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Inchiesta sull’assistenza sanitaria e sulla salute all’interno della Casa di Reclusione Due Palazzi - Padova
Presentazione
L’inchiesta condotta all’interno del carcere Due Palazzi si inserisce nel "Progetto Obiettivo per la tutela della salute dell’anno 2000" che espressamente prevede, fra le altre cose, che le A.S.L. predispongano "una ricognizione dei rischi per la tutela della salute" nelle carceri di rispettiva competenza con il coinvolgimento degli stessi detenuti e degli operatori penitenziari. Il Veneto non partecipa alla sperimentazione avviata e, nelle carceri di Padova, non è stata finora effettuata alcuna ricognizione da parte delle A.S.L. per accertare la natura e la qualità delle prestazioni sanitarie erogate alla popolazione detenuta. Il Centro Studi del Centro di Documentazione Due Palazzi prende spunto dalle indicazioni contenute nel Progetto Obiettivo, per realizzare, in collaborazione con la Direzione dell’Istituto, i dirigenti sanitari e il Gruppo Abele di Torino, una ricerca con un questionario anonimo distribuito ai detenuti nel mese di ottobre del 2001, i cui risultati saranno inviati al Ministero della Sanità. Il valore di quest’iniziativa è molto alto in quanto è stata seguita in tutte le sue fasi dai detenuti: dall’ideazione del questionario all’elaborazione statistica (sia pure con la supervisione dei volontari e di altri operatori). Per altro, questa ricerca dimostra che non servono grandi finanziamenti per portare a termine delle rilevazioni serie e strutturate. I questionari sono stati distribuiti a 680 detenuti: 420 sono stati i questionari compilati, pari al 62% della popolazione coinvolta (i presenti nella Casa di Reclusione al momento della rilevazione). I detenuti-redattori di Ristretti Orizzonti, hanno illustrato il questionario agli intervistati e hanno poi curato anche l’elaborazione dei dati. Il questionario è composto da 75 domande, molte delle quali prevedono anche risposte aperte, per dare agli intervistati la possibilità di esprimere opinioni ed esigenze personali, ed è strutturato sulla falsariga dell’ideale percorso detentivo di una persona con problemi sanitari nella norma (per lo standard del carcere). Il questionario è strutturato in sezioni:
Informazioni socio-anagrafiche
Sono gli italiani a rispondere per la maggior parte (70%) al questionario. La metà dei detenuti è celibe, il 29% è coniugato e il 18% sono separati o divorziati. Il 49,5% ha figli. Questo significa che un 2,5% ha figli senza un legame matrimoniale. Il 33% è alla prima esperienza di carcerazione, il 61% è recidivo. L’87,6% dei detenuti è definitivo.
Ingresso nel carcere
All’ingresso al carcere i detenuti sono sottoposti obbligatoriamente ad una visita medica "mirante ad accertare eventuali infermità fisiche o psichiche" (art. 11 O.P.). Nel 73% dei casi la visita da parte del medico avviene lo stesso giorno dell’ingresso, nel 16% entro la settimana successiva, ma l’8% dice che non è mai stato visitato. Per quella che è la nostra conoscenza, la visita medica di primo ingresso viene sempre fatta. Per altri versi può accadere che sia talmente frettolosa e formale per cui molti non ne conservano il ricordo, soprattutto a distanza di anni. Sta di fatto che, magari alla prima carcerazione, si sia talmente sperduti da rimuovere i "primi momenti" del carcere. La prima visita consiste nel 42% dei casi in una visita medica generale, e nel 49% nella registrazione dei dati antropologici, dati che dimostrano come non esista un protocollo standard di visita d’ingresso. All’ingresso il 59% viene sottoposto ad esami di laboratorio. Anche qui non sembra esistere un protocollo standard in quanto sono presenti dati disomogenei: 1’88% dei soggetti è sottoposto ad esame del sangue, il 50,6% all’esame urine. Il consenso scritto è stato chiesto nel 51,4% dei casi per la ricerca HIV. L’esame HIV è stato effettuato dal 34,4% degli intervistati, acconsentendo con una dichiarazione scritta. Per quanto riguarda poi l’esito degli esami è stato comunicato oralmente dal medico nel 58,6% dei casi, il 17,6% per iscritto e ben il 19,6% non riceve alcun tipo di informazione a tale riguardo. Capita pure, ma in bassa misura (3%) che l’esito venga comunicato da un infermiere o da altra persona. All’ingresso in carcere 44 persone (17,6%) hanno scoperto di avere una qualche malattia, comunicata in modo formale dal medico nel 41% dei casi, in un colloquio prolungato, con un adeguato sostegno psicologico da parte del medico, nel 36%. Il ricorso alla diagnosi scritta si ha solo nel 16% dei casi. Ma anche qui le risposte alla domanda successiva smentiscono questi dati in quanto ben il 73% ritiene di non avere goduto di un adeguato supporto psicologico sia durante la comunicazione dello stato di malattia sia successivamente. Solo l’11% si ritiene soddisfatto. All’ingresso in carcere il 59% dei detenuti riceve in dotazione, prevalentemente, oggetti d’uso domestico (stoviglie, secchio, etc.), il 17% prodotti per l’igiene personale. Praticamente assente la divulgazione di opuscoli informativi sulle leggi carcerarie e sugli aspetti sanitari.
Auto-aggressività
Sono state riunite in un’unica sezione del questionario le domande che riguardano le forme di protesta e rivendicazioni non violente, gli atti di autoaggressività e i problemi di natura psichica, in quanto espressioni di un disagio, difficilmente catalogabile e controllabile, che talvolta sfocia in gesti estremi, come il suicidio, e in altri casi determina il ricovero in strutture psichiatriche (O.P.G.). Dai dati si evince come circa il 30% degli intervistati nel corso delle carcerazioni abbia fatto, una (14,7%) o più volte (15,2%), lo sciopero della fame. Sono autori di atti di autolesionismo il 17,8%, con una preponderanza di ferite da taglio (50,6%), seguita da inghiottimento di oggetti e detersivi (29%). La cucitura delle labbra risulta agita in 4 casi (5,3%). Da sottolineare che le ferite da taglio e la cucitura delle labbra sono praticate prevalentemente da stranieri, l’inghiottimento di oggetti metallici, detersivi, etc., soprattutto da italiani. Il suicidio durante la detenzione è tentato in 35 casi (8,3%) e da 32 soggetti (7,6%) mentre erano in stato di libertà. Su 420 soggetti 28 (6,6%), durante la carcerazione, sono stati ricoverati per motivi psichiatrici. Non è specificato il luogo di ricovero! Segnalano il ricovero in strutture psichiatriche, in periodi di non detenzione, 43 persone (10%).
Rapporti con il personale sanitario del carcere
Questa sezione del questionario tocca uno dei punti dolenti dell’assistenza sanitaria in carcere. Per gli stranieri la comunicazione con i sanitari è chiara nel 33% dei casi, a volte (10%) richiede l’aiuto di un "paesano". Non lo è nel 12%, ma la percentuale di non risposta a questa domanda è alta (55%). La stessa percentuale di non risposta riguarda le problematiche dovute alle diversità religiose o culturali nel rapporto con i sanitari. Con questi sono segnalati problemi dal 20% dei detenuti stranieri. Uno straniero scrive che "non devono esserci differenze etniche o economiche. Dovrebbero essere i medici a chiamare periodicamente i detenuti e non che debba essere il detenuto a chiamarli, quando si sente male: quanti malati in meno ci sarebbero". In generale i detenuti chiedono raramente (45%) di essere visitati dal medico dell’istituto, con un indice di soddisfazione che per il 63% degli intervistati è molto basso (molto buono solo per il 6%). Il problema della superficialità delle visite, che siano quelle del medico o dello specialista è lamentato da molti. Ad esempio, un intervistato scrive che "servono visite mediche più frequenti e più complete, solo così si potrebbe prevenire qualsiasi malattia. Di solito, ora come ora, descrivi al medico il sintomo e lui ti prescrive una cura, senza nemmeno visitarti". Comunque questi episodi di non attenzione al malato sono "normali" negli ambulatori sia dei medici di base sia degli specialisti! Il rapporto tra medico e paziente-detenuto è spesso falsato dal timore che quest’ultimo simuli il malessere, per ottenere vantaggi di vario tipo: "basterebbe un po’ di buon senso per distinguere il vero malato da quello immaginario", Ma intanto un intervistato racconta: " Ho dolori fortissimi alla testa, ormai da tre anni, e chiedo ogni giorno una visita ospedaliera ma non la ottengo perché pensano che stia fingendo". Per quanto concerne gli incontri con lo psicologo si nota che è solo il 22% a farne richiesta. La maggior parte degli intervistati considera questi incontri come non rispondenti alle proprie esigenze in quanto in numero non sufficiente. La seconda parte della sezione introduce un altro tema caldo, quello dei tempi d’attesa per essere visitato da uno specialista, Anche fuori dal carcere queste attese, a volte, durano mesi, solo che magari si può cambiare ambulatorio. I tempi di attesa variano a seconda della specialità: per lo psichiatra si attende meno di 7 giorni mentre per una visita dentistica la maggior parte dei soggetti attende anche 90 giorni e più, Se vengono prescritti esami clinici da effettuarsi fuori dall’istituto i tempi di attesa sono molto lunghi, di media dai 30 ai 90 giorni. Il maggior numero di richieste di visite specialistiche è per il dentista. Gli interventi non sembrano avere continuità nel tempo dopo la prima visita. Raramente sembra esistere un controllo. Infatti, un intervistato scrive che ha visto "il dentista una sola volta in sei mesi. E poi le cure non sono idonee: i denti vanno curati, non estratti. Se una persona rimane in carcere un po’ di anni esce senza denti". Va detto che il dentista lavora in condizioni di perenne emergenza, perché un po’ tutti hanno bisogno del suo intervento (circa l’80% degli intervistati) e molti frequentemente (più di 100 persone): la sua presenza sarebbe necessaria ogni giorno, invece che una, due volte la settimana, come accade ora. Le visite psichiatriche mantengono invece un’alta percentuale di controlli periodici. Anche l’oculista sembra mantenere una continuità di controlli periodici. Le patologie dermatologiche (seconde numericamente alle richieste dentistiche) sembrano godere di un controllo costante e periodico. L’indice di soddisfazione è basso per il dentista. Per l’infettivologo è molto più alta, come pure per l’ortopedico. Il ricorso ad un medico di propria fiducia esterno è raro e per una minima percentuale di detenuti (11%). Come commento ricordiamo che nell’Ordinamento penitenziario, art. 11, comma 5, si legge che "L’assistenza sanitaria è prestata, nel corso della permanenza nell’istituto, con periodici e frequenti riscontri, indipendentemente dalle richieste degli interessati".
Uso di farmaci e diete
In carcere il ricorso ai farmaci, in particolare a quelli psicoattivi (terapia per dormire, antidepressivi, etc.), rappresenta la "soluzione più facile" per ogni problema di salute, quindi ne viene fatto un largo uso, Infatti, più della metà degli intervistati ha assunto o assume psicofarmaci. D’altra parte, molti detenuti soffrono realmente di patologie che richiedono trattamenti farmacologici (e che richiederebbero anche un’alimentazione più adeguata di quella che offre l’Amministrazione), perché chi ha alle spalle storie di tossicodipendenza, di alcolismo, di deprivazione, di vita ai margini, non può che pagarne le conseguenze anche in termini di salute, Il 25% dei soggetti prima di entrare in carcere seguiva una terapia che prevedeva l’uso di farmaci particolari, che ha potuto, nella maggior parte dei casi, continuare in carcere, o con gli stessi farmaci o con farmaci equivalenti, L’indice di soddisfazione per i farmaci prescritti in carcere è pari alla non soddisfazione. Dei farmaci, però, non sono state fornite informazioni sulla natura della composizione e sugli effetti collaterale nella quasi totalità dei casi. I problemi emersi riguardano principalmente la difficoltà di ottenere i farmaci adatti e di poterli assumere nel momento in cui servono. Un intervistato scrive che "in carcere l’assistenza sanitaria non funziona, se non per le sole patologie a livello terminale e senza poi offrire cure adeguate, per mancanza di far ma ci adeguati". Il che è spaventoso, perché in carcere non dovrebbero stare persone con patologie terminali! Speriamo sia solo un "modo di dire: terminali" e non in senso strettamente sanitario e medico! Per quanto riguarda poi l’accessibilità e la gratuità delle cure un altro intervistato scrive che "bisognerebbe poter acquistare (a proprie spese) qualsiasi farmaco che sia necessario, senza dover fare la trafila della richiesta di autorizzazione al direttore". Un altro dice di soffrire di frequenti mal di testa e "per avere un analgesico devo aspettare 24 ore. In cella non è possibile tenere nemmeno una compressa d’emergenza, altrimenti prendi rapporto e conseguentemente perdi 45 giorni di liberazione anticipata" . Per quanto riguarda i problemi legati alle diete si vede che solo in pochi casi (20%) è fornita dall’Amministrazione un’alimentazione adeguata. Una buona percentuale (32%) provvede a proprie spese. Certo è che la maggior parte (48%) lo vive come problema irrisolto. E "il vitto carcerario non è adeguato per chi deve rimanere detenuto a lungo: col tempo provoca patologie gastrointestinali e avitaminosi". Ma in particolare un intervistato dice: "Soffro di ulcera gastroduodenale. sono stato ricoverato e operato due volte per emorragie interne. Non mi è possibile seguire una dieta specifica".
Ricoveri sanitari
Il 15% dichiara di essere stato ricoverato all’Ospedale Civile, nel reparto "bunker", mentre il 10% afferma di essere stato ricoverato in un Centro Clinico Penitenziario. I casi di ricovero in corsia sono molto rari, la maggior parte dei quali con piantonamento.
L’informazione sanitaria
Nella quasi totalità i detenuti non sono mai stati coinvolti in campagne informative per la riduzione sia dell’uso degli psicofarmaci (71 %), a fronte di una grande richiesta di questi come di alcol (63%). Solo il 18% conferma di essere stato coinvolto in campagne informative sulle malattie infettive (HIV, epatite), sull’igiene alimentare, sulle malattie sessualmente trasmissibili e, solo il 16%, sull’uso di droghe. Molto importante è il dato sul bisogno informativo, cioè il numero delle persone che ritengono utili iniziative di questo tipo: 320 risposte affermative (76%) su 420 intervistati. Anche dalle risposte aperte emerge con forza questa richiesta. Un intervistato, ad esempio, sottolinea come una "informazione sanitaria più accurata, anche per convincere la popolazione carceraria a non usare psicofarmaci: il malessere, in questo contesto, è più psicologico che fisico". Un altro evidenzia che "in carcere la salute non è tutelata prima di tutto perché l’igiene non esiste. Non esistono norme igieniche scritte che spieghino i problemi sanitari determinati dalla promiscuità". E un altro scrive che funziona solo "l’auto riduzione del danno", cioè non devi fare troppi casini, se vuoi evitare dispiaceri maggiori che non quelli causati dalle malattie. Qui non c’è assistenza psicologica ed il medico ti propina solo vari farmaci generici.
I problemi sanitari specifici dei tossicodipendenti
Una sezione del questionario è stata riservata ai detenuti con problemi di dipendenza da sostanze. Sono 235 (56%) gli intervistati che hanno dichiarato di avere fatto uso di una o anche più sostanze contemporaneamente, con al primo posto alcool (27%), cocaina (26%) e poi eroina (20%). Molto diffuso l’uso associato d’alcool e cocaina, ma anche di cocaina ed eroina. Prima di entrare in carcere ben 41 soggetti erano in trattamento metadonico: 27 a mantenimento e 14 a scalare. All’ingresso in carcere usufruiscono di una terapia metadonica 60 soggetti: 14 a mantenimento, 46 a scalare. I soggetti hanno ricevuto la terapia metadonica in giornata o il giorno successivo nel 73% dei casi, negli altri hanno dovuto aspettare più giorni. L’assunzione del metadone, pur necessaria per risparmiare ai tossicodipendenti le sofferenze connesse all’astinenza, sembra un’arma a doppio taglio come si comprende bene dalle dichiarazioni di alcuni intervistati: "Il metadone per me è un problema enorme che dovrò risolvere facendomi ricoverare, quando esco, per disintossicarmi. In carcere non puoi disintossicarti, non ti danno niente per calmare i dolori che conseguono all’aver preso il metadone per due anni". E ancora "ho scalato l’assunzione di 70 mg di metadone in soli 70 giorni, per mia volontà. Soffro di postumi d’astinenza e non sono adeguatamente aiutato". E si il problema dell’aiuto è fortemente sentito tanto che il rapporto con gli operatori del Ser.T. è vissuto in maniera contrastata: il 43% dei tossicodipendenti intervistati non ha mai fatto richiesta di incontrarli e gli altri non ne risultano particolarmente soddisfatti. Di fatto nella Casa di Reclusione di Padova le prestazioni sanitarie di base, erogate direttamente dal Ser.T., sono garantite solo ad una ventina di tossicodipendenti, quelli in terapia metadonica di mantenimento, quindi in una condizione di tossicodipendenza attiva, La Sezione a Custodia Attenuata, attiva nella Casa di Reclusione di Padova, viene considerata vantaggiosa per i tossicodipendenti (71%), anche se in questa è detenuto solo il 10% dei tossicodipendenti presenti nell’istituto. La condizione di tossicodipendenza è vissuta come discriminante dal 22% degli intervistati, anche se c’è chi dichiara che "bisogna separare i detenuti tossicodipendenti e malati dagli altri, metterli in sezioni diverse, cioè ogni sezione dovrebbe avere una sua categoria di detenuti". 64 (30%) tossicodipendenti sono nei termini per ottenere le misure alternative, altri 38 (18%), pur essendo nei termini, non riescono ad ottenerle e il 52% non ha i termini per richiederle. L’informazione, poi, che la competenza per la cura dei detenuti tossicodipendenti è passata dal Ministero della Giustizia al Ministero della Sanità è conosciuta solo dal 35% dei detenuti! Anche perché, affermano, non è cambiato niente. L’uso di farmaci adatti per evitare episodi di overdose al momento della scarcerazione è sentito come importante dalla metà degli intervistati. La tutela della privacy per quanto riguarda i sieropositivi all’HIV sembra non sia sempre mantenuta, anche se la metà degli intervistati non lo sa.
Il bisogno di assistenza socio-sanitaria dopo la scarcerazione
Le indagini che si svolgono in carcere, il più delle volte, trascurano ciò che avverrà dopo la detenzione, perché la competenza dell’istituzione termina nel momento in cui la pena è interamente espiata, Il questionario si è voluto occupare anche della fase di re inserimento nella società, che ovviamente è cruciale nel percorso di ogni persona scarcerata. È stato chiesto agli intervistati di guardare con obiettività al futuro, valutando se all’uscita dal carcere potevano contare sul sostegno di qualcuno: le risposte incerte, "non lo so" sono state meno del 10%. Il 78% conta sui genitori, il 55% sul partner, il 45% sui parenti. Dalle risposte si nota come viene sentita maggiormente necessaria l’informazione sulla ricerca di un lavoro, sui luoghi dove dormire e dove mangiare, sulle associazioni di volontariato. Si nota pure che ben 63 soggetti ritengono di avere bisogno di informazioni per entrare in comunità terapeutica! Sui Servizi Sociali del Comune le aspettative d’aiuto sono basse. E un buon numero conta solo su se stesso. Le percentuali medie sono sull’80%, per quanto riguarda il bisogno di sostegno concreto (economico, sanitario, psicologico, etc.). Per quanto riguarda la tutela della salute, la metà degli intervistati ritiene utile al momento della scarcerazione di avere una relazione scritta sulle malattie e sulle cure effettuate durante la detenzione. E una dichiarazione, nella sua drammaticità, richiama ad una realtà che tanti fingono di non vedere: "Sono positivo all’H.I.V. e all’epatite C. Tra qualche mese esco, ma so già che fuori sarò abbandonato e dovrò tornare a morire in questo posto".
Problemi di salute denunciati dagli intervistati
La rassegna delle patologie presenti nella popolazione detenuta è molto ampia. In genere, si tratta di situazioni cronicizzate per mancanza di un’adeguata attenzione all’insorgenza dei primi sintomi del male (avviene più facilmente quando la persona è libera e, magari, conduce una vita "disordinata"), ma anche per la mancanza di controlli e cure tempestive. Nelle domanda aperte nessuno dei partecipanti all’inchiesta ha dichiarato di soffrire di disturbi psichici: forse coloro che hanno problemi mentali non sono stati in grado di parlarne (per vergogna, paura, etc.), oppure l’autoconsapevolezza, al riguardo, è molto bassa. Tra le malattie più frequentemente denunciate spiccano quelle cardiache e tutte le testimonianze raccolte concordano sull’insufficienza delle cure ricevute: "Nel 1999 ebbi un infarto, mentre già ero detenuto, e mi ricoverarono all’ospedale di Padova. Ora sono abbandonato al mio destino, perché non vedo il cardiologo da oltre un anno". "Ho avuto due infarti in tre mesi e dovrei avere dei controlli periodici, all’ospedale di Padova, ma ad agosto ho rifiutato il ricovero perché non volevo tornare al bunker". Ma anche chi soffre di malattie epatiche lamenta la mancanza di un’adeguata assistenza: "Sono affetto da epatite B e col tempo sono peggiorato, perché non ho avuto nessuna cura". "Ho l’epatite da parecchi anni e, attualmente, non so nemmeno in quale stadio della malattia mi trovo. Cerco di curarmi facendo attività fisica e con una dieta, ma non ho certezze che sia quella giusta". Non sembrano passarsela molto meglio quanti hanno problemi ortopedici: "Sono affetto da una scoliosi multipla (diagnosticata quando ero libero), con invalidità riconosciuta del 50%: qui non mi è mai stato fatto alcun controllo". "In carcere ho avuto una frattura (curata male) e, ora, preferisco non farmi operare da detenuto per scarsa fiducia nei sanitari". "Ho continui dolori alla schiena, fuori portavo il busto ortopedico ma qui dentro non posso usarlo". Ma c’è pure chi scrive "Ho saputo di avere l’epatite C, che da libero non avevo", oppure "Soffro di sifilide, finora ho fatto soltanto molti esami e sto più male di prima", ma peggio ancora "Nel maggio dell’anno scorso ho avuto una grave intossicazione, tanto da essere ricoverato al bunker per dieci giorni. Dopo un anno e mezzo ancora non so ancora cosa mi è accaduto, perché i medici dell’istituto non mi hanno mai dato alcuna spiegazione". Per fortuna, dopo tante storie dolorose, c’è chi possiede ancora un po’ d’ironia e spiega: "Come tanti compagni, sono affetto dal male peggiore di cui si possa soffrire: il menefreghismo dei sanitari".
Suggerimenti degli intervistati per migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria
Riportiamo alcuni dei suggerimenti che i detenuti hanno dato attraverso il questionario per migliorare la qualità dell’assistenza, Di fatto colgono e commentano aspetti importanti della realtà carceraria. Li abbiamo raggruppati in sezioni:
Critiche alla qualità e professionalità dell’assistenza
I sanitari prescrivono antibiotici e altre pastiglie senza nemmeno visitare i "pazienti" (e, se lo fanno, lo fanno controvoglia). Fanno i medici in carcere solo per lo stipendio. È importante ricevere assistenza seria e professionale. Non devono esserci differenze etniche o economiche. Dovrebbero essere i medici a chiamare periodicamente i detenuti e non che sia il detenuto a chiamarli, quando si sente male: quanti malati in meno ci sarebbero. È importante che i sanitari abbiano più professionalità e non si comportino da veterinari. Siamo sempre umani, ma di serie Z. Non si può trasformare un carcere in ospedale, le sezioni in corsie, soprattutto con l’attuale sovraffollamento. Non so che consigli dare, ma occorrerebbe una struttura idonea per il ricovero del detenuto-paziente. Curare e non "fare finta" di curare. Smetterla di curare tutti con la solita pastiglia. Credere al detenuto quando dice di stare male, e seguirlo di più. Quando il detenuto sta male, deve essere soccorso e seguito subito, non dopo molto tempo: qui per una visita specialistica passano mesi. Medici di guardia più competenti e pronti ad interventi nelle sezioni. Personale che mantenga un’igiene adeguata nei locali dell’infermeria. Infermieri più preparati ai loro compiti. Basterebbe un po’ di buonsenso, una scelta più oculata del personale medico, e infine distinguere il vero malato da quello immaginario. L’assistenza sanitaria è fatta di persone, che una ad una sono pagate quindi, se la direzione volesse, potrebbe funzionare molto bene. Siamo circa 700 detenuti e dipendiamo tutti da un unico dentista, operante per un solo giorno la settimana, credo sia un po’ poco! Magari, se fossimo tutti ragazzi di vent’anni, ma purtroppo gli anni passano e l’usura di questo vecchio scafandro richiede una manutenzione più accurata. Meno superficialità e soprattutto più efficienza nei soccorsi, perché ho visto ragazzi morire in cella per la lentezza e la poca organizzazione da parte dei sanitari in casi urgenti. Ci vuole più professionalità da parte dei medici, che ci trattano come bestie, e tempestività nell’assistenza medica, non intervenire quando si è arrivati al punto di non ritorno.
Critiche alla figura del personale medico
Bisogna cambiare i medici, perché questi non hanno alcuna sensibilità verso il prossimo, soprattutto se questo "prossimo" è detenuto. Servono medici più disponibili, che non ti trattino come un pezzente; serve anche un briciolo di coscienza per il dentista. Bisognerebbe far capire ai medici che le visite sono "corporali", non "verbali", che non si viene in carcere solo per prendere lo stipendio, che non tutti i detenuti sono simulatori e, poi, farli rispondere delle loro colpe quando fanno morire un detenuto. Il medico penitenziario dovrebbe essere una figura autonoma, autorizzato a decidere al di sopra delle parti (direttore, custodia etc.) e dare maggiori possibilità di accedere in una struttura ospedaliera per quei primari esami che richiedono questi interventi. Perché, quando un medico ti visita, l’agente del piano deve essere presente? Perché il medico stesso non si comporta come un medico di fuori, reclamando il diritto al segreto professionale tra medico e paziente? Serve maggiore dialogo tra il medico e il paziente, non escogitare subito una soluzione per togliersi il malato di torno somministrandogli dei farmaci che dovrebbero curare un malessere che forse nemmeno esiste. Più personale qualificato e senza pregiudizi nei confronti dei detenuti. Alcuni medici sono anche buoni professionisti ma spesso, anche a causa della difficile personalità dei detenuti, sono poco comprensivi, sono meno tolleranti delle guardie stesse. Bisogna cambiare i medici, perché questi non hanno alcuna sensibilità verso il prossimo, soprattutto se questo prossimo è detenuto.
Prevenzione e igiene
Servono analisi rapide e corrette, per prevenire le malattie. Molti detenuti si ammalano seriamente perché non hanno potuto curarsi in tempo. Servono visite mediche più frequenti e più complete, così si potrebbe prevenire qualsiasi malattia. Di solito, ora come ora, descrivi al medico il sintomo e lui ti prescrive una cura, senza nemmeno visitarti. C’è ignoranza sulle norme igieniche fondamentali. La struttura carceraria è inadatta per una corretta igiene dell’ambiente. La mancanza di frigoriferi non permette la conservazione dei prodotti alimentari, che si trasformano in bombe batteriologiche. Nessuno dei prodotti surgelati arriva a noi senza aver più volte interrotto la catena del freddo. Per prevenire la depressione e gli esaurimenti psicofisici dovrebbero dare la possibilità di prendere dei ricostituenti o dei complessi vitaminici, anche blandi. I sanitari dovrebbero sensibilizzare di più i detenuti, affinché facciano meno uso di psicofarmaci e medicinali in genere. Serve anche un maggiore dialogo sui problemi sanitari, più disponibilità da parte dei medici all’ascolto dei problemi di salute di ciascuno. Curare le persone nel momento del bisogno, per evitare che un piccolo problema divenga di proporzioni disastrose. Diminuire i tempi di attesa per il dentista, così da evitare che una carie da curare divenga un’estrazione. È scarsa l’igiene e scarso l’interessamento delle autorità ai problemi sanitari.
Visite specialistiche esterne
Per una visita all’ospedale sono stato chiamato alle ore 7, e ho aspettato nel "blindato" fino alle 12. Il trattamento a cui mi ha sottoposto la scorta è stato vergognoso. Diminuire i tempi d’attesa per le visite specialistiche ed i ricoveri ospedalieri. I detenuti, spesso, rifiutano i ricoveri nei centri clinici penitenziari a causa del trattamento che in quei posti viene riservato a chi ha la sventura di capitarci. Il problema sta nei tempi lunghi di attesa, spesso le visite ospedaliere non possono effettuarsi per mancanza del personale penitenziario adibito alle scorte.
Rapporti con ASL
Servirebbe qualche ispezione "a sorpresa" da parte dei responsabili dell’ASL. I medici del carcere si dimenticano d’essere medici, quando hanno a che fare con i detenuti. Vergogna! Bisogna cambiare tutto il personale sanitario e sostituirlo con personale adeguato, ma senza i soliti clientelismi. Più controlli sull’igiene, più pulizia nelle sezioni, nella cucina e negli altri locali. Servono controlli da parte dell’ASL, con ammende a chi dovrebbe garantire la pulizia degli ambienti e non lo fa. Migliorare anche la qualità e l’igiene sul cibo. Bisognerebbe che gli organi di controllo sanitario esterni (N.A.S., A.S.L., etc.), entrassero in carcere per un controllo, il resto verrebbe da solo.
Mancanze
Serve un’auto ambulanza del carcere, per non rischiare di morire prima che arrivi quella chiamata dall’ospedale. Manca l’assistenza d’emergenza, soprattutto la notte, per le difficoltà di apertura dei blindati (di notte non ci sono le chiavi). Al reparto infermeria i medici sono assenti per interi turni di servizio.
Proposte
Permettere di acquistare aspirine, vitamine e prodotti simili, con un risparmio per chi non ne ha la possibilità. L’infermeria di un carcere dovrebbe avere i medicinali e le attrezzature idonee a far fronte a tutte le patologie, anche per effettuare T AC e schermografie. Seguire l’esempio dei regolamenti penitenziari spagnoli e tedeschi, dove le diete sono diverse a seconda del problema di salute di cui si soffre e il personale sanitario specialistico è presente in sezione senza bisogno di istanze, pareri, concessioni, etc. Poter acquistare (a proprie spese) qualsiasi farmaco che sia necessario, senza dover fare la trafila della richiesta di autorizzazione al direttore. Avere visite mediche specialistiche (a pagamento) da medici esterni di fiducia in tempi ragionevoli, 20 giorni ad esempio. . . Snellire la burocrazia per i ricoveri urgenti. Il responsabile sanitario e il giudice di sorveglianza devono sveltire le pratiche per le analisi ospedali ere ed i ricoveri. La presenza di persone "veramente" competenti potrebbe migliorare sensibilmente l’assistenza sanitaria. Ho potuto verificare, in una ventina di carceri italiane, che la situazione sanitaria è dappertutto molto precaria. Spesso i detenuti sono morti per ritardi nel soccorso o per una burocrazia portata all’eccesso. Accorciare i tempi d’attesa per essere curati, specialmente per quanto riguarda il dentista. Serve una maggiore assistenza agli alcolisti, soprattutto nel periodo in cui sono sottoposti all’uso di psicofarmaci. Evitare la somministrazione di psicofarmaci per sedare le frustrazioni. Più contatti con gli psichiatri e con il personale del Ser.T., che qui a Padova praticamente non esiste, o quasi. Avere la possibilità di farsi curare da un proprio medico, con il quale magari in libertà già si era instaurato un rapporto. In carcere l’assistenza sanitaria non funziona, se non per le sole patologie a livello terminale e senza poi offrire cure adeguate, per mancanza di farmaci adeguati. Bisogna fare più prevenzione, anche con campagne di informazione ed educazione sanitaria. Questa del questionario è una buona iniziativa, dovrebbe essere riproposta due volte l’anno e non rimanere una iniziativa isolata.
Ciò che emerge con maggiore chiarezza dalle richieste riportate è la critica all’atteggiamento poco disponibile dei medici, tanto da essere molte volte confuso con una scarsa professionalità. Di fatto è evidente la non comunicazione fra le parti che sembrano su due opposti versanti, entrambi pronti alla battaglia. A fronte di un impegno a volte gravoso del personale medico, con i detenuti da una parte e con le richieste dell’Amministrazione penitenziaria dall’altra, i risultati sono scadenti, come abbiamo visto dalla ricerca. Sembra persistere una scarsa comprensione delle problematiche sanitarie all’interno dell’istituzione penitenziaria o, forse, ciò che manca è la possibilità dell’incontro medico-utente oltre il pregiudizio dell’etichetta "detenuto-falso malato", incontro che dovrebbe già di per se avere valenza terapeutica. Dalla lettura emergono carenze molto importanti quali l’impossibilità di prestare assistenza immediata nelle emergenze, quando cioè le necessità di sicurezza prevalgono sulla tempestività di prestare soccorso, perché, comunque, esiste un iter formale da rispettare prima di poter fare qualcosa! Altro fatto sconcertante è che la legge sulla riforma sanitaria non è percepita dalla maggioranza dei detenuti. I rapporti con le ASL non sono neppure considerati, se non da pochi detenuti. I soggetti detenuti hanno, inoltre, interiorizzato il fatto di esserlo, si riconoscono come tali e quindi sanno che alcuni diritti sono loro preclusi o ridotti! È ridotta la percezione delle loro possibilità e di come poter usare le risorse disponibili. Loro stessi si sono procurati un handicap: si sono ridotti il potenziale di salute.
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