Giornalismo dal carcere

 

Anno 1, numero 6, novembre 2003

 

Caro Carol

Tre piccioni con un indultino…

Indultino: la conoscono la vergogna?

Boules versées

Liberati dall’indultino solo 33 detenuti su 721

Vocabolario giuridico: art. 47 ter (O.P.) Detenzione domiciliare

Ognuno ha le sue idee… prendere o lasciare

È il nuovo che avanza

Io invece la penso così…

"Come te nessuno mai"

La cruna dell’ago

Teatro… ma non solo

Una nuova rubrica per informare su quel che accade a San Vittore

Laboratorio di poesia

Notizie in breve…

Caro Carol

 

Ho incontrato il Papa.

Con un permesso speciale sono stato scortato in Vaticano, dove Carol mi aspettava ansioso.

"Ciao Luca", mi ha detto, come vedi ho voluto incontrarti, per sapere da un detenuto se le parole che ho pronunciato in Parlamento, sono state ascoltate.

"Caro Papa, non ti preoccupare di me, le tue parole non sono state ascoltate, non solo in parlamento, ma in tutto il mondo e a tutti i livelli, come tu puoi vedere.

Immagino la sofferenza che provi".

Dette queste parole l’ho abbracciato stretto: "Tieni duro Carol e ricordati che il Papa è un po’ in ogni uomo e prima o poi ognuno dovrà fare i conti con questo.

Il tuo pianto è uguale al mio"; gli dissi.

Di colpo, però, sento una voce che dice: "Cambio lenzuola".

Miii…

Ero nella mia branda, in cella, era tutto solo un sogno. Beh, eccomi qui, a San Vittore.

La mattina ha l’oro in bocca, si sa, qui lo sanno in tanti perché siamo in tanti, tutti con le orecchie piene di parole… in un luogo che trabocca…

Luca Negri

 

Tre piccioni con un indultino…

 

La Chiesa, i cittadini, i detenuti… ma in che mani siamo?

 

Sono un detenuto di San Vittore, uno dei tanti che si era illuso di poter usufruire della legge chiamata "indultino".

Da come ne avevano parlato, chi avesse raggiunto la metà pena e, come residuo gli sarebbero mancati due anni, avrebbe potuto usufruirne.

I miei familiari erano contenti, perché finalmente sarei potuto ritornare a casa tra loro, anche se non completamente libero ma con degli obblighi da rispettare, che sarebbero stati decisi individualmente dal Magistrato di Sorveglianza. Una delle clausole ammoniva che -mentre si espiava la pena- se entro i successivi cinque anni avessi commesso un altro reato, avrei pagato sia il reato commesso che quello beneficiato dall’indultino.

E ok, fino a qua ci siamo, perché raggiungeva due scopi: quello di andare incontro alla popolazione detenuta, afflitta e provata dalla drammatica disumanità del sovraffollamento, che arriva a delle condizioni di vita vergognose per un paese che si definisce civile e membro della Comunità Europea. Inoltre, come secondo scopo, c’era quello di rassicurare i cittadini Italiani che i detenuti scarcerati sarebbero stati sotto controllo e non ci sarebbero state orde di delinquenti a girare indisturbati per le strade.

Allora: questo indultino, secondo i calcoli fatti dai nostri politici, sarebbe servito per fare uscire un determinato numero di persone, quando, invece, non ne è uscito neanche il 2%.

Da San Vittore su 1591 detenuti ne sono usciti solamente due, pari allo 0,1%.

Io, da povero "ignorante", mi sono posto delle domande: a che cosa è servito questo indultino? Difatti, ne ha potuto usufruire solo chi entro il 3 agosto 2003 era già definitivo.

Le risposte positive in merito all’applicazione di questo beneficio, emesse dalla Magistratura di Milano, sono state di orientamento positivo solo per gli incensurati: per chi, precedentemente, aveva ricevuto revoche di affidamento gli è arrivato solo un triste rigetto.

Allora per chi lo hanno dato? per nessuno, perché per chi non lo sapesse esistono gia le leggi per le misure alternativa al carcere, tra le quali l’articolo 47 bis (art. 94 d.p.r. legge 309/90) per i tossicodipendenti, che consente a chi arriva sotto i QUATTRO ANNI di usufruirne; per i non tossicodipendenti c’è l’articolo 47 O.P. che permette a chi arriva sotto i TRE ANNI di beneficiarne.

ALLORA, uno si chiede, perché fanno le cose che non servono, visto che questo provvedimento d’urgenza doveva servire a svuotare i carceri, che sono in una situazione prossima al collasso?

 

Alessandro Palumbo e Maurizio Albergoni

 

Indultino: la conoscono la vergogna?

 

Provo a descrivere una colossale delusione.

Posso iniziare ricordando la speranza e l’ottimismo che il pensiero dell’indulto, a buona parte di noi, stimolava. La tensione e l’attenzione ai vari telegiornali alla ricerca di notizie aggiornate ma soprattutto positive… quasi tre anni signori, dall’appello del Pontefice nell’anno del Giubileo, all’agosto dell’anno 2003.

Un periodo relativamente corto, politicamente, ma infinitamente lungo per chi come noi conta i mesi, i giorni e le ore. In ottobre il Papa si presenta per la prima volta nella storia della Repubblica in parlamento e, tra le diverse proposte, sollecita un atto di clemenza per i detenuti…. giugno luglio, le notizie incalzano.

In principio, tranne qualche voce fuori dal coro, la maggioranza sembra unanime e il pacchetto giustizia passa alla camera, anche se il Senato non è favorevole: il ritorno alla Camera per le modifiche allunga i tempi e la speranza inizia ad incrinarsi, ma l’ottimismo fa ancora la sua parte sino al momento dell’approvazione di quello che è stato ribattezzato "indultino".

Il nome è chiaro, ma che fosse reso ancor più "ino" dal potere decisionale dei giudici non l’avevamo messo in preventivo, ora ci siamo resi conto dell’inutilità di questo provvedimento, studiato forse più per soddisfare richieste politiche che per affrontare concretamente il problema sovraffollamento.

I nostri politici se volevano trovare un sistema per non affrontare questa vergogna con l’indultino ci sono riusciti molto bene.

 

Ettore Mussato

 

Boules versées

 

Ovvero: quando la politica si prende gioco delle persone (vedi indultino, legalizzazione droghe…)

 

Ovvero abbiamo le p… girate.

Le promesse si sa che generano delle aspettative, ma poi se sistematicamente vengono disattese si possono generare i sentimenti più vari fino ad arrivare all’odio e alla sfiducia nelle istituzioni.

Si sa che per chi a poco da perdere, basta una promessa e lo spirito si risolleva, tanto peggio di così non può andargli.

Però nessuno tiene conto delle balle girate?

Mi riferisco all’ultima grande promessa dell’indulto che come ormai abbiamo constatato tutti quanti, non ha cambiato di una sola virgola la situazione nelle carceri.

Questa bagarre politica, fatta di dichiarazioni nelle aule dei palazzi di poteri, di accordi tra partiti, tra commissioni di giustizia e visite guidate nelle carceri, si è risolta come la più grande bufala dell’ultimo ventennio carcerario.

Personalmente non mi avrebbe agevolato di nulla questo provvedimento, mi servirebbe un’amnistia intergalattica per uscire, ma ho visto tanti ragazzi sperare giorno dopo giorno di essere scarcerati per tornare alle proprie famiglie, con i propri figli.

Anche per loro la delusione è stata tanta.

Qualcuno addirittura aveva gia mandato a casa quasi tutti gli indumenti, credendo (a torto) che ormai la libertà fosse ad un passo.

Passata l’onda dell’indulto ora i potenti si stanno indirizzando su altri fronti, sempre con l’obbiettivo di racimolare voti per le elezioni prossime. Anche i tanto vituperati extracomunitari adesso divengono terreno di caccia elettorale, tanto appetibile da chi, fino a ieri, voleva prendergli le impronte dei piedi prima di farli entrare in Italia, ora invece vuole dargli il voto. Credo con certezza che queste persone anche dopo il voto (se lo otterranno) avranno gli stessi problemi di oggi e quindi diffiderei da quanti dicono diversamente nei palazzi del potere. Un altro cavallo di battaglia a loro uso e consumo. Non voglio credere che il popolo Italiano sia così stupido da cadere in queste trappole, ma invece che ragioni con obbiettività e coerenza. Ricordo comunque che qualunque uomo, anche il più povero in canna, è ricco di ogni sentimento, dal più bello al più abbietto e continuando a prendere pedate nel sedere si stanca…poi viene fuori inevitabilmente la IENA RIDENS sempre in agguato in luoghi come il carcere.

 

Francesco Ghelardini

 

Liberati dall’indultino solo 33 detenuti su 721

 

L’indultino? Una crudele illusione per i detenuti.

Lo gridano i dati del bilancio dei primi due mesi di applicazione della legge al tribunale di sorveglianza: sono appena 33 i detenuti che, da tutte le 11 carceri della Lombardia, hanno ottenuto la scarcerazione. Appena 33 su 721 istanze decise.

E non perché i giudici battano la fiacca (il Tribunale milanese presieduto da Manlio Minale ha ad esempio già evaso circa due terzi delle sue istanze, 450 su 747); e nemmeno perché fioccano i rigetti nel merito (anch’essi a Milano sono soltanto 12); ma perché la gran parte delle istanze (388 a Milano, più 98 a Varese e altrettante a Pavia) sono semplicemente inammissibili per mancanza di una delle molte pre-condizioni imposte dalla legge (almeno metà pena scontata, niente recidive, non essere stati ammessi a misure alternative per le quali sia intervenuta revoca, indicare un domicilio, non essere colpiti da espulsione, ecc.).

Nonostante un’interpretazione non rigida del Tribunale, le tagliole dell’inammissibilità, in tutta la Lombardia, hanno così falciato 584 delle 721 istanze decise sulle 1293 sinora presentate dai detenuti.

 

Articolo di Luigi Ferrarella, tratto dal quotidiano il Corriere della Sera del 22.10.2003

 

Vocabolario giuridico

art.47 ter (O.P.) Detenzione domiciliare

 

L’articolo 47 ter può essere concesso e dà la possibilità di trascorrere un residuo pena non superiore ad anni quattro nella propria abitazione o in un luogo di cura pubblico, quando si tratta di:

Donna incinta o madre con figli di età inferiore ad anni dieci che con lei convivono;

Padre che esercita la patria potestà con figli di età inferiore ad anni dieci, quando la madre sia deceduta;

Persona in condizioni di salute gravi che richiedono costanti cure difficilmente attuabili in carcere;

Persona di età superiore a sessanta anni, anche se parzialmente inabile;

Persona di età inferiore ad anni ventuno, per comprovate esigenze di salute, studio, lavoro e famiglia.

La detenzione domiciliare può essere concessa, inoltre:

 

1. Anche se non ricorrono i presupposti sopra descritti;

2. Quando la pena detentiva da scontare non supera i due anni;

3. Anche se come parte residua da pena maggiore;

4. Anche se non ricorrono i presupposti per l’affidamento in prova al servizio sociale.

 

L’applicazione viene fatta tramite valutazione della pericolosità sociale del condannato, per evitare il pericolo che la persona beneficiante di questa misura alternativa commetta altri reati.

Ognuno ha le sue idee… prendere o lasciare

 

Nel numero precedente dell’Oblò, in prima pagina come editoriale, compariva un articolo del Sig. Giuseppe Calabrò che è detenuto nella sezione penale.

Un articolo che ai più è piaciuto, me compreso, non fosse altro per la sincerità con cui le ha espresse, ma anche perché credo che sia vero quello che ha scritto.

Naturalmente non tutti la pensano come Calabrò, come me o molti altri, quindi è naturale che uno scritto di quel genere provochi reazioni differenti, ne è un esempio lampante quello della Dottoressa Pellegrini, che a mio modesto parere ha comunque voluto leggere tra le righe, lanciando così una provocazione che chiunque se la senta può cogliere.

Da ottima esperta in comunicazione quale lei è, era ovvio che arrivasse una risposta forte.

Chi vuole raccogliere la sfida è ben accetto e attendiamo scritti.

 

Francesco Ghelardini

 

È il nuovo che avanza

 

C’ero anch’io… a quei tempi.

Gentile signor Calabrò, ho letto con interesse ma anche con qualche fastidio gattopardesco (sono sicura che ricorda le famose spine sotto le unghie che ferivano il principe di Lampedusa) le sue considerazioni sul "Carcere di una volta". Parole che hanno rievocato, dentro di me, il ricordo di commenti un po’ tromboneschi e qualunquisti che recitavano: "si stava meglio quando si stava peggio".

Caro Giuseppe, non ho il piacere di conoscere Lei né il dispiacere della sua afflizione detentiva ma, ciò che scrive non riesce del tutto a coprire quel "sotteso" che impasta dubbio e nostalgia, vergogna e sentimento di impotenza contro forze nuove non più dominabili da Lei e da chi come Lei sinceramente credeva nell’esistenza e nel valore di una possibile "moralità" detentiva.

Da molti anni, forse troppi, anch’io sono parte, nelle diverse vesti di spettatrice, figurante e talora co-protagonista di questa triste ed ineludibile tragica rappresentazione teatrale che si svolge in un carcere.

Ho conosciuto e spesso subito l’ingenerosità delle leggi e codici coattivi, a cui Lei, generosamente, riferisce attivi segni e comportamenti improntati alla solidarietà e condivisione. Io non ho mai creduto, signor Calabrò, alla "bontà" di quegli usi e costumi di ampiezza quasi ecumenica. Non ci credo, perché non li ho visti. Ho solo assistito a rituali vuoti e all’esercizio di rapporti di forza mascherati sotto il segno della partecipazione autentica nei confronti delle sofferenze e dei lutti che troppo spesso hanno varcato il limite di ciò che qualsiasi uomo è in grado di sopportare o affrontare.

Ma la solidarietà è una faccenda molto seria, caro signore, e spesso complicata; vive di luce e gratuità, è tollerante nei confronti nei confronti della diversità e non si occupa di vendette personali anche contro chi ha commesso errori odiosi e maledetti. Lei lamenta che al tempo d’oggi, ora che non si battono più le sbarre, il mondo esterno che irrompe dentro queste mura vi infastidisce e vi corrompe con le sue sozzerie e malefatte da cui voi, uomini spossessati, non potete difendervi. In sostanza, leggo tra le sue righe, che Lei e forse anche altri "come lei" vi ribellate contro la percezione di disordini e confusione che imbrattano e minacciano quell’ordine e codice antico tanto consolidato quanto "accettato" e nutrito con cure quasi parentali. Coraggio signor Calabrò; il cambiamento in atto dentro questa Cattedrale della devianza che è il carcere sta cambiando la rotta di storiche parallele che ora stanno per incrociarsi: il figlio di questo matrimonio è ormai concepito anche se non ancora partorito. Le confesso che anch’io, provo timore talvolta a muovermi in territori nuovi che non mi garantiscono più neppure quello "storico rispetto" di cui godevo senza alcuna incertezza e che spesso facilitava l’ottenimento di quanto non ottenibile in sede istituzionale ma, mi creda, ciò che a Lei appare come indifferenza e rottura di sani ed antichi equilibri, invece rappresenta il segno e la ricerca per un’uscita dall’inerzia a dall’invischiamento di sistema.

Quando muore qualcuno in carcere, le assicuro che io non piango ma che mi sento percuotere l’anima e il cervello da sentimenti di rabbia, frustrazione e di vergogna e insieme con me, patiscono anche quelle persone giovani e testarde che ora affollano questi vecchi luoghi e che hanno imparato ad osare e anche a disobbedire ai "vecchi" padroni.

Li guardi bene, signor Calabrò, e li ascolti se può e quando può: paradossalmente sarà proprio il loro disobbedire e la loro incompetenza ad agire quale detenuto modello unitamente alla loro tanto fragile quanto apparente "indifferenza" a iniziare il processo di demolizione del carcere, senza evadere o scegliendo di fuggire nella morte o nell’alienazione.

Credo che Lei sia persona di grande esperienza e dotato di una interiorità impegnata a battersi ancora contro il grande mistero dell’ingiustizia e contraddizione umana; non avrebbe certamente trovato dentro di sé la voglia di cercare e dire quelle parole. Abbia fiducia, signor Giuseppe; è un momento questo in cui si ha fortemente bisogno di sagge alleanze e di menti curiose e aperte al "nuovo".

Mi permetta di concludere con le parole dell’antico filosofo Greco Epitteto: "non sono le cose in sé che preoccupano ma l’idea che abbiamo sulle cose".

 

Serena Pellegrini

 

Io invece la penso così…

 

Molti di quelli che hanno vissuto le carceri di vent’anni fa, per cui radicati, a quella mentalità, e difficilmente riescono ad estraniarsi da quel vissuto. Sicuramente si ha dei ripensamenti, come dal vecchio detto "si stava meglio quando si stava peggio" in un certo modo condivido nell’altro no, considerando l’evoluzione delle carceri che si sono modernizzate, con l’apertura a pene alternative al carcere (legge Gozzini e Simeone) leggi riabilitative e meno repressive e restrittive in sostanza, ha reso più vivibile il carcere, siamo considerate persone, cosa che hai tempi eravamo dei numeri, di fatto ci chiamavano con il numero di matricola. Vi sono delle opportunità maggiori "sempre che le leggi vengano applicate e, non solo scritte sulla carta", la maggior parte delle volte viene interpretata dai Magistrati, specie da quelli del Tribunale di Sorveglianza di Milano, non so se è a causa della mole di lavoro a cui sono sottoposti e, non riescono a mettersi in pari, per la scarsità del personale e, trovano il modo di auto ridursi il lavoro interpretando la legge, nonostante le leggi ci sono, non vengono applicate nella maniera dovuta, ecco perché giustifico il modo di vedere e vivere il carcere, che è legato alle varie ingiustizie che vengono perpetrate di giorno in giorno nei confronti dei detenuti. Non voglio approfondire questo argomento perché potrei entrare in polemica con chi il carcere lo ha vissuto dopo, dopo le innumerevoli rivolte che sono state fatte negli anni settanta (l’ordinamento Penitenziario è del 1975), proprio per avere le attuali leggi che ti consentono un iter riabilitativo ed il reinserimento nel tessuto sociale. Grazie anche agli operatori sociali che gli hanno dato la possibilità di una migliore valutazione, vivendo fianco a fianco hai detenuti; come ad esempio l’encomiabile apertura del reparto "La Nave", reparto sperimentale, che ha già dato modo di distinguersi con le svariate attività che si svolgono al suo interno, preparando gli utenti ad affrontare la vita esterna ed al suo reinserimento, in questo reparto. Il carcere lo si vive in maniera meno traumatica degli altri reparti, dove esci completamente dagli schemi carcerari, in tutti i sensi.

 

Michele Romano

 

"Come te nessuno mai"

 

Le voci di un possibile spostamento del Direttore di San Vittore hanno causato le proteste e l’indignazione di operatori, detenuti, uomini di cultura, politici, cittadini

 

Caro Dottor Pagano,

mi scusi se inizio questa lettera con tono confidenziale, è una frase presa dal primo film di Muccino.

Muccino nel film ci indica che l’impegno non nasce e non è sostenuto solo dall’ideologia, ma anche dalla intelligenza, dalla passione, dalla affettività. Tutte doti che, mi permetto il paragone, sono attribuibili alla sua persona. Ecco allora che in questi giorni ci è preso lo sconforto, sono arrivate tante voci diverse, il suo ufficio era buio e chiuso, proprio come il tempo di Milano. Ricordando, ho cercato di dare una risposta a questa sensazione di smarrimento.

La Nave è salpata da molto tempo e ognuno di noi, preso dalla quotidianità con gli entusiasmi e le delusioni che ogni viaggio comporta, si è dimenticato del varo. E’ avvenuto il 19.07.2002 e quello che adesso rappresenta un modello di esperienza che ci viene invidiato e che vorrebbe essere imitato in molte carceri era proprio una scommessa. Si trattava di costruire una nave, portarla in mare ma soprattutto renderla visibile e vera e mostrare i marinai e la rotta a tutti coloro che volevano vederla e a coloro che si rifiutavano di vederla. La scommessa è stata vinta e la nave non solo sta navigando ma,durante il viaggio,continua a prendere a bordo amici che portano le più diverse esperienze personali e professionali : sono artisti e artigiani, professionisti e atleti che desiderano condividere i loro ricordi e descrivere gli alti e i bassi che si susseguono in tutte le vite.

Ma da quando navighiamo in mare aperto siamo stati accompagnati dalla sensazione di non aver capito fino in fondo attraverso quale strana alchimia siamo riusciti a coagulare così tante persone e tanta energia da rendere realizzabile il nostro progetto. Solo in queste ultime settimane, in cui ho avvertito la sua assenza , mi rendo conto che tutto è stato possibile grazie al suo illuminato governo. Lei ci ha permesso che il cantiere venisse allestito e che la Nave venisse costruita pur sapendo che non avrebbe avuto in cambio né i gradi di capitano né i vantaggi di un armatore,quale realmente e discretamente è stato.

Ora la nave è salpata, perché l’abbiamo costruita con fatica,la governiamo e la proteggiamo dalle burrasche ma non dimentichiamoci che questo è stato possibile perché abbiamo avuto la fortuna di avere a disposizione un" cantiere"; e non si è trattato di un cantiere qualunque, nascosto in qualche palude periferica, ma del cantiere più prestigioso e conosciuto d’Italia, situato in mezzo alla città, dove il nostro lavoro, i nostri errori e le nostre conquiste si susseguivano alla luce del sole e sotto gli occhi di tutta la città. E adesso dopo molto tempo finalmente capisco che, se siamo sulla Nave e abbiamo il vento per navigare e se riusciamo a seguire la rotta, è solo grazie al fatto che non siamo pirati : non abbiamo mai dovuto nasconderci nelle periferie perché il nostro armatore non ha mai avuto paura del nostro progetto né si è mai vergognato di noi, marinai alle prime armi. Del resto,se avessimo dovuto costruire la nave nella sotterranea metropolitana nessuno di noi saprebbe navigare perché nessuno conoscerebbe il vento e nemmeno la speranza. Ho voluto fare l’esempio dell’esperienza della nave perché l’ho vissuta in prima persona, ma il cambiamento si nota a livello generale: è un cambiamento di codici, un’avventura all’insegna della democrazia. Affrontare il cambiamento è una necessità e come affrontarlo una sfida per tutti. Se il carcere che lei egregiamente dirige continuerà a rimanere e a divenire un sistema di detenzione aperto agli ideali nuovi e possibili, allora diverrà anche un luogo di reale testimonianza. Concludo ringraziandola con una frase nella quale mi identifico molto: "Dipende da noi migliorare le cose perché le istituzioni democratiche non possono migliorare se stesse".

Buon lavoro e… bon courage.

 

Graziella Bertelli

 

La cruna dell’ago

 

Circa venti giorni fa scrissi una lettera alla mia compagna per avere degli aghi ed una treccia di filo colorato. La lettera deve essersi smarrita nei meandri dei corridoi, o in qualche scantinato perché ancora l’aspetto.

La posta viaggia a rilento, si sa. Certamente se ho chiesto alla mia compagnia è perché ne ho urgentemente bisogno, per non andare in giro con i pantaloni strappati e i calzini bucati.

Un giorno, durante le ventidue ore chiuso in cella, mentre ero sdraiato sul letto (non per scelta) coltivando il pensiero assillante della necessità di un ago, mi venne in mente di possedere un piccolo oggetto in metallo, e precisamente una graffetta di circa tre centimetri.

Con la parte inferiore della caffettiera mi misi al lavoro: battendola appiattii la parte finale del piccolo tondino affinché potessi farne la cruna, presi una vite che avevo tra le mie cianfrusaglie e sapendo che aveva la punta fine battei ancora sulla parte appiattita del tondino e ne uscì un forellino.

Non era perfetto, così con la limetta del tagliaunghie lo rifinii.

Infine limai la parte opposta contro il muro della finestra che è di cemento armato, per farne la punta: dovetti lavorarci parecchio affinché venisse aguzza.

A San Vittore chiedere un ago per cucire è come chiedere un pollo arrosto con patatine fritte, ma…se volessi della droga troverei subito senza fatica chi potrebbe darmela, naturalmente pagando, in sigarette, bolli ecc...ecc.

La realtà è questa!

Morale tirare fuori la creatività che è in ognuno di noi e sfruttare il tempo che fugge in modo positivo.

No alla droga che ti uccide.

 

Rocco di Giglio

 

Teatro… ma non solo

 

Frequento da due mesi il corso di teatro ed è formidabile quanto mi sta aiutando, divertendomi.

Ho scoperto un mondo, un pezzo di puzzle che mi permette di capire ancor di più il quadro della mia persona. Ogni volta, quando proviamo una scena, cerchiamo di perfezionare i tempi, la convinzione di chi realmente vive la sceneggiatura e l’armonia composta da stonature, urla , sussurri, silenzi e pause.

Io ho trovato subito grosse difficoltà: ho cercato di usare il mio modo di essere e di vivere, per farlo sembrare più verosimile, ma non andava, perché non ho mai capito come si usa la concentrazione. Pensavo che concentrarsi era tendere nervosamente qualcosa, invece è credere in quello che fai senza pensare indeciso ad altre cose: è attivazione dell’ascolto ed essere lì, in quel momento, interamente.

Giocare a diventare altro non attraverso uno stereotipo ma covando la naturalezza che il personaggio ha nell’essere quello che è. Nella realtà penso ad una cosa e subito in me ne frulla un’altra: questo atteggiamento, per forza di cose, devo modificarlo.

Voglio dare e trovare i tempi della mia vita, mettere ordine fra i momenti di lavoro e il gioco, tra il rilassamento della spensieratezza e la meditazione.

Sono contento di aver trovato in me un mazzo di carte mischiate a caso, dove la concentrazione per cogliere e ottenere il meglio di me, si trova dove dovrei staccare la spina, svuotandomi della tensione di centinaia di input che arrivano giornalmente.

I tempi per fare un ottimo lavoro non esistono solo a teatro, ci sono anche nella realtà, indispensabili per vivere al meglio e raggiungere obbiettivi appaganti.

Spero, continuando teatro, di conoscere maggiormente le mie difficoltà e la mia persona a me sconosciuta.

 

Walter Madau

 

Una nuova rubrica per informare

su quel che accade a San Vittore

 

Il 7 novembre 2003, nella pelletteria della sezione penale si è svolto un incontro tra una rappresentazione dei detenuti ed alcuni politici, alcuni dei quali hanno contribuito alla stesura e poi al varo dell’ultimo indultino.

L’onorevole Giuliano Pisapia (Rifondazione Comunista), il senatore Nando Dalla Chiesa e l’avvocato onorevole Saponara si sono confrontati su questo tema e sulle attese che questo provvedimento aveva creato, ma che come sappiamo sono state disilluse.

Abbiamo toccato anche l’argomento della magistratura di Sorveglianza di Milano, che per quanto vogliano venderla come efficiente, tale non lo è affatto.

La vivibilità in carcere non poteva essere argomento trascurato e difatti gli interventi sono stati molteplici come del resto anche per il resto della discussione.

Grossa carenza in tutto questo era una rappresentanza della Magistratura, sarebbe stato interessante sentire dalla loro voce le loro idee e soprattutto che linea in futuro la sorveglianza terrà, ora che anche il Presidente di tale tribunale è cambiato.

Ne è venuto fuori comunque che come al solito noi detenuti vediamo la "bottiglia mezza vuota", mentre i politici presenti la vedono "mezza piena" , ammesso che così è, la situazione non va bene ugualmente perché gli strumenti e le leggi per riempire questa bottiglia li abbiamo se solo la Gozzini funzionasse a regime.

La trasmissione è andata in onda alle ore 08.30 su Telenova in una rubrica ormai settimanale che si intitola "Linea d’ombra" e ringraziamo la rete per averci dato spazio senza dimenticare chi materialmente è venuto tra noi per sentire la nostra voce.

Grazie alle giornaliste di Telenova, a Emilia Patruno di Famiglia Cristiana, la Direzione del carcere che nella persona del Dottor Pagano è stata molto discreta non interferendo mai.

Ci auguriamo che questi incontri si ripetano e che la prossima volta anche i politici siano in sala con noi e non in conferenza video, ma che con loro ci siano anche quelle autorità giudiziarie preposte alla concessione delle misure alternative alla detenzione, supplendo così ad una carenza di conoscenza diretta, che per molti con il proprio Magistrato di Sorveglianza non avviene da anni.

 

Francesco Ghelardini

 

Laboratorio di poesia

 

A partire da lunedì 20/10 dalle ore 13,30 inizierà un corso di poesia a cura del Prof. Vincenzo Samà e la collaborazione degli alunni della scuola media statale"Bonaventura Cavalieri" di Milano.

Il corso avrà luogo alla Nave e durerà tutto l’hanno scolastico, corso speri mentale di "150 ore" .

Darà la possibilità di esprimersi e comunicare con il mondo esterno, dove ogn’uno di noi può dare un contributo con la propria fantasia.

Con ciò che verrà scritto si potranno creare poesie, oppure testi che, con la collaborazione di Alejandro potranno essere musicate ed incise su C.D.

Oltre a questo si raccoglieranno tutte le poesie, e verranno illustrate dai disegni con lo stesso tema fatti dal laboratorio di pittura, e si rilegheranno in un opuscolo .

Un progetto molto interessante che aiuta a venir fuori dalla quotidianità, dando nuovi stimoli e creatività.

 

Michele Romano

 

Notizie in breve…

 

È finita la latitanza per l’evaso di agosto dal carcere di San Vittore. La cattura è avvenuta in territorio elvetico.

 

Nel mese di ottobre i decessi per suicidio all’interno del carcere sono stati due. Per volontà non pubblichiamo i nomi, credendo che di fronte a simili sciagure siamo tutti colpiti, qualunque sia il nome o la nazionalità.

 

L’ex Presidente del Tribunale di Sorveglianza Dottor Manlio Minale si è insediato ufficialmente a capo della Procura della Repubblica di Milano. Al suo posto in Sorveglianza è arrivato il Dottor Patrone, ex consigliere della Corte d’Appello di Milano.

 

Dopo 15 mesi di apertura, alla Nave non si è verificato nessun comportamento autolesionista.

 

 

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