|
I
costi della giustizia minorile
Messaggero Veneto, 25 marzo 2002
La
riforma della giustizia minorile, su cui in questi giorni si è aperto un nuovo
fronte di scontro politico, è un tema all’attenzione di tecnici e di politici
da molto tempo. Le esigenze di riforma del settore si concentravano innanzi
tutto su una questione di efficienza del Tribunale per i minorenni, la cui
enorme competenza giurisdizionale rende spesso intempestivo, se non alle volte
inefficace o contraddittorio, l’intervento. Tutto ciò è per legge affidato al compito dei servizi sociali territoriali comunali, dei consultori dei servizi specialistici. Come spesso avviene, se sulla diagnosi della malattia tutti erano concordi, in realtà l’indecisione e, per certi versi, la paralisi di ogni ipotesi di riforma, era legata alla difficoltà di scegliere quale fosse il migliore rimedio alla situazione. Va dato atto pertanto al ministro Castelli di aver impresso, con il disegno di legge approvato il 1º marzo dal governo, una decisa accelerazione alla soluzione del problema. La proposta del governo prevede di lasciare all’attuale Tribunale per i minorenni l’esclusiva competenza penale attualmente in essere, ossia quella relativa ai reati commessi da minori, con l’unica variazione inerente alla carcerazione dei minori ultradiciottenni che dovrebbero finire nel carcere per adulti. Oggi tale trasferimento non avviene prima del 21º anno e in presenza di certe specifiche di pena. Che questo corrisponda alla volontà di dare certezza alla pena, rispondendo a un bisogno sociale sentito, può essere vero. Il dubbio può sorgere dalla considerazione sull’attuale popolazione dei carceri minorili che è composta quasi per intero da stranieri. Per ammissione della stessa magistratura minorile, infatti, a parità di pena i cittadini italiani sono ammessi ai benefici della detenzione in comunità di recupero, o a casa, mentre gli stranieri permangono in carcere. Ciò significa che le carceri si riempiranno di stranieri che da ragazzi hanno per lo più compiuto reati contro il patrimonio. Se a ciò si assomma uno degli effetti di medio periodo facilmente prevedibile dalle nuove norme sull’immigrazione, le carceri del nostro paese potrebbero riempirsi di stranieri oltre ogni tollerabilità e diventare pertanto non più un luogo di sicurezza per la società, ma piuttosto un luogo di pericolo, una bomba sociale a orologeria. L’altro aspetto qualificante della riforma Castelli è il fatto di affidare tutta la competenza civile in materia di provvedimenti sulla potestà genitoriale, adozione, affidamenti, allontanamenti, separazione e altro, a una sezione del tribunale ordinario, senza però modificarne né il rito né gli organici. Castelli afferma di voler fare "una riforma a costo zero" e pertanto non intende promuovere la nascita di sezioni specializzate del tribunale ordinario in cui la composizione dei collegi giudicanti veda, come è attualmente previsto per il tribunale per i minorenni, la compresenza di giudici togati, ossia magistrati di carriera, e di giudici non togati, ossia esperti di pedagogia, psicologia e scienze educative. Questa composizione mista è infatti la caratteristica più importante della specialità del Tribunale dei minorenni che ha reso possibile la realizzazione di una vastissima produzione giurisprudenziale e dottrinale che proprio in ragione del superiore interesse dei fanciulli ha saputo contaminare e arricchire tanto le scienze psicologiche quanto quelle giuridiche. L’eliminazione degli esperti dal collegio giudicante, si dice, è giustificata dalla carenza di risorse e dalla volontà di ridare al giudice il suo ruolo più specifico. In realtà lo scenario che si apre davanti è quello di migliaia di giudici, formati esclusivamente sulle materie giuridiche e formali del diritto, che si dovranno confrontare su problematiche attinenti a processi personali educativi, esistenziali e psicologici di cui non hanno cognizione. Necessariamente, dunque, i giudici dovranno ricorrere a consulenti esterni, come già avviene oggi per le cause di separazione. Essendo il rito del processo, in virtù dell’introduzione delle nuove sacrosante forme del cosiddetto giusto processo, sempre più qualificato come un contenzioso tra parti, assisteremo al proliferare di perizie. Se da un lato ciò renderà ancora più lunghi i tempi del processo, dall’altro farà levitare i costi dello stesso, che ricadranno inevitabilmente sulle parti. Concretamente, ciò significa che a fronte di una segnalazione da parte dei servizi per grave incuria o maltrattamento di un minore da parte dei genitori, e del conseguente avvio di un procedimento, la famiglia che vi si opponga dovrà trovarsi un avvocato, chiedere un perito di parte, subire la perizia d’ufficio. Nell’ipotesi che a ciò segua un provvedimento di affido temporaneo, che non significa la perdita della potestà, e che dopo due anni lo stesso minore venga reintegrato nel nucleo sulla base delle nuove perizie disposte, alla famiglia, essendo resistente al primo procedimento, verranno addebitate le spese processuali, oltre a quelle ovviamente già sostenute per il proprio avvocato e per il perito. Se questo effetto perverso della riforma a costo zero non è stato considerato, siamo di fronte a una grossolana imperizia e dunque alla possibilità di emendarla ragionevolmente, rendendo gratuito questo tipo di procedimento. Allora il principio della riforma a costo zero per cui si batte il ministro è falso, anche perché le perizie esterne costano, allo Stato, molto di più di quanto costano i giudici non togati, e ciò significa che la filosofia della riforma che si paventa resta quella di una giustizia formalmente eguale per tutti, ma in realtà basata sul censo, e comunque grosso affare per avvocati e consulenti. C’è da chiedersi cosa tutto ciò abbia a che fare con la promozione dei diritti dei bambini.
Francesco Milanese, docente di legislazione minorile università di Trieste
|