|
IdeeLibere Periodico d’informazione della Casa di Reclusione “Ranza” di San Gimignano - Siena Anno II n° 4 aprile - maggio 2003
di Jmila Hammou
Noi musulmani, rivolgiamo anzitutto un vivo ringraziamento al nostro Dio, clemente e misericordioso, che ci ha creati maschio o femmina, ci ha fatti tribù e nazioni per farci conoscere tra di noi e a tutti gli esseri umani di tutte le tradizioni religiose o culturali, animati dallo stesso fervore per costruire un mondo migliore basato sul rispetto e collaborazione, per illuminare il cammino delle culture della civiltà verso la pace ed il dialogo e non verso la violenza. La fede musulmana ci offre alcuni richiami per realizzare questo cammino:
Le ideologie non conducono alla soluzione dei problemi politici e sociali ed economici del mondo; i metodi usati - o che si vogliono usare- per risolvere i problemi attuali, non soddisfano e spesso sono peggio dei problemi stessi. Ora fratelli e amici, appartenenti a qualsiasi fede o associazioni del mondo, in tutta buona fede, sia ormai giunto il momento di riempire di contenuti e di metodologie il percorso per prevenire violenze ed aggressioni, e siamo convinti che si possono individuare terreni e temi di confronto reale tra noi per proteggere principi umani, morali e civili. Per fare ciò sarà necessario uno sforzo serio e costruttivo, che ci impegni tutti seriamente anche nel nostro piccolo. di Massimiliano Ruggiero
Arte: Attività svolta in alcuni Istituti. Può presentarsi sotto forma di attività teatrale, musicale, ecc… Molto comune, ma non facile da svolgere, è l’arte della pittura, che richiede dedizione, doti innate e capacità di fornire le eventuali spiegazioni interpretative a chi, casualmente, osserva un dipinto, senza peraltro comprenderne il senso.
Bicicletta: Contrariamente a chi sta fuori, in questi posti nessuno la vuole ma è obbligato a "pedalare" ugualmente. Trattasi di notizie falsate, a volte per semplice malignità, riguardanti altri compagni, che a loro volta verranno a trovarsi in spiacevoli situazioni, difficili da sbrogliare.
Docce: Misurate, rapide e, per ragioni organizzative... su prenotazione! Per il resto, anche queste funzionano con l’acqua.
Detenuto: Verranno presentati in un futuro prossimo, alcuni documentari sulla vita di tale individuo. Tutto ciò allo scopo di soddisfare la curiosità del cosiddetto "cittadino libero", che dovrebbe sapere ma non sa! Trattasi tuttavia di essere vivente, fornito di due occhi, due gambe, due braccia e quant’altro già in dotazione ai comuni mortali. Si potrebbe persino notare una certa somiglianza fra le due specie!
Encomio: Premio di consolazione, per l’essersi distinti in qualche attività trattamentale o per aver dimostrato un particolare senso di responsabilità. Trattasi di riconoscimento, presentato sotto forma di "diploma", per poter dire un giorno "c’ero anch’io!".
Fumo: Trattasi di leggera nebbiolina che in questi posti riesce ad entrare persino nelle orecchie. Scivola sotto le porte, ti entra in bagno, invade ovunque ci sia ossigeno; praticamente un incubo per molti che ancora si ritengono "non fumatori", ma che in realtà fumano più degli altri. Per la serie: "Il fumo: se lo conosci... ti adegui".
Fornitura: Consegna periodica (molto periodica), di materiale di prima necessità, come detersivi, posate, stracci per pavimenti, saponette, ecc…
Giorno: Solitamente da tutti considerato della durata di 24 ore, in questi posti assume valore temporale indefinito (e infinito).
Lavanderia: Locale adibito al lavaggio di vestiario, lenzuola ed altro. Solitamente ad uso periodico, ne è tuttavia sconsigliato l’utilizzo: non è piacevole consegnare un accappatoio verde e vederselo restituire giallo canarino!
Materasso: Comodo e salutare, soprattutto per un sano riposo della schiena e della colonna vertebrale. Consiste in un rettangolo, alto 20 centimetri e fabbricato interamente in gomma piuma! Dopo il primo anno di detenzione, il detenuto avverte i primi leggeri disturbi, presenti sotto forma di lievi dolori o fastidi alla schiena. Scontata la condanna, lo stesso detenuto lascerà il carcere ricurvo su se stesso, e potrà certamente trovare lavoro come ferma carte, presso l’Ufficio Anagrafe del proprio Comune d’appartenenza!
Pena alternativa: Condanna scontata in luogo differente dal carcere. L’Affidamento in prova ai Servizi Sociali può essere un esempio... di quello che dovrebbe essere una pena alternativa!
Sport: Attività che viene praticata da molti detenuti e che riesce, in alcuni casi, a svolgere funzione di unica valvola di sfogo ai propri problemi. In molti Istituti di pena, tale attività si presenta sotto varie forme, come il calcio, il tennis, la pallavolo e la palestra. C’è inoltre la possibilità di effettuare una o persino due ore di corsa in cortile, girando in tondo e respirando a pieni polmoni il profumo dell’asfalto circostante.
Terapia: Questo termine indica quasi sempre il modo più facile (e più illusorio) che i detenuti hanno per stare tranquilli, sereni e "rilassati". Unico neo, il permanente stato di incoscienza in cui versano i detenuti che ne usufruiscono, con buona pace di tutti! Il fabbro, il Don e tante storie di Enzo Falorni
Voglio, con queste righe, raccontare il simpatico "scontro" fra due amici – nemici, di cui sono stato testimone durante il decennio 1955 – 1965. L’uno, mio nonno Edoardo, uomo tutto di un pezzo, di professione Fabbro e di fede Comunista, come la maggior parte dei paesani di quell’epoca. L’altro, Don Nardi, Parroco della chiesa del paese il cui patrono è Sant’Alessandro. Nonno Edoardo era l’unico fabbro non solo del paese ma di tutto il circondario. Là dove il circondario era formato da tutte quelle piccole frazioni facenti parte del comune e no. Proprio per questo suo mestiere il nonno era conosciuto, stimato e chiamato ad eseguire lavori da quanti avevano bisogno della sua opera, aldilà dell’essere comunisti o d’altra fede politica. A ben guardare, poi, la "fede" si divideva in due fazioni: l’essere comunista o non esserlo. In questa visione chiaro che, il maggior "nemico" di nonno Edoardo era proprio Don Nardi, con un però: Don Nardi non era solo il Parroco del paese, ma era il capo di tutti i Parroci delle varie chiesette sparse nelle frazioni, borghi e grosse fattorie. All’epoca ve n’erano una diecina; cosicché quando questi Parroci avevano bisogno del fabbro, era Don Nardi che, fra il dispiacere di dare il lavoro ad un comunista e il piacere di farsi così importante, chiamava il nonno. Le "punzecchiature" fra i due erano all’ordine del giorno e facevano sorridere tutto il paese. Quella era proprio l’epoca della serie dei film di "Don Camillo e l’Onorevole Peppone", e le diatribe fra nonno Edoardo e Don Nardi, non avevano nulla da invidiare ai loro più famosi personaggi cinematografici. Nonno Edoardo non era certo "Onorevole" anche se, francamente, lo era molto più in dignità, umanità, sincerità, di certi Onorevoli della nostra epoca, che hanno solo il titolo, ma di onorevole non hanno assolutamente niente. Torniamo, però, alla nostra storia, che è molto più sincera e onesta. La specializzazione del nonno, era quella di fare ringhiere, terrazzini per le tombe " a terra" del cimitero, e letti di ferro battuto con le palle: quattro palle. Fra l’altro, nonno Edoardo era un tipo previdente e, poiché, quando arrivava il "momento", voleva essere sepolto nella terra ("dalla terra sono venuto e nella terra devo tornare"), si era costruito, perciò, un bel terrazzino rettangolare in ferro battuto tutto lavorato e verniciato di nero, dove ai quattro angoli in alto vi aveva incastonato le solite quattro palle verniciate, però … di rosso! Venne "fuori" veramente un bel terrazzino e ricordo che il nonno, lo teneva nella bottega in mostra per altri clienti o parenti dei … fu clienti. Ovvio che Don Nardi, non poteva che apprezzare l’arte di nonno Edoardo, ma non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di ordinargli un terrazzino per la sua tomba, anche perché il nonno, ogni volta che "incrociava" Don Nardi, sotto - sotto sussurrava: "Questi Preti sono come la gramigna, non muoiono mai!" Certo che, Don Nardi quale Sacerdote, non era certo il tipo da fare certi scongiuri dopo quest’affermazione del nonno ma, in ogni modo, la mano in tasca la metteva e poi … chissà! Fu così che, Don Nardi, al posto del terrazzino, gli ordinò un letto di ferro battuto verniciato di nero e con le quattro palle da verniciare in oro: colori di chiesa. Per il nonno, questa fu un’oc-casione unica per burlare l’amico – nemico Don Nardi; infatti, appena il letto fu terminato, nonno Edoardo non lo consegnò a casa del Prete, ma una domenica mattina alle nove, lo lasciò in bella vista nella Piazza della Chiesa, cosicché, i parrocchiani che entravano per la Messa lo potessero vedere, ammirare, ed iniziarne a discuterne perché, il nonno, non aveva verniciato le palle con vernice d’oro, ma … rossa! Mi ricordo che Don Nardi, ne fece "spunto" addirittura nell’omelia durante la Messa, affermando che, il buon Cristiano non risponde alle provocazioni! In paese e nei dintorni, la cosa fu motivo di conversazione e di battute, più o meno scherzose, per diverso tempo. Toccò a me, poi, che all’epo-ca avevo 12/13 anni, andare a riverniciare d’oro le "Palle del Prete". Per un po’ di tempo i due si ignorarono, poi, il loro animo che era di gran bontà, li fece riunire e tornare alle normali e regolari battaglie che, spesso, sfociavano, la sera al "Circolo", in grandi partite a briscola o scopa. Con contorno di diversi "quartini" di vino. Non passò, però, tanto tempo che il nonno si ammalò e morì. Forse tutti gli "accidenti" che il nonno tirava a Don Nardi, il buon Dio glieli rimandò indietro. Al funerale tutto il paese era presente e la bara fu portata a spalla fino al cimitero, dove fu prima interrata, poi, vi fu messo il terrazzino con le palle rosse, che il nonno con tanto amore si era fabbricato. Alla fine della cerimonia funebre tutti i paesani tornarono alle loro case, tranne Don Nardi che volle rimanere da solo sulla tomba del nonno, forse per l’ultimo saluto o per dire al nonno tutto quello che pensava di lui, anche se ben notai una rigogliosa lacrima solcare il volto del Don. Al mattino dopo, con la mamma e la zia Ida tornai al cimitero, dove notammo subito che nel terrazzino di ferro battuto del nonno, una palla non era più rossa come le altre tre, ma riverniciata d’oro con una scritta intorno dove si leggeva: "Arrivederci amico mio, tienimi il posto in Paradiso, non credere di esserti liberato di me!". Ecco, questo il comportamento, l’onore, la stima, la fiducia dei veri uomini, che pur così diversi in cultura ed IdeeLibere, si sapevano apprezzare e riconoscere nei reciproci valori. Oggi viene da pensare: dove sono finiti questi valori? Perché sono finiti? Perché non facciamo niente per ritrovarli? Infine, la morale: il benessere, l’industrializzazione e, oggi, la globalizzazione, ci mettono a disposizione tonnellate di vernice - non solo rossa o d’oro - ma di tanti colori da non sapere quale scegliere per colorare la qualità della nostra vita!! Un anno di lavoro: un primo bilancio di Senio Sensi (Direttore Responsabile)
IdeeLibere è ormai una realtà. Contiamo di poter proseguire il nostro colloquio con i diversi tipi di lettori: all’interno delle carceri del nostro Paese ma anche con chi si occupa di istituzioni e i tanti amici che attraverso il nostro periodico hanno la possibilità, se lo vogliono, di meglio capire un mondo talvolta così lontano e per loro quasi temibile e pertanto da rifiutare a priori. Non li posso condannare anche perché si tratta di una reazione che almeno in parte ho avuto anche io, in passato, e della quale sono oggi addolorato. Non scopro niente se dico che qualsiasi rapporto interpersonale è in grado di darti un valore aggiunto, una conoscenza, una occasione per riflettere una spinta per capire meglio gli altri. Specie i diversi, nell’occasione coloro che vivono "ristretti". In questo anno di impegno a Ranza, quando racconto a conoscenti e amici di questa mia nuova attività, mi soffermo a valutare le loro reazioni. C’è chi entusiasticamente afferma di ammirarmi ma che, però, non potrebbe mai seguirmi; c’è chi dimostra una sorta di fastidio perché, sopravvalutando la cosa, si sente in colpa per non fare altrettanto; c’è chi scuote il capo e aggiunge un significativo "ah!" e chi, infine, nemmeno troppo larvatamente si lascia andare ad un …."ma chi te lo fa fare ?". Già, chi me lo fa fare ! La vicenda è strana tutta: dall’inizio ad oggi. L’incontro con questo mondo mi conferma però che ci sono mille modi per aiutare il prossimo; io preferisco quelli diretti, quelli cioè, dove puoi constatare il frutto del lavoro. E questo è uno di quei modi. Senza troppo enfatizzare debbo ammettere che mentre spero di aver dato ai redattori ed ai collaboratori una possibilità in più per esprimersi, per tirar fuori pensieri e parole magari troppo nascoste, mi accorgo di aver constatato come, qui più che altrove, siano importanti concetti quali lavoro di gruppo; scambio di esperienze; circolazione delle informazioni; fiducia e stima. So bene che questa è solo una parte della mela, mentre nell’altra metà ci sono le persone (o i familiari) che hanno subito torti grossi o piccoli, ma non sono un magistrato e non ho da esprimere giudizi di merito. Ho solo da aiutare, in piccolissima parte, coloro che – espiando una colpa quasi sempre certa – hanno scelto la strada della crescita culturale e della comunicazione a mezzo stampa come parte di un percorso riabilitativo cercato e condiviso. Ma tornando al periodico, debbo dire che stiamo ricevendo critiche ed apprezzamenti in ugual misura. C’è chi contesta il poco approfondimento degli argomenti; chi ritiene che vengano trattati troppi temi del carcere; chi afferma che non tutto si può scrivere di ciò che avviene "dentro" – come cerchiamo di fare noi - e chi, viceversa, ci accusa di scarso coraggio. Gli apprezzamenti si riferiscono alla sinteticità pur nella complessità dei temi affrontati; chi trova il giornale "pulito", privo di retorica e gradevole per grafica e foto; chi ci da atto di lavorare con equilibrio e buona volontà. In genere siamo definiti diversi da tutte le testate della specie; e noi speriamo che ci si voglia, almeno, dire meno monotematici e meno cupi. A tutti rispondiamo che la linea del periodico è già tracciata ed a questa linea saremo fedeli: nessuna ricerca di argomenti da scoop ma corretto "racconto" di certe realtà. Tra l’altro esiste un Comitato di Redazione, di cui fanno parte alcune alte figure della Casa, e a cui spetta, giustamente, l’ultima parola. Vogliamo la collaborazione di tutte le componenti carcerarie perché IdeeLibere vuole offrire a tutti la possibilità di far conoscere la propria realtà ed i propri bisogni. E ad una cosa in particolare io, in qualità di Direttore Responsabile, tengo: alle collaborazioni esterne. Siano esse di uomini e donne delle istituzioni; di esperti delle materie trattate, del mondo della scuola e della politica. Già da questi primi numeri si sarà capito che IdeeLibere non vuole essere politicamente o ideologicamente orientato: la nostra "politica" è quella di creare un dibattito attorno alla vita dei reclusi e di coloro che con essi interagiscono, nella speranza di favorire la presa di coscienza delle problematiche – talvolta gravi se non gravissime – esistenti e di conseguenza dare un piccolissimo aiuto e uno stimolo affinché siano poste in atto le misure necessarie. Tutte le idee hanno diritto di cittadinanza (lo dice il nome della testata….) ed anche chi si pone in conflitto con quanto scriviamo noi della Redazione troverà (come ha già trovato) spazio nel giornale. Purché sia mosso da buona fede e da rispetto per le tesi diverse dalle sue. Per poter continuare questa avventura, oltre al sostegno economico di cui abbiamo parlato nel precedente numero, occorre un po’ di fantasia e, forse, un briciolo di utopia. Il numero degli amici e dei collaboratori sta crescendo: è la miglior spinta per andare avanti. Idee, riflessioni, proposte per una detenzione più umana di Enzo Falorni
"Che il carcere sia un contenitore di negatività è cosa risaputa e, di cui, si è scritto fiumi di parole, perciò non sarò certo io a consumare il prezioso inchiostro della mia penna. Voglio, quindi, scrivere di come si può trasformare il negativo in positivo; tutto ciò ha un nome: "Area Trattamentale". Di quest’area fanno parte le scuole, la biblioteca, la redazione di questo nostro giornale, le sale artistiche che comprendono la sala hobby (per oggettistica di legno e derivati), la sala ceramica e la sala pittura. Quanto il tempo sia lento e non passa mai in carcere, noi detenuti ben lo conosciamo. Come la fa da padrone l’ozio e per spezzarlo, niente di meglio che provare a fare un qualcosa che prima da uomini liberi non abbiamo mai fatto, e che avremmo avuto piacere fare o, quantomeno, provare. Ogni detenuto ha la possibilità di iscriversi e scegliere una delle attività suddette a seconda di quella cui si sente portato e provare, così, a far venir fuori capacità sopite o addirittura impensabili e nascoste. Ecco che vi si può scoprire lo scrittore, il giornalista, lo studente che arriva a laurearsi, lo scultore, il pittore. Oggi voglio parlare di un amico detenuto che ha scoperto la vena artistica nella pittura e … che pittura! Giudice Salvatore - questo il suo nome - si può appellare "Pittore" senza paura di smentita. Ogni sua pittura offre un emozione, che come tutte le emozioni colpisce e rimane nella mente e nell’animo. I suoi dipinti "Parlano" non solo di sofferenza dovuta alla carcerazione, ma anche di religiosità, d’amore, di natura, di speranza. Non saprei, fra i dipinti che Salvatore cortesemente ha posto alla mia attenzione, quale sia il più bello. Non sono critico d’arte, tutt’altro! Fra l’altro ha partecipato e vinto dei concorsi, l’ultimo proprio lo scorso anno svoltosi nella città di Siena. C’è però un dipinto (olio su tela) che mi ha particolarmente colpito, e rappresenta tre bianchi cavalli che galoppano sul "bagnasciuga" di una spiaggia a mare. Perché Salvatore ha voluto dipingere questi tre cavalli? Essi rappresentano le tre fasi della fin qui sua giovane vita. Il primo, anzi l’ultimo, quello in coda agli altri, rappresenta il tempo del "Prima carcerazione", il cavallo centrale rappresenta il "Presente in detenzione", il terzo, cioè il cavallo di testa, rappresenta la speranza futura. E’ quest’ultimo che "spruzza" più acqua e, come se fosse purificato, galoppa libero verso immensi spazi, verso l’Aurora di una nuova era di vita. Un grande messaggio che Salvatore con questo dipinto ha lanciato non solo per se stesso, ma come augurio per tutti i detenuti. Lui, è entrato in carcere già da minorenne e, con un altro bellissimo quadro rappresentante un bambino che piange dietro le sbarre di una cella, ha voluto ricordare a monito, quel triste momento. Ecco un esempio, fra i tanti, di come la negatività del buio della carcerazione si possa trasformare in una piccola gran luce, che rischiara e illumina il futuro del dopo. Forse Salvatore, non sarà un nuovo Van Gogh o Cezanne, sarà però un uomo che, nella pittura, ha ritrovato se stesso e fatto nascere l’artista che è in lui. E’ compito della Direzione e degli operatori, tutti, aiutare a non far spengere questa luce, che Salvatore e altri come lui accendono nel loro percorso trattamentale, ma proprio per queste luci far sì che il carcere non sia luogo di buio e di "Ombre" ozianti e vacanti nel … nulla. Ingiusto, inaccettabile, contraddittorio? di Angelo Passaleva*
Accolgo volentieri l’invito a scrivere qualcosa per un giornale "dal" e "del" carcere. E mentre sto cercando di buttare giù qualche pensiero che non sia banale (impresa mai facile), mi passa sotto gli occhi un messaggio di posta elettronica che qualcuno mi ha inviato e che, fra i tanti, mi ha colpito. Mi soffermo su tre aggettivi ("ingiusto, inaccettabile, contraddittorio") che sono riferiti alla particolare situazione vissuta dagli uomini e dalle donne "ospiti" del sistema carcerario italiano. "Nelle carceri oggi non solo non ci si redime, ma molto spesso si peggiora, talvolta si entra da criminale potenziale e si esce criminale effettivo". Mi piacerebbe poter commentare che chi ha scritto così ha esagerato, ha scelto la strada della frase fatta, si è fatto prendere da una visione semplicistica, ha vergato cose inesatte riguardo alle accuse di quella paradossale condizione: l’ozio inutile, il sovraffollamento, la promiscuità, le condizioni igieniche precarie, la inadeguatezza della politica carceraria. Come assessore regionale che si occupa di politiche sociali so bene che le carceri non sono tutte uguali, so che in certe Case si tentano - spesso riuscendovi - esperienze di autentica rieducazione nel pieno rispetto dell’articolo 27 della nostra Costituzione. Ma so anche, in generale, che la situazione è purtroppo quella descritta nei tre aggettivi. E so che la gente comune - le tante brave persone che vivono una vita cosiddetta normale - è troppo spesso estranea, lontana, assente rispetto a quanto accade al di là della sbarre; per questo sarebbe bello (e utile) se fogli d’informazione come "Idee Libere" trovassero una diffusione e venissero letti anche al di là del solito "giro" degli utenti consueti. Sulla stessa posta elettronica leggo anche di un disegno di legge presentato in Parlamento nello scorso novembre per istituire il "Difensore Civico delle persone private della libertà personale". In genere guardo agli istituti della Difesa Civica con un misto di fiducia e di trepidazione: fiducia perché credo molto nelle soluzioni "civiche" ai problemi di rapporto fra cittadino e pubbliche amministrazioni; trepidazione perché ho il sospetto che la Difesa Civica non sia ancora bene entrata nella mentalità italiana (quante volte, a tutti i livelli cerchiamo "per favore" ciò che invece ci dovrebbe spettare "per diritto"? E quante altre volte, a tutti i livelli, siamo in prima linea a ignorare quella cultura della legalità, e della responsabilità, che inizia fin dalle cose più piccole, dalle situazioni più consuete?). Ma l’istituzione di un organismo indipendente per le carceri, che possa avvalersi dei Difensori già operanti nelle singole regioni, la trovo stimolante. Mi pare un’idea da approfondire, sullo stile di quanto accade già in altri Paesi europei, per far entrare nel carcere, spesso teatro di fortissime tensioni, una figura "terza" con caratteristiche di indipendenza, imparzialità e professionalità. Una figura capace di fare il suo dovere non solo nei confronti di carcerati "illustri" ma dell’intera popolazione. Sarà interessante vedere gli sviluppi di questa proposta, se sviluppi ci saranno. Un ultimo pensiero. Sul numero di febbraio/marzo di "IdeeLibere" leggo una riflessione su un "banco di prova" -così viene definito- possibile per alcuni detenuti: le attività di volontariato. Nel momento in cui il volontariato, strumento potentissimo per costruire comunità diverse e migliori, è impegnato in una seria riflessione su sé stesso e sulla scommessa di non perdere le sue radici più autentiche, trovo significativo che dall’in-terno della popolazione carceraria parta un invito a "sporcarsi le mani" proprio con il volontariato. In un generale ripensamento su presente e futuro del sistema carcerario, questa potrebbe essere una strada da non chiudere.
(*) Vice Presidente Regione Toscana di Silvano Lanzutti
Nel precedente numero di "IdeeLibere" è apparso un articolo, che era una proposta, affinché anche noi detenuti venissimo coinvolti in progetti di volontariato. Con nostra grande soddisfazione e anche con un po’ di stupore, abbiamo riscontrato un forte interesse da più parti. Abbiamo dunque pensato bene di tenere informati i nostri lettori sul percorso che tale iniziativa sta facendo. Ad oggi si sono presi contatti con il Gruppo di Volontariato Penitenziario della Misericordia di Siena, ci è stato proposto di appoggiare, come "volontari", il progetto "la poesia delle bambole" dall’Ass. Pantagruel e abbiamo contattato personale dell’ufficio del Sindaco di San Gimignano dopo aver appreso che il Vicesindaco e due Assessori, hanno dato vita ad un progetto proprio per rilanciare il volontariato. Con mera speranza si era proposto alla direzione dell’istituto di attuare un simile progetto e oggi, crediamo ci siano gli estremi per portarlo avanti con successo. In principio abbiamo colto stupore da parte di chi ha ascoltato le nostre idee, ora, come detto, abbiamo preso contatti con più persone e speriamo che il numero si espanda quanto più possibile perché, in effetti, non è tutto così semplice. La nostra proposta è quella di mettere un numero di detenuti (che ne manifestino l’intenzione) a disposizione di un Ass. di volontariato il problema maggiore, però, deriva dalla nostra condizione di detenuti. Pertanto andrebbe individuata, come primo passo, una mansione che si possa svolgere all’interno del carcere; noi vorremmo offrire la manodopera in tutto ciò che possa far risparmiare tempo o denaro alle varie Associazioni, che potrebbero investire in altri modi, sempre nel volontariato. Purtroppo, dai colloqui svoltisi finora, non è emerso nulla di attuabile e, per questo motivo, chiediamo la collaborazione di chi senta che un progetto simile possa essere d’aiuto per chi si trova in difficoltà ma anche per chi, già dal carcere, sente il desiderio di … Questo progetto darebbe l’opportunità a molti di noi, persone che hanno sì commesso un reato ma non si possono definire dei criminali per un solo sbaglio, di dimostrare che hanno la sensibilità giusta per aiutare gli altri. Ma la cosa più straordinaria, sarebbe quella di dare l’opportunità a chi ha questa sensibilità, di metterla in pratica fin da subito, senza dover attendere che sconti la condanna. Ma del nostro desiderio di collaborare con il volontariato ne abbiamo parlato molto, anche se, nonostante tutti gli sforzi, non si sono ancora individuate mansioni che potremmo svolgere noi restando nella condizione di detenuti. Sicuramente, non intendiamo abbandonare l’idea alle prime difficoltà, perciò continueremo a lavorare in questa direzione; chissà che un domani un simile progetto non si espanda sul territorio nazionale e che non vengano proposte leggi che permettano ad un detenuto, con un fine pena non elevato, di lasciare il carcere per impegnarsi in attività di volontariato. Prima di concludere vorrei dire, a chi sente che tutto ciò possa essere un passo positivo, che ogni idea, ogni forma di collaborazione e quant’altro possa aiutarci, verrà accolta con immenso piacere, con un particolare ringraziamento a che si è già reso disponibile ad aiutarci, GRAZIE! Per eventuali idee, aiuti o informazioni, contattare: Lanzutti Silvano e/o Ruggiero Massimiliano a cura della Redazione
In apertura di questo numero abbiamo pensato di fare un resoconto sugli sviluppi dell’atto di clemenza. Con gioia per molti detenuti e rammarico per altri, il 4 Febbraio passava alla Camera la proposta Pisapia - Buemi - Fanfani. Si pensava che le parole del presidente del Senato, Marcello Pera, fossero di buon auspicio: "mi impegnerò", aveva detto "per far si che il testo approvato alla Camera, percorra un binario veloce al Senato". Con rammarico, abbiamo appurato che il testo sembra essersi affossato al Senato nonostante le promesse fatte nel corso dei più accesi dibattiti. Avevamo pensato, e sperato, di poter scrivere un redazionale appositamente sulla conclusione di tutta questa vicenda, che sia stata positiva o negativa ma oggi, possiamo limitarci a dire di essere punto e a capo; la proposta dell’indultino sembra essere ostacolata dalle più totali incongruenze di questo Senato. Come aveva promesso l’On. Calderoli (Lega Nord) "non appena il testo arriverà al Senato, lo faremo a pezzi", così si sta facendo. Nelle conferenze dei ca-pigruppo tenutesi il 25 Febbraio ed il 4 Marzo si è deciso di dar tempo fino al 6 Aprile alla Commissione Giustizia; da lì in poi il testo è passato all’aula per il voto, senza però aver stabilito una data certa. Oggi il Senato è chiuso per le Elezioni Amministrative fino alla fine di Aprile, il che vuol dire che se ne riparlerà a Maggio, o addirittura, forse, si concluderà tutto in un nulla di fatto! Come accadde quasi tre anni fa, sono state illuse, tenute in attesa e in apprensione, migliaia di persone. Ormai si sono abbassati i toni anche da parte dei media, che non danno più spazio a notizie sulle carceri, non danno più notizie sui lavori del Senato, non dicono più nulla. Per gran parte della popolazione ristretta nei 205 istituti italiani, la speranza però è ancora accesa; questo è il punto che più dovrebbe preoccupare. Per questo ci vorrebbe almeno un si o un no, un ni non serve a nessuno e, cosa più drammatica, è che molti detenuti si rendono responsabili di atti di autolesionismo, fino a togliersi la vita; come è successo di recente in alcune carceri sarde: in pochi mesi si sono suicidati ben 5 nostri compagni, alle cui famiglie, va tutta la nostra solidarietà. Purtroppo, è realissima la situazione delle carceri italiane, dove ha preso il sopravvento la violazione dei più banali dei diritti umani: sovraffollamento, precarie condizioni igienico-sanitarie, trasferimenti a centinaia di chilometri dalla propria residenza con la sola motivazione di sfollamento, totale assenza di strutture e materiale medico, mancanza di lavoro e, infine, la mancata applicazione di tutti quei benefici che spettano a molti, ma ne godono solo in pochi! Per ricapitolare il tutto: l’indul-tino passa alla Camera il 4 Febbraio, rimane fermo per circa 20 giorni, si riprende a parlarne il 25 e qualcuno propone di lasciarlo per altro tempo all’esame della Commissione Giustizia, il 4 Marzo si decide di mandarlo al voto ma solo dopo il 6 Aprile. Oggi il Senato è chiuso e, se tutto va bene, se ne ricomincia a discutere a Maggio. Ma su cosa informare i nostri lettori se a noi arrivano solo notizie frammentarie e, soprattutto, se è tutto impantanato al Senato? Ci starebbe a cuore che finalmente venisse data una risposta certa a questo argomento e che si finisca, una volta per tutte, con questo gioco al massacro. Il diritto al sapere è per tutti, anche per i detenuti di Fiorenza Anatrini (*)
Da anni l’Amministrazione Provinciale di Siena collabora con il Carcere "Ranza" di S. Gimignano, e con il Carcere "Santo Spirito" di Siena, con corsi di formazione professionale e azioni di orientamento al lavoro. All’interno del percorso di reintegrazione del detenuto verso la società, il lavoro e la formazione professionale rappresentano infatti due momenti strategici per la riconquista della cittadinanza da parte dei detenuti. Per questo abbiamo cercato di abbattere il muro,o le sbarre, programmando azioni formative, come il corso per ceramisti, per operatori informatici, per operatore di giardinaggio di base, per operatore di restauro edilizio, o come il sostegno all’attività teatrale prevista sia nel carcere di S. Gimignano, che nel carcere di Siena. Nella nostra realtà stanno andando avanti da tempo profondi processi riformatori riguardanti le politiche dell’educazione, dell’istruzione, della formazione professionale e del lavoro, e questo sia in virtù di importanti stimoli dell’Unione Europea, sia in virtù di importanti normative nazionale e regionali. Il diritto al sapere è sempre di più un diritto per tutti, anche per quei cittadini che vivono un disagio o uno svantaggio, ed è sempre di più un diritto lungo tutto l’arco della vita. L’Amministrazione Provinciale di Siena, sulla base anche degli obbiettivi della Regione Toscana, ha previsto specifiche azioni di integrazione dei detenuti, prevedendo in via preliminare le azioni di formazione, di orientamento al lavoro, e cercando un rapporto con le parti sociali, in modo particolare con le rappresentanze del mondo imprenditoriale. Con le associazioni datoriali abbiamo cercato di svolgere una azione di sensibilizzazione all’inserimento lavorativo dei detenuti, sia fornendo loro tutte le informazioni sui vantaggi previsti dalla normativa nazionale, sia fornendo loro l’elenco delle qualifiche dei detenuti ospiti nella casa di reclusione di San Gimignano. Quello che ci candidiamo a fare è la presa in carico della persona detenuta. Questo obbiettivo però deve prevedere un progetto globale di integrazione tra le diverse istituzioni preposte, L’istituzione carceraria, le istituzioni scolastiche, i servizi sociali, l’Amministrazione Provinciale. Un progetto di civiltà che allontani il pregiudizio verso il cittadino detenuto, e lo aiuti invece verso una azione di reinserimento e integrazione.
(*) Assessore al Welfare, Lavoro, Orientamento, Formazione Professionale e Pari Opportunità dell’Amministrazione Provinciale di Siena di Lino Lupone
Ho sempre amato scrivere le mie impressioni, per sfogare le mie tristezze, per fermare i momenti allegri e dare vita alle mie scoperte. Forse, però, più ancora che scrivere, adoro fantasticare, rinchiudermi in un mondo tutto mio nel quale il sogno ha sempre sfumature diverse, sensazioni e pensieri che si fondono tra passato, presente e futuro. Così, ogni giorno, mi concedo dei momenti per perdermi in una sorta di stato illusorio, idealmente contrapposto alla realtà, accarezzando sogni inavverati o desideri appena sfiorati, fino a risvegliarmi da questo magico torpore con la sensazione ancora viva dei miei vagheggiamenti. Tra i tanti desideri c’è n’è uno a cui sono particolarmente affezionato. È un sogno dolce, gradevole che evoca il mare, il cielo, il sole, il viaggio, l’infinito. È la cronaca di una giornata in barca a vela, il remake di un’esperienza vissuta da giovanissimo, quando, frequentando la colonia estiva, uscivo dal porticciolo di Massa navigando il mio optimist (barca a vela di piccole dimensioni). Allora ero piccolo e non potevo godere pienamente di quei magici momenti. Ora, però, potrei allontanarmi dalla costa, uscire dal mare interno per provare la sensazione di navigare in alto mare. La barca che acquista velocità, che si allunga sulle onde con le vele gonfie predatrici del vento di grandi spazi marini. Mi lascio cullare dalla sensazione di sentirmi libero nell’in-finito, come sospeso tra cielo e mare in quella immensa distesa fluttuante. Il vento che aderisce ai vestiti, che sbatte sul viso e trasporta la freschezza e il profumo del mare. Brezze che alimentano l’immaginazione, che esaltano una speciale poetica del mare richiamando le gesta di antichi navigatori, pirati, battaglie e la suggestione di tesori e relitti sommersi, porti lontani e rotte remote e inesplorate. Tutte sensazioni palpabili, affascinanti, che invitano al confronto con una entità che non ha né inizio né fine, che fa tremare e sognare, che può essere il tuo miglior compagno, così come il più subdolo dei nemici. Basterebbe, infatti, riaprire leggermente gli occhi per avvertire l’angoscia di sentirsi naufraghi in un mare che non risparmia, che consuma la sua potenza alimentando immense masse d’acqua gonfie e tormentate, mentre il vento, complice, trasporta nubi scure colme di pioggia. Tempeste seguite da una calma apparente, dal moto impercettibile delle correnti che ci trasportano alla deriva lontano da tutto ciò che ci riguarda e che amiamo. Il mare è un po’ come la vita: illude e appaga. Ma in questa vita abbiamo una coscienza che il mare non ha … colei che può fare la differenza e guidarci verso acque amiche. Il magistrato di Sorveglianza risponde a cura della Redazione
Intervista alla Dott.ssa Maria Letizia Venturini, Magistrato di Sorveglianza di Siena
Conosciamo, ed apprezziamo, il suo impegno di Magistrato di Sorveglianza presso la nostra Casa di reclusione. Le chiediamo se, secondo Lei, tale figura nata come garante dei diritti dei reclusi, nel corso degli anni abbia accresciuto il proprio ruolo oppure sia stata sminuita da eventi esterni. Le competenze e i margini di intervento del magistrato di sorveglianza negli ultimi anni sono sicuramente stati ampliati e aumentati. La tendenza più recente del legislatore in materia penitenziaria è verso una estensione degli ambiti di competenza monocratica (cioè dei settori in cui decide il magistrato da solo, senza la riunione del collegio, del tribunale). Si pensi ai poteri in materia di sospensione pena e di applicazione provvisoria della detenzione domiciliare, attribuiti con la c.d. legge Simeone, alle nuove norme in materia di espulsione, alla riforma della liberazione anticipata. In tal modo si configura il tribunale di sorveglianza come un organo giurisdizionale di secondo grado, che decide su reclami o opposizioni contro le decisioni prese dal magistrato, spesso peraltro senza particolari articolazioni del contraddittorio. L’aumento di competenze (peraltro la liberazione anticipata è adesso estesa anche a chi esegue la pena in affidamento in prova al servizio sociale), costituendo un appesantimento del carico di lavoro ed un aggravio delle incombenze anche per la segreteria dell’ufficio, porta come conseguenza ovvia una riduzione del tempo da dedicare alle visite in Istituto e all’ascolto dei singoli problemi dei detenuti, sacrificando quindi la presenza del magistrato in carcere e la sua funzione di "vigilanza" sull’orga-nizzazione degli istituti. Mi sembra comunque che la qualifica di "garante dei diritti dei reclusi" sia da intendere nel senso della conferma di attribuzione della giurisdizionalizzazione anche alla fase di esecuzione della pena (come ribadito numerose volte anche dalla Corte Costituzionale), e non come se il magistrato di sorveglianza fosse una specie di "avvocato d’ufficio" o di consulente, assistente, portavoce di qualsivoglia lamentela e protesta nei confronti della Direzione, del Ministero o di altri magistrati (figura purtroppo spesso evidentemente ravvisata da chi è detenuto) Quali sono le difficoltà con le quali collide l’applicazione della Legge Gozzini che, se interamente concretizzata, renderebbe praticamente nulli i benefici del c.d. "indultino", ancora tutto da definire, in quanto già consente certe agevolazioni riportate in quel testo di legge? E quali sono i parametri certi per accedere a quei benefici? Premesso che sono contraria a indulti, amnistie, indultini, letti nell’ottica di svuotamento delle carceri, ho anche una pessima opinione dell’attuale progetto di legge sulla sospensione condizionata della pena, comunemente detto "indultino". Effettivamente, non si fa altro che creare una nuova misura alternativa, a carattere temporaneo, che si aggiunge a quelle già esistenti. E quelle esistenti ritengo che il Tribunale di Sorveglianza di Firenze le applichi come previsto e consentito, quando ne ricorrono i presupposti. I "parametri certi" sono quelli scritti nelle norme (soglia di pena, esclusioni per determinate tipologie di reato), i parametri un po’ meno certi, nel senso che implicano una valutazione (e per questo esiste un magistrato, un tribunale, altrimenti bastava un funzionario amministrativo o forse un computer) sono quelli attinenti all’analisi dei "risultati del-l’osservazione penitenziaria" o del comportamento in generale (anche all’esterno del carcere), del vissuto del soggetto, dei reati commessi e dei progetti per il futuro, dell’orientamento che manifesta, delle capacità e delle possibilità che ha. Magistrato, operatori in genere lavorano sull’analisi e sulla prognosi, senza avere - come spesso vi dico nei colloqui in Istituto - la "palla di vetro" e senza quindi pretendere di cogliere la "Verità", ma con l’obbiettivo di formulare un giudizio sul buon esito possibile dell’esecuzione penale esterna. Giudizio, che come tale, può essere criticato e criticabile, rivisto, corretto e modificato nel tempo, maggiormente se cambiano le situazioni o si evidenziano altri elementi. Esistono difficoltà di applicazione della norma della cd "liberazione anticipata" (quaranta cinque giorni di abbuono ogni sei mesi di reclusione). Quali sono le nuove modalità per ottenere tale beneficio? Ed in quali tempi? Sull’argomento, nella sostanza, non è cambiato poi molto. Il detenuto fa istanza al magistrato e non più al tribunale (le istanze già avanzate al tribunale sono peraltro già state tutte trasmesse al magistrato). Si raccomanda di avanzare istanza per almeno due semestri alla volta (così da evitare decisioni ogni semestre per due volte all’anno), salvo ovviamente fine pena imminenti o raggiungimento dei termini di ammissione a benefici con la concessione della riduzione di pena sul singolo semestre. Peraltro, ho già dato disposizione alla cancelleria di verificare la scadenza dei semestri, così da compiere la decisione dopo la maturazione di due o tre semestri utili. Chiaramente, chi vuole segnalare qualcosa o sollecitare una decisione può farlo, come sempre, scrivendo una breve nota o richiedendo un colloquio. Salvo questo primo periodo in cui gli uffici sono "sommersi" dalle istanze trasmesse dal tribunale, la procedura più snella può consentire una riduzione dei tempi, anche se non mi consta che il tribunale di sorveglianza abbia avuto ritardi intollerabili o inerzie. La decisione avviene quindi senza particolari garanzie per il contraddittorio (non si tiene più un udienza), salvo scritti o chiarimenti che possono essere inoltrati in ogni tempo. Contro di essa può essere avanzato reclamo al Tribunale di Sorveglianza nei 10 giorni. Il Tribunale fisserà un’udienza, cui il detenuto potrà partecipare se è ancora ristretto in un carcere del distretto. Il magistrato di sorveglianza che ha emesso il provvedimento impugnato, ovviamente, non farà parte del collegio. Che ne pensa della legge Bossi -Fini? Quali novità ha apportato nei confronti dei detenuti extracomunitari? Si tratta di una legge frutto di scelte politiche e anche di un momento storico difficile per quanto riguarda le immigrazioni. Certamente lo Stato deve porre delle regole e stabilire a quali condizioni è consentito agli stranieri stare sul territorio, tuttavia è difficile regolare con legge un fenomeno di massa così imponente. La soluzione è stata drastica: espulsione.Esistono così ora nell’ordinamento più forme di espulsione, il nome è sempre lo stesso, cambiano i presupposti, gli organi competenti, le procedure. La legge Bossi - Fini impone al magistrato di sorveglianza di espellere i detenuti stranieri con pena anche residua non superiore ai due anni, salvo vi sia condanna per particolari ipotesi di reato (reati tradizionalmente più gravi), salvo limitate ipotesi di esclusione (perseguitati, minorenni, titolari di carta di soggiorno, parenti conviventi italiani o coniuge italiano, donne in gravidanza o che hanno appena partorito). Nell’ottica della legge, l’espulsione assume caratteristiche di "beneficio", ed effettivamente piuttosto che stare in carcere in Italia e poi essere espulsi a fine pena, è più favorevole tornare subito, liberi, nel paese di origine. Del resto, allo stato attuale, nessun permesso di soggiorno viene concesso o rinnovato a chi esce di galera, salvo le ipotesi di cui sopra o la tutela dei rifugiati. Quindi perché espiare tutta la pena in un carcere italiano? I magistrati di sorveglianza hanno sollevato varie obiezioni contro questa nuova forma di espulsione, alcuni hanno sollevato anche l’eccezione di costituzionalità. Indubbiamente la norma presta il fianco a numerose critiche, tuttavia non si può negare che la condizione giuridica dello straniero e del cittadino è di per sé diversa e quindi per alcuni aspetti non può che essere diversa anche quella del detenuto italiano e del detenuto straniero. Mi riferisco in particolare al concetto di "rieducazione" e di "reinserimento". E’ principio costituzionale che la pena debba "tendere alla rieducazione" (art. 27 Costituzione), e quindi anche gli stranieri extracomunitari possono frequentare scuole, corsi di formazione professionale e ogni varia attività trattamentale in carcere. Tuttavia, attualmente, è fortemente limitata la possibilità di "reinserimento" sul territorio italiano, poiché nella maggior parte dei casi lo straniero non potrà regolarmente stabilirsi in Italia pur avendo espiato la condanna. Effettivamente, in simile contesto, è ancor più difficile attuare forme di esecuzione penale esterna e concedere agli stranieri benefici per uscire dal carcere: sia per la generale coerenza del sistema, sia per l’esorbitante ampliarsi del rischio di evasione. Peraltro, anche prima della legge Bossi - Fini, la magistratura di sorveglianza riferiva, a fondamento dei rigetti delle istanze di beneficio con apertura all’esterno, simili concetti (rischio di evasione, assenza di riferimenti sul territorio, assenza di esatta identificazione, "alias", assenza di serie prospettive di integrazione in Italia). I reclusi si lamentano spesso della inutilità o dannosità di certe restrizioni del sistema penitenziario. Secondo Lei hanno, almeno in parte, ragione? E se sì, cosa si può fare per ovviare? Sarebbe il caso di chiarire quali "restrizioni" del "sistema" penitenziario siano lamentate come "inutili" e "dannose". Verosimilmente ci si vuol riferire ad un certo tipo di burocrazia che si deve affrontare in carcere (oltre che spesso nella società libera), per domandine, richieste, telefonate, gestione dei soldi, etc.. Certamente alcune restrizioni sono necessariamente legate alla condizione detentiva e alla funzione di controllo, irrinunciabile. E’ evidente che tutto, o forse molto, può essere migliorato e cambiato. E allora sarebbe il caso di esplicare bene cosa si intende e cosa si vorrebbe, così da poter riflettere in concreto sui problemi. Mi viene in mente comunque un grosso nodo, recentemente ripresentatomi da un detenuto, concernente la possibilità di avere contatti affettivi "di-retti" o di essere messi in condizione di poter procreare (salva la complessa procedura dell’inse-minazione artificiale). Quando era in discussione la stesura del nuovo regolamento penitenziario, il tema dell’affettività e dei rapporti sessuali in carcere fu affrontato, ma poi accantonato, verosimilmente per i troppi problemi pratici che si ponevano. Resta quindi un punto irrisolto, su cui si continuerà a ragionare e a cercare soluzioni idonee al rispetto di più, contrapposte esigenze. Sperando di essere stata sufficientemente esauriente, pur nella necessaria informalità e sintesi, faccio a tutti coloro che lavorano per il giornale i miei complimenti per l’evoluzione che questo ha avuto nel tempo, per l’impegno che vi mettete, per l’interesse degli argomenti trattati e la loro certa varietà, ripromettendomi di intervenire ancora in futuro, se mi ospiterete. Un saluto a tutti i lettori. Fabio Berti e gli alunni dell’istituto A. Volta di Colle
Il risultato di una importante iniziativa. Il prof. Berti e il nostro Direttore hanno incontrato i ragazzi delle terze classi del Liceo Classico "A. Volta" di Colle Val d’Elsa. In due puntate il pensiero degli studenti
Liceo Classico "A.Volta" di Colle Val d’Elsa. In un’aula gremita da tre classi terze (A,B, C, oltre sessanta ragazzi) si è parlato di carcere e di diritti e doveri dei reclusi, delle loro aspettative e del bisogno di sicurezza dei cittadini. Un insieme che solo apparentemente non è conciliabile e che non può essere affrontato per compartimenti stagno. Assieme al Direttore del giornale ed alla Prof.ssa Stefania Fusi, che ha ottimamente preparato l’incontro in collaborazione con altri docenti, abbiamo discusso con ragazzi e ragazze di 15/16 anni su un tema poco conosciuto e che certamente richiederà ulteriori approfondimenti. Ma favoriti forse dalla lettura dei tre numeri di IdeeLibere, inviati per tempo, abbiamo avuto la sensazione di una profonda maturità e soprattutto di una buona disponibilità a capire e confrontarsi con un mondo a torto ritenuto da esorcizzare e emarginare. Chi compie un reato deve scontare la pena, ma l’articolo 27 della Costituzione parla di rieducazione e reinserimento e su questo aspetto si è discusso molto. Qualcuno ha parlato di necessità di evitare sconti di pena eliminando anche misure alternative e atti di clemenza soprattutto quando ci troviamo di fronte a reati gravi, peraltro esclusi dal provvedimento che al momento è ancora in discussione al Senato. Ma in generale è stato compreso il messaggio in base al quale per favorire il futuro reinserimento occorre trovare dei punti di incontro tra il "dentro" e il "fuori", tra i detenuti e la società per ricomporre la frattura creatasi con la detenzione; uno strumento indispensabile per incoraggiare il reinserimento è senza dubbio la formazione, sia quella scolastica sia quella professionale, che può offrire opportunità concrete per trovare un’occupazione. Particolarmente toccante la sensibilità mostrata da quasi tutte le ragazze in riferimento alle "mamme" recluse (o prossime mamme) che debbono crescere i loro figli dentro il carcere per i primi tre anni. Molti studenti hanno accettato l’invito di scrivere brevi pensieri sull’incontro e sul tema toccato. Pubblichiamo, integralmente alcuni di questi scritti. Siamo felici di aver contribuito a far conoscere una realtà così dura e lontana rispetto alla quotidianità di questi giovani liceali pieni di vita e di speranze e avvicinare una piccola parte del mondo che sta fuori alle problematiche del carcere e ai bisogni dei reclusi tra cui, non certo il meno importante, quello di comunicare con l’esterno.
Penso che le carceri dovrebbero essere divise a seconda della gravità del reato commesso, perché non è proficuo per la rieducazione dei detenuti il fatto di permettere, ad esempio, ad un "assassino" di essere a stretto contatto con un detenuto che ha commesso reati minori, come lo spaccio o piccoli furti.
Fabio Berti - Università di Siena
"La legge è uguale per tutti". Chiunque sia entrato in un Tribunale penso sia rimasto colpito da questa affermazione. Ma è sempre vero? Non credo che nessuno, uscendo, non abbia pensato che ciò è impossibile, che la realtà è diversa perché gli uomini possono sbagliare e la Legge è degli uomini. La giustizia è un’utopia: un miraggio nel deserto della società corrotta e ipocrita.
Federico - 3°d
Noi, anche ammettendo una buona condotta durante la permanenza in carcere, non siamo sempre d’accordo sulla riduzione della pena, perché se il giudice stabilisce che debbano essere scontati alcuni anni, non capiamo il motivo per cui questi debbano finire prima. Si potrebbero semplicemente attribuire anni in meno a quelli dovuti al condannato. Riconosciamo però che, nel caso in cui il condannato, durante la detenzione, si comporti bene e riconosca il suo errore, possa essere giusta un’alleviazione della condanna (ma ogni caso va debitamente analizzato). Cosa può spingere un uomo a commettere un atto di crimine, qualunque esso sia? E’ possibile cambiare in modo significativo, quando si passa del tempo in una gabbia?
E. C. V. V. – 3° c
"Potere e libertà" a voi che siete nelle carceri, li hanno tolti chiudendovi quei cancelli alle spalle; a noi che siamo qua fuori li vogliono togliere, li stanno togliendo impedendoci di fare qualcosa anche per voi, che in certi casi vivete condizioni più disumane di quelle che avevate fuori. Da quando un mio vecchio amico mi ha raccontato la sua recente esperienza carceraria, il mio pensiero va spesso a voi che siete rimasti lì. L’interessante assemblea nella quale ci hanno parlato del modo in cui vivete, è un motivo in più per gridarvi il nostro appoggio. Se chi non ha mai sbagliato scaglia la prima pietra, credo che nessuno alzerà un dito contro le vostre persone, quando uscirete. Nella mia piccola esperienza, ogni giorno, vedo che c’è chi sta peccando da decenni ed ancora non è stato punito. So che questo potrebbe essere un motivo per smettere di credere nella giustizia e nella pace ma non lo è. Giustizia, pace, libertà e potere vivranno dentro di voi quando, pentiti di ciò che avete fatto, crederete in voi stessi e in noi, che vi aiuteremo a passare il momento di smarrimento che certe volte qualcuno nella vita ha. Non pensiate che siamo pochi ad avere il desiderio di aiutarvi , di porgervi tutto il nostro appoggio per credere e realizzare una vita in cui non tramonta mai il sole. Porteremo a chi ancora non ha voluto avere orecchie per ascoltarvi, ciò che scrivete nel vostro giornale. Così, sempre più numerose saranno le mani tese verso di voi. Sappiamo che voi le stringerete.
Chiara - 3° a
Sono utili queste attività di giornalismo per i detenuti? Credo di si, perché almeno il detenuto può trovare una strada per evadere… con la mente, dal luogo chiuso del carcere. Mi fa piacere che esistano queste attività ma non ritengo giusto che i detenuti non svolgano dei lavori forzati, che sono molto utili per la società, visto che il nostro paese ha bisogno di costruzioni come ponti, strade, etc. etc. I carcerati vengono mantenuti dallo Stato, che deve pagare il cibo, la politica penitenziaria e tutte le altre cose correlate al carcere. Quindi mi sembra più giusto che i detenuti svolgano dei lavori, che ricambino le spese da parte dello Stato.
D. C. 3° d
Il problema dell'Italia non è quello della società, ma piuttosto della giustizia. Una giustizia che va riformata e inasprita, arrivando anche all'introduzione della pena di morte. Che andrebbe tuttavia attuata solo nei casi più gravi di omicidio e di stupro; se in Italia venisse introdotta, certo molte cose la dovrebbero regolare: in primis, si dovrebbe usarla solo una volta avuta la certezza della colpevolezza dell'individuo, e comunque sempre dopo aver fatto scontare al colpevole un certo periodo di reclusione. Così facendo il dolore dei parenti verrebbe forse attenuato nella consapevolezza che in Italia finalmente le leggi funzionino.
G. F. S. D. 3° c di Massimiliano Ruggiero
Sarebbe bene che le istituzioni si soffermassero, a volte, sugli effetti che alcuni provvedimenti giuridici hanno sullo stesso andamento penitenziario. Provvedimenti che troppo spesso hanno poi effetti contradditori, se si tiene in costante considerazione che si vorrebbero tutelare in modo più concreto alcuni diritti della persona; diritti fondamentali come quello sulla salute. E’ recente il caso di un detenuto che, dopo essere stato trasferito in un ospedale per accertamenti, richiesti dal responsabile medico del carcere in cui il suddetto era ristretto, si è poi… dato alla fuga. Da qui le logiche, e conseguenti, indagini del caso e, ovviamente, i primi provvedimenti; ecco che iniziano a cadere le prime teste e, fra queste, anche quella del medico responsabile, secondo gli organi competenti, del misfatto! Ci sarebbe ora da chiedersi se forse questo medico non avesse fatto meglio a "sorvolare" sulla propria coscienza e su quell’etica professionale che da sempre dovrebbe contraddistinguere la sua categoria. Anche per coloro che operane nelle carceri italiane! La fuga di un detenuto, riflettendoci bene, non può essere addebitata ad un medico, che ha semplicemente applicato quello che la sua professione (e la sua professionalità) gli chiede. Il medico deve curare, non ha il compito di sorvegliare e vigilare sull’incolumità altrui; questo pensiero però, non sembra aver fatto capolino nella mente di chi ha pensato bene di "segare" questo medico. Tali provvedimenti, non possono che portare ad un condizionamento psicologico degli stessi medici, i quali certamente non si sentiranno più liberi di decidere quali misure preventive e quali cure mediche perseguire per i loro pazienti; avranno così, e sempre di più, le mani legate e non saranno quindi liberi di rispettare la loro etica professionale. La sanità, nel suo complesso, troppe volte ha presentato lacune di vari genere. Nelle carceri italiane, tali lacune sono state ulteriormente accentuate di recente, grazie ad una Finanziaria che ne ha sensibilmente tagliato i fondi economici. Da qui se ne deduce facilmente che diminuirà una già scarsa quantità di medicinali, alcuni dei quali di fondamentale importanza ( vedi malati AIDS). Le stesse visite mediche, quelle specialistiche, verranno effettuate sempre più con il contagocce e molti esami verranno effettuati per pochi eletti: i "benestanti"! Se realmente si vuole giungere ad una soluzione, se realmente in Italia si vogliono riconoscere e tutelare diritti come quello della salute, non ci sarà alcun bisogno di aggiungere ulteriori responsabilità ad una categoria, quella dei medici, che ne ha già molte; in un mondo, quello carcerario, dove spesso è facile rimetterci prima la salute e poi la vita.
"Vivere la città" da dentro il carcere…..Sembra un controsenso, ma tutt’altro ! Come noto la prima domenica d’aprile di ogni anno l’UISP Nazionale organizza una manifestazione podistica che, con la partecipazione di migliaia di atleti, attraversa moltissime città italiane contestualmente ad altre europee. La corsa, che come dici il titolo vuole far "conquistare" per un giorno il centro delle città a chi "corre" per hobby, per sport e, talvolta, per semiprofessione, ha, da sempre un grande successo. Quest’anno sono state 50 le città italiane che vi hanno partecipato (tra cui Siena) il 6 di aprile scorso. E trenta quella di altri paesi. E’ stata stilata una classifica città per città ed una globale. Ma non conta tanto chi vince quanto garantire la partecipazione quale messaggio ad un uso più umano delle città. Ma cosa c’entra in tutto questo la Casa di Reclusione di San Gimignano ? Da cinque anni, grazie ad una intuizione dell’UISP Siena e del Direttore D’Onofrio, Vivicittà…si è trasferita in carcere. Il giorno precedente la gara nazionale, atleti esterni partecipano, con i reclusi, ad una competizione su percorso interno. Il carcere di Ranza è stato il primo ad aderire alla manifestazione e ad aprire le porte agli esterni. Anche i reclusi vogliono inviare il loro messaggio culturale e cogliere l’occasione per un po’ di sano agonismo. Sono stati trenta gli atleti esterni a cimentarsi nel percorso assieme ad un buon numero di detenuti, con ottimi risultati tecnici. Ma non era questo ciò che contava. L’esempio ha trascinato e quest’anno sono stati diciotto gli Istituti Penitenziari e Minorili italiani che hanno aderito all’iniziativa: Aosta, Bari, Brescia, Cagliari, Cremona, Crotone, Ferrara, Lecce, Livorno, Milano, Palermo, Parma, Roma, S. Gimignano (SI), Taranto, Varese, Verona e Voghera. A Ranza, e immaginiamo anche nelle altre carceri, è stata una festa. E al termine premi e magliette ricordo per tutti. Anche così viene fatta attività trattamentale e viene creata l’occasione per qualche ora di divertimento e di sport.
|