La Rondine

 

La Rondine, una voce dal carcere

Periodico dei detenuti della Casa di Reclusione di Fossano

Gennaio 2006 - Numero 19

 

Si chiude il 2005 ma i problemi restano irrisolti

I trent’anni dell’Ordinamento Penitenziario

Perdere il lavoro a 59 anni per scontare 5 mesi

Il Centro Servizi Sociale Adulti cambia nome ma non le sue competenze

Una giustizia debole con i forti e forte con i deboli

Oggi ho sognato

Speciale Natale - Siamo venuti per adorarlo

Il piccolo mondo del S. Caterina specchio della lotta antifascista

L’8 settembre 1943 al Santa Caterina

Notizie

 

Entusiasmo alle stelle per la pop-star Nek

Festa della Polizia Penitenziaria

Premiato ad un concorso letterario un ospite del S. Caterina

Continuano le presentazioni del libro "Il gambero nero"

Il lavoro esterno al carcere

Convegno a Cuneo sui problemi dei detenuti stranieri

Arrivederci, Ionel!

Grazie, ragazzi!

Pensieri

Vieni al Santa Caterina!

Si chiude il 2005 ma i problemi restano irrisolti

 

Si chiude il 2005 ma i tanti e urgenti problemi che pesano sul pianeta carcere rimangono aperti. Il sovraffollamento degli istituti di pena ha raggiunto livelli inaccettabili per un paese civile. Nel 1990 c’erano circa 30mila detenuti e 6300 misure alternative: in tutto 36300 persone. Oggi invece, i detenuti sono circa 60mila e le misure alternative più di 50mila; ma non basta, perché sono 70mila le esecuzioni penali sospese per un totale di 180mila persone; il quadruplo di 15 anni fa.

Concretamente vuol dire che in una cella adatta a quattro persone ce ne sono invece sei e di queste sei, tre sono straniere e due tossicodipendenti. Questo significa che le nostre carceri sono riempite di persone in situazione di precarietà che dovrebbero trovare risposte sociali alle loro difficoltà e non la reclusione, che sposta soltanto nel tempo il problema, aggravandolo e complicandolo ulteriormente.

Rispunta nel mondo politico l’ipotesi amnistia (che snellirebbe anche il numero di processi) o indulto (che agisce sulla sola esecuzione penale) ma qui, in carcere, non se ne vuole sentire parlare. È un delitto far coltivare speranze e illusioni in chi ha come unico scopo la riconquista della libertà. È peggio del supplizio di Tantalo!

Le leggi approvate recentemente (vedi ex Cirielli) o in via di approvazione (legge Fini sulla tossicodipendenza) incrementeranno ancora il numero dei detenuti appartenente alla fascia più debole. Nei carceri aumentano le tensioni e le violenze, i casi di autolesionismo e di suicidio, le malattie virali e a farne le spese non sono solo i detenuti ma anche gli operatori, gli agenti in primo luogo, che sono lì solo per fare il loro lavoro. Si è passati dallo "stato sociale" allo "stato penale" in cui la pena è diventata la principale risposta di uno Stato che rinuncia ad affrontare i problemi nel modo giusto e che associa la sicurezza non alla prevenzione ma alla punizione.

La punizione viene fatta scontare in un sistema carcerario in cui è ancora prevalente l’aspetto della sicurezza a scapito dell’aspetto rieducativo della pena come invece prevedono la Costituzione e l’Ordinamento Penitenziario del 1975. I trent’anni di questa legge che riformò il codice Rocco del periodo fascista e che rappresentò una vera rivoluzione nei fini e nelle modalità di esecuzione della pena è stato ricordato e analizzato in vari convegni e pubblicazioni. Un grande merito della riforma e dei successivi Regolamenti applicativi, l’ultimo risale al 2000, è stato quello di aver creato un ambiente di vita più sereno e dignitoso, premiando la buona condotta, concedendo maggiori contatti con i familiari, l’ingresso del volontariato, più attività culturali, ricreative e sportive, un adeguato rispetto delle norme igienico-sanitarie - gli attuali lavori di ristrutturazione del nostro Santa Caterina hanno proprio questo fine. Ma la riforma del ‘75, come dicevamo, rimane inattuata proprio nel suo aspetto portante e di maggiore valore: la reclusione come momento di rieducazione del soggetto. Ma l’area trattamentale dispone di sempre minori risorse per attivare validi e duraturi progetti di recupero e di scarsissimo personale specifico, educatori e psicologi, per attuarli. In Italia si fanno ottime leggi che però non vengono applicate.

Oggi sembra esserci un ritorno al passato. I più diffusi mezzi di informazione non perdono l’occasione, vedi caso Izzo, per mettere in discussione la concessione dei benefici di legge (quando la percentuale di chi commette un reato durante la loro fruizione è meno dell’1%) e invocare la certezza della pena.

Il carcere, che è uno specchio dell’attuale società malata e non la parte malata di una società sana, ha bisogno di un’informazione più corretta e ragionata delle sue tematiche. Per questo è importante coinvolgere le scuole - quest’anno, a Fossano, è uscito il CD dell’IIS "Vallauri", prodotto finale di un progetto biennale sul carcere Santa Caterina - ed è necessario sostenere e valorizzare i periodici informativi che vari istituti di pena pubblicano. A tale scopo è stata costituita quest’anno una Federazione Nazionale dell’Informazione dal e sul carcere di cui fa parte anche "La Rondine", il nostro giornale che con questo numero conclude il quinto anno di pubblicazione.

 

I trent’anni dell’ordinamento penitenziario

 

Dalla concezione puramente afflittiva della pena del Codice Rocco alla concezione rieducativa presente nella Costituzione e formalizzata nell’O.P. del 1975. Luci e ombre della sua attuazione.

Sono passati trent’anni dalla riforma dell’Ordinamento Penitenziario in Italia, contenuta nella legge n. 354 del 26 luglio 1975 che, dopo ventisette anni di lunghi studi e sperimentazioni, intendeva attuare le indicazioni della Costituzione Italiana (art. 27 - Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato) e dei trattati e delle convenzioni internazionali emanati dopo la seconda guerra mondiale.

Prima degli anni ‘70 il carcere era avvolto dal più pesante dei silenzi ma tra il 1970 e il 1971 si verificano nelle carceri italiane rivolte, denunce, scioperi della fame, suicidi che contribuiscono a rompere quella barriera e che trovano all’esterno un terreno sociale solidale e disposto ad avviare disegni di leggi che poi confluiscono definitivamente della legge del 1975.

 

Regolamento fascista: ordine, isolamento, verticismo burocratico

 

In quel periodo esisteva ancora il Regolamento Carcerario del 1931 del regime fascista (in attuazione del c.d. Codice Rocco), incentrato essenzialmente sull’esigenza del mantenimento dell’ordine: rigidissima separazione tra il mondo carcerario e la realtà esterna con pesanti limiti alla corrispondenza, ai colloqui, ai libri e ai giornali; forme di trattamento rappresentate unicamente da pratiche religiose, lavoro, istruzione e punizione di qualsiasi altra attività; sistema disciplinare e punitivo con una miriade di infrazioni previste (per esempio riposo sul letto senza giustificato motivo, canto, bestemmie) e relative punizioni (pane e acqua, letto di contenzione, blocco di visite e pacchi, ...). Prevede anche un abbozzo di meccanismo premiale (lode del direttore, due francobolli al mese, più visite dei familiari) ma del tutto privo di incidenza.

Negli anni immediatamente successivi alla fine della seconda guerra mondiale si registrano i più alti indici di criminalità di tutto il ‘900; la popolazione carceraria aumenta notevolmente e dà vita a rivolte drammatiche per cui la tendenza è quella di una giustizia sbrigativa e repressiva.

Oltre al già citato isolamento e impermeabilità del ‘pianeta carcerè, altre caratteristiche essenziali hanno accompagnato nella storia le istituzioni penitenziarie. Una di queste è la violenza, alla base del mantenimento dell’ordine e dei rapporti non solo tra detenuti ma tra custodi e internati; ha come sfondo da un lato, le terribili condizioni materiali e di estremo disagio del detenuto e dall’altro lato le rigide e vessatorie regole a cui sono sottoposti tanto i detenuti che gli agenti di custodia (solo a partire dal ‘51 per es. è consentito ai reclusi di comunicare con i familiari attraverso una grata e tenere carta e penna in cella per poter scrivere ai propri cari...). In un siffatto clima, la tensione tra controllanti e controllati era alta e bastava poco a far scattare la scintilla della violenza da ambo le parti. Un secondo aspetto caratterizzante il vecchio sistema era una macchinosa e centralizzata burocrazia piramidale per cui tutto veniva controllato e ricontrollato e anche le più intime e personali esigenze del detenuto dovevano essere autorizzate a livello ministeriale.

 

O.P. ‘75: concetto rieducativo e risocializzante della pena

 

La riforma del ‘75 rappresenta, pertanto, una rivoluzione copernicana nel modo di intendere la reclusione e le sue finalità. Assimilando i dettami costituzionali si predispone una normativa che sradichi il clima di violenza mediante una modalità di esecuzione della pena improntata al rispetto della dignità della persona, chiamata per nome e non più con un numero, all’imparzialità e all’individualizzazione del trattamento che pone al suo centro l’aspetto rieducativo e risocializzante in vista di un pieno inserimento nella comunità sociale al termine dell’espiazione della pena.

Avviene, pertanto, una completa rottura con l’isolamento del passato ed i contatti con il mondo esterno vengono favoriti in entrambi i sensi: in ingresso, sollecitando la partecipazione di associazioni e di privati (volontariato in particolare) all’azione rieducativa interna ed in uscita, consentendo al detenuto di usufruire di benefici e misure alternative alla detenzione se sussistono i presupposti e a determinate condizioni.

All’interno del carcere non è più prevista nessuna restrizione in fatto di accesso ai libri e ai mezzi di informazione e particolare attenzione è dedicata alle attività culturali, ricreative e sportive attraverso la predisposizione di una commissione di cui è parte un organo rappresentativo dei detenuti.

Anche il lavoro non è più inteso in senso afflittivo ma come elemento essenziale per la realizzazione e la crescita della persona anche durante la sua detenzione.

Per favorire il reinserimento graduale e responsabile del detenuto nella società sono introdotti alcuni istituti giuridici di notevole rilevanza: l’affidamento in prova al servizio sociale che consente di uscire dal carcere, dopo tre mesi di osservazione, nel caso di condanna inferiore ai due anni e mezzo; la semilibertà una volta espiata metà pena; la liberazione anticipata (40 giorni di riduzione della pena per buona condotta in relazione ad ogni anno espiato); i permessi per gravi ragioni familiari. Il Regolamento di esecuzione del 1976 introduce poi il lavoro esterno ma solo sotto scorta. Ovviamente in questo quadro cresce in modo significativo il ruolo della Magistratura di Sorveglianza, competente a decidere sulle riduzioni di pena e sulle forme di controllo alternative alla detenzione. Teoricamente il giudice di sorveglianza è anche il garante dei diritti del detenuto ma in realtà è più direttamente coinvolto nella gestione della pena, insieme al personale dell’area educativa e di custodia e del controllo sociale, unicamente ai servizi sociali e alle forze di polizia.

 

Con la legge Gozzini maggiore estensione dei benefici

 

Alcuni punti della normativa sono ripresi e ridefiniti dalla cosiddetta legge Gozzini del 1986 che, collocandosi nel filone legislativo degli anni ‘80 finalizzato ad arginare la lotta armata degli opposti estremismi, in particolare le Brigate Rosse, interviene sul carcere allargando la forbice punizione-premio.

È formalmente previsto il carcere più duro in determinate situazioni soggettive e/o oggettive (art. 14 bis e art. 41 bis) pur non riconoscendo ancora i carceri di massima sicurezza che, di fatto, esistono. Sul piano premiale è previsto un aumento della liberazione anticipata (portata da 40 a 90 giorni per anno di buona condotta), un’estensione dell’affidamento in prova al servizio sociale anche per le pene tra i due anni e mezzo e i tre anni, anche se parte residua di pena maggiore, l’introduzione dei permessi premio sino a 45 giorni l’anno, il lavoro esterno senza scorta.

LEGGE SIMEONI-SARACENI DEL 1998: LA SOSPENSIONE PENA EVITA IL CARCERE

Il tumultuoso evolversi della società italiana degli 90’ con il dilagante fenomeno della tossicodipendenza in tutti gli strati sociali e il massiccio arrivo di extracomunitari ha aggiunto altri problemi al già complesso settore penale e carcerario. La legge Simeoni del 7 maggio 1998, per garantire l’accesso alle misure alternative anche alle categorie più deboli come i sieropositivi e i tossicodipendenti ha introdotto la sospensione automatica dell’esecuzione da parte del pubblico ministero o l’obbligo d’avviso sulla possibilità di presentare istanza al Tribunale di sorveglianza per la concessione della misura. L’obiettivo è quello di evitare il carcere ai condannati con pene fino a tre o quattro anni che si siano già risocializzati da soli nel lungo arco di tempo che trascorre tra il reato e la sentenza definitiva (per costoro la detenzione vorrebbe dire, come minimo, la perdita del lavoro) o ai condannati già in esecuzione di pena per i quali il protrarsi della condizione carceraria sarebbe più criminogena e depersonalizzante che rieducativa. Ovviamente non deve sussistere una condizione di pericolosità sociale o di fuga. Il provvedimento ha una durata temporale stabilita dal Tribunale che può interrompere la misura se la valutazione del percorso non è positiva.

 

Regolamento 2000: possibilità d’ingresso delle imprese, custodia attenuata

 

Il legislatore ha elaborato un nuovo Regolamento d’esecuzione nel 2000 che ha lo scopo di migliorare ulteriormente le condizioni di vita del detenuto (tra l’altro, docce nelle celle, interruttori e prese di corrente per l’utilizzo di apparecchi radio, rasoi elettrici e anche computer, autorizzati per motivi di lavoro o di studio), la sua partecipazione a momenti di attività e di socializzazione (per esempio, in biblioteca possono operare, oltre a detenuti volontari, scrivani regolarmente retribuiti e si può attrezzare una sala lettura con libero accesso dei ristretti anche oltre l’orario previsto dalle normali attività), i contatti con i familiari (i colloqui mensili ordinari passano da quattro a sei e avvengono senza mezzi divisori, le telefonate mensili da due a quattro).

Un’importante novità riguarda il lavoro che l’art. 47 prevede possa essere organizzato e gestito direttamente da imprese pubbliche e private, anziché dalla Direzione del carcere. La connessione con il mondo dell’impresa si estende anche con la possibilità di dare in appalto servizi interni, come quello di somministrare il vitto, di pulizia e di manutenzione dei fabbricati, ora a carico dell’Amministrazione Penitenziaria. Il Regolamento formalizza inoltre l’esistenza di diversi circuiti carcerari prevedendo l’attuazione "in istituti autonomi o in sezioni di istituto", di regimi "a custodia attenuata" che interessano però una esigua minoranza di detenuti.

In altre parole la pena varia non solo nella quantità ma anche nella qualità con un duplice effetto: la minore afflittività, oltre ad alleviare le condizioni di segregazione, potrebbe favorire un maggior numero di benefici e, naturalmente, viceversa.

 

Necessità di ripensare il carcere contro il pericolo di un ritorno al passato

 

Nel corso di questi venticinque anni il carcere è diventato sempre più uno spaccato della società. Si trova la tossicodipendenza (30% degli utenti), la diffusione del virus dell’Aids, la povertà del Sud del mondo (50% della popolazione ristretta), la difficoltà di recepire valori da parte dei giovani. Questo quadro è aggravato dal sovraffollamento (56 mila prima dell’indultino del 2003, 60mila nel 2005 a fronte di una capienza ottimale di 42mila), dalla scarsa qualità della vita per chi non ha risorse in proprio o non è ammesso al lavoro, dall’inadeguato sviluppo delle attività trattamentali (istruzione, lavoro, attività culturali), dall’impossibilità di predisporre un progetto individualizzato. Per fronteggiare questa situazione al limite del collasso occorre che la società riveda con coraggio non solo il rapporto reato-pena comminata, ma soprattutto l’idea di carcere e di esecuzione della pena, ispirandosi alle finalità costituzionali e a partire dall’O.P.’75, attuato solo in minima parte.

La privazione della libertà acquisisce valore rieducativo se il soggetto viene valorizzato nelle sue attitudini con un’adeguata e gratificante attività lavorativa; se può essere seguito personalmente da educatori, psicologi, assistenti sociali e volontari che lo aiutino nel percorso personale di rielaborazione di un progetto di vita che eviti le recidive. L’organizzazione e la struttura degli istituti penitenziari dovrebbero essere ripensati sullo stile di una comunità autosufficiente nel provvedere, mediante il lavoro, alle normali esigenze di vita quotidiana, mediante il lavoro considerato non nell’ottica del profitto ma della realizzazione personale.

Fino a quando questo non avverrà, la pena tenderà a rappresentare uno strumento capace solo a isolare un colpevole dalla società e isolare vuol dire unicamente perdere il soggetto recluso per un periodo più o meno lungo di tempo con il concreto rischio che lo stesso isolamento, attuato in condizioni ambientali difficili, abbia riflessi negativi.

Oggi assistiamo, purtroppo, ad un legiferare che, in nome della difesa della sicurezza personale e collettiva, considera il diritto a punire, anche da parte dei privati cittadini, come un rimedio universale capace di risolvere ogni problema della moderna società quando invece "è meglio prevenire i delitti che punirli. Questo è il fine ultimo di ogni buona legislazione"(Cesare Beccaria "Dei delitti e delle pene").

 

Il commento dell’educatrice Francesca Nicolosi alla Riforma del 1975. "La riforma ha umanizzato il carcere ma non ha intaccato la società, povera di risorse lavorative per il reinserimento"

 

Con la riforma del ‘75 sono state introdotte nel sistema organizzativo carcerario nuove figure professionali, educatori, assistenti sociali, psicologi che concorrono a formare un’equipe di lavoro da cui dipende la formulazione di un progetto individualizzato di trattamento intra ed extramurario, debitamente sottoposto all’approvazione della Direzione e del Magistrato di Sorveglianza.

Francesca è un’educatrice che da due anni lavora nel carcere di Fossano e a lei chiediamo una valutazione personale sullo stato di attuazione dell’Ordinamento.

"Attualmente, emergono ancora molti "punti irrisolti" nell’ambito penitenziario, quasi immobilizzato tra quel processo dicotomico che vede da una parte la volontà di rinnovamento e dall’altra le tendenze nostalgiche di ritorno al passato. Dalla norma costituzionale che la pena deve tendere alla rieducazione, - spiega Francesca - l’Ordinamento ha ricavato che esiste un diritto del condannato- che può essere fatto valere dinanzi al giudice- a fare riesaminare, nel caso della pena e nei termini temporali che la legge stabilisce, se quel fine (rieducazione) sia stato già raggiunto; e da qui deriva, se quell’esame è favorevole al condannato, un altro diritto: ad essere ammesso, per il resto della pena ad un regime alternativo alla detenzione, di prova controllata ed assistita da un sistema organizzativo che deve seguire, controllare e sostenere l’inserimento sociale del sofferto. Questa - continua l’educatrice - è non solo la base costituzionale, nel nostro sistema penale, delle misure alternative, ma anche l’individuazione della sostanza operativa della pena, di quello che dev’essere il suo funzionamento. La pena ha funzioni preventive generali, che restano poi astratte, ma deve avere anche una funzione concreta, soprattutto nell’utilizzazione di risorse che consentano il reinserimento del soggetto recluso attraverso l’assunzione di un ruolo sociale accettabile. Questo processo deve cominciare in carcere. La straordinaria innovazione della legge di riforma e della successiva legge Gozzini hanno dato sì un forte impulso verso la realizzazione dell’umanizzazione della pena che non viene più intesa nel solo senso afflittivo bensì rieducativo, ma trascura il tessuto sociale che, malgrado gli sforzi, risulta ancora impreparato e povero di risorse soprattutto lavorative per accogliere coloro che sicuramente presentano degli svantaggi rispetto al cittadino che non ha mai vissuto l’esperienza della carcerazione. Del resto il carcere - afferma ancora Francesca - non è l’espressione " mostruosa " di una società sana, tutt’altro, infatti la presenza di detenuti all’interno delle strutture carcerarie sono indicatori del malessere sociale dilagante. È evidente che la legge di riforma - conclude l’educatrice - presenta delle lacune che vanno ricercate in un sistema che non consente la reale e concreta applicazione dei principi qualificanti della legge stessa e che rischia di ritornare al vecchio concetto della gestione della pena che doveva essere afflittiva o quanto meno doveva fugare la paura che non lo fosse a sufficienza".

 

Perdere il lavoro a 59 anni per scontare 5 mesi

 

Piccolo reato commesso nel ‘92, sentenza definitiva della Corte d’Appello di Torino in data 20/05/1998 (mentre il soggetto era in carcere a Cuneo da cui uscì il 24/10/1998), condanna a 5 mesi di reclusione, mai comunicata all’interessato, arresto il 10 novembre 2005, traduzione alle Vallette di Torino e, prima di Natale, a Fossano: questo, in sintesi, il racconto di Pino M., 59 anni, cuoco in un ristorante di Torino. La vicenda è davvero incredibile e con molti lati oscuri. Come mai non ha ricevuto nessuna notifica mentre era in carcere a Cuneo (la condanna doveva essere eseguita lì)? La mancata comunicazione della sentenza non gli ha consentito di presentare istanza per la sospensione automatica dell’esecuzione, in genere concessa per le pene brevi e se il condannato ha un lavoro. Tale istanza è stata presentata al Tribunale di Torino il giorno dopo la carcerazione ma al 31 dicembre non era ancora giunta risposta (deve pervenire entro 45 giorni). Per la Polizia, che lo ha fermato in una strada di Torino, risultava irreperibile ma Pino vive da quattro anni in una casa del Comune con tanto di residenza e di notifica alla Questura (saranno state eseguite ricerche?). Giunto a Fossano, sarebbe nei tempi per chiedere un permesso e poter rivedere la propria famiglia ma occorre l’osservazione di almeno un mese da parte dell’educatrice (tempo che era già passato alle Vallette di Torino e quindi fattibile in quella sede se non fosse stato trasferito a Fossano) per stilare la relazione da inviare al Magistrato di sorveglianza di Cuneo che dovrà prendere la decisione. Così i tempi si dilatano e il nostro Pino per intanto rimane in carcere con il pericolo di perdere il lavoro.

 

Intervista all’assistente sociale Laura Bottero

Il centro servizio sociale adulti cambia nome ma non le sue competenze

 

La figura dell’assistente sociale è stata prevista dalla riforma dell’O.P. del ‘75 con il compito di favorire il reinserimento nella società esterna del detenuto. Una legge del 2005 rinomina la struttura di appartenenza in "Ufficio di esecuzione penale esterna"

Novità di quest’estate è che il Centro Servizio Sociale Adulti (CSSA), dipendente dall’Amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia cambia nome e diventa "Ufficio di esecuzione penale esterna" (legge n. 154 del 27/07/2005).

 

Chiediamo all’assistente sociale Laura Bottero che opera presso il carcere Santa Caterina, che cosa cambia per loro?

"Nella sostanza le competenze degli Uffici di esecuzione penale esterna (U.E.P.E.) rimangono invariate rispetto al passato. Continueremo a svolgere, su richiesta dell’autorità giudiziaria, le inchieste utili a fornire i dati occorrenti per l’applicazione, modifica, proroga e revoca delle misure di sicurezza; le indagini socio-familiari per l’applicazione delle misure alternative alla detenzione ai condannati. Inoltre proponiamo all’autorità giudiziaria il programma di trattamento da applicare ai condannati che chiedono di essere ammessi all’affidamento in prova e alla detenzione domiciliare; controlliamo l’esecuzione dei programmi da parte degli ammessi alle misure alternative, ne riferiamo all’autorità giudiziaria e proponiamo eventuali interventi di modificazione o di revoca. Infine su richiesta delle direzioni degli istituti penitenziari, prestiamo consulenza per favorire il buon esito del trattamento penitenziario e lavoriamo in rete con i servizi pubblici e del privato sociale del territorio, partecipando ai Gruppi Operativi Locali per il coordinamento dei progetti e ai Tavoli dei Piani di Zona".

 

Quando vennero istituiti questi centri?

"I C.S.S.A., ora U.E.P.E., furono istituiti nel 1975 con la legge 354 di riforma dell’Ordinamento Penitenziario, che rappresentò un importante cambiamento nel modo di concepire l’esecuzione della pena. La riforma introduceva le misure alternative al carcere (l’affidamento in prova al servizio sociale, la semilibertà e la detenzione domiciliare) e il concetto di individualizzazione della pena, cioè la necessità di definire per ogni condannato un programma di intervento adatto alle sue capacità di impegno e recupero sociale. È in questo contesto che il legislatore ha voluto istituire un servizio sociale penitenziario con sedi territoriali autonome rispetto agli istituti penitenziari stabilendo che la loro organizzazione dovesse avere come riferimento l’integrazione con il territorio".

 

Come si è svolto finora il vostro lavoro?

"L’attività dei CSSA si è andata evolvendo nell’arco di questi 30 anni, con l’evolversi della normativa inerente l’esecuzione penale ed in particolare con l’ampliamento delle diverse misure alternative al carcere. I Centri, posti a cavallo tra i luoghi di pena e la società libera, sono stati in grado di facilitare il collegamento tra le esigenze di integrazione del "mondo penitenziario"e la comunità esterna, impegnati nel reinserimento dei condannati. Per avere un’idea, nei quattro istituti penali della nostra provincia, Cuneo, Alba, Fossano e Saluzzo, nel corso di quest’anno sono stati osservati 1140 utenti e 378 (al 30.11.2005) hanno usufruito di misure alternative. In particolare, 30 sono in semilibertà e 67 in art. 21 (in entrambi i casi lavorano di giorno e rientrano in carcere per la notte), 104 in affidamento terapeutico ed ordinario presso comunità, 90 in detenzione domiciliare e 42 sono usciti con l’indultino". Il recapito della sede dell’U.E.P.E. di Cuneo rimane in Via Bongioanni 32 (Palazzo Uffici Finanziari 5° piano) con apertura al pubblico dal lunedì al sabato dalle ore 09.00 alle ore 13.00, tel. 0171/695777 fax 0171698707.

 

Una giustizia debole con i forti e forte con i deboli

 

Da poco tempo è stata introdotta una nuova legge, che prima era chiamata "salva Previti", poi è stata denominata Cirielli, ma il parlamentare Cirielli l’ha rinnegata perché ha dichiarato che era stato completamente cambiato lo spirito della sua iniziale proposta. Adesso è stata chiamata ex Cirielli poiché tutti hanno rifiutato di dare paternità a quest’obbrobrio di legge, che è un pugno allo stomaco alla legge Gozzini, già rimaneggiata nel corso degli anni. Ma andiamo a vedere cosa prevede la nuova legge sulle prescrizioni.

Le nuove disposizioni prevedono che il reato si prescrive decorso il tempo della pena massima prevista. Ad esempio: se per furto la pena massima è di anni 10, trascorsi dieci anni senza che la pena sia definitiva, il reato è prescritto. Ma ci sono alcune eccezioni; infatti, se si è recidivi i tempi della prescrizione aumentano di un quarto, se si è recidivi specifici e reiterati, (lo stesso reato nei cinque anni precedenti) aumenta della metà.

Vi è inoltre il cambiamento nell’applicazione delle attenuanti. Con la nuova legge, il giudice non ha più discrezionalità ma in caso di recidiva deve obbligatoriamente aumentare la pena da un terzo alla metà.

E ‘dulcis in fundo’, viene cambiata la legge Gozzini. Con la nuova regolamentazione i benefici carcerari, già scarsamente applicati, per i recidivi potranno essere concessi dopo la metà della pena mentre con la vecchia regola era dopo un quarto di pena; inoltre la sospensione automatica (legge Simeoni) della pena non è più possibile per i recidivi, questo limite verrà ulteriormente aumentato per chi ha la recidiva specifica infraquinquennale.

La legge in sintesi prevede l’abolizione dei benefici della legge Gozzini per i recidivi (quindi l’80% dell’attuale popolazione carceraria), la maggiorazione delle pene anche per i reati meno gravi e l’estinzione, alla commissione del terzo reato, di qualsiasi beneficio di legge.

A vedere in profondità questa legge si sta applicando la regola vigente nell’ordinamento USA, (three strikes law) il quale prevede che al terzo reato sei fuori dalla società con l’aumento della pena fino all’ergastolo e il blocco dei benefici. Ma a tale proposito, noi abbiamo scimmiottato la regola Usa, in quanto il sistema americano mantiene una penalità pesante ed estremamente discutibile ma possiede altresì la serietà di rileggere anzi "riascoltare" (da cui il termine tecnico Hearing con cui si designa la revisione processuale e quella penitenziaria) la posizione del detenuto fino ad arrivare addirittura a scarcerarlo molti anni prima del fine pena (la procedura d’ascolto, a differenza che in Italia è molto scrupolosa e seria).

Nel nostro ordinamento la chiusura dei benefici combacerebbe più semplicemente col dare in pasto il detenuto alla sua cella e a trasformarlo da "uomo da rieducare" a "uomo che non ha nulla da perdere" con le conseguenze, ovvie, che un tale status psicologico può generare in termini di condotta intramuraria. In pratica si ha nostalgia delle rivolte nelle carceri, degli omicidi quotidiani, degli accoltellamenti all’ordine del giorno, delle violenze gratuite, dallo stato di tensione perenne tra detenuti e agenti: questo vuol dire la nuova legge.

Il Ministro della Giustizia con orgoglio ha rivendicato (bontà sua) gli effetti della legge ex Cirielli, ossia il raggiungimento delle quote record dei detenuti.

In effetti, il Ministro ha ragione, i detenuti cresceranno a dismisura, si prevedono 20000 nuovi ingressi all’anno.

Non si tratta di proclami o di propaganda. L’ex Cirielli è la peggiore delle leggi possibili: aumenta le pene per piccoli criminali, salvando i corruttori, i corrotti tangentisti e affini, insomma chi fa il reato una volta sola ha la certezza dall’immunità, toglie discrezionalità ai giudici per la concessione delle attenuanti.

È la vera controriforma dell’ordinamento penitenziario, ancora più incisiva del pacchetto antimafia del 1990-1991, ossia quello che introdusse i famigerati 4bis e 41bis nella legge penitenziaria. L’ex Cirielli mira a colpire tutti i recidivi, qualunque sia il reato commesso.

Questo è il regalo di Natale che il governo ci ha confezionato, altro che amnistia, per la quale si batte con lodevole impegno il grande Pannella. Per mascherare certe leggi grazie alle quali si sono aggiustate le vicende giudiziarie di qualche esponente politico, il governo deve apparire inflessibile e diventa gioco facile farlo con gli ultimi, quelli che non hanno possibilità di dire la loro. Anche i mass media bombardano l’opinione pubblica sul problema della sicurezza e della microcriminalità dando ampia risonanza a fatti di sangue che però ci sono sempre stati e sempre si saranno. Si crea così allarme sociale, senso di insicurezza che però non sono assolutamente giustificati dai dati statistici sui crimini commessi negli ultimi anni, dati che indicano invece una diminuzione dei reati più comuni. A chi giova creare panico collettivo verso la microcriminalità e inculcare sentimenti di vendetta verso i suoi autori, soprattutto se stranieri?

Certo i cittadini liberi hanno altre priorità come il lavoro precario, le bollette in aumento, il bilancio familiare ma anche il problema della giustizia deve avere la sua attenzione. Proprio l’Italia, culla del diritto, da quello romano in poi, non può accettare la promulgazioni di leggi che per salvare un potente danneggino ulteriormente migliaia di detenuti attuali e futuri. Sempre più si nota una giustizia forte con i deboli e debole con i forti, una condizione inaccettabile per uno Stato di diritto che voglia effettivamente difendere l’ordine sociale. C’è solo da augurarsi che i Magistrati, nell’applicare questo mostro giuridico, possano decidere secondo il buon senso e limitare i danni ai poveri cristi che sono soggetti a questa nuova legge ammazza Gozzini.

 

Tipi di reati negli ultimi cinque anni

 

Partendo dai dati dal 2000 in poi, si registra un generale calo dei reati commessi in Italia. Sono dimezzati gli omicidi, le rapine sono calate del 36%, i furti del 45%, le ricettazioni scese del 25%. L’unico aumento riguarda i reati informatici, aumentati del 180% e quelli della pubblica amministrazione aumentati del 45%. (La Repubblica 4 Dicembre 2005)

 

Oggi ho sognato

 

Oggi ho sognato, senza dubbio ho sognato, l’apparizione di qualche realtà, che in fondo non sussiste poiché la realtà è un sogno ma vivo e questo contrasto tra sogno e realtà pianifica la mia esistenza, perché vivo. Avevo aggiunto la speranza, in cui da giovane credevo profondamente, ma tutto è concesso soltanto nelle opportunità create da te stesso, solo per te stesso.

Ma vivo e non offendo la mia vita, perché posseggo non solo gli occhi per guardare avanti, ma anche per voltarmi indietro, e vedere il sogno o la speranza nell’esistenza che ogni uomo deve possedere come un dono. Ma vivo e mi accorgo di tutto ciò. Spero che il mio sogno divenga una realtà e la mia esistenza abbia anch’essa un valore, in quanto alla speranza vi credevo da giovane e vi credo tutt’ora, poiché mi cammina davanti giorno per giorno, vivendo momenti belli e momenti difficili. Amo la vita e la amo più che mai, svegliatemi da questo sogno e vi darò ciò che cercate, voi della speranza.

 

Cosimo T.

 

Speciale natale

 

Riflessione sul Natale del cappellano, padre Bruno. Siamo venuti per adorarlo

 

Il vangelo di Matteo è l’unico a riportare una storia che quasi tutti i cristiani hanno ancora da qualche parte nella loro mente. È la storia dei Magi, personaggi misteriosi che giungono da oriente e arrivando a Gerusalemme chiedono: " Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo". È risposto loro che il messia deve nascere a Betlemme. Con la guida della stella infine i Magi raggiungono il Bambino che è con Maria sua madre e prostrati a terra lo adorano. Gli interpeti della pagina di Matteo vedono raffigurati in questi personaggi arrivati da oriente tutti coloro che sono in ricerca, ovvero le persone che nella loro vita cercano la verità, il senso, lo scopo. La stella è la fiducia che vive nel cuore di ogni essere umano, è la luce interiore che ci guida verso traguardi sicuri anche se ci chiede di camminare nella fatica, facendo di ogni passo un’occasione per superare il proprio egoismo e la paura. Il cammino è fatto di attesa, di speranza, di preghiera. La meta del viaggio è l’incontro con il Bambino e sua madre. La luce della stella si ferma di fronte a una luce più grande; i Magi riconoscono in un bimbo appena nato l’oggetto di tutte le loro ricerche, l’orientamento definitivo della loro vita e lo adorano. Possiamo metterci anche noi in coda insieme a loro e guidati da quello che percepiamo come il nostro desiderio più profondo, unito a una cosciente scelta di fede cristiana, inchinarci davanti al Bambino di Betlemme riconoscendo in lui la stella sicura per il nostro cammino.

A tutte le persone ospitate nella casa di reclusione di Fossano, a tutti gli operatori che svolgono il proprio servizio professionale, a tutti i volontari, un Augurio e una preghiera.

 

Santa messa di natale celebrata da padre Ghi

 

Anche per il Natale 2005 padre Ghi, carismatico sacerdote gesuita, non è mancato all’appuntamento di celebrare la Messa nella cappella, ridotta a metà capienza per i lavori di ristrutturazione. Come sempre, grazie alla forte spiritualità di padre Ghi e ai dolci canti natalizi del gruppo di animazione, si è creata un’intima atmosfera di grande raccoglimento attorno al presepe posto ai piedi dell’altare. Davvero sembra che il Bambino Gesù preferisca nascere tra gli ultimi e da questi essere accolto. Al termine della semplice e raccolta funzione, padre Ghi, insieme al cappellano, al comandante, ai volontari, alla giornalista Luigina Ambrogio e ovviamente ai detenuti, si è soffermato davanti alla grande capanna allestita nel cortile, nel cui interno è collocato un elaborato presepe in sughero, costruito da un recluso.

 

Ci hanno portato lo spirito dell’amicizia e dell’allegria

 

L’idea di una rappresentazione teatrale che animasse il nostro Natale e coinvolgesse anche ragazzi esterni ha subito suscitato grande entusiasmo. Il promotore e coordinatore di questa iniziativa è stato il nostro simpatico amico volontario Giorgio, che ha coinvolto ragazzi e ragazze di una parrocchia vicina. Così si è formato un bel gruppo di novelli attori, sette interni (Danilo, Francesco, Massimiliano, Maurizio C., Maurizio F., Salvatore, Valentino) e otto esterni (G.Franco, Loredana, Mara, Mauro B, Mauro M., Paola, Roberto, Yana) che si sono lanciati con entusiasmo nella nuova avventura. Sì perché in un carcere preparare una recita non è facile tra autorizzazioni e controlli, accesso ai locali di prova e uso degli strumenti necessari, ma grazie alla disponibilità del comandante e degli agenti, delle educatrici e dei volontari, tutto è stato superato senza mai intaccare l’allegria e la simpatia che subito si è creata nel gruppo fin dalle prime battute. Considerato il periodo natalizio e per lasciare anche un messaggio costruttivo e di speranza per tutti, è stato scelto il racconto di Charles Dickens che ha per protagonista un vecchio spilorcio, Scrooge, un uomo molto ricco, ma che la ricchezza ha reso cieco davanti alle necessità degli altri. Durante la notte di Natale, il suo sonno viene agitato dalla comparsa di spiriti. Prima gli appare il fantasma del suo amico socio morto qualche anno prima e poi i tre spiriti del Natale: passati, presente e futuri. Questi, con alcune visioni lo portano indietro nei ricordi della sua vita, nel presente alquanto squallido e arido di sentimenti e in un probabile futuro che si può presentare molto breve e triste. Il vecchio avaro fa una seria riflessione sulla propria vita e decide un radicale cambiamento che gli fa ritrovare la sua serenità, il piacere di stare con gli altri e di portare felicità.

Gli emozionati ma concentrati ragazzi hanno debuttato lunedì 19 dicembre nello spettacolo "Canto di Natale", subito accolti da calorosi applausi che li hanno incoraggiati a dare il meglio di sé. Così è stato: dall’insuperabile Maurizio nella parte di Scrooge ai bravissimi ragazzi e ragazze del coro che hanno alternato alla recita l’esecuzione di vari pezzi musicali. Tutti quanti, al termine della rappresentazione, hanno ricevuto una vera e propria ovazione di applausi e di consensi in un clima di grande festa con lanci di coriandoli, stelle filanti, palloncini colorati.

"È la prima volta che recito, dice Valentino, mi sentivo impacciato ed emozionato ma il risultato è stato superiore alle mie aspettative". "Sono veramente contento e soddisfatto, aggiunge Salvatore, per la recita e per aver incontrato dei ragazzi e delle ragazze molto bravi e simpatici". Conferma Francesco: "Ci hanno regalato la loro amicizia e impagabili momenti di spensieratezza, diversi dalla solita monotonia carceraria".

Maurizio, a nome dei suoi compagni, ha voluto ringraziare pubblicamente tutti: "Ringraziamo di cuore questi nostri nuovi amici di Bene Vagienna, perché hanno voluto donare a noi ma anche a voi tutti un messaggio di gioia, di speranza e di amicizia. Noi ci siamo messi in gioco e la nostra soddisfazione più grande è stato il calore dei vostri applausi perché è stato un riconoscimento al nostro impegno per avervi fatto divertire. Salutiamo e ringraziamo per la loro presenza l’assessore Maurizio Bergia, alcuni compagni di Giorgio della Comunità " Città dei Ragazzi" di Cuneo insieme al loro rettore, alcuni ragazzi della Comunità Papa Giovanni di Fossano, accompagnati da alcuni responsabili, suor Rachele e suor Marcellina, le volontarie Domenica e Franca. Un grazie speciale al direttore Torchio, al comandante Maglione, alle educatrici Antonella e Michela perché senza la vostra disponibilità e collaborazione non si sarebbe potuto realizzare lo spettacolo. Ringraziamo anche la giornalista Silvia Sanmorì de La Fedeltà, attenta e puntuale alle vicende del carcere. E infine un grande grazie ai nostri compagni di detenzione per averci sostenuto e dato coraggio sperando di avervi fatto trascorrere un bel momento. Grazie e auguri a tutti di Buon Natale e Buon Anno".

Il clima di festa e di allegro intrattenimento per tutti i presenti, interni ed invitati, è continuato ancora attorno a golose fette di panettone, offerte dai volontari, facendo vivere a ciascuno l’autentico spirito di condivisione del Natale.

 

Gli auguri dei volontari e del cappellano la sera di Natale

 

Come ormai tradizione la sera di Natale, i volontari e il cappellano vengono a fare visita in ogni cella e porgono gli auguri donando dolcini e cose utili a ciascuno. Un piccolo segno che vuole esprimere vicinanza, sostegno e il calore della loro amicizia in questa sera così particolare per chi è lontano dai propri affetti familiari. La loro discreta presenza, costante e attenta nell’ascolto e nell’aiuto morale e materiale fa sì che lo spirito del Natale viva in ogni incontro. Ma quest’anno hanno fatto una sorpresa anche a chi non è al suo primo Natale al S. Caterina: hanno portato niente meno che Babbo Natale, ma senza renne e slitta, parcheggiate fuori perché non avevano l’autorizzazione (può essere un mezzo di evasione ...). Una figura così ben camuffata con gli occhiali, il naso, la barba e i capelli bianchi e lunghi sul completo rosso da rendersi irriconoscibile. Chi può essere? Un volontario o una volontaria, Manuela Arcuri o Alessia Marcuzzi? La curiosità è così grande che già iniziano le scommesse con giocate da sogno: una luccicante Harley Davidson (o è il dopo barba?), una fiammante Ferrari (o il suo poster?), o addirittura l’introvabile, preziosissimo DVD dell’indimenticabile concerto di Francesco e Nek al S. Caterina. Corre voce (sarà una leggenda da ambienti ristretti?) che quella notte, tra dispute, dubbi, sogni e ... realtà, c’è chi non ha chiuso occhio! Ma finalmente arriva il mattino. Tutti si precipitano in cappella. Per la Messa di Natale può pensare qualcuno. Nooo, nulla di più sbagliato! I volontari vengono assaliti da "domandine", per carpire da loro informazioni, finché qualcuno cede alla promessa di un caffè freddo ristretto, come solo al S.Caterina sanno fare e rompe il silenzio della sera di Natale. Sapete chi era Babbo Natale? È una sorpresa ... aspettando la Befana!

 

Intense emozioni con le canzoni di De Andrè e dei Nomadi

 

Quest’anno anche la ridotta popolazione del S. Caterina ha avuto il suo concerto di Natale. Promotrice dell’iniziativa è stata Rosanna Cavallero, una donna non vedente che ha trovato nella musica un modo per esprimersi e comunicare agli altri, soprattutto anziani e oggi ai carcerati, forza, gioia e vitalità. Grazie a lei, il piccolo cinema-teatro del carcere ha ospitato il rinomato gruppo ‘Sesto Senso cover dei Nomadi’, guidato da Michelangelo Banchio, che, tra l’altro, ha partecipato come ospite al Festival di Sanremo ed è molto attivo nell’impegno sociale e nel volontariato (il gruppo si è esibito gratuitamente).

Alla presenza del sindaco Balocco, che ha colto l’occasione per porgere i suoi auguri agli utenti e agli operatori del S. Caterina, dell’avv. Mantini, consigliere provinciale e di numerosi invitati esterni, lo spettacolo è iniziato con le struggenti melodie di Fabrizio De Andrè, interpretate con grande sentimento dalla chitarra e dalla limpida voce, a tratti grintosa, nell’insieme dolce e carezzevole, di Rosanna che ha saputo trasmettere ai presenti profonde emozioni. I prolungati applausi finali hanno bene espresso il ringraziamento a questa cantante sensibile che con la sua presenza e la sua musica sa infondere forza e speranza.

Di altro genere ma ugualmente coinvolgente è stata la successiva esecuzione dei Sesto Senso con la bella voce solista di Michelangelo. Il gruppo ripropone le canzoni del mitico complesso dei Nomadi tenendo vivo il messaggio che, con esse, ha lasciato l’amato e compianto Augusto. La bravura e la professionalità dei ragazzi strumentisti, in particolare il chitarrista solista, l’energia prorompente e la passione di Michelangelo hanno contagiato tutto il pubblico che ha accompagnato i tanti pezzi eseguiti cantando e danzando, con un entusiasmo e una gioia di vivere insieme questo momento come in un vero concerto da stadio. Il clou dell’esibizione si è avuto quando tutto il pubblico ha cantato ‘Io vagabondo’, il brano simbolo dei Nomadi, che ha chiuso in apoteosi il lungo pomeriggio musicale, ben due ore piene di musica ininterrotta, come da tempo non si viveva più al Santa Caterina. La festa è terminata con la distribuzione di una fetta di panettone a tutti, offerta dal dott. Miglio della Fondazione CRF e la possibilità di un amichevole scambio di auguri tra i presenti in un clima di contagioso entusiasmo. La speranza è di ripetere presto il riuscitissimo concerto, come dichiarato dal comandante Maglione, che nel saluto finale ha evidenziato l’importanza di queste iniziative per mantenere vivo il contatto tra il mondo esterno e quello interno alle mura.

 

Il piccolo mondo del s. Caterina specchio della lotta antifascista

 

A oltre sessant’anni dalla loro carcerazione a Fossano, quest’estate tre partigiani (maquisards) francesi hanno visitato il Santa Caterina riconoscendo, con grande emozione, i locali in cui vissero in quegli anni tragici, dall’estate del 1943 fino a quella del 1944. Alla visita, organizzata dall’istituto storico della Resistenza di Cuneo, hanno partecipato anche alcuni partigiani (tra cui il fossanese Luigi "Cicci" Baudissone) che organizzarono la loro fuga dal carcere nel 1944.

Nella testimonianza raccolta da Livio Berardo, presidente dell’istituto storico della Resistenza, i tre partigiani francesi (Roger Jaquet, Henri Lagay, August Franchino) hanno raccontato le vicende che li portarono a Fossano e le condizioni in cui vissero gli anni in cui restarono rinchiusi nel carcere, in celle buie e fredde, senza riscaldamento anche d’inverno.

"A partire dalla primavera del ‘43, racconta Livio Berardo, nella parte sud-est della Francia, che era sotto il controllo italiano, agiscono formazioni armate della resistenza francese dette ‘maquis’. In varie operazioni condotte dagli alpini vengono catturati decine di maquisards e di loro fiancheggiatori tra i quali anche un abate, Camille Folliet. Dopo giorni di pestaggi e torture vengono trasferiti su camion militari a Breil, dove opera il Tribunale militare, e qui processati e condannati a vent’anni. Ripartono in camion e treno alla volta delle carceri di Saluzzo e Cuneo dove però il problema del sovraffollamento è diventato insostenibile; si pensi che duecento detenuti sono ammassati in locali sufficienti per settanta. Così, ai primi di agosto, - continua Berardo - una quarantina di francesi sono trasferiti a Fossano dove i cameroni non bastano più e bisogna occupare anche i malsani laboratori del piano terra. Nel cortile, antifascisti italiani (tra cui Emilio Sereni e Italo Nicoletto), francesi, sloveni e croati fraternizzano in un clima di fermento per le voci di un ordine di liberazione generale in seguito alla destituzione di Mussolini da capo del governo. Dopo l’8 settembre, approfittando dello sbandamento, viene organizzata l’evasione, attuata il giorno 11. Alcuni riescono a fuggire e a ritornare in Francia o a unirsi ai partigiani delle Langhe dove trovano pure jugoslavi e russi.; altri vengono ripresi e riportati in carcere, dove intanto sono arrivati anche i tedeschi. Per la ventina di francesi riacciuffati, tra cui l’abate, che riescono a evitare l’esecuzione, spacciandosi per detenuti comuni, ricomincia il tran tran della vita carceraria, interrotto nella notte tra il 4 e 5 luglio del 1944 quando un gruppo di pochi partigiani garibaldini delle Langhe opera l’evasione di massa dal S. Caterina. Abbiamo avuto la possibilità di intervistare non soltanto i tre partigiani francesi, ma anche uno dei componenti della banda partigiana che li aveva liberati, il partigiano Balilla, alias Luigi Baudissone, di Fossano - prosegue Livio Berardo -. È una vicenda rocambolesca. Pochissimi partigiani, una dozzina di uomini, più una banda di partigiani francesi già evasi in precedenza riescono a realizzare il colpo, nonostante Fossano sia presidiata dai fascisti e dai tedeschi. I partigiani, con grande fegato, fanno saltare il portone del carcere e a portare faticosamente, nella notte, gli evasi a Dogliani e a Barolo, dove poi la maggior parte si unisce alle bande partigiane. Nell’occasione evadono oltre cento detenuti e, in seguito a questo episodio, il S.Caterina cessa di essere un luogo di detenzione per perseguitati politici".

A questo proposito è interessante notare che il carcere di Fossano è stato uno dei tre carceri italiani di seconda categoria che abbia ospitato detenuti politici, condannati dal Tribunale Speciale per reati di antifascismo. "Dopo gli anni venti, spiega Livio Berardo, quando il loro numero non supera la decina per la ristrettezza dell’ambiente e la possibilità di vita comune con gli altri detenuti, nel regime prevale la logica di concentrare gli antifascisti in soli tre istituti ma separandoli nettamente dai detenuti comuni, privandoli del lavoro come castigo, togliendo loro libri, riviste e giornali. È così che qui a Fossano sono riempiti per la prima volta due cameroni e i prigionieri politici vengono a rappresentare un terzo del totale. Si tratta di operai, artigiani, contadini e poi anche di diplomati e laureati provenienti dall’Emilia, dalla Toscana, dalla Lombardia e dal Friuli. Il livello culturale si eleva di molto e nei cameroni si organizzano veri corsi scolastici e infinite discussioni. All’inizio degli anni ‘30, continua Livio Berardo, giungono anche molti sloveni e croati dell’Istria, condannati per attività antinazionale (la politica espansionista del regime fascista aveva accentuato i contrasti con la popolazione locale, già in frizione con l’Italia in seguito all’annessione dell’Istria dopo la prima guerra mondiale) e per affiliazione al sindacato o al partito comunista. Con la guerra, il dissenso al regime sale in alto nella scala sociale e il S.Caterina ospita, tra gli altri, Achille D’Atri, capo dell’Ufficio scambi presso la sede centrale della Banca d’Italia".

Il sindaco di Fossano, che ha partecipato alla visita dei partigiani francesi al carcere, si dice molto interessato al progetto dell’istituto storico. "Nel nostro carcere, nel ventennio fascista, sono passati più di settecento prigionieri politici, tra cui molti personaggi famosi, come Emilio Sereni, Italo Nicoletto, il pittore Aligi Sassu. È una pagina di storia importante che va valorizzata".

Due lapidi commemorative, poste all’ingresso del carcere, ricordano le sofferenze patite in questo luogo da centinaia di antifascisti e partigiani italiani e stranieri.

 

L’ 8 settembre 1943 al Santa Caterina

 

Il racconto degli avvenimenti successi nel carcere di Fossano durante lo sbandamento, seguito alla fuga da Roma del Re e di Badoglio, capo del governo.

Dal 25 luglio il Santa Caterina versa in una situazione di precarietà, "uno stato di agitazione e di fermento rinfocolato dalle voci che annunziavano come imminente un ordine di liberazione generale. Per misura cautelare, la Direzione chiese al comando del presidio militare e ottenne un drappello di soldati, per il servizio di vigilanza esterno. ...i soldati, in abituale baldoria bacchica, comunicavano dall’esterno con i detenuti, intonando cori... le porte dei camerini [furono] aperte e i detenuti ebbero libertà di circolare... furono fatte concessioni extra-regolamentari; si permise la lettura di giornali quotidiani e fu tollerato che i detenuti facessero conoscere alla Direzione i loro desideri, a mezzo di un rappresentante per ogni camerone".

... Il 29 agosto arrivano combattenti irriducibili e sperimentati come Nicoletto e i suoi compagni. "Ai primi di settembre inoltrammo la domanda al comandante militare della Piazza di Fossano di essere inquadrati come soldati volontari nell’esercito per combattere l’occupazione tedesca che prevedevamo ormai prossima.... Il comandante ci chiese ventiquattro ore di tempo per riflettere. Il giorno dopo, avendo atteso invano, rompemmo ogni indugio e passammo all’azione per organizzare la fuga. Il giorno 9 mi accorsi che un caporale aveva lasciato aperto il passaggio per la fretta di sgattaiolare via. Fui pronto a mettere un piede prima che la porta fosse richiusa. Riuscimmo rapidamente a controllare le altre uscite. Gli ufficiali se ne andavano in un fuggi fuggi generale e precipitoso, lasciandoci soli, abbandonati. Immobilizzammo le guardie rimaste e in breve tempo fummo padroni di tutto il carcere; ciascuno potè riprendere i suoi abiti civili. Evademmo in massa italiani, francesi, sloveni ed anche detenuti comuni".

L’evasione avviene nel primo pomeriggio. Il mattino è servito per mettere al corrente coloro che sono arrivati la sera prima (una trentina di francesi, Sereni e Sburlati) e che sono stati sistemati nei soliti laboratori. Tutti aderiscono con entusiasmo al piano. Gli uomini di Cerri Gambarelli (ndr. Generale al comando di quattromila soldati e cinque caserme) avevano piazzato le mitragliatrici nel cortile. Ma da quel mattino i soldati erano spariti. "Ci siamo fatti dare gli abiti borghesi, perché ormai eravamo liberi di circolare per tutto il carcere. Ai cancelli avevamo dei picchetti per impedire alle guardie di chiuderli: solo quello centrale era chiuso. Alle tre del pomeriggio siamo andati ad aprire le porte dei comuni. Loro hanno aperto il portone centrale. Pochi minuti dopo ero libero e correvo per le vie di Fossano".

Il dottor Panza, che, come prevedibile, nella primavera del ‘44 sarà messo sotto accusa dalle autorità repubblichine, a discolpa parla dell’evasione come una " scena apocalittica". E in effetti dai cancelli escono di corsa più di ottanta maquisard, altrettanti slavi, venti antifascisti italiani, una quarantina di condannati per spionaggio fra cui uno svizzero, un americano, due greci del Dodecanneso. Ad essi si mescolano alcune decine di prigionieri comuni. "I detenuti, in numero di 300, in seguito a sbandamento dei militari di guardia, travolti e disarmati i pochi custodi di servizio, irruppero per le strade della città, dandosi alla ricerca affannosa di abiti civili o militari e di armi, che in quel giorno era facile trovare ovunque in seguito allo scioglimento del R. Esercito. Non pochi di essi riuscivano a svestire la divisa del galeotto ed a nascondersi fra la popolazione civile che più non aveva modo di distinguere gli ex militari dagli ex reclusi. Si venne così a creare uno stato di gravissimo pericolo tanto per gli abitanti della città quanto per quelli della campagna. Il maresciallo maggiore Giovanni Pittalis, comandante la locale stazione dei carabinieri, quantunque fosse rimasto solo con sei uomini, interveniva immediatamente ed affrontava i gruppi di reclusi più spavaldi e minacciosi. Si veniva così ad un conflitto, durante il quale uno dei reclusi veniva ucciso; ma dopo solo ventiquattro ore i più gravi pericoli per la cittadinanza erano in massima parte eliminati". ...

Molti detenuti, soprattutto fra quelli condannati per spionaggio, di fronte all’atteggiamento dei carabinieri, si consegnano. Altri hanno fatto in tempo a gettarsi nei campi. Ricorda Pissach: "Presi la via della campagna con un americano condannato per spionaggio a trent’anni e cinque partigiani francesi che non parlavano nemmeno una parola di italiano. L’americano è riuscito a trovare una cascina e così ci siamo nascosti. Ci hanno dato da mangiare e dormire per una notte nel fienile. La sera dopo il padrone della cascina ci ha accompagnati fino ad una passerella e portati oltre il fiume Tanaro. Lì ci siamo salutati ed ognuno per proprio conto ha preso il cammino alla cieca, senza meta senza soldi".

Pissach incontrerà i partigiani dell’Ovadese e ad essi si unirà. La sua salvezza nella fuga è consistita nell’aver preso subito la strada per le Langhe e nel saper parlare italiano. Sereni e Nicoletto, memori sempre del decalogo della clandestinità, hanno raccomandato ai compagni di dividersi in piccoli gruppi, all’interno dei quali vi sia chi parla italiano. In effetti, sui grandi numeri, la scelta si rivela giusta. Degli italiani, tredici su venti riescono a sfuggire alla cattura, fra i francesi due su tre, mentre per gli slavi solo una minoranza riesce a far perdere le tracce. La conoscenza dell’italiano non basta però per aver fortuna: Vremec, Rukin e Mankoc la possiedono (Rukin è addirittura un habituè del S. Caterina), ma finiscono per avvicinarsi ad una polveriera (Salmour, Boves?) ed un gruppo di militari li ferma, li carica su un camion e li riporta nel carcere. Il maresciallo Pittalis ha allertato quel che rimane di presidio militare della zona e le varie stazioni di carabinieri. Così, paradossalmente, coloro che hanno compiuto la scelta più imprudente, quella di precipitarsi alla stazione di Fossano e prendere un treno, riescono ad allontanarsi e magari dopo qualche giorno rientrano nella propria città. ...

Tra i sette italiani ripresi, a parte chi, come Vincenzo Lanzo, non è in buone condizioni di salute o è stato ferito nella convulsa sparatoria dell’evasione, ci sono proprio i principali organizzatori. Li ha perduti un eccesso di prudenza: Nicoletto, Sereni, Simionato con Audibert, Malpeyre e Spiegelmann decidono di andare a prendere il treno non alla presumibilmente controllata stazione di Fossano, ma a quella più appartata di Trinità- Benevagienna. Sulla strada per Bene due carabinieri li fermano e li portano in caserma. Qui fallisce ogni tentativo di persuadere il maresciallo a lasciar liberi i prigionieri, compresa, di fronte alla professione di lealtà monarchica di costui, la tirata di Sereni, scambiata per una boutade: " Ma io sono figlio del medico di Sua Maestà". Trascorrono la notte nella caserma di Benevagienna. Il mattino sono riaccompagnati in carcere. Sul camion salgono tre soldati tedeschi. In provincia di Cuneo le prime avanguardie degli occupanti sono arrivate proprio il giorno prima, l’11 settembre. Sono SS... comandate dal famigerato maggiore Joachim Peiper. Puntano su pochi importanti obiettivi: le caserme, i campi di aviazione. Una staffetta germanica è così arrivata in Fossano la sera stessa dell’evasione e, pur esigua di numero, ha assunto il controllo della città: di Cerri Gambarelli e delle sue migliaia di soldati nessuna traccia. Sono andati ad ingrossare la fiumana degli sbandati della 4a Armata.

Attorno a mezzogiorno nel cortile del carcere alla presenza di un ufficiale tedesco che minaccia fucilazioni, sono radunati tutti i detenuti rientrati spontaneamente o catturati. ... L’ufficiale domanda chi siano tutti quei prigionieri. L’interpellato, forse equivocando sul senso della domanda, risponde che si tratta soltanto di detenuti comuni. La cosa per i tedeschi perde ogni interesse. Il carcere viene lasciato nelle mani del dr. Panza. Egli annota che i detenuti sono rientrati spontaneamente nelle 24 ore e quindi non suscettibili di punizione. Il maresciallo Pittalis non ha nulla da obiettare. A tutta riconoscenza per il suo lavoro di segugio si è visto disarmare, lui e i suoi uomini, dai tedeschi. In realtà, all’appello mancano 195 persone. Livio Berardo, "Le nostre prigioni"- E.G.A. pp. 222 - 226

 

Entusiasmo alle stelle per la pop-star nek

 

Nek, alias Filippo Neviani, 34 anni, pop-star molto apprezzata dai giovanissimi e vincitore del Festivalbar 2005 con "Lascia che io sia" arriva a Fossano per le prove ufficiali della tournée e la sera del 15 novembre si esibisce di fronte a 1700 fans nel Palazzetto dello Sport della città. L’indomani, in un ritaglio di tempo, sceglie lui stesso di venire al Santa Caterina rinunciando ad un incontro con i ragazzi delle scuole. Continua così una tradizione che ha già visto in passato l’esibizione di Piero Pelù e di Federico Zampagliene, voice dei Tiromancino.

"Ciao ragazzi, è la prima volta che visito un carcere" esordisce Nek di fronte ai detenuti e la sua emozione è evidente e lo rende quasi impacciato, lui abituato a platee molto più vaste. Ma l’imbarazzo è subito superato dalla spontaneità del botta e risposta che simpaticamente si apre con questo pubblico un po’ particolare ma che accoglie il cantautore con grande festa e calore e che lo sottopone ad una raffica di domande sulla sua carriera e sulle sue canzoni. "Senti Nek, ma alla fine Laura l’hai trovata?" chiede qualcuno."No, - risponde - altrimenti non potrei più cantare la canzone." Domanda un altro: "Quanto conta la bellezza per avere successo?" Risponde Nek: "Conta sicuramente perché è come un biglietto da visita ma poi si invecchia. Quello che è importante è ciò che hai dentro e che vuoi trasmettere; è la bellezza delle canzoni che rimane." Così si continua ancora. "Siete bravi a suonare?" Risposta: "Sì, il citofono". Chiede ancora il cantante: "C’è qualcuno di voi che mi vuole accompagnare?" All’unisono risponde il pubblico: "Sì, fuori di qui". Incoraggiato dai compagni e dallo stesso Nek si fa avanti Francesco, un giovane di 29 anni che anima con il bongo la Messa domenicale ed, incredulo per l’opportunità, accompagna alle percussioni il cantante in alcune sue famose canzoni. Il duetto è di tutto rilievo e scatena il pubblico all’entusiasmo per la bravura del loro compagno. Un giovane che prima gridava: "Nek facciamo una foto insieme?" ora cambia scherzosamente "No, la foto la voglio fare con Francesco". Anche Nek si complimenta: "Hai il senso del ritmo, non ti resta che affinare la tecnica e poi, quando esci, magari ti prendo a suonare con me." Il cantautore ha letteralmente conquistato gli ospiti del S. Caterina che lo circondano per foto ed autografi. "Grazie - lo saluta un detenuto esprimendo il pensiero di tutti - per essere venuto, sei stato umile a scegliere di stare per un po’ di tempo con noi. Non è da tutti!"

 

Festa della Polizia Penitenziaria

 

"Donaci occhi buoni che sappiano vedere l’angolo bianco che vi è in tutti coloro che ci sono affidati". Questa invocazione è parte della preghiera dell’Agente di Polizia Penitenziaria recitata in occasione della loro festa, domenica 20 novembre nella chiesa dei frati Cappuccini a Fossano, durante la Messa officiata da padre Ghi insieme al cappellano, padre Bruno. Sia l’omelia sia gli interventi delle autorità, dal sindaco Balocco al presidente della Provincia Costa alla consigliere provinciale Mantini hanno ripreso il concetto del ruolo fondamentale che ha l’agente nel trattamento penitenziario e di come il suo lavoro vada inteso nell’alto senso di una missione che sappia coniugare autorevolezza e umanità. Il direttore della Casa di reclusione, Torchio, dopo aver letto i messaggi del ministro e del direttore del DAP, ha tracciato un bilancio delle attività di quest’anno mettendo in rilievo il costante e fruttuoso rapporto con il territorio fossanese, in particolare la realizzazione del CD sul carcere S. Caterina da parte dell’IIS "Vallauri" e il giornalino "La Rondine". Sono seguite le premiazioni con la consegna di attestati a numerosi membri del Corpo di Polizia Penitenziaria ed il saluto conclusivo del comandante Maglione durante il quale ha ringraziato tutti i partecipanti e la disponibilità di padre Ghi, del tenore Pepino che ha animato la Messa, della giornalista Erica Giraudo, speaker della cerimonia. La mattinata è terminata con un ricco rinfresco nei locali del convento.

 

Premiato ad un concorso letterario un ospite del S. Caterina

 

Una persona si è distinta all’interno del nostro istituto per aver vinto il secondo premio di 500 € al concorso letterario indetto dal Rotary Club Italia in collaborazione con il ministero di Giustizia. Il prestigioso riconoscimento è stato conseguito da Rocco Verderosa, premiato alla C.C. "Russo e Cotugno" di Torino e autore di una poesia nella quale ha saputo far emergere la forte spiritualità dell’animo umano elevandolo dalle bruttezze di un luogo di sofferenza fisica e morale come il carcere. È un premio gratificante per lui in primo luogo ma anche per i suoi compagni che si trovano a condividere la sua stessa esperienza e che riconoscendosi nei suoi stessi sentimenti si sentono più elevati nello spirito e migliori. Grazie Rocco.

 

Continuano le presentazioni del libro "Il gambero nero" in tutta Italia

 

Il libro di fotografie di Davide Dutto, con la collaborazione del giornalista Michele Marziani per i testi, dal titolo "Il gambero nero - ricette dal carcere", edito da Derive Approdi continua a riscuotere grande interesse e successo. Quest’estate ha fatto visita al carcere una giornalista inglese del giornale "Observer" per una recensione della pubblicazione e si susseguono in varie parti d’Italia, da Roma a Bologna, da Firenze a Rimini per citare le maggiori città, le numerose presentazioni ed esposizioni, organizzate all’interno di biblioteche e centri culturali, di rinomati ristoranti e manifestazioni gastronomiche, di strutture a carattere sociale come il Gruppo Abele di Torino. Ad una di queste iniziative, svoltasi a La Morra, noto paese delle Langhe ha partecipato anche un detenuto del carcere di Fossano, Renato Santoro che aveva collaborato alla realizzazione del libro e che per l’occasione ha goduto di un permesso premio di otto ore, concesso dal Magistrato di Sorveglianza di Cuneo. Questo avvenimento abbastanza eccezionale è la dimostrazione che, partecipando alle varie iniziative offerte nell’istituto, si hanno delle opportunità per ottenere dei riconoscimenti, per farsi conoscere e apprezzare e per favorire il reinserimento nella società.

 

Il lavoro esterno al carcere

 

Nel 2005 sono stati attivati due progetti di inserimento lavorativo all’esterno del carcere. Il primo, intitolato "Città aperta" è stato finanziato con la legge regionale 45/95 per 18mila Euro, destinati al salario dei lavoranti ed integrato da un contributo di 7800 Euro da parte del comune di Fossano per l’acquisto del materiale e dell’attrezzatura necessaria a ciascuno e come sostegno per la spesa mensa. Il progetto ha interessato l’inserimento di tre detenuti per volta per un totale di cinque persone destinatarie, di cui due straniere, nel periodo da marzo a novembre. Il lavoro svolto ha riguardato la manutenzione di aree verdi comunali ed in particolare quelle dei cimiteri anche delle frazioni.

Il secondo progetto, detto "Highway", è stato finanziato con fondi provenienti dall’Unione Europea e destinati alle Regioni che, a loro volta, li utilizzano per sovvenzionare progetti elaborati dai vari Gruppi Operativi Locali. Il GOL di Fossano, formato da operatori di vari enti: carcere, Comune, Centro per l’Impiego, Ser.T, CFPP, cooperativa ORSo ha utilizzato quattro borse-lavoro destinate a detenuti in beneficio ed ex detenuti. Due sono ancora in corso ed una si è conclusa positivamente con assunzione presso un’impresa edile. Persone. Per l’anno prossimo si attiveranno altri progetti che dovranno essere approvati in sede regionale.

 

Convegno a Cuneo sui problemi dei detenuti stranieri

 

La complessa tematica degli extracomunitari in carcere è stato l’argomento di un incontro informativo con la Questura, svoltosi il 21 settembre presso la Sala Mostre della Provincia di Cuneo. Organizzato e promosso dalla Provincia di Cuneo - Area Servizi alla Persona - Settore Politiche del Lavoro - Coordinamento provinciale dei GOL, l’invito era rivolto ai Servizi del territorio Provinciale, agli Enti Locali, ai Direttori, agli operatori e ai volontari dei carceri, ai Centri per l’Impiego. Al tavolo dei relatori hanno preso posto i referenti dello Sportello Immigrati dei comuni di Alba, Cuneo, Fossano e il dott. Francesco Manigrasso della Questura di Cuneo che per tutta la mattinata è stato bersagliato di domande, richieste e note polemiche sulla difficile condizione degli stranieri e in particolare sull’ancor più complessa situazione degli stranieri incarcerati che rappresentano ormai la metà della popolazione detenuta in Italia.

"Visto la grande carenza di informazione e le innumerevoli difficoltà - spiega Maria Saponaro dell’Ufficio Stranieri di Fossano - che tutti gli enti coinvolti affrontano nel cercare di dare delle risposte certe e di formulare ipotesi di progetti per eventuali inserimenti lavorativi di detenuti stranieri, con questo incontro si è voluto mettere a confronto alcune esperienze operate all’interno dei carceri e le reali possibilità previste dalla legge italiana. Nella mia esperienza finora vissuta, prosegue Maria, ho dovuto occuparmi di molte questioni diverse, espulsioni, sanatoria, legge Bossi-Fini ma soprattutto i permessi di soggiorno: rinnovi per chi ne è in possesso, come averlo per chi è clandestino. A tutti cerco di dare informazioni molto precise e qualche possibile soluzione, senza mai dare loro false speranze. Purtroppo la complessità delle varie situazioni, continua la sig.ra Saponaro, non sempre permettono esiti positivi per il detenuto. Per questo è stato molto utile l’incontro di settembre con il dott. Manigrasso.

Un consiglio, scaturito dal convegno: i detenuti stranieri in possesso di permesso di soggiorno stiano molto attenti alla scadenza perché c’è la possibilità di chiedere il rinnovo alla Questura tramite l’ufficio competente del carcere". Maria Saponaro conclude affermando che anche per la più grande disperazione ci può essere una piccola soluzione.

 

Arrivederci, Ionel!

 

La prematura scomparsa di un ex del S. Caterina nel ricordo di due volontarie, Silvia e Franca. Un ragazzo fiero ed esuberante, con una grande voglia di vivere e di riscattarsi che aveva collaborato con entusiasmo a questo giornale.

"La vita è bella e sono pronto per accettare tutti i rischi che verranno, ma non voglio che le persone che mi amano e mi rispettano soffrano ancora per me, anche perché io, con l’aiuto di Dio, posso cambiare..." Vorremmo che queste fossero parole nostre, ma invece sono di una persona che purtroppo non è più fra noi, una persona che nonostante le difficoltà amava con tutto il cuore la vita e la celebrava in tutte le sue giornate e in ogni suo gesto. Stiamo parlando di Ionel Mindrescu un ragazzo che ha passato alcuni anni presso la struttura del Santa Caterina e che molti di noi hanno avuto la fortuna di conoscere, ma queste poche righe le scriviamo soprattutto per coloro che non l’hanno conosciuto, per poter far comprendere il vuoto che Ionel ha lasciato nei nostri cuori.

Lui era un ragazzo giovane con il sorriso sempre sul volto, veniva dalla Romania e i suoi pensieri erano sempre per il fratello più giovane che era rimasto in patria a studiare e per la mamma e il fratello maggiore che erano in Italia per lavorare e stargli più vicino. Ionel sapeva perfettamente di aver percorso delle strade sbagliate, ma sapeva anche che con impegno e determinazione avrebbe potuto riscattarsi agli occhi degli altri e soprattutto della sua famiglia, vivendo una vita onesta senza mai perdere il sorriso. Era anche un ragazzo ambizioso e molto esuberante, che a volte sottovalutava i problemi, con una fiducia immensa nel prossimo, tutti aspetti positivi ma che temiamo lo abbiano portato ad abbandonarci prematuramente.

Non dimenticheremo mai il suo viso e i suoi occhi vivaci e curiosi, in particolare portiamo nel cuore il ricordo di quando facevamo colloquio e lui voleva sapere tutto di quello che succedeva fuori, sembrava che si cibasse dei racconti di vita "normale" e ci diceva sempre di vivere intensamente ogni giorno perché per dormire c’era tempo da morti. Se per caso ci si lamentava del lavoro o di qualche piccolezza che non andava per il verso giusto, lui ci consolava e ci diceva di non perderci mai d’animo. Questo era quello che più ci piaceva di lui perché nonostante il fatto che fosse costretto in carcere sapeva dare lo stesso amicizia e calore agli altri, senza riserve e senza fare mai pesare troppo i suoi problemi. I suoi sentimenti erano così sinceri e profondi come è difficile trovare nelle persone che incontriamo quotidianamente.

Poi un giorno se n’è andato, prima dall’Italia con il rimpatrio in Romania, e poi dalla vita terrena. Per quando ci riguarda il suo ricordo resterà sempre nel nostro cuore. Aveva una fede profonda e siamo certe che in questo momento lui ci guarda sorridendo dall’al di là e che il Signore ha perdonato i suoi sbagli e l’ha accolto nel Suo Regno, perché il suo cuore era veramente buono. Vogliamo concludere questo nostro ricordo personale di Ionel con un frase di Paulo Coelho, tratta da il "Manuale del guerriero della luce", che sembra scritta apposta per lui "...un guerriero non si lascia spaventare quando insegue ciò di cui ha bisogno. Senza amore, egli non è nulla" e lui amava immensamente la vita. Arrivederci Ionel, un giorno ci rincontreremo, nel frattempo prega per noi e soprattutto aiuta chi ti vuole bene a superare il dolore per la tua perdita!

 

Grazie ragazzi!

 

Carissimi ragazzi del Santa Caterina, dal mese di ottobre ho avuto la meravigliosa possibilità di partecipare, insieme ad altri sei ragazzi della parrocchia di Bene Vagienna, alla realizzazione di un recital, precisamente il famoso Mr Scrooge di Dickens. È stata davvero un’esperienza entusiasmante, che ci ha dato la possibilità di conoscere alcuni tra di voi. È davvero nata tra di noi una bella amicizia, fatta di battute, di scherzi, di semplicità ed anche in alcuni casi di condivisione più profonda sulla vita di dentro, sul passato, ecc.

La cosa che più ci ha colpito è stata la vostra accoglienza e simpatia. Ogni volta ci preparavate il caffè e ci portavate dei dolci. È stato anche molto bello vedere come vi preparavate le parti, come ci tenevate alla realizzazione di questo spettacolo, la cura con cui studiavate le parti da recitare: un grande esempio per noi!

Sicuramente abbiamo incominciato questa esperienza in carcere senza pregiudizi, senza etichette... abbiamo voluto incontrarvi proprio perché crediamo che ogni uomo abbia dentro di sé il bene, sia prezioso, porti dentro la firma di Colui che l’ha creato (l’Amore): al di là di ogni sbaglio che possa aver fatto! Dunque un grazie particolare lo vogliamo dire a voi ragazzi del carcere, per tutti i sorrisi ed i momenti belli che ci avete donato, per tutta l’accoglienza e l’ospitalità che ci avete offerto: grazie ragazzi! Ovviamente speriamo che questo sia solo l’inizio per una grande avventura in cui poter continuare a fare tante amicizie, a regalarci momenti di gioia e di condivisione. A tutti un augurio sincero di Buon Natale e felice anno nuovo!

 

Mauro e ragazzi della parrocchia di Bene Vagienna.

 

 

Pensieri

 

Fiducia, fiducia nel mondo, poiché quest’essere umano esiste - questa è l’opera più intima del rapporto educativo. Poiché quest’essere umano esiste, l’assurdo non può essere la verità vera, per quanto duramente esso ci angusti. Poiché esiste quest’essere umano, sicuramente nelle tenebre si cela la luce, nello spavento la salvezza, e nell’ottusità di colui che vive assieme a noi l’amore grande. Poiché quest’essere umano esiste. Martin Buber

 

Vieni al Santa Caterina!

 

"Nek in carcere a Fossano". Questo sì che è un titolo di quelli da prima pagina... Fortunatamente per lui quella in carcere è stata solamente una visita di cortesia e subito la notizia ha perso un po’ di peso ed è scivolata un pochino più avanti nelle pagine del giornale.

Ma ci dice una grande verità. Un fenomeno di tendenza confermato anche dai vertici della casa circondariale. Tutti (pare) vogliono venire in carcere a Fossano! Nell’ambiente si è ormai sparsa la voce di quanto si stia bene nella città degli Acaja. E così c’è chi chiede trasferimento per venire da noi, chi si costituisce appositamente a Fossano. C’è chi sarebbe disposto a tutto, anche a fare carte false, anche a commettere un reato, pur di poter entrare al Santa Caterina.

E allora sfruttiamola a favore della città sta bella occasione che abbiamo per le mani. Altroché tutte le menate enogastronomiche e culturali. Si sa, il carcere può essere un buon veicolo pubblicitario sia per le persone (di alcuni politici non ricorderemmo neppure il nome se non fosse legato a quello di un carcere) sia per le località turistiche o aspiranti tali. Chi saprebbe dell’esistenza dell’isoletta di Alcatraz o del quartiere romano di Rebibbia se non fosse per la prigione... il carcere è meglio dello spot pubblicitario in prima serata! Già lo immagino: "Vieni a Fossano, città degli Acaja e del Santa Caterina". Sottotitolo: "non approfittarne sarebbe un delitto!".

 

Dalla rubrica "Scusate il disturbo" di Walter Lamberti in "La Fedeltà" del 23/11/2005

La Rondine

una voce dal carcere

Periodico dei detenuti della Casa di Reclusione di Fossano

Gennaio 2006 - Numero 19

Supplemento gratuito a "La Fedeltà" n.3 del 18/01/2006, anno 109

Autorizzazione Tribunale di Cuneo 17/7/1950

 

Direttore responsabile: Corrado Avagnina

Redazione: Franca R., Marco Z., Maurizio F., Renato S.

Hanno collaborato a questo numero: Cosimo T., Silvia M.

La redazione ringrazia: Luigina Ambrogio, Antonella Aragno, Livio Berardo, Carlo Barolo, Laura Bottero, Rosanna Cavallero, Davide Dutto, Valter Lamberti, Pasquale Maglione, Francesca Nicolosi, Tiziana Pelazza, Maria Saponaro, Edoardo Torchio, i ragazzi di Bene Vagienna

Videoimpaginazione: Cooperativa "Nuove idee"- c/o Editrice Esperienze - Via S.Michele, 81-Fossano

 

Invitiamo i lettori a farsi i fatti nostri. Scriveteci!

"La Rondine-una voce dal carcere" c/o Istituto Suore Domenicane - Via Bava, 36 - 12045 Fossano

 

La comunità del S. Caterina ringrazia la Fondazione della C.R.F., il Comune di Fossano, il settimanale diocesano "La Fedeltà"

 

 

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