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Centro
Studi del Gruppo Abele
Coordinamento nazionale
giornali dal carcere |
Progetto
di ricerca-intervento. Responsabile
scientifico:
Susanna Ronconi
"Nuovi
bisogni informativi e nuove modalità di comunicazione sul tema dell'HIV nella
popolazione detenuta italiana attraverso l'attivazione della rete dei giornali
del carcere nella lotta all'AIDS"
(Istituto
Superiore di sanità, Accordo di collaborazione scientifica 60b / 1.21)
Gli
obiettivi del progetto
La
realtà carceraria italiana appare a tutt’oggi attraversata dalle
problematiche correlate all’infezione da HIV in modo significativo. Le fonti
ufficiali indicavano, per l’anno 1999, (dati disponibili al momento della
presentazione della ricerca) la presenza di 1.638 persone sieropositive note (di
cui 72 straniere) tra i 51.604 detenuti presenti al momento della rilevazione,
pari al 3,17%, percentuale che si discosta in modo significativo dai valori
relativi alla popolazione generale. Nello stesso periodo, erano 163 (di cui 10
stranieri) i detenuti in AIDS residenti nelle carcere italiane. Su un totale di
15.097 detenuti tossicodipendenti, la percentuale dei sieropositivi noti è del
9,15%. Sono valori da considerarsi sottostimati, calcolati sulla popolazione che
si è sottoposta al test al momento dell’ingresso in carcere. Gli ultimi dati
forniti dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP), aggiornati
al giugno 2002, parlano di 1.401 persone con HIV detenute su una popolazione di
55.670 detenuti, pari al 2,5%
La
problematicità del fenomeno in ambito carcerario è correlata ad almeno quattro
diversi fattori specifici:
-
la
discontinuità, nel corso del periodo 1990-2002, degli interventi di tipo
preventivo, informativo e di sensibilizzazione sul tema, con una geografia a
macchia di leopardo, ma sostanzialmente sporadici e insufficienti. E’ bene
ricordare che i primi interventi istituzionali (le associazioni di lotta all’AIDS
avevano cominciato più precocemente ad intervenire) risalgono al 1991-92
per gli operatori e la 1996 per i detenuti, lasciando un periodo assai lungo
scoperto dal punto di vista dell’informazione mirata, nonostante di HIV in
carcere si parlasse già dal 1988 in diversi ambiti istituzionali e
professionali;
-
la
diversa natura e articolazione degli interventi rivolti alle persone
tossicodipendenti, con la persistenza di grandi carenze - anche qui secondo
una geografia discontinua - nella loro presa in carico, soprattutto con
riferimento al momento critico astinenziale e dunque delle terapie
farmacologiche di sostegno, prima tra tutte quella metadonica. Più in
generale, si evidenzia una permanente impermeabilità dell’ambito
carcerario a quegli interventi di riduzione del danno correlato al consumo
di sostanze per via iniettiva che, all’esterno, nel corso dell’ultimo
decennio, hanno concorso ad un riorientamento dei comportamenti a rischio
nella popolazione tossicodipendente;
-
i
problemi ancora oggi spesso presenti nella tutela della continuità
terapeutica o dell’accesso alle terapie per le persone in AIDS in stato di
detenzione, sebbene molti siano stati i cambiamenti positivi in questo
campo;
-
l’AIDS
segna in modo rapidamente crescente la vita della popolazione detenuta
straniera, ponendo molti interrogativi sulla attuali possibilità del
sistema carcerario e di quello sanitario nazionale di costruire reali ed
efficaci canali di comunicazione con questa popolazione.
Con
uno sguardo più ampio, la fase attuale appare segnata da tre diversi movimenti:
-
il
passaggio in atto della medicina penitenziaria al sistema sanitario
nazionale: si delinea un processo delicato, che dovrà affrontare la
riscrittura di protocolli e modalità operative, responsabilità e modelli
organizzativi. È un passaggio che sconta, comunque, gravi ritardi e
lentezze;
-
la
fase di sviluppo dell’epidemia oggi in atto è, per quanto attiene la
prevenzione, definibile di "normalizzazione", anche grazie ai
risultati portati dalle nuove terapie. Appare generalizzata, anche a livello
europeo, la tendenza a disinvestire in termini di risorse e programmi dalla
prevenzione, con l’esito che le nuove generazioni (ed in particolare
gruppi quali omosessuali, detenuti, adolescenti) non vengono adeguatamente
raggiunte da informazioni mirate, mentre al contempo non decollano attività
più ampie, "ordinarie", di promozione alla salute, che potrebbero
efficacemente includere un’educazione relativa all’AIDS. Quella certa
"saturazione informativa" che spesso viene invocata, non pare
corrispondere in realtà a un lavoro puntuale, costante e reiterato di
comunicazione sull’AIDS che i mutamenti dell’epidemia da un lato e il
turn over delle generazioni dall’altro implicherebbero. Si tratta di
calibrare nuovi messaggi e nuovi media all’attuale composizione della
popolazione detenuta, agli attuali bisogni informativi, alla percezione
corrente dell’epidemia da parte delle generazioni che non sono state le
protagoniste del decennio passato, ma lo sono di quello che è appena
cominciato;
-
la
grande portata culturale ed educativa dei tanti e plurali interventi di
prevenzione che hanno caratterizzato anche il nostro paese nell’ultimo
decennio, e che ha messo al centro la metodologia dell’empowerment come
motore potente degli interventi di prevenzione, pare aver lambito molto
superficialmente l’ambito penitenziario. Coinvolgimento diretto,
protagonismo sociale, attivazione dei gruppi target, empowerment
individuale, di gruppo e di comunità sono modalità di lavoro ancora
sperimentali e circoscritte nelle nostre carceri, sebbene gli interventi
pilota attuati in questi anni abbiano dimostrato che - nonostante i vincoli
legislativi, normativi e di contesto - non esista incompatibilità assoluta
tra contesto detentivo e sviluppo di (almeno alcuni elementi di) empowerment
di gruppo e di comunità.
Il
progetto si è posto un duplice obiettivo
-
studiare,
attraverso una ricerca tra le persone detenute, le percezioni, i livelli di
conoscenza, l’informazione acquisita, i bisogni informativi, la
valutazione degli interventi e dei servizi della popolazione detenuta,
attraverso la somministrazione di un questionario a gruppi di persone
detenute in diverse carceri italiane, grazie all’attivazione dei gruppi di
detenuti e volontari facenti capo alle redazioni dei giornali prodotti in
carcere;
-
ideare
ed attuare un modello comunicativo innovativo all’interno della
popolazione detenuta su prevenzione, informazione, sostegno, cure e diritti
di accesso alle cure per le persone sieropositive detenute, informazioni
legislative. Tale modello si basa sull’attivazione della popolazione
target e di alcuni suoi gruppi, quali le redazioni dei cinquanta giornali
autoprodotti all’interno istituti penitenziari italiani e uniti nel
Coordinamento dei giornali del carcere, partner del progetto.
Obiettivi
specifici sono stati:
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sensibilizzazione
sul tema di gruppi leader, identificati nelle redazioni dei giornali
autoprodotti all’interno istituti penitenziari italiani e uniti nel
Coordinamento dei giornali del carcere |
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coinvolgimento
dei gruppi leader nel processo di costruzione del percorso di ricerca, nello
svolgimento della stessa, nella lettura critica dei risultati e nella
elaborazione di materiali informativi, nonché nella loro gestione e
diffusione |
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elaborazione,
a partire dai risultati della ricerca, di materiali informativi mirati e
calibrati sui bisogni informativi espressi dalla popolazione detenuta;
rilancio e disseminazione capillare dei materiali attraverso la
pubblicazione sui giornali delle carceri |
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valutazione
partecipata con i gruppi leader dei risultati ottenuti, con attenzione a
qualità del coinvolgimento dei gruppi target e valutazione dei materiali
informativi prodotti |
Gli
esiti attesi dallo svolgimento del progetto erano:
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rilancio
e sviluppo del lavoro di empowerment nella popolazione detenuta sui temi
dell’AIDS, e con esso della ripresa di un protagonismo sociale visto come
premessa metodologica necessaria di attività di promozione della salute e
del benessere |
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attivazione
di parte della popolazione target come attore nel percorso di valutazione
dei servizi offerti, in sintonia con quanto avviene in numerosi altri
settori socio-assistenziali, in cui l’utente viene visto non tanto come
fruitore passivo di un’offerta di servizi, quanto come cittadino partecipe
di processi progettuali e organizzativi, nonché fonte, accanto alle altre,
del processo di valutazione dei risultati dei servizi stessi |
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moltiplicazione
di risorse attraverso interventi community based. La sperimentazione di un
modello comunicativo basato su gruppi auto-organizzati può produrre
capacità autonoma della comunità carceraria di riproduzione di interventi
e azioni, l’avvio di meccanismo comunicativo indipendente |
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