|
Idee Libere Periodico della Casa di Reclusione Ranza di San Gimignano Anno III - numero 12, agosto - settembre 2004
di Senio Sensi Nell’attento osservatorio del nostro periodico, non poteva mancare una attenzione particolare per la televisione che, in Italia e proprio in questo 2004, ha compiuto cinquanta anni di vita. Sono tra coloro che, senza nostalgie, ama cimentarsi nella visione del "come eravamo…". E quale strumento meglio della tv ci può ricordare il nostro passato, i cambiamenti del costume, dello stesso linguaggio, della vita pubblica e privata del nostro paese ? Rivedendo la tv degli anni cinquanta del secolo scorso, capita di sorridere per l’ingenuità di certi dialoghi, per la pochezza delle scenografie, per la semplicità dei programmi. Ma capita anche di apprezzare la correttezza della disputa politica, l’esibizione del buongusto, l’attenzione per i più piccoli. Oggi, ed ogni giorno di più, le immagini televisive da cui tutti siamo bombardati, parlano il linguaggio della volgarità, del pressappochismo, della superficialità, dell’esibizionismo, della violenza e spesso – diciamolo – della stupidità. Sembra assurdo ma non mancano gli adulatori di questo tipo di "spettacolo", veri e propri videodipendenti che tutto accettano: quasi una droga sottile ed insinuante che, a piccole o grandi dosi, entra in circolo, condiziona nelle scelte di ogni genere, diseduca e fa perdere la dimensione della realtà anziché spiegare il mondo in cui si vive. Eppure il ruolo che una buona tv può assolvere è fondamentale per lo sviluppo civile, economico e sociale di ogni paese. Solo che chi ormai se n’è impossessato, pubblico o privato che sia, lo gestisce per il raggiungimento dei propri fini e sotto il capestro dello share, dell' audience. L’ansia di chi fa tv non è quella di fornire un prodotto all’altezza dei bisogni, ma di catturare i telespettatori; e per far questo tutti i mezzi sono buoni: violenza, sesso, spettacolarizzazione dei drammi umani, creazione e distruzione di personaggi bruciati in poco tempo e quanto di più basso ormai conosce il genere umano. Alcuni spettacoli sono tanto idioti quanto grevi e ci meravigliamo di conoscerne il forte successo che, talvolta, il pubblico, libero o "ristretto" che sia, gli tributa. Sì, perché la tv è anche una compagna insostituibile per chi è privato della libertà e una programmazione che mirasse alla riflessione, alla crescita, alla educazione e rieducazione potrebbe avere notevoli benefici effetti anche per coloro che, in questo caso quasi obbligatoriamente, vivono in compagnia dell’ "amica tv" molte ore della loro solitudine. Se, come è vero, esiste anche una tv "buona" oltre a quella "cattiva", occorre né criminalizzare né esaltare il ruolo di questo moderno elettrodomestico ma semplicemente imparare a selezionare i programmi; ad esempio ce ne sono certi, cosiddetti di approfondimento, che hanno un notevole valore giornalistico e culturale; solo che spesso vanno in onda nella tarda nottata a conferma che… la cultura è sacrificio…! Usiamo la televisione, non ci facciamo usare. (sommario)
Come difendersi dalla cattiva TV Un’arma che tutti possediamo
di Enzo Falorni La Tv ti entra in casa e ti sbatte in faccia le immagini che non vuoi. Ti arrabbi, protesti, mandi al diavolo: a volte Mediaset, a volte la Rai. Ti fa rabbia soprattutto quando a guardare quelle immagini ci sono i tuoi figli. La Tv è in casa, tu l’hai accesa e loro la guardano. Dal punto di vista educativo è come se ci fosse un avallo del genitore sulle immagini che passano. Ma tu, proprio, quell’imprimatur non ti sogneresti mai di darlo. Vorresti parlare ai bambini, spiegare. Spesso però non sai cosa dire. Ti senti impotente. Cambiare canale non basta. Cambi ancora. Il programma non ti piace e torni indietro: c’è la pubblicità che ti aggredisce. Perché la pubblicità è già un peso, ma quando si inserisce in programmi che urtano per il pessimo messaggio che trasmettono ai tuoi figli, pesa ancor più. Quella che doveva essere un tranquilla serata televisiva è ormai da buttare. Non ti resta che una cosa: spegni la Tv. Tutti a nanna. Magari a leggere un buon libro. Ma in questi casi anche il libretto di istruzioni del frullatore nuovo diventa una buona lettura. Protesta serrata e irriducibile. E’ questa la strada del riscatto delle famiglie nei confronti delle prevaricazioni della Tv? Forse si, e comunque vale la pena tentarla. Anche perché di recente il popolo degli utenti televisivi ha a disposizione un nuovo strumento. Si chiama Comitato di attuazione del Codice di autodisciplina su Tv e minori. È stato istituito a inizio 2003 sulla base del Codice di autoregolamentazione siglato il 29 novembre 2002 dal Ministro delle Comunicazioni Gasparri e dai presidenti di tutte le Tv nazionali e delle associazioni rappresentative l’universo delle Emittenti locali. Insomma, se la Tv ti porta in casa di soppiatto le immagini e le idee sulla vita che tu non vuoi, non puoi limitarti ad aprire la finestra per farle uscire. Mai come adesso le famiglie hanno avuto a disposizione strumenti per poter far valere le loro idee sulla Tv. È la grande occasione per far nascere un movimento d’opinione. Basta uscire dalle catacombe ideologiche che ci hanno costruito intorno. Rai, Mediaset, Tv locali, hanno firmato un impegno, promettendo di osservare una serie di regole per proteggere i bambini dalla cattiva Tv. Eppure gli stessi che hanno opposto la loro firma sul Codice di autoregolamentazione Tv e minori, talvolta bellamente se ne infischiano di richiami, sanzioni, raccomandazioni. Basti un esempio, risalente a prima che il Comitato nascesse. Un’emittente locale fu sanzionata dall’Agecom (o Authority) per aver trasmesso undici film vietati ai minori di 18 anni, cosa contraria alla legge Mammì. Ebbene, la multa che l’Authority ha potuto infliggere all’Emittente è stata di 1.032 euro; cioè una multa inferiore ai 100 euro per ogni film vietato. E c’era una violazione della legge, non di un Codice di autoregolamentazione, ripetuta per ben 11 volte. (sommario)
Informazione o disinformazione? Politica e TV: com’è difficile capire!
di Pietro Accardi Anche se in regime di restrizione, per quello che ci è possibile cerchiamo di seguire le vicende di politica interna ed estera del nostro Paese e, di conseguenza, le personalità politiche ad esse connesse. Non potendole vivere in prima persona e non potendo partecipare per forza maggiore ai vari comizi pre e post elettorali; ci teniamo informati tramite le notizie "veritiere" dei media. Da qualche periodo, oltre ad "assorbire" le varie campagne di denigrazione generate gratuitamente dai vari partiti e schieramenti politici, subiamo, come del resto tutti, le informazioni o disinformazioni che dir si vogliano, trasmesse dagli organi competenti. Purtroppo nel nostro caso il problema assume enorme risonanza, poiché non tutti, anzi, in pochi, hanno le disponibilità economiche per acquistare vari quotidiani contrapposti di ideologie e carattere politico, quindi ci dobbiamo attenere alle informazioni che riusciamo ad acquisire tramite i canali televisivi. In questo modo, considerando anche la nostra parziale ignoranza in merito, andiamo in perenne confusione. A questo punto risorgono due specifiche domande: le notizie riportate dagli organi d’informazioni televisivi sono vere o false? Sono dunque, informazioni o disinformazioni? E come può essere possibile che la stessa notizia cambi contenuto e quindi interpretazione da canale a canale? Sinceramente ritengo tale comportamento irregolare, poiché chi opera nei Media non dovrebbe far nascere tutta questa confusione mentale nei telespettatori, soprattutto quando ci si riferisce a notizie di una certa entità sociale e culturale, in quanto il loro dovere è di riportare le notizie acquisite nella totale esattezza e non strumentalizzarle a loro piacimento. Questa tendenza confusionale è divenuta il punto cardine dei media, ma paradossalmente anche degli uomini politici. Per meglio spiegarmi, basta guardare un programma dove si confrontano vari politici di schieramenti diversi. Grazie alle loro liti di piazza, alla loro intenzione di calunniarsi a vicenda, alla mancanza di corretta indole politica, dopo qualche ora bisogna cambiare canale o addirittura spegnere la televisione; poiché oltre ad non essere riuscito a capire nulla, si è colpiti da una confusione enorme e da una formidabile emicrania. Ovviamente ciò non giova all’immagine politica del Paese e negli anni ha generato un rifiuto della politica da parte delle nuove generazioni. Considerando che come si suole dire "ognuno è l’artefice dei propri mali", col tempo i politici interessati pagheranno il loro comportamento personalmente dinanzi all’elettorato, però quello che mi stupisce e mi addolora allo stesso tempo è che gli organi d’informazione televisiva si prestino a queste scene deplorevoli, dimenticando di essere dei professionisti iscritti in appositi albi e di essere stipendiati (alcuni) con i soldi dei contribuenti guadagnati con fatica. Credo che sia arrivato il tempo di mettere fine a questo spettacolo teatrale e che di competenza debba modificare radicalmente la programmazione e lo svolgimento di tutte queste assurde manifestazioni circensi e di disinformazione che non partoriscono assolutamente effetti e risultati positivi. Almeno questo è l’auspicio di un umile cittadino che vorrebbe capire il reale significato della politica e soprattutto la reale funzione dei media televisivi. (sommario)
La nostra difesa da ciò che vediamo in Tv, dove tutto sembra vero e insieme falso in una confusione mediatica che esaspera le emozioni e confonde i valori.
Sempre più spesso, nelle nostre case la televisione finisce per diventare una sorta di totem intorno al quale ruota tutta la nostra esistenza. È il suo palinsesto che regola la vita quotidiana, è sui suoi tempi che devono collimare perfettamente ai ritmi familiari. Quante volte, infatti, ci si trova a cenare velocemente per non perdersi l’inizio del programma preferito? O ancora, la domenica a rimanere chiusi in casa finché non si sono avuti i risultati di tutte le partite? Molto più spesso, però, guardare la televisione diventa un passatempo solitario; stando a dati recenti, infatti, in tante case italiane ci sono almeno due apparecchi. Per godersi in perfetta solitudine il programma preferito… In questo senso c’è un atro dato su cui riflettere: almeno un bambino su due, a nove anni, ha un televisore nella propria camera. Perciò la necessita di far comprendere loro che quella che ci viene presentata dai mezzi di comunicazione non è necessariamente la realtà, ma piuttosto un punto di vista su di essa, che non va sempre accettata o imitata in modo acritico. Difendersi dalla cattiva Tv significa darsi delle regole per imparare a conoscerla. E nel momento in cui ci si accorge che ciò che si sta guardando non rispecchia le regole, i valori, gli stili di vita, non solo di noi ma anche della propria famiglia, bisogna saperlo far notare soprattutto ai propri figli, e cambiare canale… è importante saper fare delle scelte, decidere quali programmi far entrare nella propria casa e per quanto tempo. Stabilire qual è il momento di accendere la Tv e quello di spegnerla. Il richiamo al senso etico di chi fa i programmi non basta. Per migliorare la televisione occorre che lo spettatore/consumatore, usi tutti gli strumenti a sua disposizione. Compreso, quando serve, il pulsante "spegni". Uno dei temi più dibattuti degli ultimi anni riguarda il ruolo sociale della Tv, accusata spesso di annullare le coscienze oppure considerata uno strumento tendenzialmente manipolatorio. A tale pregiudizio si oppone un’acritica difesa dei meriti della Tv: educativa, utile, divertente, strumento di promozione. Fra i due poli di pensiero può essere utile ritagliarsi uno spazio intermedio. Bisognerebbe, per iniziare, cercare di comprendere i meccanismi che conducono il pubblico a subire una serie di meccanismi o, al contrario, a viverli in maniera creativa e originale. In pratica bisognerebbe riprendere il vecchio assunto che allo studio degli effetti dei media preferivano quelli dell’opinione pubblica: non è importante sapere cosa fa la televisione al pubblico ma cosa il pubblico fa "della" e "con" la televisione. Se poniamo la questione in questi termini sarà evidente che chiedersi se la Tv faccia bene o male è del tutto irrilevante. La televisione fa parte dell’industria culturale, spesso - come nel nostro Paese - ne costituisce uno dei perni centrali. I suoi programmi rispondono oggi a logiche commerciali e artistiche così come nel passato rispondevano a logiche prevalentemente pedagogiche. Prima si dava al pubblico ciò di cui aveva bisogno: ma chi decideva quali fossero i bisogni del pubblico? Oggi si da al pubblico ciò che vuole: ma come si stabilisce cosa vuole il pubblico? E chi lo stabilisce? Il pubblico è il vero motore della Tv eppure poche sono state le analisi e le rivelazioni tese a evidenziare cosa le persone fanno con la Tv. Analizziamo dunque la questione della fruizione televisiva partendo dal pubblico: come districarsi nella ridondante offerta televisiva? Può tornare utile ricorrere al concetto di "qualità". Non a un generico concetto "moralistico" di qualità del prodotto, con i suoi criteri di valutazione estetica, ideologica, etica, bensì all’idea di qualità del progetto. È a questo livello che si colloca la responsabilità sociale degli operatori che dovrebbero riuscire a far crescere la qualità come l’abbiamo definita, resistendo alla tentazione della realizzazione di prodotti di bassa qualità ma ad alto rendimento commerciale. È evidente che, realisticamente, non può bastare un richiamo al senso etico degli operatori; al tempo spesso non sono né utili né auspicabili forme di censura e controllo, che peraltro risulterebbero del tutto inefficaci. E allora? La televisione è uno di quei terreni sociali su cui è necessario innestare una vivace dialettica fra operatori e pubblico; le audience hanno un ruolo centrale, sia come cittadini sia come "consumatori". Da qualche tempo si sono moltiplicati gli appelli al senso etico dei consumatori e questo ha determinato una maggiore attenzione alle modalità di realizzazione di prodotti alimentari e non. Spesso si dimentica che i telespettatori sono quelli che decretano successi e insuccessi di programmi Tv e possono giocare un ruolo importante ricorrendo alla legge, alla pressione esercitata attraverso le associazioni ma anche alle scelte di acquisto: scegliere di non acquistare il prodotto di un azienda che sponsorizza un programma che offende la dignità umana (è successo di recente) può costituire uno strumento per affermare i propri valori. Le potenzialità dei mezzi di comunicazione sociale sono enormi; essi rappresentano una grande opportunità (si pensi alle esperienze più avanzate di Tv di impegno sociale) e un grande rischio (dalle forme di manipolazione a quelle di omologazione culturale). È necessario che operatori e famiglie ricordino sempre che "la comunicazione, in ogni sua forma, deve sempre ispirarsi al criterio etico del rispetto della verità e della dignità della persona umana". Perché questo avvenga è necessario comprendere le potenzialità che abbiamo come telespettatori - consumatori - cittadini e magari imparare a padroneggiare i tanti strumenti a nostra disposizione: dalle leggi al buon senso, dal consumo consapevole all’acquisizione delle competenze per comprendere i messaggi mediali. Per guardare la Tv sfruttandone le tante potenzialità senza subirne i rischi occorre guardarla con attenzione. Sapendo che si può scegliere. Sapendo che, qualche volta, si può anche spegnere. (sommario)
La TV… "svestita" può piacere, ma…
di Kasa Erzen Da molti anni la televisione è un oggetto onnipresente nelle case degli italiani e negli ultimi anni ha invaso letteralmente quasi tutte le stanze d’ogni casa. Durante un incontro settimanale, al "Seminario del sabato" presieduto dai volontari della Misericordia di Siena, abbiamo affrontato quest’argomento da cui è nato un bellissimo confronto, molto costruttivo. I punti che mi hanno maggiormente colpito sono: la psicosi di avere un televisore "personale" poiché nell’era del consumismo è impensabile che si possa guardare insieme un singolo programma, ma ognuno dai più piccoli ai più grandi, ha la tv "esigenza" che va rispettata ed accontentata. Assurdo, ma vero! Comunque questa è solamente la punta dell’assurdità, poiché la vetta del paradosso è raggiunga dalla volgarità gratuita utilizzata dagli spot pubblicitari che senza nessuno scrupolo, in qualsiasi ora del giorno e della notte, trasmettono corpi, praticamente scoperti, al solo fine di reclamizzare e di conseguenza vendere il prodotto rappresentato. Sinceramente non ho mai capito che senso ha mostrare una bella ragazza svestita distesa su una macchina per vendere l’utilitaria o, una donna "svestita" in modo provocante per vendere un paio di scarpe. Ma ciò è normale se analizziamo le intrattenitrici dei vari varietà pomeridiani e serali dove l’attrazione principale sono le letterine o le veline. Premetto che questi programmi sono trasmessi nella fascia oraria "protetta", in altre parole in quelle ore dove i bambini possono guardare la televisione senza il minimo dubbio di guardare scene o immagini che possono turbare o modificare la loro psiche. Da queste osservazioni, dopo esserci confrontati civilmente, ci siamo trovati d’accordo ed abbiamo ammesso che questo iter quotidiano di trasmissioni e di immagini al limite della decenza oltre ad essere poco serio è senza dubbio improduttivo. A questo punto però una giovane volontaria, molto perspicace, ci ha fatto notare che sono i programmi più seguiti dalle masse e molto probabilmente dagli abitanti del pianeta carcere, quindi le ipotesi sono due: o ci stiamo tutti impantanando nell’illusione della bellezza esteriore senza analizzare la sostanza, o critichiamo il tutto ma alla fine è quello che ci piace guardare. Effettivamente a distanza di molti giorni non saprei rispondere con molta imparzialità a questo quesito poiché ritengo giuste le tesi sopra elencate, ma come si suole dire anche l’occhio vuole la sua parte. L’unico dato certo è che grazie a questo confronto con i volontari abbiamo trascorso due ore in modo diverso e divertente. In conclusione queste immagini sono un vero problema soprattutto per un pubblico infantile. E anche questo è un aspetto negativo dell’evoluzione mediatica. (sommario)
di Santo Nicotra Alcuni giorni fa ho appreso dalla Tv una notizia che mi ha lasciato senza parole. Una ragazzina si è buttata giù da un ponte perché non andava bene a scuola. Io penso che questa non sia la sola causa che ha fatto scattare la molla per il suicidio. Mi sembra troppo riduttiva come ipotesi. La famiglia gli amici, la scuola? Dove erano questi punti di riferimento? Forse anche questa seconda ipotesi sa troppo di risposta sbrigativa e superficiale. Mi sono soffermato molto a pensare, ma quello che trovo difficile da capire è quali sono i segnali veri, inequivocabili, che permettono l’intervento di chi, a vario titolo, è accanto ai ragazzi di questa generazione, e che permettono di accorgersi quanto può succedere da un momento all’altro. I silenzi, i piccoli scontri, la solitudine, o le piccole manie, insistenze, la non concentrazione, lo svincolarsi dalle responsabilità, il pensarsi "immortali" o il non dare nessun valore alla loro vita… sono segnali? Non sono io ad affermare che tra "i mestieri impossibili" c’è quello del genitore, quello dell’insegnante, che magari, a loro volta, sono anch’essi genitori che vivono analoghe ansie o sgomenti… e che non ci sono ricette già pronte del tipo di quelle di come si può fare per cuocere una buona torta. Certo è che oggi l’aspetto preponderante della famiglia è quello che delega ad altri contesti la responsabilità di educare, di guidare i propri figli, se non completamente, in larga misura. Quel che è peggio è che lo fa attribuendo questo compito anche a soggetti "inanimati" come la televisione. Un compagno apparentemente comodo, indolore, che non crea disagio perché è alla portata di tutti, che non sporca gli abiti, come nel giocare a pallone nel cortile con gli amici, e che piace. Sembrerebbe tutto possibile specchiandosi in quel video. Messaggi che sottolineano l’essere dei "fenomeni"… attrici, cantanti, ballerini, veline… tutti possono aspirare a conquistarsi un posto nel modo dello spettacolo. Ragazzi che solo indossando quel particolare tipo di jeans riescono a sopravvivere anche attraversando le pareti di una casa; e gli esempi sarebbero infiniti. E che si soffre di ansie represse… Questo è il male che affligge la maggioranza della popolazione mondiale. Di questi casi nel mondo, e nel nostro paese, se ne sentono quasi tutti i giorni: "Bambino uccide un suo coetaneo a scuola con un colpo di pistola… ragazza scappa di casa non si sa per quale motivo…". Chi scrive è uno che ha convissuto con questi problemi e solo ora che tutto si complicato, si accorge che in passato le cose non andavano bene con le persone che mi circondavano. Eppure i tempi non erano così accelerati come lo sono oggi visto che si corre sempre e non si ha mai tempo, quel tempo che vogliono i ragazzi per essere ascoltati e tenuti in considerazione, perché hanno bisogno delle attenzioni di qualcuno che li consideri, che li aiuti giocando con loro, ascoltando e condividendo i loro spazi fisici e mentali. Oggi gli affetti, il tempo, la condivisione sono sostituiti dalla tecnologia e dal consumismo. Si risolvono le carenze affettive con i regali di cellulari, computer, abbigliamento alla moda e tutte quelle "stranezze" che esistono oggi. Il vero problema oggi è che non si ha più tempo per stare con i propri figli. Non credo che la famiglia di quella ragazza le facesse una colpa se a scuola non andava bene e aveva dei brutti voti, perché quelli erano tutte cose che si potevano rimediare. Per mantenere gli standard dell’apparenza al loro "gruppo" di coetanei bisogna presentarsi in un certo modo, con certe caratteristiche esteriori che costano e che per essere garantiti portano il genitore, anzi i genitori, a lavorare entrambi e a stare con i figli quando ormai tutte le energie sono state depositate in altri spazi. Così si dà vita a una frustrazione che colpisce gli uni e gli altri. Anche tra i ragazzi c’è chi tende ad imporsi e a primeggiare come se tutto fosse dovuto. Si nascondono da paure e insicurezze non comunicate… tutti abbiamo responsabilità! Forse il primo passo sarebbe quello che ognuno di noi si riappropriasse del proprio ruolo. I genitori pronti anche a dire di no, gli insegnanti a guardare oltre al profitto didattico e a rimettere al centro della loro professione lo studente/persona in quanto tale con le proprie potenzialità; i figli ad accettare la loro dimensione di figli per i quali è normale subire una sgridata, un divieto. Allo stesso tempo dovremo dimenticare che ad ogni azione che compiamo, per il ruolo che rivestiamo, deve corrispondere una intenzione vera! Forse l’intenzione motiva anche una eventuale ansia o frustrazione… Dovremmo avere il coraggio e la responsabilità di dare un esempio. È un nostro dovere così da renderli pronti davvero a vivere gli esami che la vita li chiamerà a superare. Proprio perché questi… "non finiscono mai…!". (sommario)
di Effe Per Enzino lo sport era un’attività importante. Ne parlava spesso con i compagni di classe e inevitabilmente si creavano tensioni. Il problema non erano le differenze di vedute sui campioni preferiti, ma anche sul modo di intendere lo sport stesso. Enzino aveva capito che il fulcro di tutto quel parlare e di quell’agitarsi, per i suoi compagni, era un verbo: vincere. Gli amici pensavano che uno solo arrivava primo mentre tutti gli altri si dovevano accontentare di posizioni secondarie che nella sostanza erano sconfitte. Nel suo gruppo a nessuno piaceva perdere, anche per la sequela di epiteti che un cattivo risultato comportava: "Sei una gallina", "non hai classe", "ti manca il fisico". Quanto a Enzino, non era né Adone né uno di quei ragazzi, il cui fisico fa supporre record olimpionici. Tendeva anzi ad avere qualche chilo di troppo e aveva un’aria tranquilla, come di chi pensa alle cose e non si lascia trasportare troppo dagli impulsi. Non un pacioccone, ma uno di quei ragazzi che non amano troppo la bilancia e considerano i responsi che essa dà del tutto secondari rispetto al senso della vita. Aveva tentato di favorire tra i compagni giochi senza vincitori né vinti, giochi di puro divertimento. Ma sempre qualcuno inseriva una sfida e inevitabilmente si giungeva a una competizione con un solo vincitore e tanti vinti. E poi si discuteva all’infinito se il vincitore avesse approfittato di una disattenzione altrui o avesse messo in atto una piccola furbizia. Enzino si accorgeva che nello sport tutto diventava agonismo, che significa avere un nemico da battere: correre in bicicletta, partecipare a una maratona, calciare un pallone. Enzino, dal canto suo perdeva quasi sempre ed era perennemente canzonato dai compagni. Ormai iniziava a sentire la voglia di ribellarsi, tanto da giurare di mangiare meno cioccolato, di fare ginnastica e di stare meno davanti al televisore. Un programma di cambiamento faticoso, troppo faticoso. Ecco perché aveva ripiegato su uno sport che immaginava senza doveri, perché solitario: l’atletica leggera. Ma ben presto aveva scoperto che anche in questo caso un atleta, pur essendo solo con se stesso, si trova in lotta con un nemico che non c’è ma è come se ci fosse. Un nemico costituito da un orologio che segna il tempo entro cui completare l’esercizio o un metro che indica l’altezza da raggiungere nel salto in alto. Lo sport inteso come voglia di vincere, come guerra con un altro che realizza risultati migliori dei propri, portava Enzino a desiderare un corpo diverso, uno scatto più fulmineo, uno sprint che gli mancava. A sognare di essere, in buona sostanza, una persona diversa. Lo sport allora diventava una guerra e non una attività per divertirsi, stare insieme agli altri e liberare un po’ di energie. Enzino però capiva che la serenità non sta nell’arrivare primo, ma nell’essere se stesso e nel fare ciò che diverte e che è compatibile con le proprie forze. C’è chi attraverso lo sport diventa una macchina, chi invece impara a crescere e a perseguire la serenità. Enzino non saliva mai sul podio ma aveva un bel sorriso. Il sorriso di chi ha comunque vinto qualcosa. (sommario)
di Francesco Seminerio Durante lo scorso maggio, grazie ad un "protocollo d’intesa" tra l’Università di Siena e la Direzione dell’istituto di Ranza, si è celebrata una conferenza in merito al percorso universitario, presieduta dal preside delle detta università nonché della facoltà di economia Franco Belli, dal docente di scienze politiche Fabio Berti e dalla responsabile dell’ufficio accoglienza, orientamento e tutorato Ginetta Betti. Alla citata conferenza hanno partecipato anche la responsabile dell’area pedagogica Amelia Ciompi, il direttore dell’istituto Luigi D’Onofrio e l’educatore Lo Mascolo, gli studenti del IV e V Igea e tutti i detenuti che ne hanno fatto richiesta. Premesso che non avevo mai partecipato ad una manifestazione culturale del genere, nella mia mente impensabile in questo luogo, sono rimasto molto colpito dalla semplicità del corpo docenti e dalla loro disponibilità. Il confronto si è svolto nei migliori dei modi, è stato molto costruttivo ed è una nuova barriera sostanziale che viene abbattuta verso il "mondo degli irregolari". Magari la mia riflessione può apparire esagerata per alcuni, ma posso assicurarvi che questo traguardo ha nel suo insieme favorito l’acquisizione di altri traguardi importanti. Innanzitutto permetterà ai diplomati del 2004 di poter continuare il percorso scolastico intrapreso, e non è cosa da poco per tutti i detenuti come il sottoscritto che hanno scontato la passata detenzione in istituti dove non esistevano corsi di scuola media superiore. Ma il passo fondamentale, espressione utilizzata durante la conferenza dal direttore, è che finalmente è stata murata la "pietra miliare" all’operatività del polo interno. Comunque l’aspetto positivo che mi ha colpito maggiormente è la propensione all’aiuto didattico dimostrato dall’ateneo Senese, che tramite i suoi rappresentati ha esposto con molta chiarezza e professionalità l’intenzione reale di venire incontro alle necessità dei detenuti, future "matricole". Ovviamente il cammino universitario non è affatto semplice, anzi, è molto impegnativo, ma qualora vi fosse la necessità l’ateneo invierebbe sia il materiale didattico che gli studenti tutor, che aiuterebbero i richiedenti. La conferenza, dopo un’interruzione per la pausa pranzo, è proseguita con una conferenza interessantissima presieduta dal professore Belli sulla tematica "Etica e Denaro" e in seguito con una eccellente interpretazione della favola di Pinocchio. Concludendo, voglio semplicemente dire che se verranno mantenute le premesse, anche nel nostro "mondo" questo passo fondamentale, è sinonimo dell’abbattimento di un muro altissimo, poiché facciamo parte tutti della stessa società e la cultura è un pilastro fondamentale di qualsiasi essere umano. Un plauso particolare al professore Belli che ci ha fatto trascorrere una giornata diversa ed allegra grazie al… suo Pinocchio. (sommario)
di Franco Maurici La scuola intesa come speranza non nasce da una visione del mondo rassicurante e ottimista, bensì dalle lacerazioni dell’esistenza vissuta e patita senza veli, che crea un’insopprimibile necessità di riscatto!! Lo studio in carcere deve essere un veicolo trainante che ti possa, in futuro, aprire la mente, il cuore e l’animo verso un percorso che, basandosi sui dettami costituzionali, deve tendere all’inserimento ed alla rieducazione. La scuola deve assolvere al ruolo di ponte che colleghi in maniera positiva l’ignoranza innata dell’essere umano e la cultura a cui essa vi può permettere di abbeverarvi. "Nati non foste per vivere come bruti ma, per seguire virtute e conoscenze". La dicitura di Dante Alighieri ben si addice a chi si avvicina allo studio in carcere: fare ammenda dei propri errori trascorsi è sintomo di intelligenza; la scuola in carcere a ciò serve: leggere, scrivere, confrontarsi con altri e apre a nuove esperienze. Aiuta soprattutto a metterti in discussione con chi ti insegna l’abbecedario, per sentirsi più facente parte del genere umano. I miei ricordi fanciulleschi mi portano al suono di una campanella con cui si indicava l’inizio e la fine delle lezioni del giorno di scuola. Oggi il tintinnio dello sbattere dei ferri non produce il medesimo effetto ma, paradossalmente, mi aiuta lo stesso a sentirmi parte integrante di un sistema che a priori respingo ma che forse mi rende libero dentro. Gandhi diceva: "Sii tu il cambiamento che desideri veloce nel mondo!". Ecco, io, studiando, cerco di sentirmi parte del cambiamento che deve avvenire nelle carceri Italiane e la scuola in carcere fa da collante tra il vecchiume che esisteva e la volontà illimitata del nostro futuro di uomini reclusi ma liberi di mente, cuore ed animo! (sommario)
di Antonino Ragusa Dalla metà di febbraio del corrente anno è iniziato anche un corso di musicoterapia per il momento riservato all’isolamento. Il corso è tenuto dalla musicoterapeuta Alexandra Patzak nella cui formazione sono da annoverare il canto, lo studio del pianoforte con particolare riferimento al classico e al Jazz e ad altri tipi di musica. La musicoterapia è un processo interpersonale in cui le esperienze musicali vengono usate per migliorare, mantenere o ristabilire il benessere della persona, fa parte della terapia espressiva, aiuta le persone a contattare se stesse, gli altri e l’ambiente, facilita la creatività e favorisce la riduzione delle tensioni psicofisiche. In pratica vuol dire che si ascolta musica insieme, si suona su strumenti elementari (tamburi, xilofoni, percussioni…) e si usa la musica come "linguaggio alternativo" per esprimere e riconoscere le proprie emozioni e per lavorare su se stessi in modo creativo. Non sono richieste conoscenze musicali per la partecipazione al corso (nessuno dei partecipanti ha nozioni di musica) e non sono previsti giudizi e valutazioni finali ma si tende a valorizzare le proposte dei partecipanti come risorse e potenzialità individuali: l’obiettivo è soltanto la crescita della persona nella sua globalità. La musicoterapia fornisce stimoli e motivazioni alle persone, è socializzante, dà uno stato di benessere e migliora il tono dell’umore. Queste nuove esperienze culturali e socializzanti, a mio parere, stanno già dando dei frutti e un ringraziamento per tutto ciò va al signor direttore D’Onofrio, alla dottoressa Ciompi e a tutti i volontari che si adoperano in questa direzione. (sommario)
di Senio Sensi Il Palio di Siena è famoso in tutto il mondo. Gli estimatori crescono tra le fila di coloro che amano le tradizioni, il calore delle passioni, gli spettacoli fatti dal popolo per il popolo. In un ipotetico "borsino" stanno calando i denigratori, eccezion fatta per quelli in malafede che vedono solo ciò che vogliono, una volta capito che il cavallo è per i senesi sacro e pur di tutelarlo al massimo possibile hanno inserito regole che rischiano di modificare pesantemente le radici della festa. Va bene così. La festa, appunto; che questo sia è incontestabile: per le masse di gente che muove, per i colori, i suoni, le emozioni che suscita, per la gioia che i bambini provano a contatto con gli animali e in stretta vicinanza con i valori giusti: fede in qualcosa, orgoglio di appartenenza, amore per i propri colori e per la propria bandiera. E scusate se, oggi, è poca cosa! E’ anche vero che il clima festoso rischia di perdersi se continueremo a caricare il Palio di tensioni eccessive, di ansia da vittoria, di drammatizzazione di ogni evento ad esso collegato come se l’affermazione della propria Contrada fosse questione di vita o di morte. Difetti eliminabili e minor cosa rispetto alla positività concreta dell’evento. E poi la libertà: mi suggerisce questo tema proprio il "foglio" sul quale scrivo queste brevi note. Non quella di cui si è privati quando si vive in stato di reclusione. Né, tantomeno, quella dalle oppressioni, dai regimi, dal totalitarismo: ben altro ci vuole che una corsa di cavalli…! Questo tipo di libertà, che peraltro non contempla la trasgressione alle leggi dello Stato (pur se qualche nostalgico senese amerebbe tornare alla Repubblica di Siena…), né ai comportamenti propri di una società civile, è qualcosa di poco palpabile ma reale. La libertà di cui si nutre il Palio, e con la quale si autoalimenta, è quella piccola piccola ma non meno utile per una qualità della vita di alto livello, per cui ogni membro della comunità è un soggetto importante indipendentemente dal ceto sociale al quale appartiene. È quella per cui c’è piena autonomia nel gestire la Contrada come corpo sociale libero di darsi regole proprie o quella di potersi godere i luoghi del proprio rione (della propria piccola patria, se mi passate l’iperbole) che almeno 8 giorni l’anno diviene il "tuo" territorio, senza auto, da vivere fino a notte fonda magari cantando assieme – non esiste espressione più bella per cimentare amicizie – le dolci serenate senesi. Ma la libertà più bella è quella di essere se stessi in una comunità di eguali. Un lusso che non può permettersi più nessuno. Nemmeno le organizzazioni più radicate nella vita sociopolitica del nostro Paese. Siamo davvero in tanti ad amare il Palio di Siena. (sommario)
Anche noi siamo parte della società Lettera dal carcere: pubblichiamo la lettera inviata da un nostro redattore al mensile "Sempre" e la risposta di don Benzi
Carissimo don Oreste, Grazie alla bontà della volontaria che fa parte della vostra associazione ed opera presso la Casa di Reclusione di San Gimignano (SI), ho avuto l’onore di leggere la vostra pubblicazione e le sue encomiabili richieste in merito al "mondo carcere" e ai suoi componenti effettuate al Parlamento Italiano. Innanzitutto condivido e sottoscrivo tutto ciò che con immensa chiarezza lei "grida" da tempo. Purtroppo la società per molto tempo ha considerato l’universo carcere come una piovra da cui proteggersi, credendo erroneamente che le colpe debbano essere attribuite ai semplici esecutori materiali e soprattutto che "questi soggetti" debbano essere emarginati per il bene della collettività. Entrambi sappiamo che questa tesi è inverosimile e soprattutto immorale. Con questo non voglio assolutamente dire che debbano sottrarci alle nostre responsabilità, ma allo stesso tempo la società deve considerarci parte integrante di essa e il periodo di carcerazione deve essere utilizzato ai fini educativi e risocializzativi come previsto dalla legge. Quindi la ringrazio personalmente per il contributo, simbolo indiscusso di bontà e fede divina e mi auguro che i signori che siedono nella stanza dei bottoni considerino quanto da Lei esposto e che ci sia sempre una maggiore apertura della popolazione nei confronti di chi con dignità e umiltà, nella sofferenza paga i propri debiti con la società. In attesa di ricevere sue notizie, La ricorderò nelle mie preghiere con il Santo Padre. Francesco Seminerio
Carissimo Francesco, Gli incontri con i fratelli che vivono nel carcere di San Gimignano sono per me sempre un dono. Porto un paragone: una mamma che ha un figlio che ha ucciso qualcuno, non dice mai: "Mio figlio è un assassino", ma dice: "Mio figlio ha sbagliato" e crede fermamente che, se trova chi lo aiuta, il figlio possa redimersi. La gente normalmente riduce le persone ad un atto compiuto. Si dice: "Quello è un ladro", invece di dire: "È una persona che ha rubato". Dicendo che è un ladro, l’altro è giudicato, eliminato per sempre; dicendo che è una persona che ha rubato, proprio perché è una persona può salvarsi e deve essere salvato. In una parola, l’uomo è più grande del suo peccato. Una volta che si è certi che chi ha sbagliato è pentito e vuole vivere la sua vita rinnovata, bisogna fare tutto il possibile perché possa inserirsi nella società come ogni altro uomo. La sua volontà di riparare il male fatto è la garanzia del suo pentimento. Continueremo a lottare per rendere inutile il carcere. Don Oreste Benzi (sommario)
Un eroe da prendere in esempio
di Ndreja Ferdi Secondo il mio modesto parere, ogni persona ha un suo eroe che nell’esempio delle sue gesta, ci da la forza per superare quei momenti di difficoltà immancabili nel percorso della vita. Il mio eroe è Shenderbeg (1414-1468). Eroe nazionale per antonomasia dell’Albania, mia patria. Del perché Shenderbeg è il mio eroe, ne devo riportare velocemente parte della sua storia. Nacque nella città di Kruja, situata al centro nord dell’Albania, la sua famiglia di nome Kastrioti lo chiamò Gjergj. Da piccolo venne prelevato dagli Ottomani per mandarlo nelle scuole militari Turche, così come migliaia di altri bambini albanesi. Gjergj fu obbligato a cambiare la sua religione Cristiana in Musulmana e fu chiamato Shenderbeg. Divenne un ottimo soldato e un bravo comandante ma portava la sua Albania, allora occupata, sempre nel cuore. Fu così che nel 1443 all’età di 38 anni disertò dall’esercito Ottomano e con un battaglione di soldati Albanesi, che disertarono anch’essi, ritornò nella sua città di Kruja per liberarla. Scacciò gli invasori e il 28 novembre del 1443 vi proclamò il "Principato libero d’Albania". Ciò stimolò la voglia di libertà in tutto il popolo Albanese e Schenderbeg venne eletto comandante supremo dell’esercito a capo della "Lega Albanese". Le battaglie per la libertà che fece furono tante, come i libri di storia Albanese ben riportano, e non è certo su questo foglio che posso descriverle tutte. Shenderbeg morì nel 1468 per un attacco di febbre, diventando il simbolo del desiderio di libertà del popolo albanese. Quel desiderio di libertà entrato nel Dna di ogni uomo e donna Albanese, un desiderio di libertà che mi ha accompagnato e mi accompagna personalmente in ogni momento, e non perché sono rinchiuso in una prigione Italiana, ma perché la libertà di cui parlo è libertà da ogni oppressione, da ogni ingiustizia, dalla povertà, dalla fame. La libertà di poter vivere degnamente in ogni nazione del mondo, di costruirsi un futuro e una famiglia dove i figli possano vivere in pace. La libertà di poter vedere una grande futura nazione albanese; libertà da oppressioni, da faide o quant’altro ne possa turbare la vita di un popolo che vuole vivere nella sua patria, e non costretto a trovare una difficile fortuna in altri luoghi. Shenderbeg sognava tutto questo e per questa realizzazione ha dato la vita. L’esempio di questo grande eroe mi seguirà sempre. (sommario)
|