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Don Gino Rigoldi, cappellano del carcere minorile di Milano "Gioventù non educata a percepire il male"
La Provincia di Como, 3 ottobre 2003
Al carcere minorile Beccaria di ragazzi che si sono macchiati di crimini violenti contro le persone ce ne sono un centinaio l’anno. A seguirli nel loro percorso rieducativo è don Gino Rigoldi, che accetta di tracciare un’analisi del fatto di sangue di Merone.
Don Gino, dove si può individuare la radice del delitto di Merone, in un’area dove il relativo benessere spesso è scambiato per garanzia di buona condotta? La radice sta nell’educazione e, senza voler essere retorici, nel ruolo sempre meno capace e mirato degli adulti. Genitori, educatori, preti e tutti coloro che si educano i ragazzi sono sempre più preoccupati di far fare delle cose ai giovani, ma non di farli stare insieme. Se si chiede agli adolescenti: "Cosa fate nel vostro gruppo?", la risposta è immediata, ma se chiedo come sta il loro amico o gli altri coetanei con cui passano il tempo non lo sanno. Questo vuol dire che non percepiscono l’altro come individuo da rispettare e da qui alla violenza la strada non è lunga. È possibile quindi dire che cambia la percezione del male che si fa all’altro e quindi diventa più semplice causarlo? La mia esperienza dice che sono aumentati i ragazzi e le ragazze italiani in carcere per reati contro le persone, che vanno dalle violenze sessuali, al tentato omicidio fino all’omicidio, spesso perpetrati contro soggetti "deboli". Oggi i più violenti sono i giovani italiani, non gli stranieri. In carcere, devo faticare per far prendere coscienza ai ragazzi del male che hanno fatto. Non versano una lacrima per chi hanno violentato o ferito, ma per se stessi o per la mamma. Quando c’è l’omicidio lo shock è più evidente, ma all’inizio c’è sempre una certa indifferenza verso le vittime. La mancata presa in carico del male che si infligge è legata alla classe sociale dei giovani? Non esclusivamente. I ragazzi con cui io lavoro sono poi anche quelli delle vostre zone e possono venire da contesti non poveri di soldi, ma di umanità, di rispetto e aiuto a chi è fuori dal proprio ambito familiare. Spesso l’altro è visto come un estraneo, a prescindere dalla classe sociale cui appartiene. Nessuno si sente colpevole se colpisce queste "classi di inferiori". Il punto debole della cultura di oggi è un grande e radicatissimo individualismo. Cercare il profitto personale è giusto e normale, ma oggi al profitto è legata una grande superficialità. Il ragazzo fa le cose al di là delle conseguenze che le sue azioni possono avere. Ciò perché sono demodé tutti i riferimenti etici o religiosi.
Anche il concetto del conflitto non violento che redime le tensioni cambia? Ma che tensioni, che conflitti ci sono oggi tra i ragazzi? Ogni confronto schietto viene evitato, a partire dalla famiglia, dove si cerca il quieto vivere, la tranquillità, che non è sempre un bene. Ma i contrasti poi sfociano nella violenza improvvisa, esplodono tutte le incomprensioni represse che un normale litigio avrebbe potuto sanare. Il conflitto è fondamentale nella crescita, ma è un concetto scomparso tra molti insegnanti, preti, educatori. I ragazzi hanno bisogno di tanti sì, ma anche di molti no degli adulti. Conosco famiglie brianzole che se dicono un no al figlio poi non dormono la notte: sbagliano. Quando io parlo a una platea di centinaia di ragazzi del valore del chiedere giustizia per se stessi, ma anche per gli altri stanno tutti zitti si incupiscono. Vuol dire che recepiscono lo spessore del concetto, siamo noi adulti che spesso non insistiamo abbastanza. Dobbiamo far capire al ragazzo che il concetto della reciproca estraneità non ha senso, anche se può portare all’apparente tranquillità. La schiettezza dei sentimenti nell’educazione di un ragazzo può prevenire la violenza? Quando ci si dice le cose chiaramente va tutto bene. È così che si impara a stare insieme, e gli educatori imparino anche un po’ di mestiere: se io voglio fare litigare i miei ragazzi perché penso che ci sia una tensione latente troppo forte lo posso fare, come posso farli stare bene insieme, l’importante è che non ci siano tanti non detti. E basta con il concetto della pace, troppo spesso è apparente e diventa una fogna con dentro tante e tali recriminazioni che poi scoppiano in fatti come quello di Merone.
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