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Una comunità con le sbarre
Il Manifesto, 15 novembre 2003
Polemiche a Torino sull'apertura di un Centro, voluto dal Comune, per i minori marocchini che commettono reati ma non sono imputabili per ragioni d’età
"Non esistono gli spazi per interventi educativi di altro tipo, tutti già sperimentanti in passato. Senza formule di contenimento più severe, questi ragazzi fuggono dalle comunità dopo pochi giorni, se non addirittura ore. Non si tratta, però, né di un metodo per avviare delle espulsioni facilitate, né di un centro di permanenza temporanea pensato per i minori". Nel giorno in cui le forze dell’ordine hanno portato a termine una delle più grosse operazioni antidroga mai effettuate tra gli extracomunitari di Torino, Stefano Lepri, assessore comunale all’immigrazione, ha così difeso ieri la scelta compiuta di avviare il percorso che porterà all’apertura, entro la fine di febbraio, di una "comunità protetta" per ragazzini al di sotto dei 14 anni di nazionalità marocchina. Una decisione che ha aperto un vero e proprio dibattito sul ruolo delle comunità e sulla filosofia che deve sostenerle, provocando anche la risposta polemica di molti addetti ai lavori, in reazione al "taglio" dato all’iniziativa dall’amministrazione comunale. Dalla nuova comunità protetta per minori stranieri, infatti, sarà difficile la fuga: dotata di sistemi di controllo e di contenimento adeguati, ospiterà fino a otto ragazzini. Si occuperanno di loro dieci persone tra assistenti domiciliari, educatori e mediatori culturali. Finiranno in questa comunità protetta i giovanissimi sorpresi a commettere reati, che per la loro età godono della non imputabilità. Dalle normali comunità-alloggio che a Torino, nell’ultimo anno, hanno accolto circa 700 minori stranieri i ragazzi spesso se ne vanno dopo pochi giorni senza lasciare traccia. Con questo nuovo progetto pilota, invece, potranno restare sotto controllo il tempo necessario a rintracciarne l’identità certa e la famiglia di origine. "In virtù di un accordo con il consolato marocchino - spiega Lepri - sarà possibile dare il via alle procedure di rimpatrio in un lasso di tempo che auspico molto breve. Il nostro scopo principale è quello di permettere il ricongiungimento con le famiglie d’origine. Grazie all’intervento della prefettura presto sarà possibile arrivare a un accordo con il consolato rumeno e così accogliere anche i ragazzi provenienti da quel paese". La decisione di dare il via a questo progetto pilota nasce sotto la spinta di una situazione diventata difficile in città, soprattutto in quartieri a forte concentrazione di immigrati stranieri come San Salvario e Porta Palazzo. Già da alcuni mesi si sono fatti più evidenti fenomeni di spaccio operato da ragazzini giovanissimi, specie magrebini, oltre che furti e borseggi sui mezzi pubblici del centro. Si sospetta anche che alcuni ragazzini siano oggetto di sfruttamento sessuale. Inoltre, proprio nella notte di capodanno, un giovane spacciatore marocchino, Faud Salih, ha dovuto subire una crudele punizione per il suo tentativo di sottrarre dosi di droga ai suoi fornitori: un profondo taglio gli ha provocato la parziale amputazione della mano destra. "Siamo di fronte - conclude Lepri - a una tratta di bambini sfruttati per commettere reati. Un fatto inammissibile. La comunità protetta vuole essere un segnale lanciato alle persone senza scrupoli che gestiscono questo traffico: non potranno continuare ad esercitarlo impunemente". C’è però chi contesta l’efficacia dello strumento messo in cantiere dal Comune di Torino. Muostaphà El Kharbibi, con la moglie Sued Benkhdin fondatore del progetto Diafa, da oltre dieci anni lavora, in qualità di mediatore culturale, all’interno del carcere minorile Ferrante Aporti di Torino. Furono proprio Muostaphà e la moglie a riportare il giovane Faud Salih in ospedale, il giorno della Befana, dopo che questi per paura si era allontanato dalle Molinette. "La proposta dell’amministrazione comunale è totalmente contraddittoria - sostiene Al Kharbibi - Vedo il rischio di creare un nuovo, piccolo, Ferrante Aporti". Poca attenzione, secondo Moustaphà, è stata posta sulle famiglie di origine di questi giovani immigrati. "A parte che per i minori di 14 anni vige il diritto di essere ospitati in questo paese e tutelati, esiste un problema grossissimo all’origine. Da dieci anni andiamo dicendo, inascoltati, che si è andato consolidando un racket che compra direttamente dalle famiglie contadine, spesso poverissime, i giovani per usarli poi a scopi delinquenziali nelle città europee. Il rimpatrio, in questo caso, può solo aggravare la situazione del minore: senza tutela, in patria, si ritroverà di nuovo nelle mani della malavita". Torino, insieme a Milano, è il centro di smistamento più grande di questi minori. "Inutile negare - conclude El Kharbibi - che ci troviamo a vivere una vera e propria emergenza. Per sottrarre al racket questi minori, però, occorre battere altre vie: penso a un sistema che veda un rapporto stretto tra una comunità di mediazione in Italia e il suo corrispondente in Marocco. In modo che questi giovani, una volta tornati a casa, non siano abbandonati a se stessi qualora la famiglia li rifiuti oppure non sia in grado di mantenerli".
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