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Proposte di riforma
Vorrei aprire questo paragrafo con le parole del Dott. Jannucci registrate durante un intervento al Iº Congresso Nazionale AMAPI di Psichiatria Penitenziaria tenutosi a Parma nell'ottobre 1993: "La
Psichiatria, come branca specifica del sapere medico, nasce dalla costola della
Giustizia. Origine, questa, che non è rimasta senza effetto sulle relazioni tra
i due organismi: con un pendolarismo pieno di senso, abbiamo assistito ad un
alternarsi di dialoghi amorosi e di arroccamenti diffidenti e risentiti.
L'asintotico spostamento della Psichiatria dalla parte del comprendere, con il
crescente abbandono di quelle zone clinico-teoriche nelle quali la questione del
"controllo sociale" tiene un posto di rilievo, ha creato uno
strozzamento progressivo e insanabile del cordone ombelicale che la lega alla
Giustizia. Ma è anche quella Giustizia sempre più dimentica, sempre più
incline a spostarsi dalla parte delle azioni, sempre più affannata a ricercare,
attraverso queste azioni, un "controllo sociale" che sembra invece
progressivamente sfaldarsi, è anche quella Giustizia a rifuggire da un terreno
sul quale un utile dialogo con la Psichiatria potrebbe avvenire.
2.1 Proposte di riforma avanzate dai medici del Servizio Psichiatrico Interno di Sollicciano
L'esperienza del Servizio Psichiatrico Interno della Casa Circondariale di Sollicciano, unica nel suo genere, merita di essere analizzata e approfondita. Proprio da una riflessione su quest'esperienza sono partita nel tentativo di "raccogliere" alcune proposte il più possibile concrete, che non posso certo essere io a formulare, ma che derivano da una vasta e attenta ricerca da me compiuta tra coloro che meglio di chiunque altro possono indicare suggerimenti e metodi operativi efficaci da seguire: gli psichiatri che operano negli istituti di pena; coloro che più intensamente sono coinvolti nel processo di individuazione pratica, e di elaborazione teorica, di moduli organizzativi che non siano preconcetti e avulsi dall'esperienza, bensì scaturiti dalle necessità cliniche e suffragati dalla validità dei risultati raggiunti. Le proposte di riforma da essi formulate sulla psichiatria penitenziaria in generale e sul Servizio Psichiatrico Interno di Sollicciano in particolare, sono molteplici e sicuramente varie: su certe questioni tanto varie da determinare pareri discordanti. Come prima cosa gli operatori psichiatrici ritengono che si dovrebbe cercare di favorire il dibattito e la conoscenza in merito ai problemi clinici ed organizzativi della psichiatria penitenziaria che riveste particolare importanza nella gestione della sanità negli istituti di pena. In questo senso le esperienze cliniche in corso -negli OPG, nelle CCC, nei Centri di Osservazione Psichiatrica, nella P.O. di Rebibbia e nel Servizio Psichiatrico Interno della C.C. di Sollicciano- potrebbero offrire materiale utile alla riflessione e suggerire impostazioni operative efficaci. I sostenitori di tale proposta, infatti, mostrano la necessità non tanto di avviare un'attività organizzata tout court, quanto di verificare l'esistente in un'ottica di tesaurizzazione, che allontani il pericolo di favorire inutili e improponibili sprechi. E, sempre dalle esperienze "in piedi" dovremmo partire per qualificare la funzione trattamentale in direzione più propriamente riabilitativa, fondata sulla relazione terapeutica personalizzata e sul lavoro di équipe intorno ad autentici progetti di recupero. Lo scopo non può essere, ad esempio, il mero controllo comportamentale, quanto piuttosto la decifrazione delle incongruenze, per aiutare, di fatto, il soggetto sofferente a trovare la sua via d'uscita. Risulta indispensabile sottolineare come sia necessario favorire in pratica i rapporti tra psichiatria penitenziaria e psichiatria territoriale; rapporti messi costantemente in forse da quel rigido bisogno di ordine e sicurezza che in carcere investe oggi, senza discriminazione alcuna, anche coloro che necessitano di altro tipo di investimento, di un investimento cioè soprattutto terapeutico. Anche in questa direzione occorre non trascurare il potenziale contributo delle esperienze in corso. A ciò si affianca la necessità di avviare un'attività centrale organizzata al fine di migliorare la conoscenza da parte dell'Amministrazione Penitenziaria dei connotati psichiatrici della popolazione detenuta e di verificare i risultati ottenuti al fine di prevenire i danni da patologie psichiatriche, verificando scientificamente l'efficacia dei trattamenti psichiatrici svolti sulla popolazione detenuta e promuovere le conseguenti scelte scientifiche. L'attività centrale di cui si parla, non può che tener conto dell'esistente. Il Servizio Psichiatrico Interno della C.C. di Sollicciano, ad esempio, da tempo ha il polso psicopatologico della realtà carceraria (grazie anche alla volontaria costituzione di una sorta di registro dei casi) in virtù di un vigile e costante controllo dell'emergenza, e questo nonostante gli ostacoli posti al procedere di tale esperienza (cfr. Parte Seconda, § 1). Alla luce dei risultati ottenuti, i Consulenti Psichiatri responsabili del Servizio Psichiatrico di Sollicciano, sostengono che per trovare una via d'uscita e per rendere concretamente utile il lavoro dello psichiatra in carcere, due almeno sono gli obiettivi da perseguire nell'immediato. In primo luogo sembra indispensabile costituire una commissione tecnica ministeriale sull'argomento, che sia in grado di analizzare le realtà esistenti, che abbia una specifica competenza e che sia animata dalla giusta dose di passione e di interesse teorico, che soli preludono alla nascita di progetti mirati ed efficaci. Inoltre occorre riconoscere l'esistenza di almeno tre circuiti penitenziari, all'interno dei quali, di fatto, si registrano diversi tipi di problematiche psichiatriche:
Queste appena presentate sono proposte di riforma che investono la psichiatria penitenziaria in generale. Ma poiché il perno di tali riforme si basa sull'analisi delle esperienze in corso, ritengo opportuno approfondire una di queste, quella del Servizio Psichiatrico Interno della C.C. di Sollicciano, le cui vicende sono già state ampiamente trattate nel precedente paragrafo. La novità dell'operazione affrontata a Sollicciano è tale solo per il nostro Paese; in altre Nazioni della Comunità Europea gli istituti penitenziari fruiscono di una consistente e qualificata presenza psichiatrica al loro interno, tali da offrire opportunità terapeutiche paragonabili a quelle che la Sanità eroga ai cittadini liberi. Una Casa di Cura e Custodia giustifica ampiamente di per sé l'istituzione, voluta dalla Direzione Generale, di una Guardia Psichiatrica. Ma il problema psicopatologico penitenziario è ben più esteso della pur complessa gestione della CCC. Disperso nel carcere, lo abbiamo già detto, sia nelle aree maschili che in quelle femminili c'è un elevato numero di reclusi affetti da turbe psichiche, la cui assistenza all'interno delle sezioni ordinarie è quasi impossibile. È stato constatato come anche la locale Infermeria Centrale non sia in grado di rispondere alla massiccia presenza di simili pazienti, che si trovano a convivere con soggetti affetti da patologie organiche, bisognosi di tranquillità. Ma la tranquillità purtroppo non è caratteristica degli ambienti destinati ad accogliere e contenere l'emergenza psicopatologica. D'altra parte anche il territorio ha dovuto constatare la necessità di una separazione tra Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura e Pronto Soccorso Generale. Difficilmente sarà possibile evitare il ricorso ai servizi esterni, ma certo si tenterà, con una prevenzione sapiente e rigorosa, di arginare il problema e di ridimensionarlo progressivamente. Questo è però un progetto delicato, che richiede un sostegno mai titubante e una chiarezza d'intenti presenti ad ogni livello. La serietà del programma rende necessario cooptare personale particolarmente preparato e motivato, così da fronteggiare resistenze e difficoltà prevedibili. D'altra parte, formare un insieme di operatori professionalmente all'altezza del compito è indispensabile, non solo per i momenti più acuti e dunque per evitare gli elevati costi istituzionali della loro gestione esterna, ma anche per assistere i reclusi, affetti da turbe strutturali profonde. In tale progetto si inserisce la proposta di istituire spazi dove l'attenzione psichiatrica per l'uomo sofferente sia davvero realizzabile e dove operi, coordinata dallo psichiatra responsabile del Servizio, la Guardia ad indirizzo psichiatrico. Alcuni Medici Incaricati hanno espresso il timore che apposite aree di sorveglianza psichiatrica richiamino da altri istituti penitenziari una popolazione ad alto indice psicopatologico. E, in effetti, il Coordinatore Sanitario di un altro istituto penitenziario ha mostrato di avere inteso la Casa di Cura e Custodia di Sollicciano come una sezione ordinaria, nella quale trasferire una detenuta che creava particolari problemi di gestione, dimenticando che si tratta di un luogo destinato alla esecuzione di misure di sicurezza. Se, considerato tale punto di vista, detta struttura funzionasse anche per le recluse, si rischierebbe l'intasamento e l'ingestibilità. Il problema può tuttavia essere affrontato brillantemente, secondo i medici del Servizio Psichiatrico, con una premessa che si richiami a quella territorializzazione della cura per il tossicodipendente, invocata dal Prof. Nicolò Amato in varie circolari sull'argomento. Per la Psichiatria la divisione territoriale è ormai un dato di fatto; si tratta di una divisione per U.S.L.: il paziente ad esempio che risiede nella USL 10/A di Firenze, nel caso ne abbia bisogno viene in genere ricoverato nel Servizio Psichiatrico di tale USL. Così le emergenze vengono affrontate in loco e non "deportate" altrove. Se tutte le Case Circondariali, quantomeno quelle di grosse dimensioni, si attrezzassero per la gestione del problema, la territorializzazione del medesimo sarebbe automatica, con l'ovvio vantaggio di un'organizzazione doppiamente agile: e per il numero di casi da assistere, proporzionale alla capienza stessa dell'istituto, e per la possibilità di promuovere quella fitta rete di rapporti con i servizi esterni che il D.A.P. da tempo auspica, ma che stenta a decollare. Pertanto occorre premettere alla istituzione di tali aree la rigorosa e ferma territorializzazione del loro uso, così da evitare abusi. Il territorio "fisiologico" di Sollicciano potrebbe essere la città di Firenze con la sua provincia. L'organizzazione di tale Servizio è andata al di là di quanto prescritto. Ciò è inevitabile quando si tenta di dar vita ad un progetto "nuovo". Questa "irregolarità" del nuovo, questa trasgressione propositiva (consistita nell'approfondimento e nell'estensione dell'attività psichiatrica proporzio-nalmente ai bisogni rilevanti), hanno determinato irrigidimenti solo in parte comprensibili. Che il Medico di Guardia Psichiatrica, con la supervisione dei Consulenti e sotto la loro responsabilità, si prendesse cura di pazienti, è stato vissuto da taluni come una profanazione del regolamento, come un "abuso": ciò anche se le ultime indicazioni del D.A.P. parlano chiaro a proposito dell'estensione delle competenze del Medico di Guardia a tutti i compiti che fanno parte dell'area sanitaria. È ovvio che per il Medico di Guardia Psichiatrica, questi non possono essere che compiti psichiatrici, con la supervisione e con la guida di colui al quale l'Amministrazione Penitenziaria da sempre attribuisce la responsabilità delle proposte trattamentali nella sua branca, vale a dire il Consulente Psichiatra. Parimenti intrusivo è apparso, a molti operatori sanitari e non, che lo psichiatra svolgesse funzioni di cui nessuno in precedenza si era potuto o aveva voluto occuparsi, quasi che occupare spazi vuoti, che richiedevano urgentemente di essere occupati, configurasse una sorta di "indebita appropriazione", laddove andrebbe piuttosto stigmatizzato il fatto che troppo a lungo, e con conseguenze certo dannose alla persona detenuta e all'istituzione, tali funzioni non siano state definite e attribuite. Pertanto diventa urgente e indispensabile un riconoscimento centrale del modo di funzionare e dell'organizzazione del Servizio. A quasi due anni dal concepimento del Servizio, fu proposto dai medici psichiatri che lo conducevano qualcosa di indubbiamente nuovo dal punto di vista organizzativo. Il Servizio, coordinato da un Consulente Psichiatra di provata esperienza penitenziaria, doveva articolarsi in due sottosistemi. Uno, composto da un congruo numero di Consulenti Psichiatri, che offra, a chi ne abbia bisogno e ne faccia richiesta, una preziosa opportunità di trattamento, oltre a fare quanto attualmente è svolto dal Consulente. L'altro, costituito dai Medici di Guardia a orientamento psichiatrico, che risponde alle emergenze psicopatologiche istituzionali. La proposta non ebbe chiaramente seguito. La Direzione Generale e i Medici della Guardia Psichiatrica hanno da sempre sostenuto la necessità di un ampio contributo del Servizio Sanitario Nazionale, il quale però secondo i Consulenti Psichiatri soffre di carenze e di incertezze troppo gravi al suo interno, specie in ambito psichiatrico, per intraprendere una simile operazione. Il motivo per cui i Medici della Guardia Psichiatrica auspicano l'intervento del S.S.N. è molto semplice: l'attività psichiatrica all'interno del carcere, lo sappiamo, è particolarmente delicata, già nella prima parte di questo lavoro (cap. Iº, § 4) ho affrontato l'argomento, mettendo in luce come esso sia da più parti inviso e osteggiato. Lo psichiatra è legato al carcere da un rapporto che lo vede come libero professionista, all'interno di una convenzione tacitamente rinnovata dal Ministero di Grazia e Giustizia. Qualora la Direzione ritenga che l'attività dello psichiatra crei un "disservizio", essa può bloccare quell'attività impedendo allo psichiatra di svolgerla liberamente. È per questo motivo che i Medici Psichiatri ritengono opportuno avere un referente diverso dalla Direzione del carcere. Essere Medici del Servizio della U.S.L. permetterebbe loro una maggior libertà operativa ed un'autonomia anche rispetto agli altri Medici che non potrebbe che giovare all'attività psichiatrica penitenziaria. Osserva Galderisi, Consulente Psichiatra della C. Circondariale di Parma, nella relazione introduttiva al Iº Congresso Nazionale AMAPI di Psichiatria Penitenziaria svoltosi a Parma nell'ottobre 1993: "...per una congerie di fatti, quali ad esempio l'essere la pratica psichiatrica una funzione aggiunta al rapporto fra istituzione e detenuto, la figura dello psichiatra o meglio del servizio di psichiatria penitenziaria, non riesce a connotarsi come una funzione autonoma rispetto al rimanente impianto detentivo. Essa non riesce a passare da un ruolo di ulteriore vigilanza e controllo in ambito mentale, pur se in genere con risvolti positivi o molto positivi, ad un'attività di vera e propria cura mirante ad affrontare con il detenuto quell'insieme di problemi e difficoltà psichiche che hanno collaborato a farne un criminale. [...] Il problema è la generale riorganizzazione e costituzione di un servizio psichiatrico con connotati generali e nuovi. Se riusciamo a costituire intorno al servizio psichiatrico penitenziario quest'immagine di servizio sanitario, che riesce a raggiungere il cittadino anche all'interno delle carceri, in maniera autonoma ma non contraddittoria con il restante impianto repressivo, la cui struttura ideologica e di finalità ideali, anzi, in questo contesto deve essere salvaguardata e sostenuta, avremo posto la prima e più utile base per creare fra detenuto e psichiatra un territorio di intesa, autonomo e libero, dove può iniziare un rapporto terapeutico tendenzialmente più sincero e più reale." Sempre a proposito della mancanza di autonomia che caratterizzava il Servizio Psichiatrico Interno, la Dott.ssa Brandi fa notare che c'erano forti resistenze anche fra gli altri medici (quelli generici, non specializzati in psichiatria), i quali hanno sempre vissuto la psichiatria nel carcere come qualcosa di destabilizzante, essendo l'organizzazione sanitaria delle carceri italiane abbastanza desueta, caratterizzata da contratti particolari, ma soprattutto da un carattere molto generico dell'assistenza. Come abbiamo già visto, infatti, nelle carceri italiane l'assistenza sanitaria è diretta da un Medico Generico, per cui lo specialista risulta legato da un rapporto che ricalca quello che il Servizio Sanitario Nazionale ha predisposto, per l'esterno, tra il Medico Generico di base (per capirsi, il medico di famiglia) e tutti gli specialisti nelle varie branche mediche. Questo tipo di rapporto potrebbe anche funzionare negli istituti penitenziari se la popolazione detenuta presentasse gli stessi problemi della popolazione esterna; ma la popolazione detenuta ha una tale concentrazione di problemi così poco generici che sono quello psichiatrico, quello infettivologico, quello tossicomanico, che è difficile immaginare che il coordinamento di queste branche così specialistiche sia, in carcere, effettuato da un Medico Generico. Andrebbero creati all'interno del carcere dei Servizi, non necessariamente dipendenti dal Ministero della Sanità, rispondenti alle caratteristiche del carcere, quindi dei Servizi distinti, per i pazienti tossicomani, per quelli "infettivi" e per quelli psichiatrici, magari lasciando inalterato l'attuale rapporto contrattuale degli specialisti di altre branche mediche quali la cardiologia, l'oculistica, la ginecologia che sono chiamati ad intervenire in un numero assai più limitato di casi. I Consulenti Psichiatri della C.C. di Sollicciano, a differenza dei Medici della Guardia Psichiatrica, non ritengono che l'intervento del Ministero della Sanità negli istituti penitenziari possa configurarsi come un intervento risolutore dei problemi che indubbiamente si sono presentati al Servizio Psichiatrico Interno. Ciò che in primo luogo bisogna ricercare è l'organizzazione valida e concreta di un Servizio Psichiatrico in mancanza della quale non ha senso nessuna assunzione di responsabilità sia legata che svincolata dal Ministero della Sanità. Personalmente ritengo che il problema sia ancora più complesso di quanto appaia. Il Servizio Psichiatrico Interno di Sollicciano, soprattutto come era strutturato i primi due anni, era certamente un modello valido da proporre, studiare ed imitare. Forse però esso non è l'unica realtà che andrebbe studiata e magari rivista. In questo modo, non si corre il rischio di trasformare il carcere in un ricettacolo di soggetti malati di mente che per le varie e molteplici carenze a livello territoriale, incontrano questo come primo luogo di cura? 2.2. Proposte di legge di abolizione degli O.P.G.
Il 29 settembre 1983 viene comunicato alla Presidenza del Senato il disegno di legge n. 177 detto progetto Grossi dal nome del primo firmatario. L'intento principale che i firmatari del progetto si propongono è quello di abolire la legislazione penale speciale per i sofferenti psichici, presente nei codici e nella legislazione penitenziaria italiana. È vero che il legislatore penale del 1930, dichiarando il malato di mente-reo "incapace di intendere e di volere", sottraendolo in gran parte al processo penale tramite la disciplina della perizia psichiatrica ed evitandogli il rigore del carcere, legittimandone la custodia a tempo indeterminato nell'ospedale psichiatrico giudiziario, era convinto di emanare una normativa protettiva e favorevole al reo sofferente di disturbi psichici; nella realtà, però, le cose sono andate diversamente. I malati di mente-rei non hanno mai costituito una categoria di soggetti privilegiati dalla normativa penale, quanto piuttosto, con il decorso del tempo, si sono rivelati un gruppo di persone sottoposte ad un grado notevole di emarginazione e di coartazione. La soluzione proposta dal disegno di legge in esame è quella provocatoria di abolire la nozione stessa di incapacità di intendere e di volere nei confronti del malato di mente, dichiarandolo quindi imputabile. La presunta imputabilità del soggetto che soffre di disturbi psichici è dovuta al fatto che si ritiene che egli possa disporre di una certa porzione di libertà, necessaria e sufficiente a dominare il proprio comportamento. La conclusione a cui arriva il progetto è di dichiarare imputabile il soggetto infermo di mente-autore di reato, equiparandolo ai soggetti che commettono reati in stato di ubriachezza, di stupefazione, o in stato emotivo e passionale, abolire quindi l'internamento in OPG, sostituendolo con il carcere. Quindi abolire la distinzione tra imputabili e non imputabili, considerando tutti gli autori di reato responsabili delle loro azioni, ma, nel settore dell'esecuzione, introdurre trattamenti differenziati all'interno delle stesse strutture penitenziarie. Ed è proprio questa la parte del disegno di legge che qui ci interessa. Non solo, con questo disegno di legge si propone l'abolizione della pericolosità del malato di mente autore di reato ed in conseguenza di ciò delle misure di sicurezza per infermi di mente, quali l'OPG e la Casa di Cura e Custodia. Dovendosi reputare la pena detentiva non più come un castigo di natura retributiva, ma un mezzo sanzionatorio di natura speciale preventiva, che persegue come fini principali la rieducazione e la risocializzazione del condannato, non c'è motivo, almeno in linea di principio, di sottrarre il malato di mente all'ambiente carcerario. È ovvio a questo punto che dovrà essere rivolta una particolare attenzione alla cura della salute psichica del malato di mente-reo che venga chiuso in carcere. A questo fine il disegno di legge di cui sto parlando rafforza l'art. 11 dell'Ordinamento Penitenziario che prevede il servizio sanitario all'interno del carcere, disponendo:
All'inizio della esecuzione della pena detentiva per i detenuti malati di mente viene elaborato un apposito piano di cura e di assistenza medico-psichiatrica, a cui viene data attuazione nel corso dell'esecuzione, finché occorra. Come ho già detto il disegno di legge n. 177 ha suscitato, naturalmente, molteplici polemiche. È facile immaginare che un tema tanto delicato come l'abolizione della nozione dell'incapacità di intendere e di volere del reo sofferente di disturbi psichici, abbia suscitato perplessità e pareri discordanti. Ma non è su questo punto della proposta di legge che voglio soffermare la mia attenzione, bensì su quello che riguarda il trattamento penitenziario del malato di mente qualora, a seguito dell'abolizione della nozione di capacità di intendere e di volere, egli venisse giudicato imputabile. A questo riguardo, la polemica maggiore non è rivolta a ciò che questi due disegni di legge propongono, bensì alle difficoltà di realizzazione delle strutture da essi proposte. Da un punto di vista teorico le linee di riforma indicate nel disegno di legge n. 177/83 sono state accolte positivamente dai Medici Psichiatri operanti all'interno del carcere; ciò che lascia perplessi, invece, è la possibilità di realizzare concretamente tali riforme. Come afferma la Dott.ssa Trotta "è un progetto che, se realizzato attentamente, potrebbe dare ottimi risultati facilitando il percorso di recupero di molti soggetti con disturbi psichici più o meno gravi. L'importante è che le persone non vengano trascurate ma curate, come è stato fatto a Sollicciano e come prevede la legge 180 stabilendo la chiusura dei manicomi per quello che erano diventati. Ma in genere le buone riforme costano, in termini di energie, di progettazione e di denaro e dotare il carcere di un Servizio Psichiatrico valido costa molto". Secondo il Dott. Sirianni la previsione di una serie di strutture all'interno del carcere tali da permettere la cura del reo sofferente di disturbi psichici, sarebbe la soluzione ideale. Creare dei reparti speciali per i pazienti psichiatrici all'interno della Casa Circondariale favorirebbe quella capacità di ascolto che è la base della cura psichiatrica, soprattutto psicoterapeutica. Ciò sarebbe sicuramente preferibile all'internamento in OPG. A questo punto sorge un dubbio: il sistema di relazioni in cui inseriamo il paziente psichiatrico non diventa un'ulteriore "noxa patogena" sul malato di mente, rischiando di vanificare quanto viene faticosamente costruito in psicoterapia, inserendo di nuovo il soggetto in una cella in cui il sistema di relazioni non può certo dirsi comune, perché quantomeno malato di antisocialità? Insomma, non si darebbe vita ad una segregazione nella segregazione? I sostenitori del progetto controbattono sostenendo innanzitutto che nell'ospedale psichiatrico giudiziario la situazione non è molto diversa, essendo anche qui internati soggetti autori di reato con disturbi psichici. Inoltre essi sostengono che la creazione di un reparto speciale per detenuti malati di mente, organizzato sul modello dei reparti specialistici dei comuni ospedali renderebbe "giustificabile" anche una sorta di segregazione nella segregazione. L'impiego di personale specializzato, infatti, permetterebbe di interpretare i comportamenti dei pazienti psichiatrici, così come altro tipo di personale non sarebbe in grado di fare perché mancante degli strumenti teorici e pratici necessari per la comprensione ed interpretazione di certi segnali. Nell'attuale legislatura, su iniziativa del deputato Franco Corleone (attuale sottosegretario alla Giustizia) è stata presentata un'altra proposta di legge, n. 151/96 "Norme in materia di imputabilità e di trattamento penitenziario del malato di mente autore di reato", non ancora discussa in aula e che rappresenta una riproposizione del disegno di legge Grossi. In essa è previsto che l'infermo di mente autore di reato, considerato sempre e comunque imputabile, soggiaccia alla condanna penale, e che sia poi trattato durante l'esecuzione della pena detentiva, presso "speciali sezioni carcerarie attrezzate per la costituzione del gruppo terapeutico", nelle quali si esegue uno specifico "piano di cura e di assistenza medico-psichiatrica". L'articolo 11 di questo Progetto (che sostituisce l'art. 286 del c.p.p.) stabilisce che se il soggetto è affetto da infermità psichica tale da non poter essere condotto in carcere, il giudice ordina la custodia dell'imputato nel luogo in cui si trova per mezzo degli agenti della forza pubblica, ovvero il ricovero dell'imputato in un pubblico ospedale sotto la medesima custodia, se appare necessaria, fino a che le condizioni di salute dell'imputato siano tali da permetterne il trasferimento in carcere. L'art. 13 prevede poi che i soggetti sofferenti di disturbi psichici, che si trovino in stato di detenzione per custodia preventiva o per espiazione di pena, hanno diritto di ricevere in carcere le cure mediche e l'assistenza psichiatrica necessaria per il recupero della salute a scopo di riabilitazione. Per i soggetti con gravi disturbi psichici, condannati a pene detentive superiori a due anni, il Ministro di Grazia e Giustizia organizza, su basi territoriali regionali, una o più sezioni carcerarie, ognuna delle quali con capienza non superiore a venti detenuti, opportunamente attrezzate per la costituzione del gruppo terapeutico, provvedendo d'intesa con i competenti organi della regione e con i servizi psichiatrici territoriali. All'inizio dell'esecuzione della pena detentiva, per i detenuti malati di mente viene elaborato un apposito piano di cura e di assistenza medico-psichiatrica, a cui viene data attuazione nel corso dell'esecuzione finché occorra (art. 14). L'art. 15 del Progetto che disciplina le modalità del trattamento nelle sezioni carcerarie regionali, stabilisce che ad esse sono assegnati per l'espiazione della pena i soggetti condannati a pena detentiva superiore ai due anni che per il tipo e il grado di malattia psichica da cui sono affetti non possono ricevere in carcere cure adeguate. In via del tutto eccezionale a queste sezioni possono venire assegnati anche gli imputati sottoposti a custodia preventiva, quando a causa della precarietà del loro stato psichico deriverebbe dalla custodia carceraria grave pregiudizio alla salute. Come ho già accennato questo disegno di legge rappresenta una riproposizione del disegno di legge Grossi. Sembra di poter valutare che oggi, dopo 15 anni, la proposta dell'On. Corleone possa incontrare minor ostilità di quella che toccò nel 1983 alla proposta del Sen. Grossi. Un dibattito è tuttora in corso e non mancano opinioni favorevoli ad un suo accoglimento.
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