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La 50ª edizione del Premio letterario "Pozzale - Luigi Russo"
Il Premio letterario "Pozzale-Luigi Russo", giunto alla 50ª edizione, è stato assegnato ex-aequo al libro di Adriano Sofri "Altri hotel. Il mondo visto da dentro. 1997-2002", edito da Mondadori, e a "Filosofia in carcere. Incontri con i minori di Nisida" di Giuseppe Ferraro (Filema edizioni). La giuria, presieduta da Adriano Prosperi e composta tra gli altri da Cesare Garboli e Remo Bodei, ha assegnato un premio speciale a "Il leader, la folla, la democrazia nel discorso pubblico americano", di Daria Frezza (edito da Carocci) e un premio alla memoria di Carmelo Samonà, in concorso con "Fratelli - e tutta l’opera narrativa", edito da Mondadori. La cerimonia di premiazione si è tenuta domenica 8 dicembre, a Empoli, presso il Convento degli Agostiniani in via de’ Neri n° 15, con inizio alle ore 10. Sono stati presenti, con la giuria al completo, i premiati Giuseppe Ferraro e Daria Frezza, i familiari di Samonà. E’ stata richiesta l’autorizzazione per un collegamento in videoconferenza con Adriano Sofri, detenuto nel carcere di Pisa. Il Premio letterario Pozzale è arrivato quest’anno alla cinquantesima edizione: nacque in una sera d’estate nel 1948, nel corso di una riunione di operai e contadini della sezione "Walfrido Polidori" del PCI del Pozzale. Ha legato il suo nome a quello del critico letterario Luigi Russo, che fu presidente della giuria in quattro edizioni. Si è caratterizzato nel tempo, difendendo con orgoglio la propria anomalia rispetto ai premi letterari "mondani"; negli anni più recenti, dopo qualche pausa, ha deciso di premiare «uno o più libri che affrontino, in una delle sue molteplici e infinite forme, la questione della diversità e che richiamino il senso comune al rispetto della complessità dei fenomeni culturali, dei linguaggi, dei comportamenti». In passato, hanno fatto parte della giuria, Sibilla Aleramo, Elio Vittorini, Mario Soldati, Silvio Guarnieri, Cesare Luporini, Giuseppe de Robertis, Lanfranco Caretti, Ernesto Balducci, Franco Fortini. Hanno vinto il Premio Pozzale, tra gli altri, Romano Bilenchi; Norberto Bobbio; Remo Bodei; Eugenio Garin; Antonio Tabucchi; Tiziano Terzani; Vittorio Foa; Gino Strada; Leone Ginzburg. Intervento alla cerimonia di premiazione, domenica 8 dicembre 2002
Un saluto a tutti voi e grazie per essere qui questa mattina. Sono Patrizia una ex ospite della Casa Circondariale a custodia attenuata femminile di Empoli, dove ho trascorso quasi tre anni della mia carcerazione, conclusasi nella Comunità di Varazze, la Buon Pastore. Ho conosciuto questa struttura per passa parola in un istituto a circuito ordinario. All’inizio ero scettica, il mio disagio di tossicodipendente non lo avevo mai affrontato. Ma subito dopo capii che era l’unica strada da percorrere, viste le altre esperienze nei circuiti ordinari. Colsi il significato del cammino che avrei dovuto fare. Non è stata una passeggiata. L’attenuata è un percorso fatto di regole. Si firma un contratto all’ingresso, dove tutto ciò che altrove è alienazione o ricerca del sentirsi stonato per fuggire dalla realtà (alcool, terapia psicofarmaceutica) è abolito. La persona arriva all’attenuata, generalmente, senza un trattamento farmacologico o comunque vicino alla conclusione. Si lavora tutti i giorni; anni fa si lavoravano più ore. Adesso il lavoro nelle carceri è quasi inesistente. Ci insegnano a mettersi in discussione, accettando di ascoltare l’altro, imparando dalle osservazioni che vengono sollevate dal tuo modo di agire. La forza del cammino è il gruppo. Ogni situazione, viene elaborata nel gruppo e nelle sedute a trattamento psicologico, che all’inizio non accetti perché non ti fidi degli operatori, visti i trascorsi avuti in altri luoghi. Ho conosciuto strutture soprattutto al sud, dove non sei utente ma detenuto; dove non ti è concesso poter riflettere sui disagi che ti hanno portato a delinquere, perché non esistono strumenti. Quello che ho vissuto nell’attenuata resta unico, perché lì, ho preso in mano la mia vita e ho scelto con volontà il cambiamento, affidandomi a coloro che ho sempre detestato, per i molti diritti violati, rimasti nel silenzio. E’ giusto che ogni errore commesso venga pagato, ma è altrettanto giusto pagarlo in condizioni dignitose, con speranze nel futuro. Il carcere deve aiutare a riflettere e a prendere coscienza di sé; non deve essere solo un luogo di pena e di lontananza. Spero che la mia testimonianza e quella delle altre ragazze oggi presenti e non, trasmetta un segnale positivo a coloro che vedono nell’attenuata solo una dispendiosa realtà. Sarebbe un peccato bloccare percorsi come questi. Io sono tornata nel mondo da soli due anni. Oggi lavoro nel Comune di Empoli nella redazione esterna del giornale dell’attenuata Ragazze Fuori e di Empoli, il giornale dell’Amministrazione comunale, nato come progetto di reinserimento, che ha creato due posti di lavoro. Sono molto più coinvolta nella vita del Palazzo comunale e quando mi trovo a pensare alle fatiche, alle sconfitte ma anche alle vittorie raggiunte, ringrazio tutti coloro che mi hanno creduto, offrendomi un’opportunità di salvezza. E’ importante che le istituzioni restino vicine a quelle mura: l’isolamento, il distacco, uccide interiormente. Mi auguro che gli appelli accorati di tutti i detenuti italiani siano dai grandi ascoltati per un miglioramento della situazione carceraria. Nessuno vuole la propria libertà in mezzo ad una strada: un detenuto ha bisogno di essere aiutato nella fase delicata del reinserimento sociale. Adriano Sofri, con Altri Hotel. Il mondo visto da dentro e Giovanni Ferraro con Filosofia in carcere. Incontro con i minori di Nisida, sono testimonianza di tutte quelle paure che sono le nostre ombre dentro quelle mura. A loro, un Premio letterario della città di Empoli, il Premio Pozzale Luigi – Russo che racconta la storia della cultura della lettura da 50 anni. Grazie a tutti. Ciao Adriano. Intervento alla cerimonia di premiazione, domenica 8 dicembre 2002
Sono Cinzia e non è la prima volta che scrivo un breve articolo riguardo un mio percorso di vita. Oggi essendomi trovata a conoscenza di alcuni fatti che riguardano il carcere voglio rilanciare la mia esperienza vissuta nella custodia attenuata di Empoli. precedentemente mi trovavo alla Casa Circondariale di Sollicciano, ma purtroppo non riserva molte speranze per le persone che per errori propri si trovano all’interno. Un giorno parlando con il mio educatore, mi è stata proposta la custodia attenuata di Empoli, una struttura facsimile alla comunità dove poteva esserci la possibilità di dare una vera svolta positiva alla mia vita, e così ho preso una decisione saggia, pur essendomi rimasta da scontare la pena equivalente ad 1 anno e 8 mesi. La custodia attenuata di Empoli è un ambiente molto familiare. Mi ha fatto sentire molto a mio agio, ho notato immediatamente la diversità tra compagne, operatori, agenti. Ho sentito che potevo lasciarmi andare, togliendo una pesante maschera che indossavo in un ordinario perché lì se non sei forte, secondo me sei finito. Lì ho potuto incominciare un percorso serio in cui credevo facendo gruppi insieme alle compagne ed una psicologa, confrontandomi giorno dopo giorno con una realtà costruttiva. Mettendo in ogni cosa che facevo una piccola parte di me. Attraverso l’educatrice ho fatto un progetto che una volta raggiunto il fine pena, mi doveva dare la dritta per inserirmi nella società nel migliore dei modi e così è stato. Alla custodia attenuata ho avuto una vera possibilità di elaborare il problema sulle sostanze, il comportamento e varie abitudini della vita quotidiana. Per me è stata un’esperienza, una vera svolta al mio futuro anche se il nostro destino lo possiamo costruire solo noi, ma dobbiamo dare modo ad altre persone che ci facciano da guida per iniziare. All’interno ho avuto modo di fare teatro, cinema, uscite collettive, articolo 21, feste all’interno della struttura e quella di Natale dove tutti potevano avere a pranzo i nostri familiari e trascorrere una mezza giornata con essi. Vorrei dire tantissime cose positive, ma la più vera è che mi ha fatto ritrovare me stessa. Oggi vivo con meno paure, più determinazione, capisco e accetto la vita per come si pone nonostante delle volte vedo molte strade buie. Vorrei che molte persone che vogliono dare valore alla propria vita, non si lasciassero scappare un’occasione del genere e un giorno leggere che la pensano come me. Avevo anche un altro modo per comunicare con l’esterno, a parte le visite di persone esterne. Avevamo la possibilità di fare un giornalino, chiamato "Ragazze Fuori" e io sono una di coloro che sono fuori da alcune problematiche che fanno parte di alcuni miei coetanei, dove all’interno c’erano le nostre esperienze, poesie, articoli sulla pena di morte, le nostre giornate. Adesso sono al reinserimento lavorativo, non ho mollato i contatti con il Ser.T. pur avendo finito la mia condanna. Queste scelte le devo grazie ad alcuni insegnamenti e valori della mia vita.
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