Intervista a Stefano Dalla Valle

 

Stefano Dalla Valle, il medico dei "senza permesso"

 

www.buonpernoi.it,14.01.2004

 

Più di 20 ore la settimana dedicate a chi, nella ricca Milano, vive ai margini e senza tutele sanitarie. Grazie al dr. Della Valle e ai volontari del Naga il popolo dei senza permesso di soggiorno torna a sperare in una vita più dignitosa. Il dottor Dalla Valle, che del Naga (Associazione Volontaria di Assistenza Socio - Sanitaria e per i Diritti di Stranieri e Nomadi) è il direttore sanitario, ben conosce la drammatica realtà degli immigrati irregolari che vivono nella capitale economica e finanziaria d’Italia, "una capitale che è solo capace di sfruttarli in nero senza fornire loro alcuna assistenza sanitaria. A Milano uno straniero senza permesso di soggiorno o si rivolge a una associazione di assistenza come la nostra (anche la Caritas è molto attiva) o rischia di essere completamente abbandonato a se stesso. Le istituzioni di questa città non si curano affatto del suo stato di salute".

La situazione di assoluto disinteresse nei confronti degli immigrati irregolari sarà simile a quella di altre città italiane…


È qui che tutti si sbagliano. No, non è così. Ci sono regioni come la Toscana, l’Emilia Romagna o l’Umbria dove viene pienamente messa in pratica la normativa nazionale per la tutela sanitaria degli immigrati irregolari e regioni come la nostra in cui invece tale normativa è più o meno volontariamente disattesa.

Sarebbe a dire?

La legge prevede che, qualora sia sottoscritta la "dichiarazione di indigenza" valida 6 mesi, anche agli immigrati senza permesso di soggiorno vengano erogate, gratuitamente o con ticket, cure sia urgenti che essenziali. Nonostante questa normativa, per un immigrato irregolare è difficilissimo, a Milano, ottenere la medicina di base.

 

E allora agite voi del Naga?

Sì. Il Naga è nato come associazione socio-sanitaria diretta: siamo circa 50 medici tra internisti e specialistici che pratichiamo gratuitamente attività ambulatoriale per gli stranieri senza permesso di soggiorno per un totale di circa 20.000 visite all’anno. Ma all’azione diretta di assistenza sanitaria abbiamo accoppiato un’azione di pressione sulle strutture sanitarie e sulle istituzioni affinché i diritti sanitari dei migranti vengano riconosciuti. Ci siamo resi conto che era impossibile supplire alle carenze delle istituzioni e non era nemmeno giusto: il volontariato non deve costituire una foglia di fico per le inadempienze dello Stato. Il nostro obiettivo è quello di scomparire: noi svolgiamo un compito di supplenza che desidereremmo veder finire.

E questa battaglia "istituzionale" com’è portata avanti?

Alcuni di noi hanno partecipato ai lavori della commissione ministeriale Sanità e Immigrazione, contribuendo a elaborare alcuni articoli della legge. In questi ultimi mesi poi, insieme alla Caritas e ad altre associazioni, stiamo elaborando una direttiva da proporre al Parlamento Europeo per il riconoscimento del diritto alla salute di tutti gli stranieri presenti sul territorio dell’Unione Europea.

Lei si occupa però più dell’assistenza diretta.

Come direttore sanitario del Naga devo anche svolgere attività di coordinamento e stesura di testi. E poi ho il mio ambulatorio di agopuntura da seguire… Però appena ho un momento libero sono in prima linea per assistere gli immigrati che si rivolgono al nostro centro o che noi col nostro camper andiamo a soccorrere nelle aree dismesse della periferia milanese: sono rumeni, moldavi, marocchini che vivono in condizioni igieniche disastrose e che mai riuscirebbero a raggiungere il nostro ambulatorio in città. Nemmeno sanno che esiste!

 

Perché un medico come lei che potrebbe arricchirsi con la medicina alternativa decide di lasciare la tranquillità del suo studio per curare immigrati e nomadi in gelidi capannoni?
La medicina di strada è tutta la mia vita. Lo dico sempre: se non ci fosse il Naga io sarei già da tempo andato a lavorare all’estero. In occidente si è sviluppata una medicina di lusso: si vuole star bene subito e possibilmente senza rinunciare ai piaceri della tavola. Si vuole stare sempre spaparanzati in poltrona e non ammalarsi mai. Altrove c’è invece ancora una medicina di vita o di morte…

Ma lei non è dovuto emigrare in Africa o in Asia per praticare questa medicina di sopravvivenza.
Sono le contraddizioni delle moderne metropoli. Con noi convivono gli immigrati, figure particolarmente emarginate: già sono costrette a emigrare dal proprio paese e trovano nelle roccaforti dell’occidente condizioni difficile di sopravvivenza e di lavoro. I migranti, lo sappiamo bene, sono in coda ai diritti sociali delle moderne società. Come medico sento forte il bisogno di adoperarmi affinché anche il popolo dei senza permesso che vive accanto a me a Milano possa godere di tutele sanitarie. È un popolo silenzioso che ti devi conquistare col passaparola o che devi pazientemente scovare nelle periferie: la sua gratitudine ben ti ripaga però da tutte le tue fatiche. Per non parlare poi della felicità che i miei colleghi del Nagahar provano quando sul volto di immigrati che hanno subito torture torna il sorriso.

 

Il Nagahar? Di che si tratta?

È una propaggine del Naga, nata due anni fa. In questo centro ci si occupa dei richiedenti asilo: vittime di conflitti civili, fondamentalismi religiosi e regimi dittatoriali. Li aiutiamo a sbrigare le pratiche burocratiche, ma soprattutto ci occupiamo di loro da un punto di vista medico e psicologico. Si fanno controlli per accertare i danni delle torture e li si aiuta con la solidarietà, con lo sport e con corsi di formazione a riappropriarsi della propria vita, a ricostruire la propria identità.

 

 

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