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Il
Brontolo - Numero zero Mille
e una voce dalle strade e dalle piazze Il
Brontolo: perché brontolare a volte fa star meglio
Il
Brontolo: ora siamo qui, siamo arrivati a chiudere in redazione il nostro primo
numero. Perché
Il Brontolo? L’idea
con cui siamo nati è quella di rivalutare la vecchia abitudine di brontolare
quando qualcosa non va, e di farlo però insieme. “Brontoliamo insieme” per
farci sentire senza urlare, per creare un rumore significativo, ma non
fastidioso. La
voglia è quella di far parlare-scrivere e quindi permettere di
incontrarsi-leggersi ai cittadini che ogni giorno, ognuno per la sua parte,
“vivono” nella città, e soprattutto nelle strade e nelle piazze della città.
Quelli che non vogliono stare arroccati nelle case senza vedere tutto ciò che
succede intorno. Le famiglie, gli studenti, i pensionati, i lavoratori, i
giovani, gli immigrati, i senza casa, i diversamente abili, i disoccupati, i
……. i……. i…… Con una attenzione particolare proprio ai senza casa,
perché essere senza casa oggi significa non essere, non avere diritti. Quanti
modi diversi di esistere, di vivere, di essere riconosciuti o invisibili! Un
denominatore comune è la necessità di dare risposta ai nostri bisogni:
mangiare, dormire, vestirsi, stare bene, lavorare, divertirsi, comunicare…
eppure sono tanti quelli che questa risposta non la trovano affatto, e consumano
la propria vita in una continua fatica per sopravvivere. Cerchiamo allora di
occuparci un po’ di più di loro. E
poi vogliamo provare a costruire insieme opportunità di espressione,
comunicazione, relazione e conoscenza. Molto spesso viviamo gioie, ansie e
fatiche di vivere in totale solitudine: perché non cerchiamo invece di
socializzarle? Chi
sono le tante persone che incrociamo distrattamente per la strada? Un
vero e proprio studio legale al servizio di chi non è in grado
di difendersi da solo
Avere
degli avvocati a propria disposizione, pronti a tutelare i diritti di chi
altrimenti non avrebbe nessuna possibilità di pagarsi un servizio del genere:
è quello che succede già ai senza dimora di Bologna e Verona, e succederà a
breve, si spera, in altre città. A Padova è stato presentato un progetto
analogo al Centro di Servizio per il Volontariato, e dovrebbe partire al più
presto il servizio. Antonio Mumolo, l’avvocato che è tra i soci fondatori del
primo progetto “Avvocato di strada” a Bologna, ci ha fatto un bilancio dei
primi anni di lavoro per garantire residenza e altri diritti a chi questi
diritti sembra averli persi, vivendo sulla strada. Gli
“Avvocati di strada” fissa
dimora a Bologna.
Il
progetto “Avvocato di Strada” è nato a Bologna alla fine del 2000,
all’interno di una associazione che si chiama “Amici di Piazza Grande”. Piazza
Grande è un giornale, uno dei primi giornali nati in Europa gestito
direttamente da senza fissa dimora: è un giornale che è venduto per strada
proprio da senza fissa dimora e quindi per loro è anche un mezzo di
sostentamento. Proprio per sostenere questo giornale è nata la nostra
associazione, con l’idea di creare un gruppo organizzato che potesse offrire
tutela legale gratuita alle persone senza fissa dimora. L’associazione
nasce nel 1994, mentre il progetto viene presentato nel 2000; fino a quel
momento con alcuni colleghi, volontari, soci di Piazza Grande, avevamo già
provveduto ad offrire tutela legale gratuita, ma in maniera disorganizzata: non
poteva continuare in questo modo, perché poi le cause diventavano tante e il
lavoro eccessivo. Abbiamo pensato quindi di provarci con un vero gruppo di
persone che si occupasse della tutela giuridica – e anche giudiziaria - delle
persone senza fissa dimora; tra l’altro, in un momento particolare per Bologna
e forse anche per l’Italia, cioè un momento in cui c’erano più denunce da
parte delle persone senza fissa dimora rispetto ad abusi compiuti dalle forze
dell’ordine o da singoli cittadini. Un momento in cui le persone senza fissa
dimora vivevano la loro condizione in maniera particolare, si sentivano
di-sprezzate, si sentivano come se non avere una residenza fosse una colpa e non
una condizione che potrebbe capitare a chiunque di noi. Così
abbiamo pensato di creare questo gruppo organizzato, ed è nato il progetto
“Avvocato di strada”. Il gruppo “Avvocato di strada”, composto da una
serie di legali e di volontari anche “cittadini comuni”, offre tutela
giuridica gratuita a tutte le persone senza fissa dimora nel territorio di
Bologna e anche fuori, perché spesso ci sono questioni che si svolgono in altre
città d’Italia; noi gestiamo la procedura e poi eventualmente chiediamo la
collaborazione di un collega in altre città. Prevalentemente, però, operiamo a
Bologna. Il
progetto non è solamente questo: tra i nostri obiettivi c’è anche il
tentativo di offrire una banca dati sulla povertà, di provare a scrivere e
pubblicare dei libri che si occupino del problema delle persone senza fissa
dimora, prevede anche lo studio e l’approfondimento del diritto della povertà.
Noi abbiamo iniziato in due, è stata proprio una scommessa, un tentativo:
eravamo io, che mi occupo di diritto civile, e una collega che si occupa di
penale. Però dal momento in cui abbiamo presentato il progetto pubblicamente
sono iniziati immediatamente ad arrivare dei volontari; questo per dire a coloro
che intendono aprire uno sportello che appena si presenta pubblicamente il
progetto i volontari si trovano, che siano avvocati oppure cittadini comuni
interessati ad aiutare la nascita e la crescita di un progetto del genere. Chi
ha bisogno di noi ci trova Noi
ci vedevamo all’inizio una sola volta alla settimana, con le prime forze era
inevitabile; poi abbiamo cominciato a incontrarci due volte alla settimana perché
man mano il gruppo si è ingrossato e c’era più disponibilità. Poi, visto
che continuavano ad arrivare colleghi con la voglia di partecipare a questa
esperienza, abbiamo iniziato a ricevere anche nei dormitori, perché ci sono
persone che - per una serie di problemi - non si spostano dai dormitori per
venire agli sportelli. Oggi riceviamo in due dormitori di Bologna oltre che al
nostro sportello, un giorno alla settimana di civile e un giorno di penale. Man
mano che è passato il tempo ci siamo anche organizzati in maniera diversa, come
un vero e proprio studio legale: come si fa per ogni cliente che arriva in uno
studio, c’è un modulo sulla privacy, c’è un archivio esattamente come in
uno studio legale, c’è una segreteria che prende gli appuntamenti. Tra
l’altro, abbiamo una segreteria che funziona 24 ore su 24: nel momento in cui
non c’è la persona che si occupa della segreteria, c’è una segreteria
telefonica che dà un numero di cellulare sempre attivo al quale noi
rispondiamo; quindi praticamente lo sportello funziona sempre. Questo grazie al
fatto che man mano abbiamo organizzato tutta una struttura interna, per arrivare
ad oggi: siamo 25 volontari allo sportello, con un carico di lavoro che
sinceramente non è eccessivo perché riusciamo a far ricevere ogni volontario
una sola volta al mese; l’organizzazione è fatta in maniera tale che chi
riceve gestisce anche le pratiche e continua ad occuparsene. Poi abbiamo altri
30 colleghi a Bologna che non vengono allo sportello ma si sono offerti di fare
per noi una o due cause l’anno gratuitamente; e questo è importante: non è
importante solo che si trovino tanti colleghi che ricevono allo sportello, ma
conta anche questo livello, trovare dei colleghi che non hanno il tempo, la
voglia o la possibilità di partecipare ad un’attività del genere, però una
causa gratis all’anno la possono fare. Di queste persone ne trovate tante e
questo è importante; quindi, ci sono due livelli: il primo è la partecipazione
diretta, l’altro la partecipazione indiretta al progetto che però serve. Quindi,
adesso siamo 25 e abbiamo aperto ad oggi circa 400 pratiche; tutte le pratiche
sono archiviate, e sono archiviate non solamente con i dati principali degli
utenti ma anche sulla base del tipo di causa o del tipo di attività che è
stata svolta: civile, penale, amministrativa, più alcune altre indicazioni.
Questo perché nel momento in cui si deve poi verificare l’attività svolta,
quali sono le tipologie delle persone che sono arrivate, quali sono le questioni
che si affrontano più di frequente, abbiamo la possibilità di farlo più
facilmente grazie a questo archivio. Un’altra
cosa che noi abbiamo fatto, e che consiglio di fare nel momento in cui venga
avviata un’esperienza del genere, è quella di creare una rete con i centri
diritti che ci sono già sul territorio. Noi a Bologna, per esempio, per quanto
riguarda gli immigrati abbiamo un centro stranieri che funziona benissimo, ci
sono degli avvocati e dei volontari che si occupano di immigrazione. Non serve
replicare esperienze del genere, è importante stringere degli accordi. Si deve
quindi creare un rapporto con i centri diritti del territorio; noi per esempio
ci siamo accordati anche con le associazioni di consumatori, o con la Cgil per
quanto riguarda le cause relative al diritto del lavoro. Quindi, fare in modo di
coinvolgere i centri del territorio che si occupano di determinate questioni, se
esistono già: non serve fare noi una causa di diritto del lavoro se già c’è
un sindacato che dice ‘lo faccio gratis” e lo fa con una certa cognizione di
causa, ha i suoi legali di riferimento. È più importante coinvolgerlo,
sfruttare le possibilità che ci sono, e magari fare in prima persona le cause
per degli utenti quando non ci sono altre possibilità. Affrontare
prima di tutto Per
quanto riguarda i casi di cui ci siamo occupati più di frequente, la prima
questione è quella che deve essere affrontata in ogni città – e per la quale
noi ovviamente diamo la massima disponibilità: la residenza. La prima persona
che si è presentata allo sportello a Bologna viveva da due anni in un
dormitorio e il Comune di Bologna non le concedeva la residenza, e senza la
residenza una serie di diritti fondamentali sono negati. Rispetto a questo, noi
abbiamo fatto una causa contro il Comune di Bologna, e abbiamo vinto, il giudice
ha ordinato al Comune di Bologna di concedere la residenza a questa persona.
Ovviamente era una causa pilota, e questo significa che dopo la vittoria di
questa causa il Comune ha dovuto concedere la residenza ad altre 400 persone
senza fissa dimora, che è una cosa fondamentale. La
nostra esperienza quindi insegna che la prima battaglia da fare sul territorio
è quella relativa alla residenza. Bisogna infatti tenere presente che la
residenza è un diritto del cittadino, indipendentemente dal fatto che viva o
meno in un dormitorio; in questo caso gliela abbiamo fatta prendere al
dormitorio, gli abbiamo fatto prendere la residenza pure per strada, anche in
macchina quando uno ce l’ha richiesto. Ogni città ha una via – qui a
Bologna è “via Senza Tetto” – dove il Comune deve concedere la residenza
alle persone che non hanno una casa. Perciò questa è stata la prima causa ma
anche una delle cose più importanti. Tra l’altro l’interpretazione
restrittiva in merito al diritto di residenza non è una cosa che nasce a
Bologna, o che c’è solamente a Bologna; quindi questa è sicuramente una
delle cose che bisogna fare. L’altra
questione di cui ci siamo occupati - ed è uno dei problemi che sono più duri e
più difficili da affrontare - è quella relativa ai minori figli di persone che
vivono per strada e magari hanno problemi di tossicodipendenza o di alcolismo.
Che cosa c’è per questi bambini? Normalmente sono seguiti dai Servizi Sociali
e poi il Tribunale invia una comunicazione di adottabilità. Noi ci siamo
battuti in due casi perché abbiamo pensato che certamente il minore non può
vivere in una condizione del genere di quella di chi vive in strada, però i
genitori spessissimo – anzi sempre - propongono che i minori vadano a vivere
con qualcuno della famiglia, anche perché i genitori normalmente in questi casi
intraprendono un percorso, spesso di comunità. E intraprendere un percorso
sapendo che alla fine di questo percorso la persona riavrà i suoi figli forse
rappresenta uno stimolo, mentre al contrario se i figli sono stati adottati
questo diventa un altro elemento negativo che spesso impedisce di risolvere la
loro situazione. In tutti e due i casi abbiamo dovuto supportare i genitori dal
punto di vista della tutela giuridica, e siamo riusciti a fare in modo che i
figli venissero dati in un caso alla sorella della madre e nell’altro caso ai
genitori. Questa è un’altra delle questioni che ognuno di noi dovrà
affrontare sul suo territorio ed è una delle cose più difficili, bisogna
entrare in contatto con gli assistenti sociali, e infatti quando parlavo della
rete includevo anche i Servizi Sociali del Comune. È importante in ogni caso
rapportarsi ai Servizi Sociali del territorio: in maniera utilmente amichevole o
altrimenti dialettica o conflittuale, ma comunque rapportarsi, perché poi sono
quelli con i quali bisogna parlare per risolvere determinate situazioni. Quello
che ci piacerebbe davvero molto è che si costruisse uno sportello analogo al
nostro in ogni città, pensando poi un domani a creare un coordinamento
nazionale, che desse modo a tutti di confrontarsi continuamente, di allargare le
iniziative di questo tipo e di dar loro più forza. Cerchiamo
di non dare una mano anche noi alla sfiga La
consapevolezza di avere un problema, la volontà di rimettersi in gioco, la
forza di rivolgersi a chi ti può dare una mano: ecco il punto di vista di
alcuni ospiti dell’asilo notturno che hanno il coraggio di parlar chiaro Quello
che pubblichiamo è un dialogo coraggioso tra ospiti dell’asilo notturno:
coraggioso, perché loro non amano fare le vittime, e si raccontano cercando con
grande lucidità di vedere le cose come stanno, e di capire che la molla per il
cambiamento possiamo trovarla soltanto dentro di noi, e nessun servizio sociale
è mai in grado di aiutarci davvero quando ne abbiamo bisogno, se non cerchiamo
noi stessi di metterci in qualche modo in gioco. Luca:
Non è semplice capire come farsi aiutare e aiutarsi. Io qui ho notato una cosa,
che è facile dire: “I Servizi Sociali non…”. Ma se tu non sei cosciente
della tua situazione e non accetti di avere un problema sociale, lavorativo,
familiare, è inutile che tu vada ai Servizi Sociali. Se tu non progetti, non
fai un progetto sulla tua vita è inutile chiedere aiuto. È
inutile che tu vai a un servizio sociale a chiedere aiuto se non vuoi cambiare.
È inutile che un tossicodipendente vada al Ser.T. a chiedere aiuto, perché
spesso più del metadone non possono darti e tu continui ad essere un
tossicodipendente, tu continui ad essere un alcolista, tu continui ad essere una
persona sbandata. Ma la volta che ti rendi conto di essere un problema non per
gli altri ma per te stesso, ed avere un problema e volerlo superare, mettendoti
in gioco, essendo cosciente, allora è tutta un’altra cosa. Magari
tu hai vissuto da sbandato per vent’anni perché ce l’avevi con tutti, con
la società, con il mondo che ti circonda, con te stesso, non rispettavi nulla e
prima di tutto te stesso. E forse pensavi: “Tanto ormai l’aiuto viene da
qualcuno”, ma quando arriva l’aiuto, lì finisce. Finché
non metti qualcosa di tuo è inutile che ti diano un aiuto economico, un aiuto
farmacologico, un aiuto psicologico. Se tu vai lì e racconti la vita del vicino
di casa e non racconti della tua, perché della tua ti vergogni, è più facile
far la vittima e dire “poverino io…”. E invece devi renderti conto non di
essere un problema ma di avere un problema. Allora dici: “Mi sta bene essere
un tossico?” “No”... “Mi sta bene essere un alcolista?” “No”,
“Mi sta bene essere una piaga per la società?” “No”, “Mi sta bene
vivere in un centro d’accoglienza o alle spalle di un centro sociale?”
“No”. E allora ti rendi conto che hai bisogno di un centro sociale, di un
centro d’accoglienza, ma non ti puoi fermare qui. Toni:
È sempre questione di carattere, vi sono alcuni caratteri che dicono: Voglio
riuscire, fare. Ma purtroppo quando una persona finisce qui dentro, si abbatte e
perde anche il carattere. Uno che resiste, resiste perché ha un carattere forte
e dice “Io ci devo riuscire”, ma ce ne sono pochi che hanno un carattere
forte.
Luca:
Per esempio tu hai vinto le tue battaglie, hai deciso di fare una guerra e di
ottenere quei diritti che ti spettano, ma quei diritti che ti spettano li hai
ottenuti combattendo con la consapevolezza delle tue capacità, mettendo in
gioco il tuo sapere e le tue capacità, se tu non metti in gioco il tuo sapere e
le tue capacità non puoi mai aver niente.
Toni:
Sono d’accordo, io è una vita che lotto sempre e non mi arrendo mai, perché
il mio carattere è di non arrendermi mai… ma ci sono alcune persone che
facilmente si abbattono e si arrendono. Si adattano come possono.
Luca:
Io sono arrivato a Padova con molti problemi sulle spalle: ricoveri in clinica,
alcolismo, problemi con mia moglie, con i miei figli, con tutto. Ed io mi
sentivo la vittima, ma poi ho capito che non ero la vittima, ero solamente il
carnefice di me stesso e degli altri. Nel momento in cui mi sono fermato per
cercare di capire perché tutto questo succede, ho capito che succede perché
anch’io facevo la mia parte. Non è che tu sei uno sfigato, anche tu dai una
buona mano alla sfiga. Nel momento in cui tu sei consapevole e accetti di avere
dei problemi e ti metti in discussione, allora è diverso. Toni:
Ma quello fa parte della dignità di una persona. Io ho vissuto una vita con
dignità e orgoglio e voglio difendere anche questo. Ci sono delle persone che
non lo fanno. C’è chi chiede la carità per abitudine, c’è quello che esce
alla mattina e inizia a fare il giro delle chiese. Ma ha preso dieci umiliazioni
in una mattina. Come quello che va a rubare: la prima volta lo fa per necessità,
la seconda volta lo fa perché ha preso il sapore di andare a rubare e poi ne fa
un’abitudine. La stessa cosa è per quello che va a chiedere l’elemosina.
Perché è gente che non ci tiene al proprio prestigio, solo chi ci tiene non si
comporta così. Certo a volte è difficile non farlo, perché ci sono dei
momenti di forte scoraggiamento, e anch’io certi giorni mi chiedo come
risolvere i miei problemi e come fare a trovare i soldi per vivere. Luca:
Anch’io li ho conosciuti, quei momenti. Ma tu hai combattuto per quello che
oggi hai, e anch’io ho combattuto per avere il prestigio, un lavoro, una
dignità, una personalità, l’ho capito dopo vent’anni che girovagavo, ma
non per l’Italia, con la mente… Toni:
Non tutti però riescono a superare quegli attimi di depressione che
attraversano. Non tutti riescono a pensare che devono reagire, che devono
cambiare. Io
provengo da un periodo in cui si è sofferto veramente, perché io in tempo di
guerra ricordo di aver sofferto la fame, andavamo a scuola e vedevo che qualcuno
aveva un po’ di soldi e io non avevo nemmeno un centesimo in tasca e mi dicevo
sempre: quando diventerò grande mi difenderò e non soffrirò la fame. Così è
stato per un po’, ma poi ho affrontato altre difficoltà e ho consumato tutto
quello che ero riuscito a mettere da parte. Luca:
Mi ha sempre colpito questa frase “Aiutati che Dio ti aiuta”. È una frase
che si può anche capovolgere: aiutati che la società ti aiuta, aiutati che i
Servizi Sociali ti aiutano, aiutati che le istituzioni ti aiutano. Per
qualcuno poi significa “Aiutati perché altrimenti non ti aiuta nessuno…”,
anch’io la pensavo così, ma ho visto che dando la mia disponibilità e
soffermandomi su quella che è stata la mia vita dai 14 anni in su, e
ragionandoci, sono riuscito a tirar fuori la mia voglia di combattere. Perché
mi devo ridurre all’immondizia quando so che posso dare, quando so che ho un
cervello che funziona, e so che ragiona anche bene? perché devo costruire un
castello di paglia quando so che posso costruire un castello di mattoni? È come
la storiella dei tre porcellini: uno si è costruito la casa in paglia e il lupo
ha soffiato e gliel’ha buttata giù, uno si è costruito la casa in legno e il
lupo ha soffiato e gliel’ha buttata giù, quell’altro, Tommy, il più
facoltoso, il più intelligente, ha costruito la casa in mattoni ed il lupo non
è riuscito a buttarla giù. Basta riuscire ad avere solo il terreno fertile per
poter poi tirar fuori le tue capacità. Io
sono nato e sono cresciuto in Sardegna, ma era un contesto che mi stava stretto
perché non mi davano retta. Io per i Servizi Sociali ero solamente uno che
faceva numero. E basta. Non ero uno da cui sarebbero riusciti a tirar fuori il
Luca che ragiona ora, ero solo uno che aveva bisogno di aiuto, ma non erano in
grado di aiutarmi e non si rendevano conto che non erano in grado. Non facevano
altro che rovinare. Cioè mi mettevano carichi da novanta. Se
tu come operatore ti metti lì con la persona e ascolti, non condanni e non
punti il dito e non giudichi, soprattutto non giudichi, allora riesci a tirar
fuori dalle persone cose che le persone stesse non sanno di avere. E questo è
successo qui. Qui non c’è stato bisogno che alzassi una cattedra o che
spaccassi una finestra, no, mi hanno lasciato il tempo che ci voleva, perché
hanno saputo usare la sapienza e l’intelligenza. Quando
invece mi hanno detto “Tu devi…”, no io non devo, non devo niente a
nessuno, se io mi voglio rovinare mi rovino da solo, non c’è bisogno che tu
mi dia una mano. Altri
servizi qui a Padova, penso alle attività teatrali, hanno tirato fuori da me
cose che nemmeno io pensavo di avere. A voi sembrerà poco, ma essere menzionato
in parecchi articoli che sono stati raccolti per questo giornale, a voi sembrerà
poco, ma io mi sento vivo. Sento che conto qualcosa, so che la mia voce è stata
ascoltata da qualcuno che non mi ha giudicato. Per una volta non sono stato
giudicato ma sono stato “aggiudicato”. Sono
stato io che mi sono prestato e voi avete dato la vostra disponibilità ad
ascoltarmi. Magari potevo dire anche stupidaggini, ma quelle che potevano essere
considerate stupidaggini forse per me erano cose importanti. Io prima non sarei
mai riuscito a dire, come sono riuscito a dire agli operatori di qui, “Non
usate le vostre armi, ma usate le mie, quelle che vi sto dando io”, non mi
sarei mai permesso di dire una cosa simile, avrei chinato la testa. Un’altra
cosa ad esempio ritengo importante: non mi sarei mai sognato di avere le chiavi
di una corsia di ospedale, dove io ero ricoverato, mentre ora io ho per lavoro
le chiavi di un reparto psichiatrico. Ora entro ed esco io da quella porta come
voglio io, mentre prima vedevo altre persone che uscivano e andavano come
volevano loro, mentre io restavo chiuso dentro. Ora ho molta più libertà, ma
perché ho trovato degli operatori disposti a rischiare con me. Ho delle chiavi
in mano: sembra una cosa sciocca, ma in realtà ha un grosso significato per me,
quelle chiavi rappresentano la mia libertà. Sono io che decido come gestirmi il
mio lavoro. Ho detto agli operatori tranquillamente che non dovevano starmi
dietro in modo opprimente, quello che io volevo era che qualcuno mi desse
fiducia, che rischiasse per me qualcosa. E anch’io ho rischiato. Però loro
hanno rischiato molto di più, perché avevano una vita in mano, la vita di uno
con i suoi esaurimenti, con le sue paure, con i suoi problemi. Lino:
Io ho vissuto in un manicomio e lì lavoravo al forno e avevo anche le chiavi.
Gli operatori e i dottori sapevano distinguere le diverse psicologie e le
diverse personalità, le diverse potenzialità presenti nelle persone. Il malato
ha bisogno di alcune strutture e dell’appoggio di medici in grado di aiutarlo
e di curarlo. Quando un ammalato sa di essere ammalato, è in grado di farsi
curare e di stare meglio. Se un ammalato non si rende conto di essere ammalato,
vuol dire che è un ammalato grave. Ormai
però la psichiatria penso sia fallita. Non ci sono delle strutture adeguate in
psichiatria, intendo dei focolai, delle case famiglia dove le persone ammalate
possono vivere ed essere curate. Delle case famiglia dove le persone si
autogestiscono la vita e la comunità e sono seguite a distanza, e quando
qualcuno sta male i dottori intervengono. Difficilmente una persone con delle
difficoltà psichiatriche può completamente guarire, ma potrebbe senz’altro
stare meglio. Il
mondo delle Piazze “La
Piazza è perfetta; puoi conoscere chiunque, vedi tutti… è una cosa stupenda,
una risorsa incredibile per noi studenti” Il
mondo delle piazze, lo vogliamo raccontare perché è un mondo di gente che ama
la strada come luogo di compagnia, amicizia, dialogo. Abbiamo così incontrato i
ragazzi che lo popolano e visto la città come la vorrebbero loro, i giovani e
giovanissimi che per ora la strada e la piazza hanno la fortuna di conoscerle,
forse, nei loro aspetti migliori. Quelli dello stare insieme, del condividere
emozioni, del comunicare, spesso in un linguaggio tutto loro. Per capirne di più,
c’è anche un sito, www.spritz.it. I
ragazzi delle Piazze si raccontano Sono
Carlo, vivo ad Albignasego, ho sedici anni, studio al liceo scientifico Fermi,
studio anche poco, vabbè! Secondo me Padova è una città, come anche un po’
tutta l’Italia, mal gestita, perché si approfitta della superficialità della
gente per risolvere i problemi veri con soluzioni che non sono tali. La
mia Padova ideale è una Padova in cui ci sono meno differenze, vanno bene le
differenze di opinioni, ma dovrebbe esserci più rispetto tra persone, che
invece si vedono e neanche si salutano perché si vestono in maniere diverse,
che si conoscono però non si sopportano, che hanno idee politiche diverse e
tutte queste stupidaggini qua… però è un po’ irrealizzabile! Sono
Emanuele, ho sedici anni, frequento il liceo classico Marchesi. Io vorrei una
città più grande, cosmopolita, perché le città piccole, soprattutto quelle
del nord o comunque del Triveneto, sono ricche ma chiuse, con una mentalità
superficiale, molto attaccata ai soldi e poco aperta ai veri cambiamenti. La mia
città ideale potrebbe essere, a parte Milano, anche Bologna, che pur essendo
una città piccola è comunque una città molto aperta mentalmente, pronta ai
cambiamenti, disposta ad accettare le diversità, a differenza di una città
provinciale come Padova. Come servizi, bene o male è abbastanza servita, non ha
particolari problemi, solo che anche per i giovani costa molto, perché locali,
pub e soprattutto eventi pubblici raramente sono gratuiti. Io
sono Marta, ho quindici anni, frequento il liceo linguistico Fusinato. Padova
per me è una città in cui si vive “bene”, come dimensioni più che altro.
Per quanto riguarda i servizi, credo che non offra molto ai giovani; è una città
in cui potrebbero trovarsi bene persone adulte, mentre i giovani fanno già più
fatica a starci, secondo me per la mentalità chiusa della gente. È
difficile dire cosa mi piace di Padova; se devo analizzarla non mi piace quasi
nulla ma non posso negare che ci vivo e ci vivo anche bene... se anche potessi
non mi trasferirei, perlomeno per ora. Per
quanto riguarda la Piazza, c’è da dire che è frequentata soprattutto da un
certo tipo di persone, come per esempio il Duomo è frequentato da un altro tipo
di persone; in Piazza non troveremo mai uno della Padova-bene, è molto
difficile. Personalmente vengo spesso soprattutto per trovare gli amici che sono
qua, ma anche perché è un luogo in cui si trovano i giovani. Penso
che avere idee differenti sia una cosa positiva; una cosa negativa, invece, è
una persona che si astiene da qualsiasi opinione, che non ha idee; questo,
secondo me, è un po’ quello che succede a noi giovani ultimamente, non solo
quelli della mia età, principalmente i più grandi. Secondo
me dovrebbe esserci più interesse per quanto riguarda la vita vera e propria,
che non è quella della moda, dei vestiti, ma quella dei fatti concreti, veri,
dei prezzi sempre più cari, della politica, delle cose che veramente ti
toccano… e questo secondo me sta mancando ultimamente nella nostra
generazione. Per il resto, penso che sia una città come un’altra. Io
mi chiamo Matteo, vengo da Trento, ho quasi ventiquattro anni e studio da tre
anni qua a Padova, faccio la specializzazione in Ingegneria elettronica. Come
mi ha accolto Padova? All’inizio è stato difficile, anche perché venivo da
Trento che è una piccola città ed ero abituato a vivere nella mia compagnia,
c’era una mentalità paesana, quindi entrare in una realtà così grande come
una città universitaria, anche se Padova è piccola, non è stato facile. Però,
passati i primi sei mesi di difficoltà, mi sono trovato veramente bene e questo
fatto della piazza in cui si incontrano tutti gli studenti, queste feste nelle
case degli studenti, queste cose che per me erano completamente nuove, per
quanto semplici e normali possano essere per i padovani, sono state una grande
scoperta che mi ha aiutato una vita, ma veramente una vita ad aprirmi, a fare
queste nuove esperienze, queste grandi-piccole conoscenze. Ho potuto
confrontarmi con gente completamente diversa da me, cosa che prima avevo
difficoltà a fare, perché vivevo proprio nel mio piccolo. La mentalità
trentina, per quanto possa essere aperta da un punto di vista morale, è
piuttosto chiusa da un punto di vista pratico. I trentini sono un po’ scettici
nei confronti del “diverso”, in linea di massima, sono un po’ spaventati,
non per superiorità, ma proprio per paura. A Padova, invece, grazie a tutti
questi studenti che vengono da tutt’Italia, non è così: ci sono siciliani,
bergamaschi… gente che viene da tutte le regioni. I padovani, sinceramente,
sono abbastanza sofisticati, senza cattiveria, sono sofisticati, non saprei
proprio che altro termine usare; sono un po’ chiusi, hanno la puzza sotto il
naso, hanno, come noi trentini, paura di conoscere cose nuove. Il primo impatto,
secondo me, con i padovani, non è un granché! Per
quanto riguarda le iniziative per i giovani, ho trovato veramente una vita di
cose, fatte anche molto, molto bene… è pieno di organizzazioni
para-universitarie che curano delle belle piccole manifestazioni. Ci sono anche
molte associazioni che aiutano gli studenti a trovare casa e alcuni studenti
hanno cercato di creare una radio che trasmetta sia cultura che musica, che
divertimento, che informazione per gli studenti. A
Padova rimprovero il fatto che ci sono comunque pochi posti dove poter stare,
locali pubblici… se tu pensi al numero di studenti che ci sono a Padova e alle
possibilità che offri a tali studenti è un rapporto disequilibrato; dovrebbero
esserci molte più possibilità, si potrebbero fare grandissime cose, molto di
più di quello che si sta facendo ora. La
Piazza è un punto fermo per noi studenti di Padova, è un punto di ritrovo di
estrema importanza… a parte quel periodo in cui non si potevano consumare gli
spritz fuori dai locali, per il resto la Piazza è perfetta; puoi conoscere
chiunque, vedi tutti… questa piazza è una cosa stupenda, una risorsa
incredibile per noi studenti… è la cosa non più bella, ma più importante di
Padova. L’unico problema è che ci vieni tutti i giorni, quindi perde la sua
bellezza, diventa una routine, un’abitudine, neanche ci pensi più al fatto
che possa essere bello venirci, però senti che è importante. Se venisse a
mancare, per qualche strano motivo che non riesco neanche ad immaginare, sarebbe
veramente un peccato, perché.la Piazza è un punto di partenza, se non hai
niente da fare vieni qui e sai che qualcosa farai, che qualcuno rivedrai, che
qualcun altro conoscerai. La
mia città ideale penso sia una città in cui non dormi mai; tutti sogniamo la
Spagna, sogniamo città come Madrid o Barcellona, quelle in cui a qualunque ora
tu esca c’è sempre vita e locali che rimangono aperti fino alla mattina dopo,
un posto che ti faccia da mangiare a qualsiasi ora, dove c’è gente intorno e
non ti devi neanche domandare dove sono le persone. Questa è la città ideale! Se
vogliamo discutere della questione “Immigrazione”, posso dire di aver
sentito parlare tante volte di integrazione, ma poi nessuno fa niente, neanche
nel suo piccolo per concretizzarla. L’integrazione implica uno sbattimento da
parte della persona, sbattimento che consiste nell’accettare il diverso, e
tanta gente è falsamente interessata ad integrare. Non è una cosa facile, io
non li biasimo, troppe parole vengono però spese a cazzo, ma proprio a cazzo, a
favore di queste persone. Basta
pensare alla famosa Via Anelli, che potrebbe essere organizzata in modo diverso,
non so in che maniera, ma sono sicuro che un modo esiste. Dovremmo mettere gli
immigrati nella condizione di poter vivere lì non come nel peggior Bronx; Via
Anelli è un tentativo implicito, celato di ghettizzare gli immigrati, di
confinare la criminalità. L’importante, forse, è sprecare meno parole e
cercare di realizzare qualche idea, qualche progetto. Ciao,
mi chiamo Elena, sono di Padova, ho ventidue anni e frequento il DAMS al terzo
anno. Padova l’ho sempre vissuta bene, la cosa che mi piace di questa città
è che è molto viva dal punto di vista studentesco, perché attira molte
persone di fuori, e questa è l’anima che vedo, anche qui agli spritz, che
penso siano il luogo di maggior ritrovo per gli studenti sia liceali che
universitari. Mi
piacerebbe che Padova fosse più vivace dal punto di vista delle attività. Per
esempio io ora vengo dall’Umbria Jazz, dove ho fatto un corso di studio di
jazz; lì c’è questa settimana, anche di più, in cui tutta la città è
proprio immersa in questo fantastico clima di musica, con spettacoli sia gratis
che a pagamento, dove si trovano moltissime persone che vengono anche da fuori
Italia. Perciò, secondo me sarebbe bello che a Padova si facessero anche
attività di questo tipo, sarebbe importante da un punto di vista turistico, ma
sarebbe anche un modo di vivere tutti assieme Padova stessa. Si dovrebbe dare più
spazio, più voce alle persone che hanno voglia di creare, di trasmettere
qualcosa di personale o anche qualcosa di oggettivamente bello. Credo che ci
siano molte persone che hanno voglia di creare qualcosa, anche per ritrovarsi,
per incontrarsi… io ho il pallino dei concerti, essendo un’appassionata di
musica, ma potrebbero esservi ancora tante altre proposte da attuare, di cultura
in generale, arte, spettacolo. Più
che pensare ad una città ideale, mi focalizzerei su come migliorare questa, di
città. Gli
spritz ormai da anni sono un luogo di ritrovo, mi ricordo ancora anni fa che non
c’era molta gente… adesso invece è sempre pieno di studenti. Il giorno più
bello è il sabato, che fino a sera c’è anche il mercato della frutta e della
verdura, quindi diventa ancora più tipico; vedi tanti colori, tante persone.
Qui comunque sorridi di più, sei più felice. Io
sono Alcaina, vengo dall’Algeria, vivo qui a Padova da quindici anni, ora ne
ho sedici; frequento l’Istituto tecnico commerciale Gramsci. Padova
è abbastanza carina come città, non ci sono tanti problemi come nelle città
più grandi; inoltre, preferisco vivere al nord, piuttosto che al sud, perché
credo che qui ci sia più cultura. Mi va anche bene la grandezza di Padova,
perché se fosse più grande sarebbero più difficili i rapporti con le persone. Sono
Andrea, ho sedici anni, faccio il liceo della comunicazione. A me piace Padova,
non ho niente da ridire, sia come città che come servizi mi sembra abbastanza
attrezzata. Fornisce dei punti di ritrovo per i giovani e questo è positivo,
però magari potrebbero esserci più iniziative, gratuite, organizzate dal
Comune, non solo per i giovani, per tutti, senza distinzione. Per
me la Piazza è aperta a chiunque, non è che vengo qui spesso, però vengo qui
perché c’è tanta gente che conosco, è un’occasione per rivedere gli
amici. S’incontrano anche persone nuove, ma non è una cosa che accade spesso. Mi
chiamo Nicolas, ho diciannove anni, ho appena fatto la maturità al liceo
classico Tito Livio, per cui non so ancora cosa farò. L’unica cosa sicura è
che non rimarrò a Padova, parto, vado a fare un giro, ho un po’ di parenti in
giro per il mondo, quindi dovrei riuscire a farmi ospitare, troverò un lavoro e
starò via almeno per un po’. Padova
mi offre questa piazza, che è l’unico ritrovo per i giovani, altri ritrovi
non ci sono, soprattutto per i liceali. È sempre auspicabile che il Comune
organizzi più festival, più iniziative per tutti i cittadini e magari, come
richiesta personale, qualche sala-prove in cui noi ragazzi si vada a suonare,
gratuitamente, magari anche con degli strumenti di cui si possa usufruire. Nella
mia vita non voglio rimanere a vivere qui a Padova, perché è piccola, in più
mi sentirei di escludere troppe cose, troppe esperienze di vita; ma se vivessi a
Milano, o a Sidney, o… penserei la stessa cosa, vorrei forse venire a vedere
Padova. La
mia città ideale è una città che offre miliardi di cose, in cui i mezzi di
trasporto sono gratuiti, la sanità pubblica, la scuola pubblica, luoghi
d’incontro ogni quattro metri… cose del genere. Ciao,
sono Eddi, ho ventidue anni, vengo da Trento e vivo qui a Padova da tre anni per
studiare Psicologia. Padova la vedo bene, anche se è un po’ troppo
estremizzata come città, vedo poche culture integrate, anche i giovani
“assumono” politiche estremiste sia di destra che di sinistra. Positivo
è il fatto che ci sia un punto di ritrovo, come “gli spritz”, che non
esiste nella città da cui vengo io, dove invece non c’è la cultura del
ritrovo dal punto di vista universitario, forse proprio perché l’Università
a Padova viene vissuta diversamente. Negativa è la troppa intolleranza, forse,
dal punto di vista globale, nei confronti di ciò che è diverso da ciò che è
accettato socialmente; quello che è accettato a livello sociale non è la
condotta dello studente tipico. In Piazza vengo tutti i giorni praticamente, per
bermi lo spritz, per ritrovarmi con i compagni di facoltà… La
mia città ideale sarebbe come Padova, però con le persone ideali,
fondamentalmente, per poter essere me stesso. Qualcos’altro da dire… magari
un po’ meno sbirri nelle piazze, anche se con il nuovo sindaco va già meglio. Qualcuno
ha voglia di scrivere al Brontolo? Il
Brontolo è appena nato, ma il desiderio di comunicare con i lettori è già
forte. Allora scriveteci, per posta, e mail, portando a mano i messaggi,
facendoceli arrivare allo sportello che a breve sarà attivo per il progetto “Avvocati
di Strada”. Potete
dialogare con la nostra redazione esterna, ma anche con quella “dentro”,
dentro il carcere naturalmente, la redazione di “Ristretti Orizzonti”, il
giornale realizzato dai detenuti e dalle detenute della Casa di Reclusione di
Padova e dell’Istituto Penale Femminile della Giudecca che collabora
attivamente con Il Brontolo. Alle
lettere risponderemo sempre, e dedicheremo una rubrica del giornale proprio alla
corrispondenza con i nostri lettori. Ci interessa parlare di quello che succede
nelle strade, nelle piazze, nei luoghi della città più vivaci e in quelli più
“stanchi” per l’ansia e la difficoltà di tirare avanti. Cerchiamo
lettori, ma anche persone che abbiano voglia di collaborare con noi per rendere
più ricco e vitale questo giornale. Il
Brontolo, Via Guido Reni 17/1 - 35134 Padova E
mail: redazione@ilbrontolo.org; redazione@ristretti.it Cucine
economiche popolari “Il
primo ristorante della città” Sulla
trafficatissima via Tommaseo, a duecento metri dalla stazione ferroviaria, c’è
una palazzina beige dall’aspetto dignitoso e priva di qualsiasi insegna.
Eppure è meta quotidiana per centinaia di persone, uomini e donne, italiani e
stranieri, accomunate solo dal fatto di essere povere. Le “cucine economiche
popolari” di Padova si presentano così. Sul marciapiede, nell’ingresso,
nelle salette all’interno, facce giovani e meno giovani, inconfondibilmente
segnate da una vita difficile. Ormai
ho l’occhio allenato a distinguere i volti di chi vive bene, almeno dal punto
di vista economico, e di chi vive male. I primi sono rosei, abbronzati e
comunque levigati; i secondi sono grigiastri, giallognoli, e a volte del colore
della terra, qualche volta raggrinziti. Ma nelle cucine la disponibilità è
assoluta e l’ironia è di casa, ti senti subito a tuo agio, anche se non
conosci nessuno. La
responsabile della struttura è Lia, una Suora Elisabettina chiaramente avvocata
al sociale, per resistere in questo servizio “a nessuna soglia”. L’ho
“intervistata” per il nostro giornale.
Definirsi
“servizio a nessuna soglia” è impegnativo. Vuol dire che voi date
assistenza a chiunque arriva, senza chiedere chi è, e da dove viene Certo.
Questo è un pronto soccorso di tipo sociale, una porta aperta sulla strada.
Siamo riconosciuti come servizio umanitario e questo ci permette di assistere
anche gli stranieri senza documenti. Quali
sono i servizi che offrite? E lo fate comunque senza farvi pagare? Oltre
ai pasti offriamo alle persone un servizio di docce, assistenza medica, un
ricambio di vestiti, ma anche ascolto, orientamento e informazioni. I pasti sono
gratuiti solo per chi ha un “buono pasto”, per gli altri il costo è di 2,02
€, cioè il corrispondente delle vecchie 4000 lire. Gli altri servizi sono
completamente gratuiti. E
questi “buoni pasti” da chi vengono rilasciati? Il
“buono” vale per un pasto al giorno, e ha una durata di tre mesi,
rinnovabili. Viene rilasciato dopo un colloquio con la persona che lo richiede,
da una di queste strutture: Le
prime due si occupano degli italiani e la terza degli stranieri. Quindi
se arriva una persona che non ha il buono e nemmeno i due euro, voi non potete
dargli da mangiare? In
caso di estremo bisogno non lo cacciamo via, si parla e si valuta la situazione,
comunque troviamo il modo di dare un aiuto. Quanti
pasti servite mediamente? E chi sostiene i costi della cucina? Nei
periodi di maggiore affluenza, arriviamo anche a 700 pasti al giorno; si può
dire che siamo il primo ristorante di Padova... Il costo dei buoni è sostenuto
direttamente dalle strutture che li rilasciano; una volta al mese tiriamo le
somme e ciascuno contribuisce per la parte che gli spetta. Ma
poi ci sono anche i costi per il personale (cuochi, inservienti, ecc.)? Ci
basiamo molto sul volontariato, abbiamo un centinaio di persone, tra cui venti
medici, che mettono a disposizione due o tre ore la settimana. Come presenza
costante siamo in cinque suore, (Terziarie, Francescane, Elisabettine) e ci sono
anche cinque operatori laici. Le cucine sono un’opera della chiesa locale e
dipendono direttamente dal Vescovo, che ne cura la gestione attraverso un suo
delegato. Che
orari di apertura avete? Siamo
aperti dalle 8,00 del mattino fino alle 19,30, come sale di soggiorno e servizi
vari. Il pranzo viene distribuito dalle 11,30 fino alle 14,00 e la cena dalle
17,30 alle 19,30. Immagino
che non facciate delle ferie o giornate settimanali di riposo… Non
possiamo mai chiudere… dove andrebbe questa gente!? Che
tipo di persone vengono alle cucine? Più it Circa
metà italiani e metà stranieri. Tra gli italiani ci sono più ospiti fissi, ad
esempio tante persone che dormono all’asilo notturno, e il mattino quando
l’asilo chiude si trasferiscono qui. Tra gli stranieri c’è maggiore
rotazione; chi arriva dalla Moldavia, dalla Romania, Ucraina, viene per qualche
giorno, fino a quando non si sistema un po’, altri che vivono di lavori
precari tornano spesso. Le persone come vengono a sapere che offrite questi servizi? Non mi sembra che ci
siano in giro delle pubblicità. Che
rapporto avete con la cittadinanza di Padova e con le istituzioni? Il
nostro è un servizio che funziona da ammortizzatore sociale, perché diamo una
risposta ai bisogni primari delle persone. Se non ci fossimo, queste persone
cercherebbero altre maniere per sopravvivere…. Le istituzioni questo lo sanno
bene, quindi rispettano ed apprezzano il nostro lavoro. Il rapporto con i
padovani è un po’ più complicato: soprattutto chi abita qui vicino è
disturbato dal fatto che attiriamo e rendiamo visibile un certo tipo di disagio.
Si vorrebbe rimanesse nascosto e dimenticato. L’immagine, oggi, conta molto e
la povertà “rovina” l’immagine di un quartiere… Dal
carcere, La
droga, poi la strada, la galera, ancora la strada.
Io
sono una ex tossicodipendente, sono stata in galera non so più quante volte,
non so nemmeno contarle più, e ogni volta che uscivo dalla galera mi dicevo che
dovevo fare e disfare un sacco di cose. E sai cosa facevo? La prima cosa quando
ero fuori andavo a comprarmi la cocaina. Questa era in assoluto la prima cosa, e
dopo ritornavo in carcere nuovamente, duravo due mesi o un anno ma ci ritornavo,
e tutto questo mi ha portato a trent’anni ad essere ancora qui. Poi arrivi a
un certo punto e dici: “Porca miseria, ma cosa ho fatto io della mia vita? Non
ho figli, non ho mai avuto una persona che mi sia stata veramente vicina e dalla
mia parte, cosa ho fatto? Niente!”. Allora le cose sono solo due, o continuo
questa vita o cerco di mettermi a posto per sempre. Questa non è vita, andare
avanti e indietro dalle galere e in comunità è una cosa bruttissima, ma si può
continuare in questa maniera? Io penso che la cosa importante sia di potersi
mettere a posto una volta finita la galera, di farsi una famiglia, di lavorare e
cercare di fare una vita tranquilla. Basta, solo questo! A
tutt’oggi la droga mi piace, ma i problemi che mi ha dato a me la cocaina
nemmeno ve li immaginate, è quella la mia paura. Io ho incominciato da
ragazzina con il tiretto per andare in discoteca, lo spinello e poi sempre di più,
ma sono sempre stata io che ho voluto la cosa, nessuno mi ha puntato la pistola
contro per costringermi a farlo. Mi è piaciuto e basta. È come una che gli
piace l’uomo. A me piace l’uomo, mi è sempre piaciuto e mi piacerà sempre.
Però l’uomo, dico, se mi piace mi tolgo lo sfizio e basta. Non ti mettono in
galera per questo. La cocaina invece mi ha portato sempre in galera. Allora
adesso ci penso, se continuo con la cocaina un giorno mi ritrovo con un sacco di
debiti e dopo cosa faccio? Vado a rubare e magari i soldi non riesco a trovarli
nemmeno andando a rubare, e cosa succede? Mi ammazzano e basta! L’ultima volta
che sono uscita, mi hanno dato un’opportunità e sono andata in comunità,
perché ho voluto io! Perché volevo cambiare e ho fatto quasi due anni in
comunità, di programma terapeutico. Sì, l’ho voluto io, anche se ora sono
qui lo stesso, ma è per un reato vecchio del 1997. Però, io stavo lavorando e
mi ero messa a posto. Una persona non può parlare se non ha sbattuto contemporaneamente il culo e le corna insieme, e io le ho sbattute. Ora
sono terrorizzata per quando dovrò uscire e più si avvicina il mio fine pena e
più sono terrorizzata. La stessa paura che hai quando entri per la prima volta
in galera ce l’hai quando devi uscire dopo tanto tempo. Secondo me è uguale,
è brutto. Ho paura, perché per anni sono stata in una struttura protetta,
rinchiusa, e non è facile trovarsi improvvisamente in mezzo a una strada. Io ho
paura solo se penso che presto avrò finito e ciò mi crea una grande ansia. La
città che vorrei, e tutto quello che non vorrei vedere in
questa città “Ce
l’ho con la gente che ha soldi e viene in questa mensa La
città che vorremmo: ne abbiamo parlato con i ragazzi che frequentano le piazze,
“quelli degli spritz”, che hanno desideri, aspettative, ideali; e ne abbiamo
parlato poi con chi vive all’asilo notturno, e ha fatto a tempo, nella sua
vita, ad accumulare già tanta insoddisfazione, tanti rancori, tanta rabbia. A
volte, è una rabbia motivata, fondata, a volta è una guerra tra chi sta male e
chi forse sta altrettanto male, o forse invece sfrutta delle risorse che
dovrebbero andare ad altri. In ogni caso, ci sembra importante misurarci con
questi umori, capire da dove nascono, discuterne con franchezza, anche quando
non ci piacciono. Vincenzo:
Intanto Padova la vorrei meno caotica, perché la mattina uno che prende
l’autobus per andare al lavoro ci mette tre ore per arrivare in stazione,
soprattutto nelle riviere. È una roba assurda, è una roba scandalosa, è una
roba schifosa. Anche se prendi il “diretto piazze”, che è più piccolo, ci
metti tre ore, perché ci sono i deficienti che parcheggiano in mezzo alla
strada e così l’autobus non riesce a girare. Poi,
vorrei una città un po’ più “sciolta”, un po’ più elastica, così è
troppo rigida, troppo nervosa. Sembra che i padovani abbiano il cemento in mano,
li vorrei un po’ più rilassati. Vai in un bar, ti guardano male, dicono:
“Ma da dove arriva questo?”. Anche se devi andare in bagno, se è una cosa
urgente, devi prima consumare, hanno paura che poi non consumi. Ma tu non puoi
tenere il bagno riservato solo per chi consuma, è sbagliatissimo, metti il caso
che uno stia male… Luca:
Sai cos’è che dovrebbero cambiare a Padova, che se io fossi un padovano mi
vergognerei? In via Luca Belludi, c’è un fiumiciattolo pieno di carcasse di
biciclette, di olii consumati dai ristoranti, a cento metri dal Santo… viene
da vomitare. E sai qual è la cosa ancora più allucinante? Quando io ho chiesto
alla signora che vende i santini come mai non dicono niente per quest’acqua
lurida che c’è, lei ha fatto finta di non sapere niente. A loro può anche
cadere Padova in testa, non gliene importerebbe niente, l’importante è
continuare a vendere davanti al Santo. Alessandra
(volontaria): E dopo queste elezioni, cosa vorreste? Luca:
Vorrei che pensassero di più alle cose concrete. Allora, quello che vorrei ora
è che si pensasse di più alla gente che agli extracomunitari che qui a Padova
non fanno niente, e non perché non trovano da lavorare, ma perché non vogliono
lavorare. Se vai alla stazione o in Piazza Garibaldi o in Prato della Valle, ci
sono tanti di quegli scippatori, e sono tutti maghrebini o rumeni. Io ci vado e
li vedo, conosco anche quello che mi ha rubato il portafoglio. Se vai giù alla
stazione, c’è spaccio di sigarette e c’è la polizia ferroviaria lì, che
non interviene, e fermano me mentre cambio cd nel lettore e mi picchiano
anche… Eleonora
(volontaria): Aspetta un attimo, Luca, continuando con la questione
dell’immigrazione, seconde te come si potrebbe risolvere una situazione del
genere? Luca:
Bisognerebbe fare come fanno in molti Paesi europei, tipo la Svizzera:
“Produci-rimani; non produci-te ne vai”. Semplice. Comincia a selezionare
veramente chi può entrare e chi no; bisogna pensarci prima, prima che vengano
qui a creare danno, che già ce n’è abbastanza. Il problema è che il peggior
razzista, ed io non sono razzista, è lo Stato, perché sta mettendo noi contro
gli extracomunitari, che alla fine dei conti vengono qui e, poveracci, cosa
devono fare? In qualche modo devono campare… però tu sai che c’è la mafia
albanese, tu sai che c’è la mafia russa, tu sai che ci sono parecchie
congregazioni di delinquenza qui in Italia… eppure, fanne arrivare ancora!
Vogliamo
parlare di prostituzione? Padova è piena. Vogliamo parlare di droga? Non c’è
più un italiano, qui a Padova, che spaccia droga. Alessandra:
Però se ci sono queste realtà vuol dire che ci sono i clienti! Se non ci fosse
la domanda non esisterebbe neanche l’offerta. Luca:
Sì, ok. Ma tu spiegami perché non c’è più un italiano che fa il pappone o
lo spacciatore. Forse tu non riesci a capire bene qual è il movimento della
strada.. Alessandra:
Mi stavo chiedendo: ma cosa ti aspetti?! Cose concrete però, cose fattibili,
che possano essere realizzate. Luca:
È banale dirlo, ma dovrebbero creare più posti di lavoro. Ad esempio
potrebbero ridurre le tasse e cominciare a comprare la materia prima in Italia,
senza andare a venderla all’estero per poi ricomprarla dall’estero; non ho
mai capito le manovre economiche che fanno questi politici. Dovrebbero
cominciare a rivedere lo statuto del lavoro, perché oggi come oggi abbiamo
anche il caporalato, che è stato legalizzato… il caporalato vuol dire che io
ti assumo e tu stai alle mie regole, non stai alle regole dello statuto del
lavoro. Molte
cose devono cambiare. Così non si fa altro che aumentare la povertà e quindi
la delinquenza… e la povertà ti porta comunque, prima o poi, a prendere certe
strade. Alberto
(volontario): Forse molta responsabilità riguardo alla criminalità di cui tu
parlavi è legata alle leggi. Luca:
Sì, di sicuro è legata alle leggi. Ti racconto una cosa che mi riguarda: nel
novantasei, mi pare, io ho avuto una discussione con un marocchino che stava
letteralmente massacrando a calci e pugni la figlia di sedici anni, in mezzo
alla strada, e nessuno si è fermato. Io mi sono fermato e, dopo essermi beccato
anch’io un bel ceffone, sono riuscito a liberare la figlia. Dopo essere salito
in macchina, mentre chiudevo lo sportello, lui me l’ha riaperto e mi ha detto:
“Guarda che so dove abiti, so chi sei, ci rivediamo”. Io ho pensato: “Un
ceffone me lo tengo, una minaccia no”. Sono andato prima in pronto soccorso a
farmi medicare e poi in caserma per sporgere denuncia. Sai cosa mi hanno detto?
“È inutile che lo denunci, perché finché non ammazza qualcuno non possiamo
fargli niente”. Io gli ho risposto: “Se succede qualcosa a me o alla mia
famiglia, io la prima persona che vado a prendere è lui”, e i carabinieri
allora mi hanno detto: “Stai attento a come parli, queste sono minacce”. Ma
come funziona? Le mie sono minacce e le sue no? Eppure funziona così! Quindi
loro sono autorizzati a compiere atti criminosi, piccoli o grossi che siano!
Alberto:
Tu credi che questo valga solo per gli stranieri? Non credi che una cosa del
genere valga incondizionatamente per italiani o stranieri? Luca:
Vale solo per gli stranieri. È così, è pazzesco ma è così! Alessandra:
Ma no, non è così! Anche a me, se ricevo delle minacce e sporgo denuncia ai
carabinieri, mi dicono che non possono agire. Luca:
Sì, ma che sia italiano o straniero, cosa aspetti, che mi dia una coltellata? Comunque
le cose devono cambiare, non possono fare arrivare in Italia cani e porci; siamo
già messi abbastanza male… Alberto:
Come credi che si possa fare per non fare entrare “cani e porci”?
Luca:
Controllando meglio le persone che entrano, selezionando le persone che possono
stare. Io conosco tantissimi extracomunitari che conducono una vita pacifica,
non rompono le scatole a nessuno; conosco marocchini, algerini e di tutte le
parti del mondo che sono qui in Italia, lavorano in fabbrica, hanno la loro
famiglia, la loro macchinetta, la loro casuccia e basta. Daniele
(volontario): Ma pensa ad un immigrato a cui non viene rinnovato un contratto di
lavoro dopo che è scaduto. Una persona si può trovare senza lavoro da un
momento all’altro, e non è detto che non l’abbia mai avuto o mai cercato…
Quindi, secondo te cosa dovrebbe fare? Luca:
Comunque il vero problema in Italia è tutta la delinquenza che si sta creando e
la rabbia, i focolai che si stanno accendendo nelle varie città, anche tra
italiani. Se continuiamo così, arriviamo alla guerra civile. Ormai non c’è
più lavoro neanche al nord, c’è la fame anche qui. Vincenzo:
Gli immigrati lavorano e noi no! Alberto:
Quindi non sono tutti delinquenti, c’è anche chi lavora! Daniele:
Nessuno arriva qui con l’idea di fare il delinquente, arrivano qui con delle
aspettative e poi magari chi si trova senza lavoro prende quella strada. Non è
neanche colpa loro. Luca:
Ma no, non è colpa loro. Forse mi sono spiegato male. Non me la sono presa con
quello che mi ha rubato il portafoglio, sapevo anche chi era, ma cosa vuoi che
faccia, deve campare così. Anche lui deve sopravvivere, se non trova lavoro,
cosa vuoi che faccia? Ma allora prendilo e rimandalo al suo Paese; se deve
morire di fame che vada a farlo a casa sua! Alberto:
Non credo che la questione si risolva in questo modo. Tu dai per scontato che
chi entra in Italia sia già un delinquente, mentre io credo che le leggi siano
fatte in modo tale, che una persona possa entrare con tutte le migliori
intenzioni e poi non avere altra via d’uscita che la delinquenza. Luca:
Quello che dico io è che non bisogna creare altra delinquenza, dove già ce
n’è. Io non condanno chi è costretto a scippare per dare da mangiare ai suoi
figli, semmai condanno chi ruba per poi drogarsi. Il problema è che lo Stato ci
ha riempito la testa di pregiudizi sull’extracomunitario, e va a finire che tu
te la prendi con lui, diventa il capro espiatorio. Eleonora:
E tu, Vincenzo, cosa ne pensi, cosa ti aspetti? Vincenzo:
Alle cucine, ad esempio, sono tutte donne, e io mi domando cosa ci facciano lì
tutte quelle donne, non fanno niente… prima mangiano, poi tornano ai giardini,
lì si sdraiano e si divertono; poi la sera non so cosa vanno a fare. Per me
sono qui in vacanza, non per lavoro… vengono qui a fare cose che nel loro
Paese non possono fare. Eleonora:
Io non credo che queste persone vengano qui, a Padova, sperando di girare e
parlare dalla mattina alla sera; probabilmente vengono qui, aspettandosi di
trovare un lavoro e di fare qualcos’altro, qualcos’altro che non trovano e
che li costringe a determinati comportamenti. Vincenzo:
Per me no! Per me no! Eleonora:
Perché no? Come lo sai? Da cosa lo vedi? Vincenzo:
Loro la prendono alla leggera, la vita, la prendono proprio così… alle dieci
di mattina vanno a ritirare questo bigliettino, mangiano e poi se ne vanno ai
giardini dove ridono, scherzano... tanto problemi non ne hanno. Alberto:
Ma tu parli delle persone dell’est? In genere tante di loro lavorano come
badanti... Vincenzo:
Si, lavoreranno, ma quanti lavorano? Io non lo so quanti lavorano. Alberto:
Ma anche se non lavorassero? Non riesco a capire che problema ti creano. Vincenzo:
Mi danno fastidio questi atteggiamenti, perché io li vedo che sono qua e stanno
bene, da mangiare ce l’hanno. È proprio la vita che loro conducono che non
va, secondo me. Io la penso così. Io non so spiegarmi bene in italiano, uso
parole mie, ma non accetto certe situazioni. Eleonora:
Però questo probabilmente accade perché non ci sono dei sistemi
d’integrazione di questi gruppi all’interno della società. Vincenzo:
Si, ma intanto devono integrare noi italiani: abbiamo già i problemi nostri, in
più ci si mettono anche loro, ce ne creano di più. C’è poca roba per noi,
in più ci sono anche loro e noi così rimaniamo senza. Uno che ha realmente
bisogno, che va a mangiare in quella mensa, poi non ha il telefonino da 400
euro, o le scarpe da 200, o i vestiti firmati. Perché se uno non ha niente è
vestito come me, non come loro. Vuol dire che c’è qualcos’altro dietro,
qualcosa che nel loro Paese non possono fare e che qui in Italia hanno trovato. Secondo
me, se vogliamo essere sinceri, si prostituiscono. Non me ne voglio interessare,
però mi dà fastidio. Chi ha i soldi non va a mangiare a quella mensa. Alberto:
Non capisco però perché critichi le donne che si prostituiscono e non gli
uomini che pagano la prostituzione. Io credo che siano soprattutto italiani, i
clienti. Eleonora:
Io, Vincenzo, non riesco a capire con chi ce l’hai. Vincenzo:
Con la gente che ha soldi e viene in questa mensa e non si rende conto di quanto
vale un piatto di pasta, perché non sta male come noi, che siamo qui con i
nostri problemi. Forse sono io che non riesco a spiegarmi. In poche parole, a me
questi atteggiamenti non piacciono, perché c’è gente che sta male davvero, e
loro non stanno male. Tutto
quello che (non) si può comprare con la pensione Quando
la vita diventa uno slalom tra saldi, offerte speciali e rinunce Sbarcare
il lunario da un po’ di tempo è diventato più difficile, soprattutto per le
categorie “deboli”, e molti pensionati deboli lo sono senz’altro. Ciò di
cui sto per parlarvi è la mia personale battaglia per la sopravvivenza mensile,
data la mia condizione di pensionata. Battaglia oggi certamente combattuta in
compagnia di buona parte della popolazione italiana! Personalmente, mi considero
fortunata, poiché tra qualche mese scadrà l’ultima rata del mutuo
dell’appartamento in cui abito e perciò sarò finalmente proprietaria a tutti
gli effetti della mia piccola abitazione Del resto, di essere proprietaria ero
ben conscia da parecchi anni, poiché l’ICI si paga pur avendo ancora il
debito in corso ed abitando, ovviamente, nella casa in questione. Ora ci saranno
ristrutturazioni da effettuare e situazioni da mettere a norma. Potrei fare un
altro mutuo! Mi definisco fortunata perché appunto, tra un po’, non avrò più questa spesa e sarà come non dover più pagare l’affitto, spesa che incide altamente sul bilancio mensile. E altrettanto si può dire per le bollette che sembrano arrivare tutte assieme: chissà perché non le scaglionano meglio, lasciandoci almeno la possibilità di respirare. Nei mesi un cui ci sono bollette da pagare, un’attenzione particolare si deve prestare ai prezzi quando si fa la spesa, evitando di acquistare quei prodotti (parecchi, per la verità) il cui costo è proibitivo. Ci si abitua così a considerare che le cose essenziali sono davvero poche e ci si adegua! Per esempio, quest’estate avrei volentieri preso un paio di sandali che mi piacevano ma che costavano troppo, perciò ho deciso di attendere i saldi e poi, visto il prezzo scontato ancora eccessivo, ho pensato che potevo anche fame a meno. In fondo, c’è tanta gente in giro per il mondo che non ha mai nemmeno posseduto un paio di scarpe e fare qualche rinuncia mi rende forse un po’ più solidale con gli altri. Se però i soldi della pensione dovessero servirmi per comperare farmaci o pagare visite mediche e non me lo potessi permettere, credo avrei una visione meno “romantica” e sarei un po’ più arrabbiata con il costo eccessivo della vita.
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