|
Conclusioni
La ricerca internazionale indica in modo univoco che le condizioni di vita in carcere non favoriscono la promozione ed il mantenimento della salute, come abbiamo più volte nel testo ribadito. Nel progetto del 1977 la Terza Assemblea Mondiale per Sanità ha deliberato che l’obiettivo sociale primario dovrebbe essere la conquista da parte di tutti i cittadini del mondo, entro l’anno 2000, di uno stato di salute che permetta loro di condurre una vita socialmente ed economicamente produttiva (risoluzione WHO 30,43). Questa risoluzione presenta inoltre il concetto innovativo di "promozione della salute", intesa come "quel processo che permette agli individui e alle comunità di accrescere il controllo sugli elementi determinanti della salute e quindi incrementare la propria salute" (Health Promotion Glossary). In Europa l’OMS rileva che "il livello di salute dei popoli è di gran lunga inferiore a quello che dovrebbe essere"; si dovranno sostenere interventi tali che l’individuo possa "fare pieno uso delle sue capacità fisiche, mentali ed emotive. Saranno gli individui stessi a realizzare l’obiettivo della salute per tutti" (ROE 3 of the WHO, 1985), In tale senso quindi i paesi europei, con il documento EUR/RC30/R8 Rev. 2, si pongono l’obiettivo della "salute per tutti". Questa direttiva è "ovviamente" disattesa in quanto una parte di territorio, cioè il carcere, sembra non solo essere nella condizione di non potersi allineare con questi obiettivi ma per di più fattore predisponente a uno stato di indigenza sanitaria. Infatti, si concorda con Piperno nell’affermare che esiste una contraddizione insanabile tra i messaggi di natura preventiva ufficiali, che, come abbiamo sopra riportato, promuovono l’autonomia di scelte personali di salute, e la situazione del carcere, "tendenzialmente infantilizzante", che disincentiva l’iniziativa personale. Di fatto l’ottica custodiale è nettamente prevalente su quella trattamentale, come emerge in modo inequivocabile dai dati della ricerca effettuata nella Casa di Reclusione di Padova. La restrizione della libertà impedisce ai soggetti di seguire i propri criteri-guida per tutelare la salute e per mettere a frutto il proprio bagaglio di informazioni e la propria esperienza, Infatti la percezione del rischio, che incide sul nostro comportamento, si basa su aspetti relazionali dell’esperienza passata e presente, sulle caratteristiche dell’ambiente sociale in cui si vive e sulla costruzione sociale dei significati attribuiti alla malattia: è certo che l’istituzione si oppone a questa maturazione, specie quando si tratta di malattie quali AIDS e HIV. Ma non solo, il carcere limita e depaupera, in proporzione al tempo trascorso in reclusione, le risorse di salute dei soggetti, il loro potenziale di salute, tanto che Buisson parla chiaramente di "sindrome degli esclusi" riferendosi agli ex detenuti che, per analogia, possono essere assimilati a rifugiati o internati. "Come tutti gli individui rimasti isolati risultano più sensibili, fragili, vulnerabili, in tutti i sensi. Sono persone più emotive, quindi più esposte, che hanno più facilmente le lacrime agli occhi. Le conseguenze anche a livello fisico sono evidenti". Un quadro inquietante: turbe, disagi, deterioramento psico-fisico, spesso un invecchiamento precoce che stigmatizza, come un marchio indelebile, i volti di quanti vengono dal "mondo delle sbarre. Una riflessione molto lunga meriterebbe il concetto di prevenzione in quanto, come abbiamo già più volte scritto, sembra non essere di pertinenza di nessuno, ma all’art. 20 della L. 833/78, legge che istituisce il Sistema Sanitario Nazionale, un’attenzione particolare è rivolta alla prevenzione dello sviluppo dei fattori nocivi nell’ambito dei luoghi pubblici e degli ambienti di lavoro, Ma perché quindi ancora la necessità di parlare di salute in carcere? Considerare i diritti umani fondati sulla dignità della persona è un presupposto ineludibile nel trattare seriamente queste problematiche, Il diritto alla salute rappresenta uno dei diritti fondamentali della persona e, abbiamo visto, come esso sia chiaramente sancito da tutte le Carte dei diritti dell’uomo. Molte volte è travisato il senso dell’esecuzione della pena o della sicurezza tanto da ritenere "giustificabile" che il detenuto possa essere trattato in modo non consono alla dignità umana, privato o "ristretto" nell’applicazione dei diritti fondamentali, Ma difendere i diritti, quale quello della salute, non vuol dire fraintendere il dettato istituzionale del carcere! Fino ad oggi la medicina penitenziaria ha sopperito, come meglio ha potuto, alle necessità di cura dei detenuti e alla mancanza di attenzione a questa problematica da parte delle politiche sanitarie statali. Le risorse statali non sono incanalate verso la risoluzione di questi problemi, ma convogliate solo nella "sicurezza" sociale, tant’è che l’ennesima riforma sanitaria non ha previsto alcun stanziamento economico. Di fatto la" qualità della pena e della giustizia" sono legati ad un valore economico. o meglio. la qualità della salute del cittadino recluso dipende da bilanci statali più o meno attenti a queste problematiche. L’esercizio concreto del diritto alla salute deve essere suffragato dall’elaborazione di paradigmi etici promossi da una visione della giustizia personale e sociale, cioè attenta a rispettare le esigenze del singolo e quelle collettive. Parlare di giustizia è cioè mediare le necessità del singolo rispetto a quelle collettive, evitando la subordinazione della collettività all’individuo e prestare attenzione a coloro che sono più marginali in termini di possibilità e diritto di accesso alle risorse. Il diritto alla salute deve essere considerato come un diritto sociale del cittadino, "ristretto" o temporaneamente libero, in linea con la Costituzione. La regola delle pari opportunità prevede che "a nessuno dovrebbero essere concessi benefici sociali sulla base di proprietà vantaggiose immeritate ed a nessuna persona dovrebbero essere negati benefici sociali sulla base delle sue proprietà svantaggiose". Si deve superare, per una reale giustizia, ogni forma di discriminazione anche in relazione all’assegnazione delle risorse pubbliche nel campo della salute per non penalizzare ingiustamente singoli soggetti o intere categorie sociali, come, nel nostro caso, i carcerati. È interessante la definizione data da Sartorius, secondo il quale la salute può essere considerata uno "stato di equilibrio tra l’individuo, il suo se privato ed il mondo che lo circonda". La tutela della salute in carcere spesso si sovrappone e coincide al concetto di difesa della propria personalità, della propria individualità e integrità in nome proprio del mantenimento di una identità che viene sistematicamente negata e violata. In carcere non esiste la possibilità di un concetto di equilibrio come intende Sartorius se non negando parti di se, se non in stati modificati di coscienza. È come dire che in carcere non ci stanno delle persone ma solo delle vuote forme perché l’attore si è spostato, è altro. L’attore recita sempre una parte: a volte sorride per compiacerti, altre volte ti seduce con tristezze o sguardi, la sua voce ti trasporta sempre solo fino al limite del copione ma "solo gli emarginati lo piangeranno, perché solo degli emarginati è il lutto".
|