti alla cognizione del giudice di pace (come quelli ascritti al ricorrente), commessi prima della data di entrata in vigore del D.Lgs 274/00 e giudicati dal giudice togato, devono applicarsi, in base alla disciplina transitoria prevista dal combinato disposto degli articoli 64 e 63, comma 1 D.Lgs cit., siccome più favorevoli ai sensi dell’articolo 2, comma 3 Cp (vedi Cassazione, Sezione quarta, 20156/03, Bukavec, m 228343). La sentenza impugnata va, pertanto, annullata limitatamente alla pena, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Torino, per nuovo esame sul punto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla pena, con rinvio ad altra sezione della corte d’Appello di Torino, per nuova determinazione. Rigetta nel resto il ricorso.
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