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L'Alba Mensile di pensieri in libertà, della Casa Circondariale di Ivrea
Numero 1 - 2004
Per tutti coloro che hanno una persona cara in carcere
Di Alfio Garozzo
Nelle carceri italiane in genere vi sono tantissimi detenuti, con tanto di famiglie che potrebbero occuparsi di loro o comunque dare loro quel sostegno morale indispensabile alla crescita di una vita nuova e a riscoprire quei valori che per tanti sono stati inesistenti.
Vi potrei raccontare mille storie di detenuti che stanno dentro per un reato a volte gravissimo ma del quale non sanno neanche considerarne la gravità. Perché? Perché sono dei gravissimi delinquenti abituali? … Potrebbe anche essere ma personalmente ne conosco tanti che nutrono una rabbia incredibile verso chi si dovrebbe amare… come una mamma o un fratello. Solitamente il detenuto agli occhi di tutti coloro che non lo conoscono appare come una persona forte, una persona incapace di cambiare vita proprio perché ricade quasi sempre nella stessa pentola bollente da cui era uscito poco prima e continua a commettere reati restando così un delinquente. Quindi chiunque è portato a giudicare quella persona in modo negativo ed è sicuramente per tutti facile giudicare una persona del genere. Ma mai nessuno si è chiesto perché questa persona a volte rimane nella stessa morsa? È un discorso che sicuramente poco riguarda la società… ma riguarda tantissimo le persone care, i famigliari, i genitori dei detenuti. Mi riferisco ovviamente a quella parte di famigliari che non solo abbandonano il proprio figlio, il proprio fratello, il proprio coniuge, ma anche agli amici veri. Chiunque di noi sa quanto possa essere forte una amicizia magari riscoperta proprio in carcere. Questi sono per me i punti cardinali, ossia i riferimenti importantissimi ai quali ogni detenuto dà una sua personale valutazione e dai quali riesce a trarre tutto il peggio o il meglio che c’è dentro di lui. Sapete quanto è importante per un detenuto avere notizie dai suoi cari? Sapete quanto conta per un detenuto una lettera ricevuta dalla mamma, dalla sorella, dal figlio, dal nipote? … no, voi non potete saperlo, ma vi posso assicurare che una lettera ravviva il detenuto, rinnova con le sue poche righe tutta una giornata, rafforza la speranza e offre motivo di ripensamento per un giusto reinserimento nella società. Società che comunque, in piccolo e con pochi mezzi, puoi trovare anche qui se riesci a cogliere e a attenerti al trattamento rieducativo che il carcere ti offre al fine del tuo bene. Con queste motivazioni e sapendo che comunque c’ è chi gli è vicino, chi lo pensa, chi magari lo ama, il detenuto è sicuramente più predisposto a scacciare i mille brutti pensieri e a intravedere un orizzonte diverso. Evidentemente questo mio messaggio è rivolto in particolare a tutti coloro che hanno delle persone care detenute e che pian piano si dimenticano di loro. Credetemi, i detenuti e fra questi anch’io, non si dimenticano di nulla e debbono avere uno scopo nella vita per essere invogliati ad un cambiamento, debbono avere una speranza, e a volte questa speranza la si trova proprio in una lettera della mamma o delle persone care. Non so quanti leggeranno questo mio messaggio, quanti hanno persone chiuse in carcere (mi auguro nessuna), ma confido di essere compreso e che il messaggio venga divulgato perché sostanzialmente la persona detenuta ha bisogno di quel pizzico d’affetto che può essere trasmesso anche attraverso una semplice lettera e questa è la benzina per farla partire velocissima verso un radicale cambiamento. Abbandonare un piccolo cane è peccato… ma, per quanto lo sia, il cane vagherà e troverà il suo destino e magari, essendo troppo piccolo, non si ricorderà più chi gli ha fatto del male e lo ha abbandonato. Il detenuto non può vagare… e resta murato vivo con tutti i suoi ricordi . Chi mi conosce sa che amo molto potermi proporre come esempio ma qui posso dare solo una importante testimonianza con la speranza che venga accolta: fate partecipi i vostri cari, scrivete loro, inviate la foto che avete fatto di recente, dite e raccontate le cose più semplici; il detenuto vive di queste piccole certezze che assumono un significato immenso. Ricordate che per tutti tra non molto è Natale (riferito ai parenti di taluni detenuti); per gran parte di noi è un giorno come un altro, anzi un giorno in cui emerge di più la sofferenza perché ci si sente più soli del solito. Sono consapevole e qui tocco me stesso nel personale, che sarei molto felice di ricevere lettere… da chi magari ha ricevuto da me tanto bene, … avrei un motivo in più per rassegnarmi al mio destino pensando che, nonostante tutto, quella persona mi apprezza per quello che ho fatto per lui (per lei); è anche vero però che la lontananza cancella tante cose compreso l’amore. Ma i ricordi restano per sempre… Fortunatamente io ho una missione da compiere ed è quella di poter riabbracciare presto i miei figli e con essi vivere per sempre… ma qui, non tutti abbiamo lo stesso obbiettivo e per molti è dura dover stare qui senza intravedere l’orizzonte.
Se avete delle persone care detenute, figli, nipoti, parenti, fate loro ogni tanto un regalo con una vostra lettera. Vi garantisco che quel giorno per ognuna di loro sarà un giorno diverso e soprattutto felice!
La lettera di una figlia che ha appena trascorso due giorni con il padre in permesso
di La Boccetta Anna Maria
Aspettavo da tanto tempo il giorno in cui sarei stata con te, fino a quando il mio sogno si è realizzato. Dovevi sentire il mio cuore come batteva forte ogni volta che contavo un’ora in meno a quando ti avrei rivisto, fino a quando eccoti lì, che ci aspettavi; il tuo sguardo era felice: era felice di vederci e di sapere che dopo poche ore non ci saremmo dovuti separare, era felice di respirare aria pulita e non, in una parola che potrebbe avere due significati, "aria di chiuso". Quando ti ho riavuto a casa, mi sono sentita felice, la mia vita è diventata un sogno, ma purtroppo il sogno deve finire e così domani te ne andrai e torneremo alla vita di sempre… piena di pensieri e di dispiaceri. In questi due giorni, quando mi davi il bacio della buonanotte mi sono sentita la bambina di 7 anni che ti chiedeva di venirla a coprire per augurarle dei sogni sicuri. Ti voglio bene papà ho passato i più bei giorni di questi ultimi 5 anni. Non ti preoccupare papà, il mio cuore è sempre felice perché vive di bellissimi ricordi. Inseguendo il mito dell’apparire
Frazzitta Antonino
Chi da bambino vive e cresce sulla strada fa suoi dei valori che sono molto differenti da quelli socialmente accettati. Già il solo fatto di essere sulla strada, di non avere una famigli normale, è un fattore che porta ad un accumulo di rabbia interiore. La rabbia, che non è mai stata una buona consigliera, non aiuta a capire ciò che è giusto da ciò che non lo è. Ed anche se si capisce, per la propria condizione confrontata con gli altri, quelli più fortunati, si introietta la percezione di un "mondo ingiusto". Da vittima del mondo ingiusto, diventa quasi naturale, in quel contesto, il passaggio ad autore di ingiustizie. La commissione di reati diventa una cosa "normale", una sorta di vendetta nei confronti di quel mondo ingiusto. Si comincia a vivere commettendo reati come se fosse un lavoro vero e proprio. Si accetta il carcere come se fosse un infortunio sul lavoro. Attraverso il delinquere si cerca il denaro per poter vivere la vita tra agi e ricchezze: auto e moto di lusso, vestiti firmati, vacanze nei posti più lussuosi e grandi disponibilità economiche. Insomma tutto quello che ti porta a sentirti superiore rispetto alla media, ossia la stessa media che ti aveva fatto sentire inferiore. All’interno di questo quadro, qualunque azione che porti come risultato quello di ottenere del denaro va bene. Anche se molti prediligono commettere una tipologia di reato piuttosto che un’altra. Chi si specializza nel furto, chi nelle rapine, chi in vari altri settori. La storia che sto per raccontare riguarda una persona che, pur avendo commesso varie tipologie di reati, ha sempre prediletto le rapine. Ne ha commesse in lungo e in largo per tutta la penisola, spaziando dagli uffici postali alle banche, dalle esattorie agli orefici, o qualsiasi altra cosa che potesse contenere una consistente somma di denaro. La prima rapina l’ha commessa oltre 26 anni fa, quand’era ancora minorenne, in un ingrosso. Al debutto, con due complici maggiorenni, anche se la quantità di adrenalina era salita alle stelle, sembrava freddo e impassibile, era entrato pienamente nel ruolo che stava per recitare. Dopo aver arraffato tutto il denaro, il piccolo del gruppo notò che la proprietaria aveva al dito un anello con un grosso brillante. Le disse di toglierselo ma questa obiettò, dopo aver provato, che l’anello non usciva. Il piccolo rapinatore, si avvicinò, mise la pistola nella cintola dei pantaloni e dalla tasca tirò fuori un coltello da innesto. Dopo averlo aperto, rivolgendosi alla donna disse: "Vorrà dire che taglieremo il dito!", a queste parole, la donna si sfilò immediatamente l’anello e, suo malgrado, lo porse al rapinatore. Questo debutto fece salire, all’interno del gruppo, le quotazioni del ragazzino-rapinatore. Egli stesso sapeva di essersi comportato, per tutto il tempo dell’azione, da veterano della rapina. Cosa che lo faceva sentire portato per questo specifico settore. Un talento naturale. Dopo questa iniziale, ha commesso tantissime altre rapine, in molti casi durante l’azione si verificavano imprevisti che venivano risolti nel miglior modo possibile. Cosa che andava a confermare la tesi del talento naturale. Quasi sempre dopo l’azione si rideva per la paura che avevano dimostrato le vittime, con orgoglio si rimarcava il coraggio e la freddezza per come erano stati risolti gli imprevisti. Come quella volta che all’uscita dalla banca si sono ritrovati faccia a faccia rapinatori e poliziotti. Però i poliziotti hanno capito in ritardo cosa stava accadendo e cosi sono stati rapinati anche loro delle pistole d’ordinanza. Tantissime rapine e tantissimi imprevisti, tutti vissuti con orgoglio per la prova superata. Tantissime rapine e moltissime vittime di reato, vittime che non venivano mai considerate. Il denaro era l’obiettivo e per arrivare all’obiettivo dovevano esserci dei rapinati, nulla di più. Così è andata per oltre un ventennio, fino a un po’ di anni fa. Una banca in una cittadina ligure. Entrano poco prima della chiusura per la pausa pranzo. Sono in due, decisi a portarsi via tutto il denaro che quella banca contiene. Ciò significa che l’azione durerà un po’ di più. Ci sarà da attendere l’apertura temporizzata delle casseforti, la cassaforte del bancomat richiede 40 minuti per l’ apertura dal momento in cui si digita la combinazione, le altre richiedono un tempo inferiore. All’interno non c’è bisogno di qualificarsi, le armi, il travestimento e gli ordini che danno sono più che eloquenti. Ora la banca e i presenti sono nelle mani dei due. Rapinati e rapinatori vanno in unico ambiente strategico che permette di vedere fuori senza essere visti. La banca viene chiusa a chiave, ora è il momento di azionare i dispositivi per l’ apertura delle casseforti. Nel frattempo arriva un amico del direttore della banca, gli viene aperta la porta d’ingresso, quando capisce di essere entrato nel bel mezzo di una rapina gli si spegne il sorriso. Il tempo d’attesa è lungo, sono tutti nervosi, però i due rapinatori non possono dimostrarlo, al contrario devono dimostrare di essere pienamente padroni della situazione. Per spezzare la tensione iniziano una conversazione culinaria con un’anziana signora. Non c’è nessuna violenza fisica, ma la violenza psicologica è tanta. Soprattutto quando ai presenti viene richiesto un documento, da questi, di ognuno dei presenti si sa tutto, abitazione, stato civile, ecc… Ancora violenza psicologica: "Se va tutto bene ritorni a casa dai tuoi figli e da tua moglie". Tra gli impiegati c’è Roberto, è un ragazzo grande e grosso ed e il capo cassiere di quella banca. Ad un certo punto gli viene il dubbio che, per la paura, non sia riuscito a digitare la combinazione giusta del bancomat. Se così fosse dopo i 40 minuti d’attesa la cassaforte non si aprirebbe. Tranquillamente gli rispondono che: "Se è così, vorrà dire che staremo più tempo insieme. Nel senso che andrai a digitare il codice giusto ed aspetteremo gli altri 40 minuti". Questo per Roberto è troppo! Ha una crisi isterica e scoppia in lacrime. Le sue lacrime sono spiazzanti, la sua mole si identifica con la potenza e la forza. Gli offrono dell’acqua, gli danno il permesso di fumarsi una delle sigarette che porta nel taschino della camicia. Rifiuta tutto. Forse per paura che i rapinatori possano cambiare di umore. Però non rifiuta le parole di conforto che possono offrirgli. La sicurezza che sono lì solo per il denaro e che nessuno torcerà un capello né a lui né alla sua famiglia, che presto tutto sarà finito. Intanto il tempo scorre, tutte le combinazioni erano giuste, quindi si apre anche l’ultima cassaforte. Preso il denaro, tutti i presenti vengono rinchiusi nel bagno e i due lasciano il campo. Anche questa poteva essere una rapina come le altre: il denaro, solo il denaro! Invece no. Roberto è riuscito a far loro vedere le cose dalla parte della vittima, almeno ad uno dei due rapinatori. L’augurio per Roberto è che abbia dimenticato quella brutta avventura. Però il rapinatore non potrà mai saperlo, non saprà mai se a causa del suo incontro avrà gli incubi per tutta la vita. Non sa se ha cambiato lavoro oppure se continua a fare il cassiere e a vedere in ogni nuovo cliente un suo possibile aguzzino. Non sa se a causa sua è stato segnato per tutta la vita. Certo sa che il rapinatore non potrà mai dimenticare il rapinato. Sa che la volontà di non commettere mai più reati è dovuta anche al ricordo di Roberto, alla sua immagine che continua a stare con il protagonista di questa storia. Il protagonista di questa storia, inseguendo il mito dell’apparire ha trascorso 18 anni in carcere ed altrettanti gliene restano da fare.
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