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Carcere di Monza: tubercolosi fra le sbarre
Il Giorno, 6 novembre 2003
L’ultimo caso di tubercolosi in carcere era stato diagnosticato a metà aprile. Adesso, ci risiamo. Lunedì, un detenuto romeno quarantenne, arrivato settimana scorsa nella casa circondariale di Via Sanquirico, è stato colpito da tubercolosi polmonare. Immediatamente è stato accompagnato all’ospedale San Gerardo di Monza. Mentre i compagni di cella, gli altri detenuti della sezione e gli agenti di polizia penitenziaria che erano entrati in contatto col paziente sono stati sottoposti al test cosiddetto Mantù per verificare un eventuale contagio. In tutto, una quarantina di persone: trenta reclusi e dieci agenti. "Tutti gli esiti, fortunatamente, sono stati negativi - ha spiegato Francesco Bertè, direttore sanitario del carcere di Monza -. Il detenuto colpito da tubercolosi era stato arrestato dagli agenti del Commissariato e per questo abbiamo coinvolto nello screening anche i poliziotti della pattuglia. Il romeno era fisicamente molto debole, da quando è arrivato in carcere non ha voluto sottoporsi ad alcun tipo di esame. Poi, l’altro giorno, visto che le sue condizioni non miglioravano, è stato costretto a fare una radiografia al torace. Dalla lastra abbiamo visto che i polmoni erano "scavati" dal bacillo della tubercolosi. Ma tutto è rimasto sempre sotto controllo. Adesso sto cercando di trovare un posto in un centro specializzato". Come nell’aprile scorso, quando all’inizio dell’aprile scorso in un giovane marocchino erano stati riconosciuti i sintomi di infezione da tubercolosi. Allora lo screening di controllo aveva coinvolto una settantina di persone, tra agenti di polizia penitenziaria e detenuti. Oggi, come sette mesi fa, non c’è un problema di epidemia ma il rischio di contagio arriva oltre le sbarre quasi ogni giorno. Passa dal reparto dei nuovi giunti e arriva fino alle undici sezioni della casa circondariale dove vivono quasi 750 detenuti. Di loro, circa 200 sono stranieri. Spesso sono clandestini che vivono ai margini della società, in luoghi dove anche le più elementari forme di igiene sono lontane anni luce. E allora diventano portatori di malattie infettive ormai debellate in Italia come negli altri paesi occidentali. "Registriamo di frequente, e soprattutto nei detenuti stranieri, casi di tubercolosi polmonare - ha continuato il direttore sanitario dell’ospedale del carcere -. A volte scabbia, raramente micosi e gonorrea". A tutto questo si aggiungono i reclusi sieropositivi, tossicodipendenti e alcoldipendenti, cardiopatici, con epatiti di vario tipo e malati di mente. Sono proprio questi ultimi a destare maggiore preoccupazione negli operatori sanitari: attualmente ce ne sono tre, "ma per loro il carcere è un ambiente incompatibile".
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