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I risultati di uno studio condotto da psichiatri inglesi: un detenuto su sette soffre di disturbi mentali
Il Corriere Salute, 18 novembre 2003
La prestigiosa rivista scientifica "Lancet" ha recentemente pubblicato un ampio studio degli psichiatri dell’università di Oxford, su quasi 23 mila detenuti, fra i 9 milioni ristretti nelle prigioni di tutto il mondo. Secondo lo studio inglese, quantomeno in occidente, un detenuto su sette soffre di disturbi mentali più o meno gravi, che vanno dalla depressione alla schizofrenia.
Se la patologia è già presente, il suo mancato trattamento non fa che peggiorarla, mentre il carcere può essere un momento unico per curare questa massa di malati "occulti". In Italia i detenuti sono oltre 56 mila: almeno 4 mila soffrono di disturbi psichici, altrettanti sono sieropositivi e la stragrande maggioranza è rappresentata da tossicodipendenti e immigrati. Rispetto alla popolazione generale, in tutto il mondo, quella carceraria risulta più a rischio per lo sviluppo di malattie mentali, con quasi 1 uomo su 2 e 1 donna su 5 affetti dal cosiddetto disturbo di personalità antisociale: 5 volte di più, per esempio, rispetto ai dati riscontrabili fra inglesi e americani "a piede libero". La depressione, invece, sarebbe nella popolazione carceraria "solo" da due a quattro volte più frequente.
Causa o effetto?
Di fronte a questi risultati, gli psichiatri inglesi che hanno condotto lo studio di Lancet, si sono chiesti se questi valori vadano interpretati come causa o come effetto della carcerazione. Si può, in altre parole, essere predisposti a commettere reati perché si soffre di qualche disturbo mentale, oppure queste malattie arrivano dopo, in conseguenza della detenzione? Secondo John Danesh, principale responsabile dello studio, ci vorranno altre ricerche per capirlo, ma una certezza è emersa: se la malattia è già presente, il suo mancato trattamento non fa che peggiorarla, mentre il carcere può costituire un’occasione unica per curare e seguire questa massa di malati "occulti" che altrimenti sfuggono inesorabilmente alla sanità. "Se i nostri calcoli sono esatti - dice Danesh - nelle carceri dei soli Stati Uniti ci sono oggi centinaia di migliaia di persone che soffrono di psicosi, depressione maggiore o di entrambi tali disturbi: una quantità doppia rispetto ai ricoverati di tutti i manicomi Usa".
In Italia
Tra medici, infermieri, psicologi, il personale sanitario penitenziario italiano conta 6.612 addetti. Anche se molti di loro sono precari, il nostro Paese si sta attrezzando in questo settore: un esperto (psicologo, psichiatra, criminologo) effettua con ogni nuovo arrivato un colloquio di filtro, cercando di individuare eventuali tratti di alterazione psichica e la necessità di successivi controlli psichiatrici, provvedendo magari a collocare i soggetti a rischio in particolari sezioni protette (anche per evitare che commettano atti autolesivi, così frequenti fra i detenuti). Nel decennio ‘85-95, nelle carceri francesi, ad esempio, il tasso di suicidi è stato più che doppio rispetto al dato italiano: 19,9 casi contro 9,9 ogni diecimila reclusi.
A Milano
Dal ‘98 il carcere di Milano Opera ha un Servizio di assistenza psichiatrica per le più diversificate patologie mentali: stati ansioso-depressivi, disturbo post traumatico da stress, "doppia diagnosi" per malattie mentali e abuso di alcool e droghe, tossicodipendenza in corso di Aids e disturbi di personalità fino alla schizofrenia. Sui 1400 detenuti presenti, il numero di visite è passato in breve da circa 400 a oltre mille l’anno, garantendo una terapia psico - farmacologica, un controllo continuo delle condizioni di salute o colloqui di supporto psicologico. Sono risultati prevalenti i disturbi d’ansia e quelli depressivi (40 e 30% dei casi), ma anche i disturbi psicotici, la schizofrenia e i gravi disturbi della personalità, in una percentuale 10 volte superiore a quella della popolazione generale. I tentativi di suicidio, che richiedono un’assistenza intensiva e continua, rappresentano il 2% degli interventi: "Non sono solo le condizioni psichiche a portare al suicidio - commentano gli psichiatri Massimo Clerici, Claudio Mencacci e Silvio Scarone che si occupano delle carceri milanesi di Opera e San Vittore - ma anche le difficoltà della vita all’interno del carcere o i problemi familiari di questi soggetti". Per la scarsità di fondi messi a disposizione dal ministero di Giustizia, il servizio per i detenuti di Opera non può funzionare tutti i giorni, né possono essere ancora attivati programmi riabilitativi e psicoterapici per i casi più gravi - come il Servizio di psichiatria penitenziaria messo a punto dall’Unità Operativa 52 dell’Azienda Ospedale San Paolo - che porrebbero l’assistenza carceraria milanese davvero all’avanguardia in Europa.
Linee guida
Nel 2002, Scarone, Clerici (del polo biomedico universitario dell’ospedale San Paolo di Milano) e Mencacci (del dipartimento psichiatrico del Fatebenefratelli) hanno pubblicato la versione italiana delle linee guida dell’Associazione degli psichiatri americani per la gestione di questo pressante problema sanitario (Assistenza psichiatrica nelle carceri, ed. Masson). "Questo documento - dicono i tre psichiatri - vuole incoraggiare ad azioni concrete e fornire una guida completa su come adempiere alle responsabilità che abbiamo verso la nostra professione e, soprattutto, verso questi pazienti. Senza dubbio abbiamo le capacità per curarli, ma le risorse limitate, le resistenze dell’opinione pubblica e dei nostri stessi colleghi spesso non consentono di agire adeguatamente. Per superare le resistenze serve una valida azione informativa. Siamo convinti che un coinvolgimento più attivo dei medici sia necessario, oltre che possibile e decisivo".
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