Il degrado dell'I.P.M. di Treviso

 

Il centro d'accoglienza e l'istituto penale sono "fuorilegge"

Il degrado della struttura dove gli adolescenti dovrebbero dimenticare il crimine

 

Santa Bona, lo scandalo del minorile. Squallore, pochi agenti, rieducazione impossibile: "Qualcuno ci aiuti". Sia la direzione che il sindacato chiedono interventi

 

La Tribuna di Treviso, 9 giugno 2003


Una stanza di pochi metri quadrati a ridosso della guardiola-portineria, un divano sdrucito, un tavolino e due sedie. Una camera occupata quasi completamente da due letti a castello. E' tutto qui il centro di prima accoglienza - unico nel Veneto - dell'istituto penale minorile di Treviso. L'inadeguatezza del primo punto di approdo per i minori in stato di fermo, non è che l'emblema dell'inadeguatezza delle strutture predisposte dal Dipartimento di Giustizia minorile. L'insufficienza degli spazi nel carcere per minori, unico per il Triveneto, collocato in un'ala del carcere circondariale di S. Bona a Treviso, si somma alla mancanza cronica di personale, mentre i ragazzi aumentano, sono stranieri e spesso con patologie psichiatriche.
I "carcerati" non sono che ragazzi, eppure è difficile, parlando con loro, cogliere la speranza di una vita alternativa al crimine. Una possibilità di riscatto. E' questa l'impressione immediata che ispira il nostro viaggio nelle stanze dell'istituto minorile, accompagnati dal deputato diessino Piero Ruzzante. Un istituto costretto in un edificio a due piani, vecchia area di isolamento che non ha nulla di diverso da un carcere di inizio secolo. Nonostante la buona volontà, in una struttura così, anche gli educatori più generosi e il personale di polizia più dedito al proprio dovere non riesce a lavorare come vorrebbe.
All'entrata, il Centro di prima accoglienza è quasi un tutt'uno con la portineria. In una stanza di 8 metri quadrati vivono da due giorni due ragazzine rom, sorvegliate da un'assistente. Dopo l'arresto per furto, attendono la perizia che stabilisca se sono maggiori o minori di 14 anni, per essere riconsegnate alla famiglia o messe in custodia cautelare. Per altri tre ragazzi marocchini fermati per spaccio, non c'è posto: attendono in cella. Funziona così, al centro di prima accoglienza del minorile: di fronte all'insufficienza delle strutture, direttore e operatori inventano, giorno per giorno, una soluzione. Passabile ma non sempre rispettosa, tanto meno educativa, per i ragazzi. L'insufficienza degli spazi si riscontra poco oltre, all'interno dell'istituto penale minorile vero e proprio. Pochi passi per attraversare il cortile e raggiungere l'ala che costituisce l'angolo nord del carcere circondariale di S. Bona. Un angolo angusto, fino a 30 anni fa ala di isolamento per gli incriminati pericolosi, dove sono entrati i "neri" Freda e Ventura e il brigatista Gallinari. Le stesse celle ospitano l'istituto che dovrebbe far conoscere agli adolescenti modi di vivere alternativi al crimine.
"Non c'è spazio per le attività educative - spiega il direttore Alfonso Paggiarino - i quindici posti disponibili sono sempre saturi e con il poco personale di polizia penitenziaria (24 agenti in tutto), riusciamo a malapena a star dietro ai trasferimenti. Tutte le ragazze vengono accompagnate a Milano, Torino, Roma, Napoli, con grande dispendio di risorse. Per i maschi abbiamo 15 posti, gli altri li portiamo altrove. Il 90% dei ragazzi sono extracomunitari che non hanno mai visto un banco di scuola. Sono in aumento i casi psichiatrici, le dipendenze da droghe leggere come ecstasy e anfetamine. E' urgente un nuovo istituto, separato dal carcere, con i due settori maschile e femminile, servono spazi e personale. Così non possiamo svolgere il nostro compito".
L'istituto minorile si distingue dal S. Bona solo la tinteggiatura esterna: rosa antico contro l'azzurro. Ma la struttura non ha niente di diverso, le due file di celle parallele sono separate da un ampio corridoio centrale. E' una cella anche la stanza dove lavorano stipati sei educatori, così come l'infermeria, la cucina e la mensa. Non ci sono finanziamenti neppure per l'arredo. Nella mensa, che serve anche da saletta colloqui, le tovaglie di nylon sopra i quattro tavoli sono consumate. Qualche cartellone rallegra le pareti, biglietti di auguri: "Nessuno è più schiavo di chi si ritiene libero senza esserlo". Nella cella-scuola i disegni dei ragazzi, ispirati ai fumetti, hanno un tratto infantile e la classe ha l'atmosfera di un'aula elementare: campeggiano un cartellone sul Marocco e un modello in cartone di una moschea, un pannello sull'euro e un altro sul corpo umano. Sulla lavagna c'è il risultato della partita Tunisia- Russia. I ragazzi ospiti sono quasi tutti tunisini e marocchini, ci sono poi zingari sinti e rom.

"Il direttore e gli operatori sono bravi - dice un quindicenne, proveniente da Trento e appartenente a una famiglia di giostrai - qui sento solo la mancanza dei genitori, spero di ritornare a casa a lavorare con mio padre". Anche se è già tarda mattinata, molti sono ancora a letto o stanno guardando le partite in televisione. Andrea (nome fittizio) di Rovigo, diciottenne, che sta scontando un anno per rapina, ha segnato tutti i risultati. E' la sua principale occupazione. Di solito giocano a calcio nel campo in comune col carcere degli adulti, ma da alcuni giorni è chiuso per lavori. Non resta che un biliardino sgangherato nell'angusto cortile, dove è in corso una partita tra due tunisini e due marocchini. I 15 ragazzi dormono in sei celle che possono accogliere fino quattro posti in letti a castello. Lo stanzone chiamato palestra è fatiscente e, se piove, starci in tutti è impossibile.

Ogni anno 160 "ospiti" fra i 10 e i 18 anni


Sono circa 160 i ragazzi e le ragazze tra i 10 e i 18 anni che ogni anno passano per il Centro di Prima Accoglienza dell'istituto penitenziario minorile di Treviso. Tutte le ragazze, se in stato di arresto, vengono trasferite negli istituti femminili che si trovano a Torino, a Milano, a Roma o a Napoli. Nel carcere, dotato di 15 posti letto, l'anno scorso sono stati ospitati tra i 70 e gli 80 adolescenti, tutti in genere tra i 17 e i 18 anni di età. Si registra negli ultimi anni un aumento delle richieste del 25%. Il CPA, con grandi sforzi riesce a rispondere alle necessità, ad accompagnare i ragazzi alle udienze e a dare loro un minimo di informazione mettendoli in contatto con i servizi sociali. "Negli ultimi anni - spiega Maurizio Sanmartino, operatore e rappresentate sindacale per la Cgil- c'è un aumento esponenziale di stranieri. Molto spesso non conoscono neppure la lingua, e anche se sono molto giovani non esiste per loro un'alternativa alla detenzione in carcere. In genere l'inserimento nelle comunità è difficile, e quasi impossibile è l'affidamento a una famiglia". L'istituto di Treviso fa riferimento a due comunità nel Vicentino e nel Padovano, e quando c'è necessità ulteriore di posti ricorre a centri del privato sociale. Ancora più difficile è il trattamento dei casi psichiatrici, vero e proprio fenomeno degli ultimi anni. "Solo l'anno scorso - riferisce Sanmartino - ci siamo trovati a fare i conti con tre casi estremi. Uno ha perfino rotto alcune porte degli uffici. Altri problemi sono determinati dai casi di tossicodipendenza che comportano disagio psichico". L'istituto è per questo in contatto con i servizi dell'Uls 9.

 

 

 

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