Diritto alla salute in carcere

 

Problemi di tutela del diritto alla salute in carcere

di Mario Pavone (Avvocato in Brindisi, patrocinante in Cassazione)

 

Premessa

 

I detenuti e gli internati hanno diritto al pari i dei cittadini in stato di libertà alla erogazione delle prestazioni di prevenzione,diagnosi.cura e riabilitazione,efficaci ed appropriate, sulla base degli obiettivi generali e speciali di salute e dei livelli essenziali ed uniformi di assistenza individuati nel Piano sanitario nazionale,nei piani sanitari regionali ed in quelli locali.

L’affermazione di principio è contenuta nel D.Lgs. 22/6/1999 n.230 (1), riguardante il riordino della medicina penitenziaria,che costituisce attuazione del principio sancito dall’art.32 della Costituzione in materia di diritto alla salute nella parte in cui la norma stabilì che "la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo" e che "la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana".

 

I precedenti normativi

 

Il diritto alla salute del detenuto,invero,non aveva ricevuto in passato pieno riconoscimento da parte dell’Ordinamento poiché esso è stato sempre condizionato alla gravità della malattia.

L’insufficienza della tutela della salute nelle carceri italiani era stata già ampiamente documentata anche nei lavori e nelle conclusioni della Commissione del Senato della Repubblica che ha svolto negli anni 1993 - 94 una "indagine conoscitiva della situazione sanitaria nelle carceri"(1-bis).

Anche se non erano mancate,in passato, alcune buone realizzazioni ed esperienze molto interessanti come pure l’acquisizione di competenze importanti da parte degli operatori specializzati, il sistema attuale incontra ancora difficoltà oggettive a svolgere la funzione di "presa in carico" del bisogno globale di salute, per la finalità di fondo che lo caratterizza, che è rappresentata in prevalenza dalla copertura del rischio per garantire le responsabilità dell’Amministrazione carceraria.

Il servizio attuale risulta,in conseguenza,notevolmente affievolito nell’attesa di una nuova disciplina normativa della materia non potendo sviluppare e promuovere direttamente un’azione per agire sui rischi e prevenire il danno oggettivo che costituisce la patologia propria di una "struttura totale" qual è il carcere.

L’articolo 5 della Legge 419/98 "riordino della medicina penitenziaria" ha rappresentato, quindi, la prima tappa fondamentale nel percorso di riforma avviato dal Governo, per costruire un sistema penitenziario che sappia coniugare sicurezza, diritti individuali e recupero sociale dei detenuti.

La stessa Suprema Corte, anche di recente (2),giudicando in tema di differimento della esecuzione della pena nei confronti di persona in condizioni di grave infermità fisica,aveva stabilito che in tali casi " si deve fare riferimento soltanto all’oggettiva gravità di questa per stabilire se essa sia tale da dar luogo,cumulata all’ordinaria attività della restrizione della libertà, ad un trattamento contrario al senso di umanità e ad una sostanziale elusione del diritto individuale costituzionalmente garantito alla tutela della salute da parte dell’ordinamento,a nulla rilevando l’eventuale incompatibilità dello stato patologico con la permanenza in carcere sotto il profilo di apprestamento delle opportune terapie".

La Cassazione,quindi, pur modificando il proprio precedente orientamento(3) è giunta quindi ad affermare,da una parte,che il diritto alla salute del detenuto prevale sullo stato di detenzione quand’anche potesse ricevere adeguate cure in ambito carcerano ma, dall’altra, ha limitato tale possibilità alle persone "in condizioni di grave infermità fisica " demandando l’accertamento della gravita dell’affezione alle indagini peritali.

Pur in tali limiti,si è trattato,comunque,di un notevole passo avanti nella direzione della tutela della salute anche in ambito carcerano atteso che la Costituzione,considerando all’art.32 la salute un diritto assoluto dell’individuo,ne riconosce la appartenenza ai diritti che stanno alla base di qualsiasi comunità sociale e la cui negazione equivarrebbe alla negazione dell’uomo,quale esponente di un consorzio civile e pertanto determina in capo agli ammalati in pencolo di vita una situazione qualificabile come diritto assoluto "erga omnes " azionabile come diritto soggettivo(3-bis).

Invero,la stessa norma dell’art 11 dell’Ordinamento Penitenziario(4), disciplinando il servizio sanitario in carcere,sottolinea i limiti della assistenza carceraria demandando cure ed accertamenti diagnostici ad Ospedali Civili e luoghi esterni di cura,laddove gli stessi non possano essere apprestati dai servizi sanitari degli Istituti.

La norma è andata nel tempo scontrandosi,da una parte,con la cronica carenza di servizi offerti in ambito carcerano e,dall’altra,con le nuove patologie sempre più diffuse tra i reclusi e preoccupanti dal punto di vista sanitario.

In conseguenza, il Legislatore ha sentito la necessità, prima con la norma dell’art.5 della Legge 419/98 e poi con la disciplina emanata con il D. Lgs. 22/6/1999 n.230,di adeguare la precedente normativa al dettato costituzionale ed alle più recenti riforme in materia sanitaria allo scopo di assicurare anche al cittadino detenuto condizioni di tutela della salute e " livelli di prestazioni analoghi a quelli garantiti dai cittadini liberi ‘.

Importante enunciazione di principio contenuta nel nuovo dettato normativo è stato il riconoscimento del diritto alla salute anche ai detenuti stranieri durante il periodo di detenzione poiché - si osserva- anche "tali soggetti hanno parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai cittadini liberi a prescindere dal regolare titolo di permesso di soggiorno in Italia"(6)

In linea con la riforma dell’assistenza sanitaria nazionale,la Legge affida quindi la erogazione delle prestazioni sanitarie alla AUSL cui spetta la gestione ed il controllo dei servizi sanitari negli istituti penitenziari mentre alle Regioni sono demandate le competenze in ordine alle funzioni di organizzazione e di programmazione dei servizi sanitari regionali negli istituti penitenziari ed il controllo sul funzionamento dei servizi medesimi(7).

La Legge rinvia, inoltre,ad un apposito Progetto la definizione degli indirizzi alle Regioni volti a garantire gli obiettivi di salute dei detenuti e degli internati al fine di conseguire un "miglioramento continuo dell’assistenza negli istituti penitenziari"(8).

 

I primi interventi per malati "speciali"

 

La prima conseguenza del nuovo assetto normativo può ritenersi la riforma introdotta in materia di misure alternative alla reclusione in carcere per gli affetti da AIDS e da gravi malattie con laL.12/7/1999 n.231(9).

Le modifiche introdotte dal Legislatore agli artt.275,276268-bis,299 del Codice di Rito ed agli artt.146 del Codice Penale e la introduzione dell’ari.47-ter nell’Ordinamento Penitenziario e dello art.211-bis del Codice Penale,lungi dal regolare solo la materia relativa al trattamento dei malati di AIDS , meritano attento esame in relazione ai c.d. malati gravi.

Il comma 4-bis dell’art.275 ha esteso infatti il divieto di custodia cautelare anche ai detenuti colpiti da "altra malattia particolarmente grave per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione e comunque tali da non consentire adeguate cure in caso di detenzione m carcere".

In tali casi ‘se sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza e la custodia cautelare presso idonee strutture penitenziarie non è possibile senza pregiudizio per la salute dell’imputato o di quella degli altri detenuti il giudice dispone la misura degli arresti domiciliari presso un luogo di cura o di assistenza o di accoglienza"(comma 4-ter).

Il ricorso a strutture sanitarie esterne e per le necessarie cure viene ancora ribadito nel comma 3 dell’ari..286-bis laddove la norma stabilisce che "quando ricorrono esigenze diagnostiche ... ovvero terapeutiche ,se tali esigenze non possono essere soddisfatte nell’ambito penitenziario ,il giudice può disporre il ricovero provvisorio in idonea struttura del Servizio sanitario nazionale per il tempo necessario. adottando,ove occorra,i provvedimenti idonei ad evitare il pencolo di fuga".

La legge ha apportato anche modifiche all’art.146 del Codice Penale,che disciplina il rinvio obbligatorio della esecuzione della pena,necessitate dalla dichiarazione di illegittimità della norma nella parte in cui prevedeva che il differimento avesse luogo anche quando l’espiazione della pena potesse avvenire senza pregiudizio della salute del soggetto e di quella degli altri detenuti (9-bis).

Non ha invece subito modifiche l’art.147 del Codice Penale,in materia di rinvio facoltativo della pena, per il quale il carattere cronico ovvero inguaribile della malattia non assume alcuna rilevanza posto che tale fattispecie non è contemplata dalla norma.

In tali ipotesi appare invece necessario che il Giudice valuti se l’infermità fisica del soggetto abbia o meno la possibilità di trarre giovamento.nello stato di libertà,di cure e trattamento sostanzialmente diversi e più efficaci di quelli che possono essere prestati nelle strutture sanitarie penitenziarie.

La mera asserzione di compatibilità dell’infermità col regime penitenziario non soddisfa pertanto l’obbligo di motivazione sulla sussistenza o meno del diritto al differimento della esecuzione della pena,mancando in tal caso l’esame e a valutazione dell’eventuale incidenza dell’infermità addotta in caso di permanenza del regime carcerano, sulla salute del detenuto(9-ter).

In ogni caso l’ accertamento della gravità della malattia è sempre demandato ad una perizia nei pur brevi termini stabiliti dall’art 299,comma 4-ter che accerti la incompatibilità con lo stato di deten-zione, creando una situazione di discrezionalità che finisce con il costituire un serio pregiudizio della salute del soggetto a causa della oggettiva diversità di giurisprudenza fra i vari Tribunali di Sorveglianza e quindi i vari distretti di Corte di Appello (10).

La Legge n.165/1998 (c.d. "legge Simeone"),accogliendo proprio una richiesta proveniente dalla Magistratura di Sorveglianza,aveva già introdotto una nuova fattispecie di detenzione domiciliare per ragioni di salute fino a giungere(con l’art.47-ter,comma 2 bis) a prevedere una forma di detenzione domiciliare per qualsiasi titolo di reato senza limiti di tetto di pena con un sistema "a termine" imperniato sullo stato di avanzamento della malattia legato a successive verifiche da parte del Tribunale di Sorveglianza che l’aveva concessa (11).

Appare evidente come,in un sistema normativo così delineato,il diritto alla salute del detenuto si scontri da una parte con i limiti dell’assistenza sanitaria penitenziaria e dall’altra con le esigenze di sicurezza della collettività.

 

L’infermo di mente reo

 

Altra questione inesplorata risulta il trattamento carcerario dell’infermo di mente-reo.

Come sostento da autorevole Dottrina(12), il cambiamento dell’atteggiamento sociale e dello approccio scientifico verificatosi negli ultimi decenni, nei confronti del disturbo psichico, ha determinato un rinnovamento radicale non solo nei metodi terapeutici, ma anche nella normativa sull’ assistenza psichiatrica.

Fino al 31 maggio del 1978 vigeva in Italia un sistema assistenziale psichiatrico dominato dalla finalità della difesa sociale, rispetto alla quale la cura del malato veniva ad essere un carattere secondario della organizzazione manicomiale.

Infatti, la legge 11/2/1904 n. 36 recante "Disposizioni sui manicomi e gli alienati", integrata dal regolamento di esecuzione 16/8/1909 n. 615, prevedeva e regolava il complesso sistema di istituti per l’ assistenza psichiatrica in cui dovevano essere "custodite e curate le persone affette, per qualunque causa, da alienazione mentale quando siano pericolose a sé e agli altri o riescano di pubblico scandalo". (13)

Pertanto, per essere ricoverati, bastava che qualcuno lo richiedesse al pretore, dietro presentazione di un semplice certificato medico ratificato dall’autorità locale di Pubblica Sicurezza.

Fin dagli inizi degli anni Sessanta il movimento culturale c.d. ‘antipsichiatrico’ capeggiato da Franco Basaglia(15) iniziò un percorso di rinnovamento che, passando per la costituzione di una prima comunità terapeutica, si pose l’obbiettivo di scardinare l’istituzione psichiatrica, intesa come scienza medica, ma soprattutto come strumento di controllo sociale, e sfociò nella legge 180/1978.

Partendo dalla contestazione radicale dell’ideologia del controllo sociale l’ideologia antipsichiatrica si basa sui seguenti principi:

1) abrogazione della legge psichiatrica del 1904 e disconoscimento della pericolosità quale connotato proprio della malattia mentale da equipararsi ad ogni altra malattia che possa colpire l’uomo;

2) abolizione degli ospedali psichiatrici esistenti e di ogni altra possibile istituzione psichiatrica di ricovero;

3) un concetto di cura connotato dai caratteri della volontarietà e della territorialità, intendendosi con questo ultimo termine che la terapia deve essere instaurata nell’ambiente di origine del malato, senza ricovero ospedaliero;

4) istituzione per legge regionale di dipartimenti di salute mentale, ove si svolgano le funzioni preventive, curative e riabilitative relative alla salute mentale;

5) limitazione dei trattamenti sanitari obbligatori per malattia mentale in condizione di degenza ospedaliera;

6) esecuzione dei trattamenti in Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura all’interno degli ospedali

generali e dotati di un numero limitato di posti letto .

La legge 180 del 1978 sugli "Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori" ha di fatto completamente modificato la situazione precedente riconoscendo il diritto alla libertà del cittadino nei confronti del trattamento sanitario quale deriva dall’ art. 31 della Carta Costituzionale, sostituendo il concetto di "pericolosità" con quello di "tutela della salute pubblica" ai fini della legittimazione dell’ obbligatorietà del trattamento stesso.

La stessa legge tende inoltre alla progressiva eliminazione degli Ospedali Psichiatrici, indicati dalle nuove concezioni quali "luoghi di esclusione e sofferenza" di cui si denuncia la reale funzione di controllo sociale sotto la pretestuosa forma di cura della malattia, ove invece appare impensabile qualunque terapia all’interno di istituzioni totali (16) .

Restano, al contrario, in funzione,in quanto non vi si fa cenno nella legge e restano quindi soggetti alla normativa finora in vigore, gli O. P. G., regolati dalla legge di ordinamento penitenziario n. 354/1975 e dal nuovo regolamento di esecuzione emanato con D.P.R. 30/06/2000, n. 230.

Va comunque sottolineato che,a distanza di pochi mesi dalla sua emanazione, i principi ispiratori della legge 180/1978 vennero integralmente trasfusi nella legge 833/1978 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale e di lì a poco determinarono gli effetti rivoluzionari non soltanto nella prassi dell’assistenza psichiatrica, ma anche nel complesso dei valori socio-culturali della società italiana(17).

In altri termini, la legge non si limitava ad abolire l’ospedale psichiatrico come istituzione manicomiale, ma ha dettato precise ed inequivocabili norme tese a rendere assai difficile l’ istituzio nalizzazione della malattia mentale e della stessa psichiatria .

Con la riforma si è, dunque, abbandonato un modello di intervento,sebbene non ne sia stato indicato uno alternativo, tanto che da tempo si lamenta l’applicazione della legge soltanto nella sua parte abolizionista, ma non ancora nella sua parte prescrittiva e positiva.

In realtà, la sua applicazione-secondo la maggior parte degli studiosi- realizzata attraverso le scarse strutture disponibili, non solo non è tutt’ora in grado di dare risposte terapeutiche efficaci alla malattia mentale, ma neppure di svolgere le funzioni di prevenzione previste(18).

Le critiche alla riforma del 1978 si appuntano soprattutto alla mancata attuazione delle sezioni speciali degli ospedali col risultato che molti malati vengono giudicati non pericolosi e vengono affidati esclusivamente alle cure delle loro famiglie, talvolta con rischio per l’integrità fisica delle persone, ovvero vengono giudicati ancora pericolosi e trattenuti in istituto anche laddove, con un minimo di assistenza terapeutica, non lo sarebbero più(19).

Dopo la legge 180 i già gravi problemi di gestione degli ospedali psichiatrici giudiziari hanno subito quindi una notevole accentuazione. Di ciò è testimone anche l’incremento negli anni delle presenze, dovuto al moltiplicarsi del numero di ammissioni per reati di lieve entità.

Infatti, quando era in vigore la vecchia legge del 1904, l’autorità di polizia preferiva ricorrere ad una gestione medico- psichiatrica di piccoli reati come risse, molestie ed altri di live entità, dispo nendo il ricovero in ospedale psichiatrico, anziché attivare l’azione penale.

Dopo la riforma ciò non è più possibile e anche per reati lievi scatta facilmente la denuncia alla Magistratura.

Ne deriva che gli O. P.G. hanno dovuto assumere su di loro uno dei ruoli prima svolti dal vecchio manicomio civile, ma con una carica di violenza addizionale, per effetto del tipo di gestione essenzialmente carceraria ed in evidente contrasto con qualsiasi finalità terapeutica(20).

Nessun mutamento avviene invece nella struttura degli O. P. G.: l’organizzazione interna degli istituti ed il regime di vita degli internati non subiscono modifiche apprezzabili: "il trattamento risulta infatti troppo simile a quello disposto in carcere per gli autori di reato capaci di intendere e di volere, per cui è difficile parlare di un trattamento terapeutico in senso proprio, giacché la parte custodiale di esso gioca senza dubbio un ruolo preponderante"(21).

In conclusione, dopo la legge 180 la contraddizione fra nome di istituto terapeutico e sostanza di istituto meramente carcerario non si è spenta ma, al contrario, si è esaltata con la presenza in O. P.G. di un numero elevato di prosciolti, molti dei quali bisognosi di interventi socio-assistenziali, e di un numero non molto elevato, ma pur sempre critico, di detenuti sani e di elevata pericolosità.

 

Il nuovo Decreto Ministeriale

 

In questo controverso quadro normativo di riferimento è stato emanato il D.M. 21/4/2000 concernente il Progetto per la tutela della salute in ambito penitenziario (22), così come previsto dal D.Lgs.230/1999.

Il Progetto denuncia innanzitutto una importante lacuna costituita dalla inesistenza di un sistema di rilevazione nazionale delle patologie in ambito penitenziario evidenziando soltanto i dati (parziali) disponibili relativi a quelle maggiormente diffuse in ambito carcerano (23).

Dai dati fomiti risulta quindi che le persone detenute sono circa 50.000(47.000 uomini e 3.000 donne),nono stante le stesse infrastrutture abbiano una disponibilità di 35.000 posti distribuiti nei 200 esistenti.Di essi 13.000 sono extracomunitari, 15.000 tossicodipendenti,2.500 sieropositivi per HIV oltre a 4.000 sofferenti di turbe psichiche anche molto gravi.

Le patologie infettive,psichiatriche e gastroenterologiche sono quelle più diffuse ed in particolare malattie infettive come epatiti, tubercolosi ed AIDS che costringono l’Amministrazione Penitenziaria ad un notevole impegno economico per l’acquisto dei farmaci.

Inoltre il Progetto sottolinea che "‘ il carcere,per molti aspetti è causa di rischi aggiuntivi per la salute fìsica e psichica dei detenuti,degli internati e dello stesso personale addetto alla sorveglianza e all’assistenza" atteso che "nella condizione di restrizione della libertà personale i problemi della quotidianità risultano determinanti per lo stato di salute,inteso come benessere psico-fisico di ciascuno e di tutti "(24).

Inoltre, "il regime alimentare, gli ambienti malsani,la mancanza di movimento e di attività sociale,l’inedia.gli atti di violenza e di autolesionismo sono le questioni cui con priorità deve essere rivolta l’attenzione e Iniziativa dei servizi sanitari ".

Il Progetto pone in evidenza " lo stato delle strutture edilizie con vecchi edifici impropriamente adattati a carceri e degradati dal tempo e dall’uso e con stabilimenti di più recente costruzione ma ugualmente inadatti e nocivi".

Dopo questa panoramica oltremodo desolante della condizione carceraria del detenuto-malato, il D.M. delinea i possibili rimedi a tale situazione demandando alle aziende salutane locali "modelli organizzativi atti ad assicurare il soddisfacimento della domanda di cura dei detenuti e degli internati" e la organizzazione di "percorsi terapeutici che garantiscano la tempestività degli interventi.la continuità assistenziale, l’ appropriatezza e la qualità delle prestazioni e la verifica dei risultati anche attraverso apposite linee guida"(25).

In materia di assistenza della popolazione immigrata detenuta,il Progetto sottolinea come propedeutico a qualsiasi intervento migliorativo delle condizioni di salute degli immigrati in carcere e la conoscenza delle caratteristiche della popolazione di cui trattasi evidenziando tra i punti critici da superare,.tra gli altri," la non conoscenza delle lingue straniere da parte del personale" e la "non

conoscenza dell’immigrato delle norme e dei regolamenti che disciplinano le attività sanitarie negli istituti penitenziari"(26).

L’affermazione denuncia ancora una volta il cosiddetto "gap" linguistico che impedisce allo straniero di esercitare,durante la detenzione, i propri diritti sanciti dalla Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo e le libertà fondamentali, primo fra tutti il diritto di difesa(27),nonostante la Corte Costituzionale abbia da tempo espresso il proprio orientamento in senso favorevole a tale riconoscimento(28).

Le malattie infettive,secondo il D.M. in esame," assumono una particolare rilevanza nelle condizioni che si determinano nelle comunità penitenziarie in cui si verifìcano situazioni abitative Alimentari e comportamentali che ne facilitano la diffusione e la acquisizione delle infezioni"(29)

In materia di tutela della salute mentale della popolazione carceraria,il Progetto sottolinea come " ormai riconosciuta a livello intemazionale resistenza di un disagio psichico maggiore e diffuso negli istituti penitenziari"(30) che rende improcrastinabili "più mirati interventi di prevenzione, cura e riabilitazione dei disturbi mentali".

Nondimeno "sono assegnati agli istituti o servizi speciali per infermi e minorati psichici gli imputati ed i condannati,ai quali nel corso della misura sopravviene una infermità psichica che non comporti l’applicazione provvisoria della misura d sicurezza del ricovero in Ospedale Psichiatrico Giudiziario o in case di cura e custodia nonché.per l’esecuzione della pena,i soggetti condannati a pena diminuita per vizio parziale di mente"(31).

Infine il Progetto,in tema di riabilitazione psico-fìsica ,sottolinea l’importanza della "riorganizzazione ed implementazione delle attività riabilitative(spesso assenti)... per realizzare in ogni istituto spazi attrezzati per lo svolgimento delle attività di riabilitazione"(32’).

In definitiva, dopo avere denunciato le pur condivisibili carenze del sistema sanitario carcerano ed il pregiudizio delle condizioni di salute del malato-detenuto,il D.M. non ne trae le necessarie conseguenze in linea con il riconoscimento del diritto dei detenuti e degli internati alla erogazione delle prestazioni di prevenzione,diagnosi,cura e riabilitazione efficaci ed appropriate sulla base degli obiettivi generali e speciali di salute e dei livelli essenziali e uniformi di assistenza individuati nel Piano sanitario nazionale come enunciato nell’art 1 del D. Lgs .22/6/1999 n.230.

Intatti,il Progetto ancora una volta limita "il ricovero in una unità operativa di degenza esterna al carcere ..alla.. cura degli stati acuti di malattia dei soggetti detenuti’’ (!!).

Non vi e quindi spazio per un riconoscimento pieno del diritto alla salute del detenuto-malato poiché "le ragioni della sicurezza dell’amministrazione penitenziaria ...comportano.... l’esigenza di limitare il ricorso al ricovero esterno ai soli casi necessari "(33) quantunque, si affermi,che "in ogni caso,mai le ragioni della sicurezza possono mettere a rischio la salute e la vita dei detenuti ‘ e benché "il trasferimento dell’assistenza sanitaria negli istituti penitenziari al Servizio Sanitario Nazionale consente di superare una separatezza storica tra culture diverse che hanno una finalità comune:la salute delle persone, sempre ed in ogni caso,tenendo conto della specificità delle condizioni ambientali.

Non si può, quindi,non cogliere la discrepanza tra affermazione del diritto alla salute del malato-detenuto.denuncia delle attuali condizioni sanitarie carcerarie ed il limite costituito dalla possibilità di ricovero esterno unicamente per le malattie gravi o gli stati acuti di malattia del detenuto quantunque la stessa malattia possa essere stata causata ovvero aggravata dallo stesso stato di detenzione.

Nonostante,quindi, l’intervento del Legislatore che con la L.230/1999 aveva esteso il ricovero esterno al Carcere,sia pure in regime di arresti domiciliari,per salvaguardare le esigenze di sicurezza della collettività,il Progetto non ha inteso trarre le dovute conseguenze individuando le condizioni obiettive e le patologie che necessitano,in tutta evidenza,un ricovero ospedaliero stante l’attuale carenza dei servizi sanitari carcerari.

Il diritto alla salute del detenuto-malato quindi è stato ancora una volta compresso e limitato dal Legislatore proprio da quella " separatezza storica tra culture ed esperienze diverse che hanno una finalità comune:la salute delle persone, sempre ed m ogni caso,tenendo conto della specificità delle condizioni ambientali".

È la logica dei due pesi e delle due misure che da sempre danneggia il riconoscimento di diritti fondamentali costituzionalmente protetti anche quando il detenuto-malato proprio a causa della malattia è un soggetto debole che menta comprensione,assistenza e cura alla stregua del cittadino libero che ,in quanto tale,può sottoporsi alle cure del caso.

Occorre,quindi,effettuare un vero e proprio salto di qualità nell’assistenza sanitaria al detenuto-malato sostituendo la custodia cautelare ovvero lo stato di detenzione,in tutti casi in cui il ricovero ospedaliero o in case di cura consenta un trattamento idoneo alle condizioni di salute dello stesso,alla rimessione in libertà ovvero dagli arresti domiciliari,nei casi di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza.

Una riforma largamente inattuata

 

In definitiva,in questi ultimi anni avrebbe dovuto compiersi, seguendo una sperimentazione graduale,il passaggio di funzioni della medicina penitenziaria dal ministero della Giustizia al ministero della Sanità,nel presupposto,fondato a sufficienza, che di gestione e programmazione della salute debbano occuparsene i medici e non i magistrati.

E invece nulla è accaduto,fatta eccezione di un recente DDL presentato per regolamentare la materia alla Regione Toscana (v.allegato in calce).

Va sottolineato pure che in alcune delle Regioni,dove avrebbe dovuto sperimentarsi il trasferimento di competenze, hanno colpevolmente ignorato il problema, probabilmente rassicurate dallo stesso Ministero.

In Puglia,ad esempio, nulla è stato approntato che abbia la parvenza di una attuazione minimale della riforma della medicina penitenziaria.

Nel frattempo la stessa Regione Puglia ha approvato nel dicembre 2001 il primo piano sanitario regionale che regolamenta le linee di sviluppo della sanità rimuovendo l’esistenza del carcere.

 

Conclusioni

 

È auspicabile quindi che il Legislatore riveda complessivamente la materia ed emani rapidamente le norme attuative nel rispetto del diritto alla salute del cittadino libero o detenuto sancito dall’art.32 della Costituzione.

L’emergenza sanitaria in carcere, con 6.500 detenuti sieropositivi, 5.500 con gravi disturbi mentali, disagi gravissimi, morti per overdose, mancanza di assistenza adeguata... rende l’attuale situazione tanto grave che parlare di medicina preventiva sembra quasi un parlare a vuoto, quasi un’utopia.

Ormai spetta alle Regioni, ai Comuni, alle AU..S. L. e agli Istituti penitenziari, di ricomporre i pezzi di un mosaico che restituisca ai detenuti, ai cittadini detenuti, al pari dei cittadini liberi, lo stesso diritto alla salute con una erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, efficaci ed appropriate.

Ma è semplicistico prevedere o immaginare che il detenuto curato dalla A. U.S.L. diventerà finalmente un cittadino a cui è garantito il diritto alla salute se non si comprende e non si mette atto una programmazione ed una cultura diversa sul carcere in generale e sul piano sanitario più in particolare che è l’oggetto in questione.

Il carcere infatti, è un luogo ed un tempo malato poiché non solo si caratterizza per la promiscuità, mancanza di condizioni igienico sanitarie accettabili, ma anche per la convivenza forzata tra esperienze e storie diverse dal punto di vista personale e collettivo.

È ormai tempo che il ristretto,da tempo sospeso da ogni ruolo, se non quello negativo di detenuto esente da responsabilità sociali e che vive la propria detenzione in una condizione umana che genera apatia e rafforza comportamenti antisociali,debba avere una assistenza anche sul piano del reinserimento che valga ad aiutare il soggetto a recuperare la sua capacità di essere sociale.

La medicina e le figure che la rappresentano devono entrare in carcere con una serie di comportamenti che, pur riconoscendo l’elemento peculiare che caratterizza l’intervento, non trascurino di considerare il paziente nelle sue molteplici sofferenze.

A tale riguardo importanti appaiono le opportunità terapeutiche - riabilitative, e un percorso di recupero e sostegno psicofisico, che da più parti sono state fornite alle persone detenute, in particolare da quelle associazioni di volontariato e non profit che operano in carcere.

In tale contesto risulta davvero importante è la presenza del volontariato ed il lavoro che esso svolge con i detenuti portatore di disturbi mentali, con i detenuti stranieri senza alcun punto di riferimento esterno, con i figli di detenuti che trascorrono fino a tre anni la propria giornata in carce re, con i malati di AIDS, i tossico e gli alcool dipendenti ,etc....

Sul piano dei principi - come ha sostenuto con forza il Presidente Consulta per i problemi penitenziari - non paiono sussistere contraddizioni ostative tra il diritto alla salute ed il diritto alla sicurezza delle carceri e che anzi, lo stesso trattamento penitenziario, non può che giovarsi di un miglioramento delle prestazioni e di una migliorata condizione dei Servizi Sanitari e Sociali.

In conseguenza, deve essere ritenuto pienamente condivisibile l’appello rivolto da alcuni studiosi,a cui occorre aderire,per la piena applicazione della riforma della medicina penitenziaria che rappresenta un autentico monito per le coscienze degli uomini liberi..

 

Lecce, aprile 2003

 

Note

 

(1)Pubblicato nella Gazz.Uff.16/7/1999 n.165

(1-bis)v.intervento di Lillo Di Mauro (Presidente della Consulta per i problemi penitenziari del Comune di Roma) al Convegno di Studi "Riordino della Medicina Penitenziaria" (febbraio 2000).

(2)v. Cass. penale Sez.I ,22/3/1999 n.355,Nirta

(3)v. Cass. Pen. Sez.,26/11/1997,,Di Maio;Cass.Pen.Se2.I,23/5/1997 n.563,Maiorana;

(3-bisì)v.Pretura Lecce 4/2/1998, Pisanello e altro c/ASL

(4)v.art.11 L.26/7/1975n.354

(5)v.art.1,comma 2 lett. a) D.Lgs.230/1999

(6)v. art.1,comma 5 D.Lgs.230/1999

(7)v.art.2.,comma 3 e art.3 comma 2 D.Lgs.230/1999

(8)v.art.5,comma 3,lett. a) D.Lgs.230/1999

(9)Pubblicata nella Gazz.Uff.l97/1999 n.167

(9-bis)v.Corte Cost.sent.18/10/1995 n.438

(9-ter)v. Cass. Pen. Sez. I, 26/11 /1990, Cosentino

(10)v.in Dottrina, Vaudano ,La terapia per le persone colpite da HIV,in Guida al Diritto n.30/1999

( 11) v. Vaudano , op .citata,pag.30

(12)Ilario Giannini,La riforma dell’assistenza psichiatrica e sue conseguenze in ambito penitenziario

(13)Francesca Molinari "Le misure di sicurezza psichiatriche vanno abolite: questa l’opinione unanime dei giudici di sorveglianza e degli psichiatri intervenuti al Congresso di Arezzo" in Riv. It. Dir. Proc. Pen. 1980, 147.

(14) Dopo un primo intervento di modifica operato con l.n. 431/1968 "Provvidenze per l’assistenza psichiatrica", che introdusse la possibilità del ricovero volontario su richiesta del malato e l’abolizione dell’ annotazione sul casellario giudiziario dei provvedimenti giudiziari di ricovero e di revoca, il Parlamento approvò la l.n. 180/1978 quasi all’unanimità, evitando così di far celebrare un referendum che era già stato indetto, dietro richiesta popolare, con l’ intento di giungere all’ abrogazione della precedente normativa.

(15) Basaglia "L’istituzione negata" Torino 1968, pagg. 6 ss.

(16) Alberto Manacorda "Il manicomio giudiziario: alcune note per la comprensione dei problemi attuali" in Foro It. 1980 V 67.

(17) Ferrando Mantovani "Il problema della criminalità" Cedam 1984 pag. 122: Si fa notare come tale riforma ha sì riconosciuto "l’esigenza, ancor prima del necessario momento terapeutico ed anche custodialistico, della prevenzione ... e la consapevolezza che ogni malato di mente è un caso unico, da seguire con adeguata professionalità e vocazione" ma ha comportato anche "il lamentato pericolo del disinteressamento e dell’abbandono del malato di mente. Con tutti i rischi che questi, lasciato ai propri incubi e depressioni, privato dell’assistenza terapeutica o rimesso in libertà dal giudice di sorveglianza, pervenga al delitto o a nuovo delitto".

(18) Ferrando Mantovani "Il problema della criminalità" Cedam 1984 pag. 123: La legge 180 "ha avuto la forza di porre in crisi i modelli tradizionali ma non di proporre soluzioni nuove che non fossero quelle semplicistiche o miracolistiche propagandate" e risulta "sotto certi profili pseudoumanitaria e pseudoscientifica".

(19) Luigi Daga "Ospedali psichiatrici giudiziari, sistema penale e sistema penitenziario: appunti sulla funzione dell’ O.P.G." in Rass. Penit. Criminol. 1985, 12, ove si rileva un aumento della popolazione degli internati del 14,08% negli anni 1979-1985. Si afferma però anche che l’effetto di tale funzione ‘vicariantè sembra cessare nell’ultimo periodo considerato in cui la popolazione degli internati sembra stabilizzarsi.

(20) Adelmo Manna "Il trattamento sanzionatorio del malato di mente autore di reato e le prospettive di riforma" in Rass. Criminol. 1994, 269; GAETANA RUSSO "Il manicomio giudiziario come luogo di trattamento per detenuti difficili" in Riv. It. Med. Leg. 1982, 928.

(21)Pubblicato nella Gazz.Uff.25/5/2000 n.120

(22)art.2-lo stato di salute nelle carceri

(23)art.3.1-Le attività di prevenzione

(24)art.3.3-Le attività di cura

(25)art.3.2.5-l’assistenza sanitaria alle persone immigrate detenute.

(26) v. La traduzione degli atti- Diritto dell’imputato stramero"in Riv. Un. Camere Penali n.2/2000

(27)v.Corte Costituzionale sent.n.10/1993

(28) art.3.2.6-Le patologie infettive

(29)art.3.2.7-La tutela della salute mentale

(30) art.3.2.7-Istituti o sezioni speciali per infermi e minorati psichici

(31)art.3.3-Le attività di riabilitazione

(32)art.5-Il ricovero nelle unità operative di degenza

(33)art.6-L’organizzazione per il governo della sanità in ambito penitenziario

 

 

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