Lettera da Casal del Marmo

 

Contro le sbarre il delirio d’onnipotenza. Tutto si frantuma,

i confini si riducono, i sogni finiscono nel pantano

 

Analisi di una lettera giunta da un’adolescente

dell’istituto penale di Casal del Marmo

 

Giornale  di  Vicenza, 18 febbraio 2003

 

Oggi sono due anni, quattro mesi e cinque giorni che sto in apnea, non mi piace più questo gioco e non mi piacciono le favole che ci raccontano. (?) La prima parte di questo coso l'ho scritta al giornalino, adesso, invece, sto nella mia “favolosa” cella e forse, a stomaco pieno, mi viene “l'ispirazione”.

È mercoledì sera, sul muro davanti a me ci sono le foto di Hicham, un ragazzo che stava qui. Guardandole mi viene in mente come stavo i primi tempi. Stavo male, certo, però allo stesso tempo stavo meglio, c'erano le persone da conoscere, il posto da capire, e c'era la voglia di raccogliere tutti i pezzettini di me.

Adesso, invece, c'è solo bisogno di andare lontano dalle persone, che ormai sono sempre le stesse, voglia di correre oltre le mura, via da qui e via da me, perché più vado avanti e meno mi sopporto, e tutti quei pezzettini che riattacco si scollano in continuazione. Questa sera mi sopporto anche meno del solito.

C'è qualcosa dentro di me che proprio non mi va giù, a volte mi capita di avere un bisogno incredibile di vedere la mia immagine riflessa allo specchio, così, solo per controllare se sono ancora io, e in questo quella cosa dentro. E' un po' come quando modo riesco a non sentire più si è ubriachi e guardandosi allo specchio ci si vede mezzi deformati, ecco dentro io ho qualcosa di simile, una Veronica deforme, che proprio non va d'accordo con quella che so di essere. Uffa! (?)

Ci sono un sacco di modi per fuggire: col pensiero, con le droghe, con l'alcool o commettendo un reato, e ci sono anche molte cose dalle quali si può fuggire, si può scappare da una famiglia troppo finta, da uno squallido Paese, dai problemi che non si vogliono affrontare, ed è facile. Basta chiudere il cuore in un cassetto e imparare ad andare avanti a testa alta, senza badare troppo a chi ci sta intorno. Ho imparato anche che c'è una cosa da cui non si può proprio fuggire: la coscienza, e - credetemi - è il peggior giudice che ci sia. Io, con la mia, litigo, più o meno, tutti i giorni, ma niente, lei continua a parlare, parlare... Se qualcuna sa come si fa a scappare da questa roba che ci accompagna sempre spero che me lo faccia sapere perché io sto proprio al limite!!

 

Veronica

Analisi a cura di Lino Cavedon e SOS Infanzia

 

Un'adolescente in carcere. Privata della libertà, condannata da un giudice, punita per un errore grave, nell'epoca del rifiuto delle regole, della opposizione agli adulti. Quando si scavalca il muro di cinta della legge e si bazzica l'illegalità, si rischia di finire dentro quattro muri e di rimanerci. In molti casi il giudice può decidere per altre scelte, come la messa alla prova, un'ulteriore opportunità per aggiustare il tiro della propria vita. Con una condanna, si va a sbattere brutalmente contro il delirio dell'immortalità, dell'onnipotenza, delle responsabilità derise.

 Un'adolescente, non ancora organizzato nella strutturazione di una propria identità, si frantuma, va in tanti pezzettini. E i sogni finiscono nel pantano, i confini si riducono, sparisce l'orizzonte, i giorni sono tutti uguali. Sembra non esserci più futuro; non è poi tanto diverso quando un adolescente viene risucchiato dall'alcool o dalla droga. Si vive banalmente per arrivare a sera, dipendenti da sostanze, da comportamenti irregolari o da comportamenti compulsivi. Anche in tali situazioni si pone il problema di ricomporre un rapporto con se stessi, di riattaccare i pezzettini. I tasselli di identità vanno pazientemente ritrovati per potersi riguardare allo specchio. Cercare con gli occhi quotidianamente la propria immagine frantumata o deformata non rassicura né stimola. Occorre ritrovare quella fiamma, quella spinta emozionale per non buttarsi via e per far crescere quella parte di sé infantile, immatura, trasgressiva. Bisogna risentire il proprio cuore che batte, pazientemente ritrovare le proprie coordinate, quei valori che, magari in modo infastidito e distratto, sono stati ascoltati ed introiettati dai genitori o da altri adulti. Finirà il tempo del rigetto e del rifiuto di norme e regole? Da quel momento inizia il tempo della coscienza, tempo prezioso per non vivere in modo istintivo o suggestionato dalle mode. Si costruiscono così i propri riferimenti interni, scelti in modo libero, affinché le regole non siano bruscolini negli occhi, ma luce che orienta.

 

 

 

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