O.P.G.,
dove il trattamento non
esiste
e la lunghezza della pena è incerta
Rivista
del Volontariato, gennaio 2003
Chi entra per la
prima volta nell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa non ha dubbi.
Malgrado l’etichetta di ospedale questo non è un luogo dove la gente viene
per curarsi. Lo dicono le sbarre alle finestre, i padiglioni chiusi, gli
agenti di polizia che dal gabbiotto dell’ingresso alle scale, ai piccoli
viali del parco, all’area verde costituiscono un elemento costante
del paesaggio. Lo confermano,
inequivocabili, i numeri:
6 medici di base,
6 psichiatri,
2 psicologi,
73 infermieri, contro
circa
100 poliziotti. Lo
afferma a chiare lettere il direttore, Adolfo Ferraro, psichiatra,
che dichiara senza troppi peli sulla lingua: "L’Ospedale psichiatrico
giudiziario di Aversa, come tutti gli opg, era ed è un deposito per tutti
coloro che creano problemi all’interno della società. Non scontano una
pena, perché non possono ritenersi colpevoli dei reati che hanno commesso,
ma vengono rinchiusi come misura di sicurezza, in quanto potrebbero
reiterare i crimini che li hanno portati davanti ai giudici".
Così
dall’Ospedale psichiatrico giudiziario non ci si aspetta né la cura né la
riabilitazione, ma semplicemente un sano isolamento dettato dal
pericolo che i degenti possono rappresentare per la società.
Per questo, a
differenza delle carceri, negli Opg vige l’incertezza della pena. Infatti,
proprio perché non punibili, in quanto dichiarati incapaci di intendere e
di volere, i ricoverati/carcerati non sono condannati a una pena in senso
stretto, ma vengono sottoposti a una misura di sicurezza che a seconda del
reato commesso e del parere del giudice giudicante può essere di
2,
5 o
10 anni. Al termine dei
quali sarà ancora il giudice a esprimersi sul loro caso e la loro
condizione futura. "Li chiamano ergastoli bianchi", dice Massimiliano
De Somma, psicologo, volontario dal
1998, da quando ha
fatto la sua tesi di laurea sull’Opg e poi vi svolto il tirocinio e ha
cominciato a coordinare “Nabuc”, il giornalino interno. "Perché alcuni di
cinque anni in cinque anni qui dentro ci passano la vita".
Dei delitti e delle pene
Ci troviamo,
dunque, di fronte a situazione molto complessa, dove spesso malattia
mentale ed esclusione sociale si sommano, si moltiplicano e si confondono.
Ma proviamo ad andare per ordine. Nei
6 Ospedali psichiatrici
giudiziari esistenti in Italia risiedono, secondo una ricerca effettuata
dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria datata al
12 marzo
2001,
1.282
persone, di cui
180 si trovano ad
Aversa. E di questi
1.282
il
45,7% si è macchiato
di reati terribili come l’omicidio volontario, l’8,5%
di lesioni personali volontarie, mentre altri hanno alle spalle colpe
molto meno gravi. Basti pensare che il
5,3% è accusato di
maltrattamenti familiari e il
2%, pari a
26 persone complessive,
di resistenza a pubblico ufficiale. Ed è la stessa ricerca ad affermare
che se l’80% dei
ricoverati costituisce effettivamente un pericolo sociale, "i reati minori
rappresentano il
20%". Mentre il
5% dei casi non
risulterebbe nemmeno rilevante in termini di pericolosità.
Insomma, come
spiega chiaramente Adolfo Ferraro, "dopo la chiusura dei manicomi sancita
dalla legge
180 del
1978, la maniera più
semplice per liberarsi di una persona difficile da gestire è diventata la
denuncia. Così molte famiglie che si trovavano nell’impossibilità o
nell’incapacità di fronteggiare la malattia mentale sono ricorse all’extrema
ratio di allontanare i loro familiari denunciandoli". Ma la cosa non
finisce qui, perché può capitare – e capita effettivamente – che anche
dopo due anni, anche una volta accertato l’estinguersi della pericolosità
sociale, si resti “dentro” perché fuori non vi né una famiglia né una
struttura sanitaria territoriale disposta ad accogliere il vecchio
paziente. Ma si capisce che neppure prima di impazzire gli ospiti
dovevano avere una vita tanto facile. Basta guardare la situazione di
Aversa attraverso le fredde statistiche del Dap: dei
188 uomini presenti nel
2001, ben
132 non erano andati
oltre le scuole medie inferiori e, tra questi,
4 non avevano finito
neppure la terza media e
3 erano addirittura
analfabeti.
Per volontà dei volontari
L’Opg di Aversa è
sporco ed è stato più volte additato dalla stampa per le sue scarse
condizioni igieniche. "Tutti quelli che vengono qui sono prevenuti e
cercano le cose che non vanno", dice il direttore. "Ma se vogliono gliela
faccio vedere io stesso l’immondizia. Lo sappiamo tutti, certo che lo
sappiamo, ma il problema è che gli ospedali psichiatrici giudiziari
seguono i regolamenti dell’Amministrazione penitenziaria e ricalcano i
regolamenti delle carceri. Così anche qui, come all’interno del carcere,
le pulizie sono a carico degli stessi detenuti, perciò si può immaginare
come vengano fatte. Per fortuna ultimamente siamo riusciti ad ottenere di
poter ricorrere ad una ditta esterna, che speriamo migliorerà l’igiene".
E poi c’è la
questione dei trattamenti che l’amministrazione non prevede. I medici e
gli psichiatri bastano solo per l’ordinario, e il trattamento inteso come
cura non esiste. Infatti i due psicologi previsti non solo lavorano per un
totale di appena
32 ore a settimana, ma
sono talmente impegnati dalla stesura dei rapporti da presentare ai
giudici che non hanno un minuto di tempo non solo per dedicarsi a qualche
forma di psicoterapia, ma neppure per prestare un po’ di ascolto a chi ha
bisogno di parlare. Perciò ai trattamenti ci pensano esclusivamente i
volontari, che però non possono entrare nei sei reparti in cui è diviso l’Opg.
Possono invece adoperare un apposito padiglione, deputato alle attività
trattamentali, che devono essere svolte alla presenza di almeno un agente
di custodia e che, oltre alla realizzazione del giornalino “Nabuc”,
comprendono una serie di laboratori. Tra questi quello di colore e di
informatica, quelli appena terminati di teatro e musicoterapica, e altri
mai pienamente decollati come la ceramica e la sartoria. Ma secondo
Massimiliano De Somma, tutte le attività nel loro complesso non
coinvolgono più di una cinquantina di persone. Le altre, rinchiuse nei
reparti, appaiono a una distanza siderale.
Il luogo più
bello dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa è l’area verde,
dove in
8mila metri di terreno si
allevano e si curano animali. È stato pensato non tanto come pet terapy,
ma per riportare le persone, che in moltissimi casi provengono da ambienti
contadini, a una dimensione conosciuta e familiare, contribuendo in questo
modo a recuperare l’identità. Per questo ci sono le pecore e le capre, i
conigli, le oche e le galline.
300 animali in tutto,
tra cui alcune specie rare come le anitre mute e i germani reali. Al
principio si era pensato di curare gli uccelli feriti e rimetterli in
libertà nelle oasi naturali, e questo sembrava una sorta di metafora di
buon augurio per quello che un giorno sarebbe potuto accadere realmente
all’interno dell’Opg. Così a un certo punto, in accordo con il Wwf, i
germani reali sono stati rimessi in libertà nel bosco degli Astroni ad
Agnano, a
50 chilometri da Aversa.
Ma poi quegli stessi germani sono misteriosamente riapparsi nell’area
verde. Non si erano trovati bene nel bosco, “fuori” non era più fatto per
loro.
La voce di Nabuc
“Nabuc” è il
giornale dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, che viene
distribuito per abbonamento e ha cadenza – se tutto va bene – bimestrale.
"Quando è nato, nel
1998, somigliava a
tutte le altre pubblicazioni provenienti da realtà analoghe dove a
scrivere erano gli operatori, e i contributi dei degenti venivano raccolti
nei reparti", racconta Massimiliano De Somma, solerte volontario e
psicologo che trascorre tre interi giorni a settimana tra le mura dell’Opg
e che, insieme a quattro altre volontarie psicologhe, le dottoresse
Mena Petrazzuolo, Emma Cecere, Rosa Simone ed
Emanuela Roca, e a
15 ricoverati,
costituisce la redazione del giornale. Oggi invece le cose sono cambiate,
perché su Nabuc scrivono soltanto i degenti, adoperando un codice
espressivo assolutamente spontaneo e non limato. Ma le riunioni di
redazione di Nabuc non servono solo a progettare il giornale. "Costituiscono anche un gruppo di ascolto, perché nell’Opg manca
assolutamente lo spazio per parlare e per farsi ascoltare", spiega De
Somma.
Ma oltre a questo
la partecipazione al giornale rappresenta anche un importante momento di
informazione, intesa sia come circolazione di notizie e di informazioni
all’interno, sia come comunicazione all’esterno. E alcuni dei servizi
pubblicati sono veramente interessanti per comprendere la realtà delle
istituzioni totali in generale e degli ospedali psichiatrici giudiziari in
particolare. Due esempi per tutti: il numero monografico sulla sessualità
e gli affetti del maggio
2002 e il servizio sul
cibo e sul vitto pubblicato nel numero
13 del gennaio '91.