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Il carcere, un avamposto della lotta contro l’Aids di Andrea Castiglione (Anlaids)
Tratto da: www.progettouomo.net
Il 1° dicembre si celebra in tutto il mondo la Giornata sull’Aids. Un’occasione per riflettere anche sulla condizione delle persone recluse negli istituti di pena, dove la prevenzione e l’assistenza sono insufficienti. "Il livello di democrazia di una società si misura anche dalle garanzie di salute assicurate ai suoi membri meno favoriti". Parliamoci chiaro: in Italia, per quanto concerne la lotta all’AIDS l’espressione "abbassare la guardia" non è più solo un modo di dire, ma una realtà. E il miglior indicatore ne è il collasso degli investimenti pubblici per le campagne di informazione/prevenzione, in particolare per quanto riguarda i giovani. Ma a questo narcotico lassismo delle Autorità preposte fanno riscontro, per fortuna, alcune iniziative pilota che si possono avvalere della cooperazione fra Istituzioni e Volontariato. Fra queste, un microprogetto avviato nel 2003 nel carcere romano di "Regina Coeli" su iniziativa congiunta della Direzione Sanitaria del carcere, della Asl RM A per competenza territoriale, e del Provveditorato agli Studi di Roma; progetto che si svilupperà nel corso del 2005, come work in progress. In premessa astratta, il 2,5% dei detenuti nel nostro Paese, circa 1.500 persone, sarebbero portatori del virus HIV. Ma valutazioni più realistiche ci consigliano di triplicare questo dato che, unitamente alle particolari condizioni di vita, dovrebbe rendere la prigione una prima linea sia per il monitoraggio della Sindrome che per gli interventi preventivi. Al contrario, gli interventi di educazione alla salute sinora effettuati, se confrontati con quelli realizzati in altri contesti, non sono stati né particolarmente numerosi né coordinati fra loro in una strategia di ampiezza nazionale. In carcere il rischio-contagio è maggiore che fuori, e tuttavia la maggior parte dei detenuti positivi lo è già al momento dell’ingresso. Il contagio da HIV e quelli da epatite, malattie sessualmente trasmesse o Tbc possono essere connessi per esempio per quanto concerne le modalità del contagio, ed è comunque opportuno trattarli insieme nella prevenzione. La sottopopolazione presa in considerazione nel presente studio è formata dai cittadini in stato di detenzione presso la Casa circondariale di Regina Coeli. Qui si possono valutare alcuni aspetti. a) Un "bisogno di salute", espresso sotto forma di attività diagnostiche e terapeutiche, superiore a quello della media della popolazione italiana. Ciò a causa della maggior incidenza delle patologie infettive, ed altre, spesso dovute a comportamenti a rischio ben noti, quali tossicodipendenza, per via iniettiva e/o sessualità promiscua . b) Una possibilità di soddisfazione dei bisogni sopradetti nettamente inferiore a quella di cui si può avvalere la media della popolazione italiana, in ragione del particolare setting ambientale, a volte di una limitata consapevolezza e collaborazione dell’utente in oggetto, e di altre concause da valutare. Per colmare in qualche misura lo scarto tra il punto a) e il punto b), è stato messo in opera il presente Progetto, opportunamente inserito nei sistematici programmi di scolarità che il Provveditorato agli Studi ha attivato in ambiente carcerario: così incardinati, gli interventi hanno evitato quella connotazione più labile ed episodica propria di altre esperienze.
Destinatari
I detenuti di tutte le Sezioni, avvicendati su indicazione della Direzione della Casa Circondariale, e secondo le modalità operative indicate dalla Direzione medesima in accordo sia con i docenti della scuola che con gli specialisti della Asl. Anche sotto questo profilo si è tenuto conto dei risultati riscontrati da iniziative precedenti.
Moduli operativi
Il modello adottato si è articolato in una serie di incontri della durata di due ore ciascuno, per i detenuti di nazionalità italiana e per gli stranieri con sufficiente conoscenza della lingua italiana (scolarità media); e della durata di un’ora per gli iscritti ai corsi di alfabetizzazione funzionale (scuola elementare), inframmezzati da 10 minuti di break, con frequenza settimanaleI gruppi sono stati formati da circa15 detenuti per ogni incontro, per un totale di 180 persone sinora raggiunte dall’iniziativa. Gli argomenti trattati sono stati distinti in: a) analisi dei comportamenti relativi alla sessualità ed alle dipendenze, con il relativo fall-out rappresentato da HIV, MST, sepsi e malattie opportuniste; b) educazione alla salute, con particolare riguardo a: Fisiopatologia: nozioni brevi su cardiopatie, malattie polmonari, dell’apparato escretore, dell’apparato digerente; Microbiologia, Infettivologia, Igiene e prevenzione; Dislocazione sul territorio di strutture sanitarie delle Asl e del Terzo Settore, consultori, comunità, indirizzi utili. La strategia didattica-comunicazionale è stata di volta in volta commisurata alle reali attitudini percettive degli utenti, e supportata da materiale visivo: diapositive, lucidi e tavole anatomiche. Nel corso di queste lezioni frontali vengono distribuiti opuscoli e materiale informativo plurilingue.
Docenti
Il personale messo a disposizione e le modalità di intervento hanno fatto riferimento a quanto concordato dalla Commissione Congiunta C.C. Regina Coeli – Asl RM A che si è riunita periodicamente fra il Novembre 2000 ed settembre 2004; ed ha visto in particolare come protagonisti: tre medici qualificati per i problemi delle malattie infettive, delle patologie da tossicodipendenze e della rispettiva prevenzione, due docenti di scuola media come facilitatori.
Risultati e prospettive
Trattandosi di un Progetto Pilota, è particolarmente necessario un costante controllo dell’adeguatezza fra le risorse impegnate ed i risultati conseguiti. Pertanto, ogni step viene sottoposto al vaglio periodico di un Collegio formato dalla Direzione sanitaria del carcere, dal Responsabile della U. O. AIDS della Asl RM A, da rappresentanti della scuola, e dell’area pedagogica. Oltre a queste valutazioni in itinere, l’équipe contribuirà alla redazione di un Documento conclusivo, che potrà essere reso pubblico dalla Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria, Ente patrocinatore dell’iniziativa. Il Progetto nel suo insieme non può restare disarticolato rispetto ad interventi su altri livelli, perché ciò comporterebbe la sicura vanificazione di buona parte del lavoro effettuato. Grazie al lavoro degli operatori sanitari del carcere e dei docenti facilitatori della scuola interna, si viene a creare una "rete di sostegno" per il detenuto già sensibilizzato nel corso delle lezioni frontali; essa consiste nell’accesso ad un counselling individualizzato, e soprattutto nella possibilità di effettuare il test HIV, vero punto nodale di ogni strategia di prevenzione dell’AIDS, sia fuori che soprattutto all’interno del carcere. Le attività, relative alla somministrazione del test, insieme ad altre, sono curate dall’Associazione "In and Out", in sintonia con la Direzione Sanitaria competente. Resta invece ampiamente irrisolto, al momento, il problema del follow-up del detenuto che torna in libertà. Paradossalmente, quel minimo di servizi che gli sono assicurati nella Casa Circondariale non trovano un seguito coordinato all’esterno; appare quindi urgente predisporre per il futuro una cinghia di trasmissione ininterrotta che, assicurando al cittadino un’identica garanzia di salute in ogni contesto, garantisca anche alla collettività un accettabile livello di prevenzione e di contenimento del rischio di contagio.
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