|
Una assistenza sanitaria non più sostenibile di Sandro Libianchi, Responsabile medico Unità Operativa Dipendenze "Istituti penitenziari di Rebibbia" – Roma (sandrolibianchi@hotmail.com)
"Se le Regioni non vengono messe in condizione di prendere in carico urgentemente la tutela della salute in carcere, l’assistenza sanitaria ai detenuti potrebbe diventare un fattore di rischio e di pena aggiuntiva"
Ormai nelle carceri italiane l’assistenza sanitaria ai detenuti rischia di diventare un fattore di rischio e di pena aggiuntiva. Le attuali leggi in vigore prevedono già che il Ministero della Giustizia non debba più avere competenze di diagnosi e cura delle persone recluse e le Regioni devono essere messe in condizione di prendere in carico urgentemente e completamente la tutela della salute in carcere, come loro demandato dalla Costituzione e dalle recenti norme di modifica del Titolo V.
La garanzia di tutela dello stato di salute in carcere oggi, parlando sia di operatori che, soprattutto, di detenuti è un discreto numero di norme che pur se chiarissime e definitive, spesso possono andare in contraddizione l’una contro l’altra a livello regionale, tra una regione e l’altra, tra regioni a statuto speciale ed a statuto ordinario, tra una provincia autonoma e l’altra, tra un carcere e l’altro, tra un Provveditorato e l’altro, tra un Dipartimento del Ministero della Giustizia (adulti) e l’altro (minori). In queste condizioni, un Ente pubblico (le ASL), dovrebbero poter essere messe in grado di creare un sistema assistenziale equo e con livelli di prestazioni pari rispetto agli altri cittadini liberi.
Le terapie farmacologiche
Chi "sa di carcere" vede come un siffatto sistema sia impossibile da realizzare fino a che vengono mantenute in essere le vecchie competenze del Ministero della Giustizia, nonostante le attuali norme già prevedano l’esatto contrario e cioè il loro passaggio al Sistema Sanitario Nazionale. Si registrano diversi esempi di questo palese malessere: Direzioni che ancora oggi ostacolano con documenti od ordini di servizio l’avvio di specifiche terapie farmacologiche, in virtù di pretese illegittimità, Ser.T. che prescrivono terapie che poi nessuno mette in atto in quanto o viene detto che mancano i soldi per i farmaci (basta vedere i farmaci che stanno ne c.d. "armadi farmaceutici" che brillano per il deserto in essi contenuto) o soltanto perché non c’è condivisione prescrittiva da parte del medico incaricato, che si sente in dovere di poter fare altre scelte. Un discorso a parte, molto difficile da analizzare brevemente, è quello delle terapie farmacologiche per l’AIDS, che rappresentano un problema nel problema, sia per gli alti costi che ne conseguono, sia per il particolare regime prescrittivo che vede impegnate - almeno in teoria – soltanto le Unità Operative Ospedaliere di III livello (U.O.III L.) per la prescrizione e per l’approvvigionamento farmaceutico. Innanzitutto c’è da notare come i pazienti sieropositivi per HIVAb siano in una percentuale pressoché totale appartenenti all’area della dipendenza, sia che facciano uso attuale di sostanze stupefacenti o meno. Per questo motivo dovrebbero essere presi in carico dal Ser.T. che attraverso apposite convenzioni stipulare dalla ASL di appartenenza del carcere con le suddette U.O.III L. possano provvedere ai bisogni dei ‘loro’ pazienti e coordinare un equilibrato indirizzo terapeutico pluridisciplinare, che cosa facile non è davvero. Ma anche in questo caso così non è e le competenze per la cura dell’AIDS vengono "trattenute" dal Ministero della Giustizia che per anni (più di un decennio) ha comprato in proprio tutti i farmaci per questa malattia (!!) sul libero mercato, quando gli Ospedali, se avessero avuto quel prezioso strumento della convenzione con le ASL/Ser.T., sarebbero stati "costretti" a fornirli gratuitamente. Viene spontaneo chiedersi "cui prodest", a chi ha giovato e giova ancora questo stato di cose? Sono pensabili interessi occulti? Ci si rifiuta di pensarlo soltanto, e senza andare troppo lontani con la fantasia, è molto più facile pensare che le maglie di una amministrazione non competente in materia abbiano potuto avere qualche piccola falla amministrativa. Poche decine di miliardi di vecchie lirette l’anno, su un impegno economico globale che non ha mai superato i 220 miliardi. Ma questa situazione appare essere più figlia di una mancata applicazione di norme derivate dal non farsi sfilare il portafoglio della sanità penitenziaria con la sua cifra ragguardevole all’interno, che non da leggi inadeguate, che invece inadeguate non sono, ma - guarda un po’ - non vengono applicate.
Ma quanti sono in carcere i sanitari che curano e che cosa
Ma torniamo al problema principale di chi cura e cosa. Se noi analizziamo i soggetti titolari, in un modo o nell’altro, di azioni diagnostiche e/o terapeutiche sul detenuto, verrebbe da sorridere per la tragicommedia a cui si assiste:
Medici
Psicologi
Infermieri
…e poi: Educatori, Direttori, Agenti, Magistrati, Volontari, Ministri di culto, Ufficiali Giudiziari, Cooperative, etc.. Vista così la situazione parrebbe essere caratterizzata da un enorme apporto socio-sanitario, e sotto certi aspetti ciò corrisponde a realtà. Ma il problema è proprio questo: un sistema cioè che è cresciuto senza quelle regole che nel mondo civile e libero rappresentano conquiste epocali degli ultimi 20-30 anni. Ma queste conquiste non sono state estese alle prestazioni sanitarie in carcere, la cui normazione risale alla L. 740 del 1970 e soltanto nel 1998 (L. 419) ha cominciato faticosissimamente a rinnovarsi, tentando di adeguarsi ai canoni del SSN.
Cura dei Tossicodipendenti o della tossicodipendenza? Oggi nell’attuale comune accezione, lo riportavamo anche sopra, circa il trenta per cento dei detenuti è tossicodipendente ed, in quanto tale, dovrebbe essere preso in carico e gestito nella sua interezza multiproblematica dal Ser.T. Ma ciò non avviene per due ordini di motivi:
E allora viene preso in carico un numero inferiore alla realtà di pazienti con problemi di dipendenza e pressoché soltanto coloro che hanno problemi acuti in atto (astinenza), di cui la stragrande maggioranza oppiaceo - dipendenti iniettivi. E le patologie correlate alla dipendenza, i problemi correnti, le visite specialistiche? No, quelle sono rimaste ancora competenza del penitenziario, per cui il Ser.T. si limita a curare la tossicodipendenza e non il tossicodipendente, spezzettando l’unicità del paziente in un assieme di competenze di singole patologie, e ciò non è affatto bene. Ancora, non si riesce bene a comprendere come mai tutte le "Custodie Attenuate" italiane, dove si cura esclusivamente la tossicodipendenza, non compaiano nel decreto di trasferimento del relativo personale e non vengano neanche citate altrove. Così che le strutture più importanti del settore non rientrano nelle strutture che il Ser.T. può e deve prendere in carico.
E la sperimentazione? Per quanto riguarda la sperimentazione, al termine della quale si sarebbe dovuto procedere al contestuale trasferimento delle residue competenze in materia a carico del SSN, provate a chiedere al Ministero della Giustizia che esiti ha avuto… Ottimi, ma… sgraditi, dico io, che ho fatto parte del Comitato di valutazione, che doveva fare esattamente questo, valutare i risultati della sperimentazione della riforma in alcune regioni. Comitato, che era costituito da tre membri del Ministero della Salute, tre membri del Ministero della Giustizia e tre membri, che poi sono diventati cinque, delle Regioni.
Ad una prossima volta!
|