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Anno 1, numero 5, ottobre 2003
I tempi cambiano e cambiano anche le persone. Tutte le persone, detenuti compresi. Una volta bastava chiudere la porta della nostra casa e lasciavamo fuori tutto ciò che ci poteva turbare e tutto ciò che ci poteva dispiacere. Oggi questo non è più possibile: l’informazione globale invade prepotentemente la nostra privacy, portandoci in casa tutta la spazzatura e il fetore del mondo. A forza di vedere merda non ne sentiamo nemmeno più la puzza, niente più ci sconvolge, nemmeno la morte. Una volta quando a San Vittore moriva un nostro compagno sbattevamo i blindo delle celle, ci accalcavamo in rotonda per la messa di suffragio e raccoglievamo collette per l’acquisto di una corona di fiori. Tutti noi conoscevamo del nostro compagno defunto, il nome, il cognome, la nazionalità e la storia: provvedeva radio carcere ad informarci. Oggi? Oggi non sappiamo nemmeno più chi muore, perché non ce ne frega niente. Perché non ce ne frega niente? Forse oggi c’è meno umanità e pietà di ieri? No, non ce ne frega niente semplicemente per indifferenza, perché l’indifferenza è figlia dell’assuefazione. Ci siamo abituati troppo alla morte, e un nostro modo per esorcizzarla è ignorarla.
Giuseppe Calabrò
Al via il nuovo anno scolastico 2003-04
Partono tra ottobre e gennaio diversi corsi di formazione: eccoli
Per i detenuti della sezione maschile sono previsti dei corsi di formazione professionale, riconosciuti dalla Regione Lombardia. Gli interessati devono fare domanda all’ufficio educatori che provvederà a segnalare l’interessato, che sarà inserito alla frequenza previo selezione attitudinale e motivazionale da parte dei docenti dei relativi corsi. I corsi cui è possibile iscriversi sono: Mobiliere intarsiatore: totale ore 600, inizio a ottobre (comprendente di licenza media) Fotografia digitale: totale ore 117, con inizio a novembre, si svolge al 6°raggio-2°piano Photoshop: totale ore 117, si parte a marzo 2004, riservato agli interessati del 6°raggio-2°piano Comunicazione e rimotivazione: totale ore 60, da ottobre si terrà al 6°raggio-2°piano Laboratorio di modellazione della ceramica: totale ore 150, inizio a novembre Laboratorio di decorazione della ceramica: totale ore 180, da marzo 2004 Legatoria: totale ore 102, a partire da gennaio 2004 Aggiornamento all’uso del PC, 1°livello: 3 edizioni da 60 ore ciascuna, la prima da novembre Aggiornamento all’uso del PC, 2°livello: 2 edizioni da 60 ore ciascuna, la prima inizia da gennaio Aggiornamento all’uso del PC in "ACCESS"- totale ore 60, inizio a gennaio Introduzione alla costruzione di pagine WEB: totale ore 60, partenza a ottobre Montaggio cinetelevisivo: totale ore 210, con inizio a ottobre e dura per tutto l’anno Operatore in campo ambientale: totale ore 300, inizia ad ottobre e dura per tutto l’anno Operatore di cultura fisica e sportiva: totale ore 120, a partire da ottobre - La frequenza ai corsi è obbligatoria (salvo assenze per giustificati motivi) - Alcuni corsi prevedono una certificazione di frequenza e di profitto, quindi al termine ci sarà una prova finale di accertamento degli obiettivi raggiunti, alla quale accederanno gli allievi che avranno frequentato almeno il 75% delle lezioni - I corsi sono interamente gratuiti e al termine sarà rilasciato un attestato regionale di frequenza - Per ulteriori informazioni rivolgersi il prima possibile agli educatori.
È partita alla nave una riflessione di gruppo che durerà mesi
Un inizio anno in salita per La Nave. Il 10 settembre tutti i marinai sono stati sottoposti all’esame delle urine, seguito a poca distanza di tempo dall’esame del capello per alcuni. Come da contratto, quattro persone risultate positive sono state allontanate dal reparto. Una quinta persona si è dimessa volontariamente. Il 29 Settembre, a seguito dei fatti avvenuti, per approfondire l’accaduto e pensare al futuro del reparto si è svolto un convegno su un problema che ci riguarda da vicino: l’uso di stupefacenti.
Dopo l’introduzione del relatore, Alberto Oldrini, ricca di significati e di buoni propositi, nonché di interventi soggettivi e molto personali con critiche più o meno velate, abbiamo individuato alcuni obbiettivi precisi: uno spirito di gruppo più concreto, più chiarezza nella richiesta d’aiuto, impegno maggiore e costante per le attività. Quest’ultimo aspetto è stato particolarmente approfondito. La percezione è che le attività siano vissute come un obbligo dai residenti è una risposta utile al disorientamento iniziale dovuto alla prima fase di ambientamento. La richiesta è che le attività proposte rispettino i tempi di ambientamento personali e che non conti tanto il numero dei corsi che ciascuno frequenta, ma l’impegno con cui si fanno. Il nostro obbiettivo, sottoscritto e ribadito, è cercare di essere uomini senza additivi, anche se alcuni hanno tenuto a dire: "….se inciampiamo aiutateci a rialzarci." Certo è che fatti incresciosi sono avvenuti, facendo sì che da questa "Nave" sia stata gettata una zavorra che ne ha rallentato la navigazione, facendoci "rivedere", obbligatoriamente, i problemi che ci sono stati, che non riguardano la maggior parte dei marinai. Come reparto sperimentale di trattamento avanzato, dal momento che è tale periodicamente ha bisogno di aggiornamenti: la nostra Equipe ha arricchito il contratto con due nuovi punti: il primo prescrive tre mesi di osservazione per i nuovi imbarcati; il secondo comporterà l’introduzione di crediti formativi, che altro non sono che punti dati o tolti, la cui differenza darà l’indicazione del profilo finale. Significativo è stato l’intervento riguardante la richiesta d’aiuto che si accompagna spesso con un sentimento di frustrazione, per non poter avere immediata soddisfazione. Si deve imparare a sopportare questa sensazione, considerando la possibilità di una gratificazione maggiore che si può ottenere in futuro. Al termine del convegno si è deciso di ritrovarci tra un mese. I temi che verranno affrontati saranno preparati da minigruppi di lavoro. La sintesi di ciascun gruppo verrà portata ad un tavolo di lavoro che si riunirà ogni domenica, senza operatori, cui parteciperanno i portavoce dei minigruppi. Un pensiero va ai nostri compagni tornati al C.O.C, con l’augurio che sia data loro quella mano che li aiuti a rialzarsi… allora sì che "... la Nave sarà sorridente".
Ettore Mussato
Interviene uno psicoterapeuta impegnato da anni in carcere
Alcune esperienze, con nomi differenti ma tutte riconducibili ai vari modelli di comunità in carcere, sono sorte nel nostro paese nell’ultimo decennio. Gli enti gestori sono diversi. In altri luoghi, di solito si tratta del Ministero della Giustizia, mentre nel caso della "Nave" di Milano, ultimo nato fra gli esperimenti di questo tipo, si tratta di un progetto ASL condiviso con la direzione della C.C. San Vittore. Sperimentazioni di questo genere sono, ad oggi, molto rare e coinvolgono pochissime Case di Reclusione. Oltre a Milano si ha notizia di strutture simili nelle città di Como, Firenze e Torino: il numero dei soggetti complessivamente coinvolti, in tutti questi modelli detentivi è stimabile sulle 200 unità, a fronte di una popolazione carceraria complessiva di circa 56.000 persone compresi circa 18.000 tossicodipendenti. Questi luoghi sorgono, di solito, dal desiderio di alcuni operatori della cura o della custodia, che mirano a sostituire al tempo pietrificato della carcerazione un trattamento terapeutico e riabilitativo. L’obbiettivo dei promotori di questi approcci è quello di inserire il periodo della pena in un percorso terapeutico, tema, questo del possibile innesto della cura nel luogo di castigo, per molti motivi, particolarmente complesso. In effetti, il trattamento della dipendenza da prodotti psicoattivi implica, preliminarmente, una domanda di cura, domanda che può sorgere solo se chi abusa di sostanze inizia a considerare questo suo (farsi) un problema. E’ ai più evidente che, invece, la domanda di aiuto posta dal carcere dopo l’arresto sottintende il comprensibile desiderio di liberarsi del carcere, prima ancora della voglia di rendersi liberi dalla sostanza, droga o alcool che sia. Di solito la domanda di aiuto evolve in vera e propria domanda di cura soltanto in un secondo momento, ma la strumentalità iniziale della richiesta fa sì che alcuni sostengano che nel carcere non è possibile alcuna terapia. Viceversa le esperienze comunitarie nel carcere amplificano il lato trattamento e restringono il lato custodia. Approcci di questo tipo, costringendo all’astinenza da sostanze, rendono possibile una socialità e una conoscenza di se stessi più vicina a ciò che veramente si è senza il prodotto tossico e possono consentire una rielaborazione "lucida" della propria storia. Questi luoghi possono divenire modello di riferimento del trattamento penitenziario? Se si considera la mancanza di risorse forse no, a sfavore gioca pure il pregiudizio sui carcerati diffuso in alcuni ambiti e riconducibile al: "Ma di cosa si lamentano quei delinquenti, non fanno nulla e hanno persino la televisione in cella". Eppure il possibile successo di esperienze del genere è importante, poiché nessuno testimonia della possibilità di una cura nel corso della carcerazione, o, almeno, di una detenzione meno brutale e umiliante per i reclusi coinvolti, pur con le inevitabili contraddizioni e difetti propri di ogni prodotto umano e, dunque, a maggior ragione di un carcere, che fra i prodotti umani non pare il meglio riuscito.
Francesco Giglio
"Sofficini" per essere felici?
Mi chiedo: perché bisogna intervenire, nel mondo? Lo si deve fare perché sono stanco di sentir dire che per sorridere si devono mangiare i Sofficini, che sopra agli alberi crescono, pronti per essere raccolti gli Yogurt e che mangiando i biscotti si riesce a volare!!! Vi confesso questo poiché, da un po’ di giorni a questa parte, c’è una domanda che mi assilla e alla quale non riesco a dare una risposta: chiedo a voi di aiutarmi a trovare, provare a evocare e capire qual’è il volto della "Nave". Questa mattina, prima del convegno, ho provato ad osservare bene attorno a me… e ho visto… gli scorci, i luoghi più significativi e caratteristici del reparto, dotati di forti contrasti… anche se ricchi di valori metafisici: il murales di poppa, appena terminato il corridoio, l’acquario con i pesci vicino ai computers, le piante che crescono… attraverso le sbarre. Al convegno di oggi si parla di responsabilità, che, anche in un contesto come questo… perché di galera si tratta… assumono carattere trattamentale: infatti i contenuti umani che troviamo nelle attività sono importanti, il significato terapeutico che vuole anche la riappropriazione del tempo, il rapportarsi correttamente alle responsabilità. Quante volte mi accadeva… che tragedie era lo svegliarmi, l’alzarmi dal letto quando dovevo andare a lavorare! Io credo che tutti assieme, se lo vogliamo, possiamo darlo un volto alla "Nave": iniziamo a delinearne più marcatamente i tratti.
Maurizio Albergoni
fatica per una promessa?
È normale vedere un "camice bianco" nei raggi. E per chi a San Vittore ci entra una volta ogni tanto è anche un bel segno: c’è qualcuno che "si prende cura" degli altri e non sta lì solo per controllare, reprimere, opprimere. Ma può anche accadere – è accaduto alla "Nave" in una strana mattina di Settembre – che un "camice bianco" trasforma il sorriso faticoso del risveglio in una smorfia di preoccupazione, di angoscia. Il medico porta con sé uno scatolone di reagenti chimici. Tutti fermi si fa l’esame delle urine. Normale controllo, si direbbe. In realtà non c’è niente di normale a giudicare dall’aria tesa, dai tanti occhi che vagano disorientati. Tutti in fila, a gruppi di dieci, per riempire una provetta e aspettare una sentenza. Sono le regole, no? Chi sta qui lo sa, ha fatto una promessa, l’ha addirittura sottoscritta. Né eroina, né cocaina, né nient’altro. E visto che non è "la promessa" del bambino che giura di non farlo più, ma è "la scommessa" che un adulto fa con sé stesso, non ci dovrebbe essere quella preoccupazione nelle facce di chi, fuori dalla porta di metallo, aspetta il suo turno per riempire la provetta. Invece la preoccupazione c’è. E "chi guarda da fuori" –come capita a chi alla "Nave" ci viene una volta ogni tanto- fa fatica a capire. Pure gli agenti, a ben guardare, hanno lo sguardo basso. Ma la cosa più sorprendente è che, a parte rare eccezioni, quel senso di smarrimento prende tutti, soprattutto quelli (i più) che hanno la certezza di non avere nulla da temere. Non importa neppure che esito avrà l’esame, almeno così sembra. Allora, a "chi guarda da fuori" non rimane altro che farsi e fare delle domande. Anzi, una sola domanda: vale la pena tutta questa fatica per una promessa?
Renato Pezzini
Sempre più mi convinco che lo stare su "La Nave" non è poi così facile come crede la maggior parte delle persone che sono in altri raggi. È molto più comodo barricarsi in cella e farsi i fatti propri e non dover rendere conto a nessuno di quello che si fa o che si pensa, molto più impegnativo è lo stare tra la gente, avere a disposizione mezzi e persone per capire, ragionare e decidere. Certo, la decisione su cosa fare ora e del futuro può anche partire da qui, ma è proprio da questo dilemma che inizia la mia riflessione. Smonterei subito il dilemma eliminando il futuro, lasciando solamente il "presente"; eravamo così abituati a vivere giorno per giorno che progetti alla lunga non mi sembra il caso di farne. Intendo dire che dovremmo cominciare a domare gli istinti distruttivi, un passo alla volta. In tutta questa vicenda di agosto, che poi ha avuto come epilogo gli esami delle urine e non solo, in settembre, la sensazione di stupore da parte degli operatori che tutto ciò accadesse veramente è stata tanta. Noi non dimentichiamo mai chi siamo, e cioè ex-tossicodipendenti in convalescenza, quindi notoriamente non dei chierici, ma loro credo che abbiano perso di vista le reali probabilità di una nostra ricaduta. Vale la pena in una mattina di settembre provare sensazioni di angoscia, di paura, di fallimento, vedere visi affranti come se tutto in un attimo si fosse vanificato? Chi ha la risposta? Tutti e nessuno, nel senso che ognuno ha la propria dentro di sé. È come chiedere ad un ammalato se soffrire ne vale.
Francesco Ghelardini
L’occasione fa l’uomo ladro? Dipende…
Ho ripreso il 10 di settembre e subito sono stata informata dagli operatori di quanto era successo. La mia prima impressione non è stata di stupore. Non perché non ho fiducia nelle persone che sono ospitate alla Nave, ma perché credo che uscire dalla tossicodipendenza non sia un percorso facile, credo che non si possa cambiare stile di vita da un giorno con l’altro. Le ricadute sono quasi d’obbligo, e possono essere anche momento di riflessione, un ulteriore richiesta d’aiuto, per quelle persone motivate al cambiamento che vogliono uscirne, ma non per tutti. La domanda che mi sono posta è in relazione al contesto in cui tutto questo è accaduto: è successo in estate, alla fine dell’estate, periodo "morto" per il carcere, perché è successo proprio in questo periodo? E’ l’espressione dell’angoscia di abbandono, legata sia al contesto carcerario che al nucleo depressivo e di dipendenza presente nei comportamenti d’abuso, che è stata inconsciamente resa esplicita affinché arrivasse agli operatori, o è stata più semplicemente una reazione al fatto che "l’occasione fa l’uomo ladro"? Penso che una stessa risposta non sia valida per tutti.
Daniela Barbini
Il mese di agosto è stato di tensione a causa d’eventi stupefacenti. Stupefacente nel vero senso della parola, infatti sono state fatte le analisi a tutti gli utenti della Nave. Ci saranno dei cambiamenti per chi avrà accesso al reparto. Il primo sarà un periodo di osservazione di tre mesi per vedere se i soggetti sono pronti al reinserimento nel tessuto sociale: seguiranno un programma psicoterapeutico per prepararli all’uscita dal carcere; chi non si atterrà verrà rimandato al raggio di provenienza, non per ritorsione, ma semplicemente perché non è ancora pronto all’itinerario che bisogna seguire alla scopo di uscire dalla tossicodipendenza (o almeno a provarci). Inoltre, l’altra novità sono i gruppi di osservazione/motivazione per i nuovi giunti, che tramite il dialogo con gli operatori del trattamento, aiutano ad aprirsi dando la possibilità di esternare quella che e stata la scintilla che ha fatto scaturire il rifugiarsi nella droga. Bisogna dare segno di buona volontà per riuscire a venir fuori da certi schemi carcerari, infatti "La Nave" è un reparto distaccato di San Vittore, in sostanza è una pre-comunità all’interno del carcere, gestita da vari operatori sociali, psicologi, educatori, assistenti sociali della A.S.L. Si svolgono svariate attività di gruppo, dalla pittura alla musica, teatro ecc… Il bacino d’utenza proviene dal secondo reparto denominato C.O.C. 1° e 2° piano che sono reparti popolati da chi ha il problema della tossicodipendenza e alcol-dipendenza.
Michele Romano
Non è una novità il fatto che ci siano persone responsabili non solo per sé stesse, ma anche per gli altri. Qui alla "Nave" ne abbiamo avuto l’esempio: gli operatori hanno avuto la responsabilità di accantonare per un attimo l’aspetto terapeutico-trattamentale del reparto per privilegiare l’aspetto più importante, l’incolumità dei compagni che responsabili di se stessi non sono, figuriamoci degli altri. E non venitemi a raccontare che c’era l’esigenza di "farsi" perché si stava male: non è vero, non assumete neanche gli psicofarmaci. E’ l’irrefrenabile impulso che ti spinge e ti comanda, facendoti pensare a nient’altro che a "lei", "lei" che in un contesto sociale come il nostro, tossicodipendenti non proprio ex, può dilagare a macchia d’olio, procurando danni irreparabili. Quando sei venuto qui sapevi a cosa andavi incontro, quello che ti ha portato in carcere e ti ha fatto sempre star male: ti sei impegnato a far qualcosa di buono che ti potesse aiutare, aiutando, di riflesso, gli altri. Hai firmato il contratto, e come dicevano gli antichi verba volant, scripta manent. Quindi concordo nella scelta in via precauzionale dell’estrema ratio per tenere "controllato" il reparto, eventualità che integra, ma non sostituisce, il trattamento psicologico che compiamo. Mi assumo la piena responsabilità per l’essere arrivati sino a questo punto, per non essermi svegliato prima: posso dire di aver fallito, per ora, il mio percorso. Ribadisco, però, che non credo ai risultati dell’altra linea di pensiero in materia di tossicodipendenze, quella basata sulla repressione: mi impegno per questo a recuperare la fiducia degli operatori, perché è indispensabile un "clima" sereno per usare efficacemente gli strumenti che abbiamo a disposizione, indispensabili per ottenere dei risultati positivi, nel tempo.
Maurizio Albergoni
Certo che ne vale la pena. Nei visi di tutti ho letto una punta di dispiacere, che non era soltanto per noi o per qualche compagno, ma anche per coloro che in questo progetto hanno creduto e credono: per l’impegno che molte persone ci mettono a dispetto dei risultati che talvolta possono sembrare scoraggianti. Tante cose si sono fatte e tanto si è ottenuto, e pur senza elencare gli uni o gli altri dico di continuare, perché nella difficoltà sicuramente si cresce; non è facile retorica, la misura di come siamo ci dice quanto e cosa si deve fare. Io voglio solo pensare che questi fatti e situazioni ci aiutino dandoci nuove indicazioni per affrontare un problema, che sempre si rinnoverà col ricambio dei residenti. A coloro che si interessano di statistiche, mi viene da dire che quando si parla di uomini non si può farne una questione di numeri: se qualcuno viene restituito ai suoi affetti, alla società, a se stesso è un risultato importante. È soprattutto per questo motivo che nessuna promessa è vana.
Daniele Marini
Sono parecchie settimane che cerchiamo di capire se è giusto continuare a fare gli esami delle urine e più andiamo nelle motivazioni del perché si fa uso di sostanze, più possiamo trovare ragione nel non farlo. Io in prima persona cercherei di semplificare le cose, chiedendo: è giusto proteggere il reparto da eventuali contagi o è il singolo individuo in piena ricaduta? So che questa scelta è dura e difficile per entrambe le parti, ma un qualcosa dobbiamo pur deciderlo. Io preferirei proteggere il reparto, perché se una persona vuole riprendere a vivere in maniera "regolare" necessita di un periodo dove la realtà non sia falsata da soddisfazioni artificiali. Secondo, qui non usiamo psicofarmaci e abbiamo tutti un breve periodo dove l’astinenza fisica non influisce più sulla decisione di assumere sostanze, e dunque l’uso evidenzia la poca ferrea volontà di uscirne e smettere. Terzo, se iniziamo a tollerare anche un minimo uso di pesanti sostanze ci troveremo tutti nella riunione della mattina con un forte senso menefreghista, scontrosi e annoiati. Quarto punto, cerco con questa mia decisione di proteggermi perché se ci fossero state sostanze sarei stato il primo ad usarne.
Walter Madau
Fiocco rosa a San Vittore: è nata Estia
Cooperativa sociale impegnata nell’informatica e montaggio audio video
Alla fine del mese di luglio i detenuti partecipanti al corso F.S.E. per la formazione di "tecnici del suono e dell’immagine" sono stati sono stati coinvolti in un progetto di costituzione di una cooperativa. Gradatamente, darà la possibilità ad una decina di detenuti di continuare la formazione professionale e lavorare in diversi settori, nei quali mettere a frutto le nozioni apprese nei due anni di durata del corso. Per il momento, qui a San Vittore, fanno parte solo quattro detenuti poiché i requisiti necessari sono abbastanza articolati e complessi (fine pena, posizione giuridica e forte motivazione). È comunque prevista entro il mese di gennaio la partenza di un’ulteriore approfondimento didattico che consentirà la selezione di persone interessate anche al progetto cooperativa. Conoscendo la serietà e l’impegno con cui lavorano le responsabili di questa iniziativa, cioè la direttrice del corso F.S.E. Michelina Capato e la sua vice Sara Montanari, siamo sicuri che entro la metà dell’anno prossimo la cooperativa Estia sarà certamente una realtà e un punto di riferimento per coloro i quali vorranno impegnarsi concretamente a superare gli ostacoli e le barriere che tutt’oggi di fatto impediscono un effettivo reinserimento sociale di noi detenuti. Al momento i settori in cui si opera sono abbastanza delineati (rigenerazione di memorie e riversamenti analogico-digitali), in prospettiva c’è tutto il settore che riguarda il montaggio audio-video con la realizzazione di un piccolo studio di registrazione. Queste attività sono presenti a San Vittore, mentre nel carcere di Bollate è già operativa una falegnameria che si occupa di costruzione di materiali per scenografie teatrali ed ha recentemente conseguito un accordo con l’Amministrazione Penitenziaria per l’allestimento delle cosiddette "aree verdi" previste nelle nuove strutture dell’edilizia carceraria. Speriamo di avervi dato delle informazioni utili e degli stimoli per attivarvi a partecipare a progetti del genere che, oltre a garantirvi un sostegno economico durante la vostra carcerazione. Da mettere recapito!!!
Alberto Oldrini
A tavola il rancio è servito!!!
È finalmente entrata in funzione la cucina al terzo raggio
Da dieci giorni è entrata in funzione la cucina del terzo raggio, e questa è una testimonianza che i cuochi fanno un ottimo lavoro. Il vitto è molto più apprezzato, delle volte il carrello arriva all’ultima stanza che è esaurito: questo è indice del bontà del vitto, che, con i mezzi che passa l’amministrazione preparano delle ottime leccornie, anche se è vero che cucinare per millecinquecento persone non e come farlo per cent’ottanta. Il vitto viene distribuito in un orario che ti riporta alla normalità, cioè a mezzogiorno, al momento che ci si siede a tavola come in tutte le case all’esterno di queste mura. Facciamo i complimenti ai componenti della cambusa (la cucina delle navi si chiama così) e ai cuochi che hanno fatto un corso, all’interno dell’istituto, nel mese di giugno-settembre sfidando la calura, per essere pronti all’apertura di ottobre. Soddisfatti del loro impegno avendo superato il ferreo esame cui sono stati sottoposti, i cuochi sono i seguenti: Fiorentino, Ascoli, Sottoferro, Minissale, Scarlatella, De Montis. Complimenti a tutti, quando ci incontreremo fuori sarà nostra premura invitarvi a cena.
Michele Romano
Articolo 311 C.p.p: ricorso per Cassazione
Continuiamo a parlare di ricorsi come nel numero precedente, cercando anche di spiegare in parole semplici per chi non conosce la terminologia, i passi importanti dei vari articoli: Con questo articolo si può proporre ricorso contro la decisione del giudice che ha disposto una restrizione della libertà. Si hanno dieci giorni di tempo per presentare la richiesta direttamente inviandola alla Corte di Cassazione, indicando le motivazioni. Oppure la stessa istanza va presentata all’ufficio del giudice che ha emesso l’ordinanza, il quale trasmette entro ventiquattro ore alla Corte di Cassazione. La Cassazione decide entro trenta giorni partendo dalla data in cui ha ricevuto gli atti. Contro le decisioni emesse a norma degli articolo 309 e 310, il P.M. che ha richiesto l’applicazione della misura , l’imputato e il suo difensore possono proporre ricorso per cassazione entro dieci giorni della comunicazione o dalla notificazione dell’avviso di deposito del provvedimento. Il ricorso può essere proposto anche dal P.M. presso il Tribunale indicato nel comma 7 dell’art.309. Entro i termini previsti dall’art.309 commi 1, 2 e 3, l’imputato e il suo difensore possono proporre direttamente ricorso per cassazione per violazione di legge contro le ordinanze che dispongono una misura coercitiva[281-286].La proposizione del ricorso rende inammissibile la richiesta di riesame . Il ricorso è presentato nella cancelleria del giudice che ha emesso la decisione ovvero, nel caso previsto dal comma 2, in quella del giudice che ha emesso l’ordinanza. Il giudice cura che sia dato immediato avviso all’autorità giudiziaria procedente che, entro il giorno successivo, trasmette gli atti alla Corte di Cassazione [att.100]. Nei casi previsti dai commi 1 e 2, i motivi devono essere enunciati contestualmente al ricorso, ma il ricorrente ha facoltà di enunciare nuovi motivi davanti alla Corte di Cassazione, prima dell’inizio della discussione. La Corte di Cassazzione decide entro trenta giorni dalla ricezione degli atti osservando le forme previste dall’ art. 127. Contribuisci ai tuoi contributi
È possibile riscattare gli anni di detenzione ai fini pensionistici? Il datore di lavoro è obbligato a versare i contributi durante il periodo di detenzione?
Eccovi qui le risposte!
Nel mondo dei "liberi", in questi ultimi mesi si parla molto e giornalmente di pensioni: argomento scottante e irrisolto, non solo dall’attuale governo, ma anche dai precedenti. In carcere, al contrario, se ne parla poco, anche perché i problemi urgenti e contingenti sono ben altri e sempre legati a situazioni di Giustizia e Libertà, che toccano più nel vivo e da vicino chi è detenuto. Vediamo, quindi, di rispondere a pochi e semplici quesiti legati al trattamento pensionistico all’interno delle galere. Quando si viene in carcere, chi ha maturato un tot d’anni di contributi, non perde nulla e se, casualmente e fortunatamente, il rapporto lavorativo, per una ragione o per l’altra continua, gli saranno versati i contributi pensionistici anche se a salario ridotto. Se in carcere si lavora, saranno versati i contributi per il periodo lavorativo svolto, ed ovviamente proporzionati al monte salario. Per cui è possibile "riscattare" gli anni di detenzione ai fin pensionistici solo nella misura in cui si è svolta una mansione lavorativa. Se invece non si svolgerà alcun tipo di lavoro, il fondo pensione verrà congelato all’ultimo versamento fatto. Così la persona detenuta non ha alcun diritto di riscatto degli anni di carcere se non in fase di revisione processuale, ricorrendo al TAR e solo in caso d’assoluzione.
Maurizio Tremolada e Marcello Ghiringhelli
Il fondo pensioni, cosi come è stato ideato nella sua genesi, era in ogni caso un valido strumento di garanzia per la vecchiaia, ma poi nel corso degli anni, questo strumento si e smussato, fino a disattendere le aspettative di chi aveva svolto le diverse mansioni per gli anni richiesti e cioè da 30 a 35 anni e più. Il problema di fondo è che l’amministrazione dei Fondi Pensione è stata demandata ad una struttura, che in realtà si serviva di questi fondi a scopi inconfessabili; da qui il disavanzo enorme, disavanzo su soldi già versati. Se questi signori avessero semplicemente depositato in banca il capitale versato, lo avrebbero almeno raddoppiato ogni 6/7 anni, calcolando gli interessi maturati. Un altro problema e che il monte occupati si e andato restringendo sempre più e di conseguenza, visto che non ci sono più i soldi depositati, gli attuali occupati dovrebbero pagare di loro tasca le pensioni di tutti attraverso i loro contributi, il che sembra assurdo. Quindi, la soluzione, credo che potrebbe essere il congelamento degli interessi alle banche sui finanziamenti a copertura nel corso degli anni, poi una revisione perequativa a quel settore pensionistico d’oro.. Ma la cosa più importante sarebbe quella di azzerare profitti e perdite e ripartire, questa volta, con degli amministratori pensionistici moralmente onesti, i quali dovrebbero garantire una pensione minima, ma dignitosa a tutti. Stiamo parlando di fantascienza?
Maurizio Tremolada e Marcello Ghiringhelli
Ricordi di uno scolaro indisciplinato
Sono molti gli studenti che in questi mesi autunnali riprendono le lezioni, e questo mi dà lo spunto per ripensare, tornando indietro con la memoria, ai tempi quando anche io frequentavo la scuola, da ragazzo. Mi tornano alla mente molti bei ricordi; la piccola aula mai arieggiata, l’interminabile gradinata d’accesso, il lungo ombroso corridoio con in fondo – attaccati ad un muro – il poster dell’evoluzione dell’uomo… il suono della campanella che scandiva la fine, oppure l’inizio. E poi i compagni, diversi, classi miste, ognuno con una storia, problematiche diverse, provenienze differenti, realtà in comune. I professori… la dottoressa, che si era fissata nel volermi portare in un’altra scuola, quella con il cortile, gli animali e la campagna, dove pensava che sarei stato meglio: si disperava per farmi entrare in mente quello che proprio non voleva entrarci, ma era solo questione di tempo...i compiti da svolgere a casa. Poi ricordo i bidelli, erano molto simpatici, le giacche perfettamente abbottonate con gli abbellimenti argentati, che aprivano e chiudevano le aule, quando litigavi ti portavano a prendere la ramanzina del direttore, che ti faceva uscire dopo gli altri, per ultimo. Il mio tempo scandiva gli impegni e le responsabilità...compiti troppo difficili, riuscivo ad escogitarmi sempre il modo per fregarli, con un po’ di "sballo" non mi pesavano troppo le materie che non mi piacevano, qualche scusa, era in mio potere, bastava essere più furbo di loro. E io non andavo a scuola, facevo buca, dovete sapere però che non era colpa mia, erano gli altri che mi trascinavano… I giorni in cui invece ero costretto dai miei familiari ad andarci, la materia che preferivo era l’educazione artistica: dipingevo con i più opachi colori la mia vita, attingendoli a piene mani dal mondo. Avevo uno splendido contenitore, che ancora possiedo, che usavo come astuccio, completo di splendide matite variopinte, che tenevo sempre in ordine e ben appuntite: qualche volta me le chiedeva in prestito il mio compagno di banco per aiutarlo a colorare i bellissimi disegni che faceva...gliel’ho impiantata nell’occhio...eravamo amici, solidali.Oggi mi trovo in carcere e rimpiango i tempi che non si prospetteranno più, quelli in cui andavo a scuola: crescere, formarsi, non si ripresenterà più per tutta la vita un’opportunità simile, questo mi fa soffrire… devi essere spietato e insensibile… qui frequento alcuni corsi, utili a capire qualcosa… ma non ci sono i libri, che una volta avrei venduto per comperarmi la roba...d'altronde la vita la consideravo un mercato, una costruzione e una vendita: ora non riesco più a darle un prezzo, anzi l’ho riempita di altri significati.
Maurizio Albergoni
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