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L'Alba Mensile di pensieri in libertà, della Casa Circondariale di Ivrea
Numero dicembre 2003
La Redazione
Noterete che questo numero presenta delle novità che la redazione ha voluto comunicare ai lettori attraverso una lettera inviata loro nelle scorse settimane e il cui contenuto riproduciamo qui di seguito.
Gentile abbonato e sostenitore del giornale "L’Alba", con la presente desideriamo informarla delle importanti novità che riguardano il mensile che Lei generosamente sostiene e, speriamo, apprezzi. È nostra premura comunicarla che il giornale uscirà con regolarità quanto prima. Infatti, per cause indipendenti dalla nostra volontà, ci e stato impossibile provvedere alla redazione e pubblicazione dell’Alba in questi ultimi due mesi. Le difficoltà che abbiamo incontrate sono state determinate dalla scarcerazione di John Romano che, come lei saprà, è stato il nostro responsabile sino a poco tempo fa. Oltre a ciò vi sono stati cambiamenti nella composizione della redazione dovuti a trasferimenti improvvisi. Di questo desideriamo scusarci e cogliamo l’occasione per rassicurarLa circa la nostra intenzione di riprendere quanto prima la pubblicazione del giornale. Stiamo lavorando per un riassetto del gruppo di redazione affinché si possa, con entusiasmo e determinazione, mantenere i nostri impegni e obiettivi. A Lei chiediamo di seguitare a credere in noi e di sostenerci, così come ha fatto in questi ultimi anni. L’Alba è nato per abbattere il muro della diffidenza e della discriminazione alfine di avvicinare la società civile al carcere ed è per noi una continua occasione di ripensamento e verifica. RingraziandoLa per la sua fedeltà e attenzione, Le porgiamo i nostri più cordiali saluti dandole appuntamento al prossimo numero che non tarderà. Cordialmente.
Alfio Garozzo
Mi chiamo Alfio Garozzo, sono detenuto da due anni e ho poco più di 30 anni, sono padre di due meravigliose bambine Emma e Kaory. Ho collaborato con il giornalino L’Alba come redattore scrivendo qualche piccola cosa e oggi mi ritrovo a ricoprire la carica più alta di questo giornale anche se credo che il mio ruolo sia solo virtuale, visto che il nostro giornale fondamentalmente viene pensato e fatto da tutti noi insieme. Tramite l’Alba, cerchiamo di trasmettere parte di noi stessi, scrivendo le nostre opinioni, le nostre idee, i nostri ideali, le nostre poesie, la nostra fede; cercando di ridare alla società un pezzo di quello che le abbiamo tolto adoperandoci nell’obbiettivo del nostro reinserimento e soprattutto nella nostra maturazione. È un modo per farci giudicare dai nostri lettori e sostenitori, senza nasconderci dietro le mura della censura e della falsità. Il nostro tentativo collettivo è quello di ammettere ciò che siamo stati e ciò che stiamo diventando oggi, o meglio quello che vorremmo essere domani. Nel trasmettere e pubblicare le nostre realtà e le nostre vite passate, ammettiamo i nostri errori senza vergogna, proprio perché siamo consapevoli che la nostra è stata una vita sbagliata, così come sbagliati sono stati i reati da noi compiuti e le nostre vite in parte bruciate, le nostre famiglie distrutte; questi ed altri ancora sono i motivi che ci fanno riflettere e che ci aiuteranno a non rifare mai più gli stessi passi che ci hanno condotto qui. Dico tutto questo per me stesso ma sono sicuro che questi pensieri sono condivisi da tutti noi reclusi qui. Mi sento orgoglioso di poter lavorare per questo giornale non tanto perché sono stato eletto responsabile ma proprio per le sue finalità. Giornale pensato, scritto e fatto da persone che hanno per il loro futuro tanti obbiettivi: riassaporare la libertà, essere un buon padre per i propri figli, non ricadere mai più negli stessi errori commessi in passato, errori che a taluni di noi (me compreso) hanno portato via quanto di più bello si possa avere dalla vita…, non il denaro, non la stessa libertà…, ma il calore, l’affetto, l’amore dei nostri figli. Ringrazio tutti coloro che mi hanno eletto per il ruolo che ricoprirò nel giornalino L’Alba, tutti i componenti della redazione, i nostri volontari, i collaboratori esterni ed esprimo il mio più sincero ringraziamento a quanti vorranno aiutarci, aprire una finestra di dialogo con noi e collaborare alla crescita di questo giornalino che, ricordiamo, è aperto a tutti coloro che sentono l’esigenza di esprimere qualcosa di vero, sincero e costruttivo, così come ci impegniamo a fare noi tutti. Un sentito grazie anche alla Direzione dell’Istituto che confidiamo continui a apprezzare e favorire l’iniziativa. Un caro saluto a tutti i nostri lettori e sostenitori. A volte per gli errori dei figli vengono colpevolizzati i genitori…la mia storia e diversa!
Dario Scerenzia
Quando (come la storia che sto per raccontare) un figlio cade negli errori più assurdi della vita come la droga, il carcere, si tende a colpevolizzare i genitori e il loro modo di educarli. Nel mio caso invece lo sbaglio è stato solo mio che non ho saputo apprendere quello che realmente voleva essere l’insegnamento e l’educazione per vivere in questa vita. Sono cresciuto in un quartiere periferico, di una città del Sud d’Italia; ricordo che da piccolo, nonostante frequentassi la scuola, lavoravo; ricordo che ero molto buono e per questo gli altri ragazzi del quartiere mi prendevano in giro e puntualmente mi picchiavano proprio perché ero un diverso, nel senso che lavoravo, andavo a scuola, e quindi non potevo associarmi e giocare con loro; questo nel quartiere dove vivevo, voleva dire essere diverso da coloro che vivevano sulla strada. Subii tante umiliazioni e man mano che crescevo sentivo accumularsi dentro di me un senso di rabbia e di rancore verso tutti quei ragazzi che si prendevano gioco di me. Senza che i miei genitori lo sapessero ho cominciato a non frequentare più la scuola e mi sono associato a personaggi di strada poco affidabili; con gli stessi ho iniziato a commettere i miei primi piccoli reati e sono così finito nel carcere minorile, per poi continuare a fare un entra ed esci dal carcere fino a quando mi sono ritrovato arrestato per l’ennesimo reato. Qui iniziò la mia vera rovina in quanto entrai a far parte della criminalità organizzata e quindi a delinquere abitualmente. Nonostante mi trovassi coinvolto in una associazione di tipo mafioso, dopo circa 3 anni sono entrato in conflitto con me stesso e mi sono rifugiato dove qualsiasi genitore non vorrebbe che mai un figlio finisse: la droga. Ho scoperto in quella triste esperienza cosa vuol dire essere veramente amato dai genitore e quale potere può avere l’amore e la pazienza di un padre, al quale voglio e vorrò sempre bene per quanto ha fatto nei momenti in cui stavo assaporando gli anni morti della mia vita. Mio padre mi è stato sempre vicino prendendosi cura di me in tutti i sensi…, perdendo tanti giorni di lavoro…, imbattendosi in fatti e problemi più grandi di lui. Lo pensavo fragile e invece ha saputo sconfiggere la mia astinenza, aiutandomi a superare tutti i dolori che la stessa procura e con il suo amore è riuscito a farmi capire, nei momenti più bui e di incoscienza, cos’era veramente la vita. È riuscito a farmi comprendere gli errori che stavo commettendo a causa della droga e soprattutto con la criminalità…, è riuscito a trasmettermi i veri valori della vita che in quei momenti stavo perdendo. Grazie a lui, alla sua vicinanza, ai sui consigli, ho capito che dovevo smetterla e questa mia determinazione è dimostrata dal fatto che da 8 anni, pur essendo stato libero, non faccio più uso di sostanze stupefacenti. Desidero non dimenticare in questa vicenda anche l’importante ruolo di mia madre che ci è stata sempre vicino. Non posso dire di essere diventato un Angelo ma voglio con queste poche parole portare la mia testimonianza e far presente che dentro di me c’è un gran desiderio e tanta volontà di ricominciare. Il merito di questo cambiamento in positivo è da attribuire tutto a mio padre e vorrei dirgli che non deve sentirsi in colpa di nulla se suo figlio ha un passato segnato da determinati fatti perché questi dipendono solo dalla sua precisa responsabilità. Premiazione del concorso "Porte Aperte": un successo!
Beiletti Santino
Il giornale L’Alba, nel mese di febbraio 2002, aveva lanciato l’iniziativa "Porte Aperte" consistente in un concorso a premi rivolto alle scuole elementari, medie e superiori del territorio eporediese. L’obbiettivo era di introdurre il tema del carcere e dell’espiazione della pena per riflettere sul "dopo carcere", attraverso la produzione di disegni e svolgimento di temi. Non ci crederete ma sono pervenuti più di 80 elaborati!!! La redazione, nel numero di giugno, nel ringraziare alunni e insegnanti per la partecipazione, ha promesso "la premiazione" dei migliori elaborati per l’inizio dell’anno scolastico. La promessa è stata mantenuta e ha superato ogni aspettativa! Nella prima settimana di novembre il Comune di Ivrea ha messo a disposizione la Sala S. Marta dove è stata allestita una mostra molto bella e particolare. Oltre a più di 40 icone e miniature, realizzate da detenuti del "gruppo di lavoro Obelix" del carcere di Ivrea (di cui parleremo diffusamente nel prossimo numero), sono stati esposti con ordine e buon gusto tutti gli elaborati che hanno partecipato al "Concorso Porte Aperte". La mostra è stata visitata e apprezzata da numerose persone, ha accolto bambini, giovani, studenti, insegnanti, che hanno sicuramente compreso quanto forte sia il desiderio di dialogo tra due realtà che hanno molte difficoltà ad incontrarsi: il carcere con chi ci sta "dentro" e il territorio con chi sta "fuori". I disegni esposti, tendenti ad immaginare come possa essere la cella di un detenuto, hanno dimostrato, oltre alla fantasia e alla creatività, una risposta commovente al desiderio di dialogo e alla necessità di comunicare. La giuria, composta dall’assessore alle politiche sociali Salvatore Rao, dalla psicologa Paola Lenzetti, da giornalisti dei settimanali locali, da un detenuto e da un assistente volontario, ha avuto un compito non facile nel definire le opere da premiare perché tutte, al di la della loro semplicità, lasciavano trasparire valori di spontaneità ed efficacia. Ringraziamo e citiamo con un senso di grande riconoscenza le scuole che hanno aderito all’iniziativa partecipando con un ruolo attivo e creativo: Scuola elementare e media di Alice Castello (28 elaborati eseguiti nel gruppo "Sorriso" della Comunità Parrocchiale); Scuola elementare Walter Fillak di Banchette (19 elaborati – insegnanti Mazzucco Paola e collega); Scuola elementare "M. e S. Enrico" di Scarmagno (34 elaborati – insegnante Tere Mosca e collaboratrice Ganio Vecchiolino Bruna); Istituto Professionale ISAP (svolgimento del tema a cura di 16 ragazze della classe IA-D – insegnante prof.ssa Lula);
Il giorno della premiazione, giovedì mattina, è stato un momento di partecipazione, molto atteso, gioioso, ricco di testimonianze e di propositi. Nella sala gremita di bambini, studenti, insegnanti, genitori, erano presenti, oltre alle persone già citate e facenti parte della giuria, l’ispettore Mascioli Sandra e l’agente di polizia penitenziaria Esposito Antonio. Tutti hanno portato il loro contributo: le molte domande dei bambini, le testimonianze delle insegnanti e le risposte e commenti dei partecipanti hanno reso piena di contenuti una mattinata non solo festosa ma anche ricca di riflessioni. La consegna dei premi (zainetti da gita) per i due migliori disegni classificati per ogni scuola sono andati a: per Alice Castello: Salussolia Matteo e Benedetta Ravetto per Banchette: De Marie Federico e Cristina Vernetti più un premio speciale (icona) a Leonelli Simone per Scarmagno: Simonato Igor e Zacchia Lorenzo
È stato anche consegnato alla scuole partecipanti del materiale didattico di consumo. Ad ogni bambino presente in sala è stato regalato (dalla ditta Maruelli) un cappellino fatto fare appositamente per l’occasione con la scritta "Give me a change". È doveroso chiudere questo resoconto sull’iniziativa col ringraziare tutti coloro che hanno partecipato e aderito con entusiasmo, la "Sentinella del Canavese" e "Il Risveglio Popolare" che hanno offerto i premi. A conclusione riportiamo quanto espresso nell’intervento dell’assessore Rao: "i giovani costituiscono la primavera di una società che non può trascurare realtà come quella del carcere, protesa a un sempre maggiore inserimento e bisognosa di maggiore considerazione da parte del territorio". Grazie ancora a tutti.
Castelli Rosario
Quando vieni a prendermi all’asilo? Che risposta posso dare e come posso far capire che ci vuole ancora un po’ di tempo e di pazienza? I figli ci aspettano con ansia e a loro non basta sicuramente un’ora di colloquio alla settimana per farli sentire più vicini al genitore "detenuto". Chissà le domande che si pongono, soprattutto in una età intorno ai tre, quattro anni, nella quale si rendono conto dell’assenza di un genitore ma non hanno una percezione esatta della situazione che li circonda. Sicuramente si chiederanno perché per vederlo bisogna aspettare tanto… perché tutti quei cancelli…, chi sono tutte quelle persone vestite di blu. Sono certo che tutto questo per loro è un grosso disagio e per taluni addirittura un trauma in quanto in quell’ora di colloquio non sono nemmeno liberi di stare in braccio, o giocare con il genitore tanto desiderato. Ma il vero grosso problema e l’enorme dilemma diventa quando i tuoi figli ti chiedono: "Quando vieni a casa papà? Quando vieni a prendermi all’asilo"? Cosa rispondere? Quale scusa o fantasia inventare? Come fargli capire di avere un po’ di pazienza, ovviamente per chi non ha una condanna molto lunga? Se poi guardiamo i casi in cui ci si trova davanti ad una condanna di molti anni, si corre il rischio di perdere il loro affetto o, nell’ipotesi migliore che i figli rispondano che "di pazienza ne hanno avuto fin troppa"!!! Occorre progettare qualcosa che faccia sentire i figli più vicino al genitore detenuto, magari permettendo dei colloqui più lunghi che consentano di mantenere solido il rapporto tra padre e figli. Un altro buono spunto potrebbe essere adottare il metodo già sperimentato in diversi paesi Europei e non, come Spagna, Svizzera, Danimarca, ossia quello di poter usufruire dei miniappartamenti, che non hanno solo la funzione di permettere i cosiddetti "incontri intimi" con il partner, ma anche, e soprattutto, quello di accogliere l’intero nucleo familiare agevolando i legami affettivi, ed evitando così che gli stessi vadano deteriorandosi a causa della detenzione più o meno lunga. Questo creerebbe, attorno ai bambini, un ambiente molto diverso che permetterebbe loro di trascorrere diverse ore con i genitori in un luogo più somigliante ad un appartamento che non ad una sala colloqui, e renderebbe la situazione meno traumatica. Credo che nei primi anni di vita sia molto facile allontanarsi psicologicamente da una persona e anche dai genitori, se non si vedono in un contesto normale; credo anche che creare delle condizioni simili a quelle appena descritte, sarebbe certamente un grosso aiuto per scongiurare l’eventuale distacco. Posso affermare che proprio grazie a mio figlio sono stato indotto a mutare la mia vita e condotta. Sono fermamente sicuro e convinto che, una volta terminata questa esperienza, non mi succederà più di dover stare lontano da lui per tornare in carcere una volta. È necessario comunque sensibilizzare l’opinione pubblica e gli organi competenti affinché si tenga sempre in considerazione che la pena detentiva di una persona, non deve compromettere i legami affettivi e non deve ripercuotersi sui suoi familiari.
Alfio Garozzo
La tua voce e il suo tono mi fanno tanto pensare, mi fanno tanto sognare… Sono passate poche ore da quando ti ho sentita al telefono… non riesco a non pensarti pur ostinandomi a non volerlo fare… La tua voce mi rimbomba nella mente arrivando fin al cuore e mi fa star male… le tue dolci e tenere parole… tristi e malinconiche mi danno tanta tristezza… e la tua immagine fissa che non va via in questa notte piena di malinconia… Sei la mia reginetta ma io per colpa del destino non sono il tuo re… Vorrei… vorrei… ma non posso… già due anni sono passati e forse tu hai compreso che le mie sono state tutte piccole bugie… bugie d’amore dette solo per sorvolare il presente e farti rivivere il passato… sperando che continuassi a cavalcare le ali dei miei sogni che ti raccontavano il nostro futuro… Ma nonostante la tua piccola età reclami la mia presenza e ti ostini a farmi pensare a quel futuro da noi oggi tanto desiderato. Il mio amore cresce sempre più e il mio dolore ancor di più… Solo chi può vedere dentro me sa cosa darei pur di stare lì con te… Solo chi vede oltre può immaginare cosa non farei pur di essere li accanto a te, a voi. Non disperare mia piccola regina cammina leggera perché cammini nei miei sogni… tutto nella vita dovrà passare, così come le stagioni di tutto un anno piene di cattivo e bel tempo… Non disperare mia piccola regina e continua a sognare tanto e comunque il tuo papà prima o poi vicino a te per sempre sarà.
Rocchio Riccardo da Pisa
Nel carcere di Madrid VI, inaugurato nell’Ottobre del 1988, non ci sono guardie ma Funcionanos o meglio Impiegati Pubblici con una laurea e senza armi. Questa scelta s’inscrive in una cultura carceraria che, a detta i un Funcionanos, intende promuovere un certo livello di rispetto e fiducia reciproca "tra detenuti e personale". Il sistema attuale nasce come reazione diretta ai trascorsi della Guardia Civile, infausta polizia militare che spadroneggiò per ben 40 anni nelle carceri spagnole sotto la dittatura di Francisco Franco. Durante il periodo fascista molti politici erono finiti dietro le sbarre e cosi, la riforma del sistema carcerario divenne una priorità con l’evento della democrazia nel 1979, con il suo primo atto, legislativo, il parlamento approvò una nuova legge che garantiva ai detenuti il rispetto di tutti i diritti civili privandoli solo della libertà di movimento; altri progressi vanno dalla possibilità di incontrare i parenti in sale riservate a quella di intrattenersi con il coniuge o il partner e persino con prostitute in apposite camere da letto; nelle carceri miste uomini e donne possono avviare una relazione con il permesso del direttore, incontrarsi e utilizzare le stanze riservate come qualsiasi altre coppie, le relazioni omosessuali sono anch’esse ammesse. Varcata la cinta muraria di Madrid VI i visitatori si ritrovano in un paesaggio tipicamente residenziale con schiere di casupole a due piani circondata da violetti alberati e prati verdi; negli ultimi 22 anni sono state costruite 57 nuove prigioni come questa per un costo di 48 milioni di Euro (quasi cento miliardi del vecchio conio). Le strutture sono state progettate come piccole cittadine autosufficienti, costruite da 14 unità carcerarie indipendenti con annesse infrastrutture culturali, sanitarie, e sportive. I nuovi istituti sono dotati di piscina, campi da squash, e da tennis, cinema, durante la settimana vengono proiettati film normali, (mentre il sabato è riservato solo alle pellicole a luce rossa e le celle singole hanno il bagno privato. Il carcere non è stato ideato soltanto per i detenuti non violenti ospita una popolazione quanto mai eterogenea: dagli assassini agli stupratori, dai terroristi dell’ETÀ agli spacciatori di droga; ogni categoria di reato ha la propria unità di riferimento. L’unica sezione in cui i detenuti non sono in base alla condanna è il N.R. 12 che accoglie i nuclei familiari, questa struttura è composta da 72 celle, tutte dotate di letto matrimoniale, lettino, bagno, tavolo, divano, è una piccola area giochi per i bambini. I detenuti condannati per reati sessuali sono gli unici a essere esclusi dall’unità 12 che accoglie i bambini con i genitori detenuti questi bambini rimangono anch’essi in prigione fino alle età di 3 anni. "Sto qui per un crimine contro la salute pubblica - dice Dolores, 36 anni - hanno trovato 1 kg di cocaina e dicono che è mia, sono 5 mesi che sono in carcere. All’inizio ero nella sezione per le mamme a Siviglia ma qui si sta meglio, perché sono con mio marito e la mia bambina. Quando sono arrivata qui non pensavo che sarei stata bene, pensavo che una prigione è un luogo irreale e che comunque fosse difficile starci in quanto tutti i giorni sono ripetitivi. Ora sto passando un periodo da cielo perché mia figlia compirà tre anni fra pochi mesi ed è dura essere separata da lei; è con me da quando è nata, ma mi rendo conto che ha bisogno di qualcosa di diverso; quando la portano in gita o allo zoo o in montagna vedo che è davvero felice e il suo viso scoppia di gioia; sa che deve chiedere il permesso per qualsiasi cosa sa e che ci sono dei responsabili. Mi dice: mamma, di alla signora (la funzionaria) di aprirci la porta del cortile…, sa che deve rispettare i responsabili; di notte si sentono i bambini urlare e piangere: mamma corri… stanno chiudendo a chiave il cortile… é davvero triste e pazzesco sentire un bimbo di due anni che dice cose del genere; l’ultima volta che sono finita qui in carcere sono stata molto coraggiosa ma adesso con mia figlia è diverso, quando uscirò lei avrà pressappoco 18 anni, la cosa terribile in tutta questa storia è che sono qui con la mia bambina finché lei compirà tre anni e poi dovrà essere separata del tutto da me… cosa succederà poi? Tutto quello che abbiamo fatto e per cui abbiamo lottato adesso non conta più nulla?". Questa è una testimonianza delle carceri spagnole. Nelle nostre carceri come vanno le cose? In futuro cambieranno le nostre carceri? Diverranno più umane? La storia di Dolores mi ha colpito come la sua bambina che presto dovrà lasciare e se pensiamo che nelle carceri femminili del nostro paese ci sono tanti piccoli innocenti bisogna che le leggi già in vigore vengano attuate.
Roberto M.
Salve a tutti, mi chiamo Roberto, sono nato in Sicilia, ho 48 anni, di cui 24 passati in carcere. Vorrei raccontarvi la mia vita, ma anche sintetizzando ci vorrebbe troppo. Desidero però farvi conoscere almeno una parte di essa e con l’aiuto di Gesù Cristo spero di riuscirci. Da ragazzino, già all’età di 11 anni, ho iniziato a lavorare. Ho fatto il garzone in vari posti, il muratore ed altri lavori. Poi all’età di 13 anni ho conosciuto un ragazzo di qualche hanno più grande di me con il quale ho iniziato la mia brutta e mala vita. Inevitabile, è arrivato il carcere (per furto). Lì ho fatto altre conoscenze con ragazzi che pur essendo minorenni, come me, erano già plurirecidivi. Appena uscito dal carcere, ho continuato a delinquere anche con le nuove conoscenze, passando prima agli scippi e poi alle rapine. Purtroppo la carriera negativa è continuata e così mi sono ritrovato in una organizzazione che faceva di tutto: dal più piccolo reato al più efferato. In questo contesto ho avuto delle rivalità, ho subito dei lutti in famiglia, le cosiddette vendette trasversali. Questi tragici eventi hanno segnano la mia vita e dato inizio ad un cambiamento… ma il cambiamento era ancora annebbiato dalla rabbia e per questo non ero in grado di recepirlo. A distanza di anni sono stato trasferito in un carcere lontano dalla mia residenza e dagli affetti più cari. In questo carcere di massima sicurezza, dove vige un regime carcerario durissimo e incomprensibile (anche per farti la doccia hai a disposizione pochi minuti), ho conosciuto un ragazzo di nome Orazio. Mi parlava di Dio. All’inizio lo ascoltavo per fargli piacere, per cortesia, e perché apprezzavo e quasi invidiavo la sua fede. Ma in realtà la mia mente era altrove. Pensavo a mia moglie e a mio figlio che non vedevo da mesi e dei quali non avevo più notizie. Non riuscivo più a mangiare e così dimagrivo di giorno in giorno. Poi la prima caduta vera che mi ha portato a tentare il suicidio. Nel frattempo, Orazio, instancabile, continuava a starmi vicino e a parlarmi di Dio. Ho conosciuto anche una suora, suor Maria. Anche lei mi parlava di Dio, ma la mia mente continuava ad essere altrove. La mia situazione famigliare era un disastro ed io non facevo che pensare a questo. Nello stesso periodo però le mie condizioni fisiche sono peggiorate e così sono finito prima in ospedale e poi ricoverato nell’infermeria del carcere. Un giorno, davanti al cancello della cella dell’infermeria vedo questa piccola suora, che quasi piangeva per mie condizioni. Da quel giorno ha continuato a venirmi a trovare, a portarmi sempre un piccolo pensiero, a parlarmi di Dio, della Madonna e di tutte le sofferenze che ci sono nel mondo. È lei, suor Maria, l’angelo che Dio ha scelto di mettermi accanto per sollevarmi. Da allora, anche con l’aiuto del mio angelo, la mia situazione famigliare pian piano si è ristabilita. Adesso posso dire che c’è stato un miracolo. Il buon Dio mi ha voluto bene, mi ha mandato suor Maria che, con la sua bontà e caparbietà, è riuscita a fare di me un buon cristiano. Credetemi, la sua vicinanza è stata veramente determinante per aiutarmi a risollevarmi e a ricucire gli strappi che c’erano stati all’interno della mia famiglia. Per questo non la dimenticherò mai, così come non dimenticherò Orazio. Quanto sono uscito dall’infermeria per essere rimesso a vita comune con altri detenuti, mi sentivo già cambiato. Ho trovato tanti disperati (di cui prima non mi importava nulla) e davanti a loro mi sono fatto umile e nel mio piccolo ho cercato di aiutarli anche solo con piccoli gesti. Ringrazio il buon Dio che mi da dato e mi da l’occasione per rendermi utile e ringrazio Gesù Cristo che mi da tanta forza. Adesso che sono qui nel carcere di Ivrea, continuo ad avere contatti con il mio angelo (suor Maria) e prego il Signore affinché la tenga sempre in buona salute e la benedica. In seguito parlerò del mio lavoro di volontario. Come avrete capito mi occuperò della rubrica "l’angolo della fede"; sarà un compito arduo, ma ce la metterò tutta e con l’aiuto di Dio e l’intercessione della Madonna spero di riuscirci anche perché quando si fanno delle cose buone, l’aiuto divino arriva per tutti. C’è tanto bisogno di bene e di pace! Se ci facessimo del bene a vicenda, non credete che staremmo tutti meglio? Non importa di che colore sia la pelle o a quale religione si appartenga, tutti hanno bisogno di un sorriso (che non costa nulla)! Tutte le volte che si aiuta qualcuno si prova un immenso benessere interiore; sarà forse questa la risposta a quel comandamento "fai al tuo prossimo ciò che vorresti venisse fatto a te"? Questo è il messaggio che mi ha lasciato nostro signore, tramite l’angelo che mi ha mandato e ritengo naturale provare a trasmetterlo agli altri.
La Boccetta Manuele
Alla tenera età di 14 anni, ho varcato per la prima volta la soglia del carcere minorile; ancora non sapevo che, quell’arresto, sarebbe diventato il mio trampolino di lancio, per entrare a far parte, come direbbe Manzoni, "Dei Bravi", agli ordini di un qualsiasi "Don Rodrigo", tanto è vero che, nei quattro anni successivi, non feci altro che entrare ed uscire dal minorile, senza curarmi della scuola, quella stratale s’intende. In quanto ad esperienze da "strada", come si vuol dire, posso oggi affermare di aver preso la laurea. Avendo a 18 anni un’esperienza di un quarantenne, mi sposai e divenni immediatamente anche padre di una splendida bambina. Tutto questo cambiò la mia mentalità, ero convinto di mettermi sulla buona strada, di poter dare a mia figlia quello che non avevo avuto, e così cominciai a cercar lavoro, ma, come accade a migliaia di ragazzi del sud, la mia adorata Sicilia non mi diede possibilità di lavorare e di mantenere la mia famiglia. Mi sentivo inutile, incapace, per cui tornai e a fare ciò che sapevo fare meglio, ma sopratutto ero sicuro che almeno la "pagnotta" a casa l’avrei portata! Così, tra uno scippo e l’altro, una rapina e l’altra, riuscì a fare il salto di qualità, e, dai lontani ricordi del carcere minorile, dove, nonostante fosse un carcere mi sembrava sempre un gioco entrarci e, passai direttamente a quello per i maggiorenni. Lì mi trovai di fronte ad un realtà totalmente differente, non bastava tirare fuori i denti per farsi rispettare come accadeva spesso al minorile: lì la vita è più dura, bisogna reagire quando si è molestati, ma non solo, anche per mettersi in mostra come burattini, per essere presi in considerazione dai "Boss", i quali ci maneggiavano come burattinai, ed io, ragazzo contento di questa situazione, non mancavo per mettermi in mostra per essere scelto da un Boss e poter far parte di un gruppo malavitoso, senza rendermi conto delle con conseguenze che avrei passato e fatto passare di riflesso alla mia famiglia. All’inizio è tutto bello, ti senti protetto, forte, credi di essere entrato in un contesto dove tutto è possibile e l’illecito diventa normalità, ma è uno specchietto per le allodole, non è altro che l’inizio di un tunnel, un lungo tunnel dove la fine non si vede mai! Così misi la mia vita, nelle mani di questi boss che, giorno dopo giorno, mi insegnarono, oltre ad ubbidire senza discutere, anche dei valori e dei principi che oggi non lascerei in eredità neanche a un topo di fogna!!! Passano gli anni, ricordo che ho fatto cose che mai la mia mente avrebbe pensato di fare, oggi me ne vergogno amaramente, ma anche allora, ma man mano che vedevo crescere mia figlia, il rimorso mi mordeva continuamente l’anima. Quante lacrime ho versato alle domande che mia figlia mi faceva quando era in carcere! Non sapevo che rispondere e che bugie inventare quando mi chiedeva se avrei finito di "lavorare" per il suo compleanno!!! Tutto questo marasma nella testa mi fece maturare in breve tempo, ho cominciato a capire quali erano e quali sono i veri principi ed i valori, quanto è importante la famiglia, l’onestà e tutto ciò che circonda questo mondo, per cui presi la mia decisione: quando finisco la mia pena, devo andare via dalla Sicilia! Detto e fatto; uscito dal carcere, decisi di intraprendere un altro percorso: ero e sono fermamente tutt’ora disposto a cambiar vita totalmente, ma dovetti allontanarmi veramente della mia terra. Ricordo un periodo successivo, dove, oltre alla nascita di mio figlio, eravamo una bella e felice famiglia. Che soddisfazione poter passeggiare per le vie del centro, spingendo un passeggino e sorridere contento alla bambina che si versava il gelato sulla maglietta! Che beatitudine vedere finalmente sorridere mia moglie! Mi sentivo appagato, soddisfatto, molto di più di quando passeggiavo per le vie della mia città e la gente mi sorrideva e mi salutava solamente per paura! Ma solo nei film c’è il lieto fine, e così mi ritrovai a fare i conti con un problema ormai a me familiare da quando avevo 14 anni: i soldi! Lo stipendio non bastava per andare avanti, i problemi erano immensi, lontano da tutti e tutto, dovevo cavarmela da solo, e non sapevo più a chi rivolgermi, o meglio non potevo, ma soprattutto non volevo. Cosa deve fare un padre che non riesce a comprare il necessario didattico della scuola dei propri figli? Cosa deve inventare un genitore se gli mancano i quattrini anche per mangiare? Mi trovavo in una città che non conoscevo, la sentivo ostile, lontana dei miei problemi, ho chiesto più volte aiuto alle istituzioni, ma niente: le porte erano tutte chiuse per me, nessuno mi ha aiutato ed io, nello sconforto, sono riuscito nuovamente a commettere un reato. Questa volta l’ho pagato caro, non con la giustizia, ma con la mia coscienza. Mi ritrovai in una fredda cella, ero assalito dal rimosso per ciò che avevo fatto, ma soprattutto per aver deluso ancora una volta mia moglie e i miei figli. Che vergogna provavo solo al pensiero di rivedere mia moglie al colloquio, dicevo a me stesso che non solo non ero un bravo marito, ma neanche un buon padre! Ero amareggiato, schifato da me stesso, ricordo che, quando mi arrestarono, mia moglie e mia figlia erano a casa, costrette sotto le coperte da una brutta influenza. Dalla questura informarono mia moglie del mio fermo, e lei si preoccupo subito di nostro figlio che era all’asilo, ignaro di tutto. Mia moglie, venne in questura dopo aver preso il piccolo, per assicurarsi sulle mie condizioni; ancora una volta dimostrava di essere più forte di me, nonostante l’avessi delusa, i suoi pensieri ed attenzioni erano e sono sempre rivolti alla famiglia. Non avevo il coraggio neanche di guardarla negli occhi, come un meschino, alla sue domande e ai suoi perché abbassavo la testa, come un condannato consapevole di ciò che gli spetta. Comunque mi portarono in carcere; questa volta era penitenziario del nord ad ospitarmi, precisamente quello di Brescia. La condanna fu una delle più piccole da me prese, solo 6 mesi, ma ciò nonostante non c’è la feci. Il ricordo di quelle mani tremanti, di quegli occhi carichi di lacrime che mi chiedevamo "perché" mi fecero sprofondare nel buio più assoluto: il solo pensiero di aver lasciato la mia famiglia da sola, in una città sconosciuta, mi dava una sofferenza mai provata prima, mi sentivo mordere dentro, i pensieri si facevano confusi ed i gesti non erano più da me comandati. E così mi ritrovai in una clinica dell’ospedale, con flebo ed ossigeno. Mi ero svegliato dopo 3 giorni di coma, ed al mio risveglio la prima persona che vidi, e che mi teneva la mano, era mia moglie! Quello che mi disse mi colpì come un fulmine a cielo sereno, tanto da farmi ricordare il gesto che avevo compiuto; mi disse che se io sarei morto, lei mi avrebbe seguito. Ora mi era tutto chiaro; quando mi portarono al carcere di Brescia, preso da vergogna e sconforto, tentai il suicidio tramite impiccagione. Non so chi mi salvò, ma sicuramente il buon Dio mi diede una grande mano. Certamente per lui non era ancora il momento. Chiaro, è stato un gesto da vigliacco, direte voi, i problemi vanno affrontati e risolti, non aggirati in questa maniera: oggi anche io la penso così!!! Comunque dopo questa esperienza uscì dal carcere, propenso a diventare definitivamente un buon padre e un ottimo marito; non volevo far più soffrire i miei figli, e devo dire che, questo episodio mi fece maturare non poco. Cercai di rendermi responsabile ed onesto con ottimo successo, così voleva mia moglie, così volevo io! Tutto filava bene, ma si sa i problemi sono sempre dietro l’angolo, e così mi capitò di trovarmi di nuovo a navigare in brutte acque. Questa volta sapevo dove bussare per chiedere aiuto!! Bussai ad una porta della chiesa. Questo gesto risulto azzeccato. Trovai gente amica, disposta ad aiutarmi, a non farmi ricadere negli stessi errori; lì ho conosciuto molte persone, io stesso sono entrato a far parte di un gruppo di volontariato, stavo bene, mi sentivo un re, soddisfatto ed appagato, anche la mia famiglia finalmente si riprese! Sono sempre stato consapevole però che, prima o poi, mi sarebbero piombati addosso tutti in una volta gli anni di carcere accumulati e non scontati, ma questo pensiero non mi ha mai portato fuori strada, pur sapendo che dovevo scontare una pena complessiva di anni 30! Molti penseranno che sono stato stupito a non andare via dall’Italia, a non trasferirmi che ne sò, nel sud America, ma io non la penso così, l’ultimo episodio di Brescia mi ha colpito al punto che i valori della famiglia, i principi della società e l’onestà hanno vinto su di me. È pur vero che, anche adesso non sono presente in famiglia, ma solo fisicamente; mia moglie mi ama ed i miei ormai cresciuti bambini mi adorano quanto io adoro loro. Finirà anche per me questa agonia, e sono più che sicuro che uscirò da questo orribile posto, ma quando metterò piede fuori di qui, uscirà un uomo, un vero ed onesto uomo!!! So che il tempo che si perde non si recupera, ma sono altrettanto convinto che, quando avrò la possibilità, renderò la mia famiglia felice. Sono sicuro che, chiunque di noi, può superare questi ostacoli; se lavoriamo con tutto il cuore e se siamo sostenuti, non solo dalle famiglie ma anche dai volontari, dagli psicologi e dalla voglia di cambiamento ce la possiamo fare. Se vi può essere d’aiuto un consiglio; fate come me, cercate anche voi la porta giusta, come feci io bussando in una chiesa; lì trovai padre Luciano Marini e Padre Nicola Catardo, ai quali va la mia più infinita e sincera gratitudine. Grazie, non vi dimenticherò mai. Il problema che non è un problema
Frazzitta Antonino
Un problema per essere tale deve riguardare qualcuno. Questo non riguarda nessuno, dunque non è un problema.
Da sempre, nelle carceri italiane esiste una insufficienza di personale civile: educatori, psicologi, ecc…, la cosiddetta "Area Trattamentale" della quale fanno parte coloro che si occupano del trattamento del detenuto, sia intramurale sia extramurale. Sono loro che, sulla base dell’osservazione, quando un detenuto è pronto, propongono misure alternative al carcere (trattamento extramurale); tra queste figure professionali di esperti ci sono gli psicologi, che oltre a scrivere nell’osservazione il profilo psicologico del detenuto si occupano anche del sostegno psicologico dei "soggetti a rischio", ossia di quelle persone che esprimono il proprio disagio attraverso tentativi di suicidio, atti di autolesionismo o altro. Si occupavano (tempo passato), non se ne possono occupare più, visto che il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria ha ridotto le (già insufficienti) ore di un terzo. Ad esempio, qui ad Ivrea le due psicologhe presenti prima effettuavano 25 ore mensili ciascuna, ora ne effettuano 17; tra l’altro Ivrea (sulla carta) è un posto dove esiste un presidio sanitario e per questa ragione qui vengono concentrati più che altrove i cosiddetti "soggetti a rischio". Mi sembra pertinente chiedere: chi si occuperà di loro? Forse se ne potranno occupare i coodetenuti e gli agenti più sensibili assieme agli assistenti volontari, ma nessuno di loro ha una professionalità idonea. Forse il D.A.P. preferisce che se ne occupi lo psichiatra. Li imbottisce di psicofarmaci ed è tutto a posto. Sono tante le perplessità sul punto, anche perché in molti hanno compiuto l’atto estremo proprio mentre erano sedati dagli psicofarmaci. Di più, la riduzione delle ore arriva in un momento in cui i magistrati di sorveglianza sono sommersi dalle richieste di benefici penitenziari, soprattutto l’applicazione dell’indultino, e questi, giustamente, chiedono all’Area trattamentale le osservazioni dei soggetti che ne hanno fatto richiesta. Ricordo che più volte, il D.A.P, con varie circolari, raccomandava la massima attenzione e supporto psicologico per quei "soggetti a rischio", vista l’alta percentuale di suicidi, tentati suicidi, e atti di autolesionismo tra la popolazione detenuta. Ma, ancora una volta, come al solito, l’istituzione carcere ci svela il suo volto con una gestione schizofrenica. Ma dove è il problema? In fondo, stiamo parlando solo dei "rifiuti della società". Desiderio di orizzonti più ampi
La redazione
Questo giornale com’è noto persegue il fine di avvicinare due realtà: quella interna al carcere e quella esterna. Cerchiamo di far conoscere questo "mondo parallelo" e, durante questo percorso, riceviamo tante gratificazioni e riconoscimenti importanti. Ma, sinora, di cosa abbia parlato? Probabilmente, in molti casi, abbiamo espresso il nostro punto di vista che, soprattutto quando gli anni di detenzione diventavano tanti com’è per molti di noi, potrebbe essere molto limitato e non considerare nel modo dovuto la complessità della realtà esterna. Come possiamo ampliare questo punto di vista? Possiamo contare sul coinvolgimento dei pregandoli di muovere delle critiche ai nostri articoli? Sicuramente saranno delle critiche costruttive che ci aiuteranno a crescere ancora di più. Ancora meglio sarebbe se il lettore vestisse i panni del giornalista che conduce un inchiesta (tra parenti, amici, conoscenti) e ci facesse sapere cosa ne è emerso, quali emozioni e sensazioni prova per esempio la vittima di un reato. Proviamo a pensare a un furto in casa: un estraneo che introducendosi nella mia casa oltre a portarmi via dei beni, a volte anche di immenso valore affettivo, viola la mia intimità rovistando tra le mie cose… La lista potrebbe essere lunga; alcuni esempi: i danni non solo materiali, causati per il furto di un auto, di un portafoglio con i documenti; cosa ha provato chi è stato vittima o ha assistito ad una rapina, ecc. Abbiamo provato a cercare di vedere le cose del punto di vista della vittima, ma per quanto ci sforziamo non potremo mai arrivare a capire la profondità delle sensazioni se non aiutati da testimonianze vere che ci aiuterebbero a aumentare la consapevolezza dei danni causati per poter renderci utili per una vera riconciliazione. Con la speranza di ricevere molte testimonianze, chiediamo il vostro prezioso aiuto e il consenso a pubblicarle (naturalmente cambiando o omettendo i vostri dati personali) in quanto pensiamo possano essere utili a noi e a quanti leggono L’Alba. Grazie!
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