L'Opinione delle carceri

 

De profundis, voci da dietro le sbarre

 

L’Opinione on line, 4 agosto 2004

 

Io, anoressico in carcere

Secondigliano, 27 luglio 2004

Crepare in galera

Carcere e sanità, i morti di luglio

Tubercolosi in carcere

41 bis con aggravamento geografico

Mohamed, chi gli ha creduto davvero?

Luigi Manconi: "non faccio promesse, ma sbloccherò la situazione"

Io, anoressico in carcere (testimonianza da San Vittore)

 

Tutto è cominciato nel 1996: vengo arrestato per scontare una pena definitiva divenuta esecutiva. Mi portano a San Vittore (5° raggio); le mie condizioni di salute erano discrete, almeno così sembravano. Espio otto mesi della mia condanna nell’inferno dell’emergenza San Vittore, il primo sfollamento di "routine" mi colpisce in pieno… e una mattina mi trovo ospite nella casa di reclusione di Opera. Ancora due mesi ed eccomi entrare in un lungo stato depressivo, con conseguente rifiuto mentale dei cibi solidi.

Che cosa mi stava capitando? Premetto che non era la prima volta; in precedenza, negli anni della mia adolescenza, ho sempre sofferto di periodi depressivi, ma non certamente di questa gravità. Al mio arresto pesavo 82 kg; nel breve periodo di tre mesi ho perso circa 30 kg, il calo ponderale era all’incirca di 10 kg al mese, la mia preoccupazione cominciava a trasformarsi nel pensare a un brutto male….(…) Mi ero ridotto ad una larva, pesavo 47 kg, non ero più me stesso, facevo fatica a camminare, ormai il mio trasporto era solo possibile con l’ausilio di una carrozzina per disabili.

Il mio legale di fiducia presenta un’istanza tendente ad ottenere la mia scarcerazione per incompatibilità al regime carcerario …attendo dieci giorni per la risposta, dopo questo periodo arriva un perito del tribunale, mi fa una prima perizia di tipo "psichiatrico", poi decide di prendersi quaranta giorni per decidere… intanto io andavo avanti nella mia agonia; la mia famiglia unitamente al mio legale, chiaramente molto preoccupati, decidono di mettere un perito di parte, uno specialista di disturbi alimentari il quale, dopo un’attenta perizia di parte attesta la diagnosi di "stato anoressico con gravi turbe depressive".

Arriva il quarantesimo giorno, arriva il rigetto dell’istanza. Motivi: "si accerta lo stato (anoressico evidente) del detenuto, ma tale patologia può curarsi benissimo in un Centro clinico adeguato alla circostanza, se dovessero subentrare complicanze applicare l’Art.11 Op, ovvero: ricovero ospedaliero con piantonamento coatto, ciò a significare che il diritto alla salute era risolto "altrove" (….). Sono stato letteralmente "torturato" psicologicamente per ben 4 anni nel mio lungo stato anoressico. I magistrati di sorveglianza, spesso in conflitto con l’applicazione del principio da adottare, preferiscono rischiare sulla pelle dei detenuti, pensando esplicitamente che la malattia venga strumentalizzata per poter ottenere facili scarcerazioni. Vi assicuro che così non è. È un pregiudizio…

 

Michele Polisenso

 

Secondigliano, 27 luglio 2004

 

Esimio avvocato Mellini, le scrivo solo qualche rigo sperando di trovarla bene con la salute e un po’ di tempo da dedicarmi. Le ho scritto che mi trovo a Secondigliano (Napoli) dove in infermeria è ricoverato il mio coimputato Calfapietra Emanuele. Ho fatto richiesta scritta alla direttrice per poter salutare il mio coimputato paralizzato a letto da circa 10 anni, ho fatto più domande per parlare con la direttrice ma è tutto inutile, da quando sono qua ho avuto due punizioni, una con cinque giorni di cella d’isolamento. Qui la conta passa tre volte al giorno e ci dobbiamo mettere all’inpiedi tipo militari, ora io sono carcerato, innocente e ammalato mentale già pensionato per malattia mentale e riconosciuto in più processi incapace d’intendere e volere, qui l’assistenza sanitaria è zero!

Mi rifiuto di fare da cavia, il Carbolhitium, che è uno psicofarmaco che prendo da lunghissimi anni, qui non ce l’hanno ed io ho fatto domanda per comprarlo, è passato un mese e medicine non ne sono arrivate. Le allego l’articolo del giornale Il Mattino del 26 luglio 2004. Titolo: Detenuto muore in cella, denuncia in procura presentata dai familiari: era in gravi condizioni. Semplifico tutto onorevole Mellini: che una delegazione parlamentare faccia visita in questo posto maledetto affinché ci sia il diritto ad essere curati e non torturati e fatti morire come bestie! Con il sangue agli occhi!

 

Mario Leo Morabito

 

Crepare in galera

 

In estate mentre tutti andiamo in vacanza i detenuti crepano come mosche di malasanità e di mal di vivere. In una parola di mal di carcere. Oltre al numero dei suicidi che cresce in maniera impressionante, con il caldo da anni si registra questa tendenza preoccupante per cui sempre nuove e vecchie malattie (come la tubercolosi altrove dichiarata estinta) falcidiano la popolazione delle patrie galere con costanza degna di miglior causa. Colpa dell’incuria sanitaria? Colpa del nostro egoismo? Di noi che stiamo fuori e ce ne freghiamo? Tutti sanno che in Italia la pena di morte non esiste più. O almeno così dovrebbe essere. Eppure per la popolazione carceraria esiste una deroga: perché in galera e di galera si muore. Sempre di più.

 

Carcere e sanità, i morti di luglio

 

Non è vero che in Italia non esiste più la pena di morte. In galera infatti si può morire di malasanità, ammazzati di botte, di indifferenza, di tubercolosi, di Aids. A giugno c’erano stati quasi 23 morti, 20 dei quali erano suicidi. A luglio è andata appena meglio: dodici morti, sette dei quali hanno scelto da soli che era meglio farla finita. In carcere si può passare a miglior vita anche per l’incuria sanitaria delle istituzioni e adesso anche i sindacati dei secondini protestano per le mini epidemie di Tbc che si susseguono un po’ ovunque. Pretendono guanti e mascherine sanitarie. Gli stessi che usa il personale sanitario. Quando interviene.

Salah Talbouz 28 anni 1 luglio 2004 Suicidio Ivrea (To)

Vincenzo Milano 30 anni 1 luglio 2004 Non accertata Barletta (Ba)

Nicolae Doru 37 anni 2 luglio 2004 Suicidio Frosinone

Carmine Giuliano 52 anni 2 luglio 2004 Malattia Cassino (Fr)

Anacleto Locane 35 anni 11 luglio 2004 Suicidio Padova (C.R.)

Francesco Racco 48 anni 13 luglio 2004 Malattia Secondigliano (Na)

Michele Profeta 56 anni 16 luglio 2004 Malattia San Vittore (Mi)

Detenuto italiano 25 anni 21 luglio 2004 Suicidio Lecce

Cristian Orlandi 26 anni 22 luglio 2004 Non accertata Verona

Marco Salvatore Garofalo 22 anni 23 luglio 2004 Suicidio Siracusa

Detenuto dominicano 34 anni 28 luglio 2004 Suicidio Busto Arsizio

Carlos Requelme 50 anni 30 luglio 2004 Suicidio Livorno

 

Tubercolosi in carcere

 

Ancora un caso di tubercolosi in carcere a Montorio. Le analisi vengono fatte all’istituto di Marzana, dove assieme a Borgo Trento, ogni giorno vengono portati i detenuti della casa circondariale di Montorio per i controlli, dopo il caso scoperto ormai una quindicina di giorni fa. Dopo i test gli uomini della scorta hanno riportato indietro il detenuto evidenziando che mentre il personale sanitario aveva operato dotato di mascherine, loro erano a volto scoperto, alla mercé di possibili contagi.

"Quando è stato scoperto il primo caso di Tbc in istituto", ha detto all’Arena di Verona Giovanni Sicilia, ispettore a Montorio e segretario regionale del Sappe, in sindacato autonomo di polizia, "anziché fare subito i controlli sanitari al personale s’è proceduto con i detenuti. Non viene minimamente considerato che noi in carcere passiamo molte ore, siamo esposti al contagio e poi andiamo fuori, in famiglia, piuttosto che al cinema o altrove e possiamo così diventare portatori sani, o malati della Tbc".

Il Sappe aveva anche scritto al provveditorato di Padova, al ministero e al prefetto di Verona, Francesco Giovannucci: "Il prefetto è stato l’unico a interessarsi di noi", continua Sicilia. In tutto a Montorio ci sono 665 detenuti della sezione maschile e 63 detenute. Le celle sono strette, in ciascuna convivono tre o quattro persone con un unico bagno, in cui dalle 15 alle 18 viene interrotta l’erogazione d’acqua. Un habitat ideale per la trasmissione della malattia che viaggia via aerea da un soggetto all’altro. Ma il carcere è anche questo: una malattia che si credeva estinta in quasi tutto il mondo, torna di attualità dietro le sbarre.

La mancanza di seri controlli sanitari, i tagli governativi, l’atmosfera di generale sbracatezza e la frustrazione che spesso contraddistinguono l’operatore sanitario dei penitenziari d’Italia contribuiscono non poco a creare situazioni del genere. Chissà se adesso che (come nel caso segnalato dall’Arena di Verona) le proteste vengono dalle guardie penitenziarie qualcuno si degnerà di metterci una pezza.

 

41 bis con aggravamento geografico

 

Una volta l’esilio in terre lontane era pena terribile inflitta da imperatori crudeli e vendicativi. Più recentemente, il confino in qualche isoletta non ancora scoperta dal turismo fu deterrente per gli oppositori antifascisti. Poi è venuta la Costituzione, con l’art. 27 che vieta pene consistenti "in trattamenti contrari al senso di umanità" e che permette che la responsabilità penale (e la relativa pena) è personale e, quindi, non può, ad esempio, estendersi ai parenti, ai figli, etc. Ma poi è venuto anche l’art. 41 bis della legge penitenziaria, il carcere di "massima sicurezza", che bocche e penne meno esperte in prese in giro ed alibi pseudo giuridici, definiscono più correttamente "carcere duro".

Carcere duro per costringere al massimo della rieducazione (secondo il Vangelo di certi magistrati): il "pentimento" e la collaborazione. Invano, oltre che assai timidamente, i tribunali di sorveglianza (e la Cassazione) escludano dalle misure restrittive del 41 bis prescrizioni "esclusivamente afflittive", quale il limite dei pacchi inviati dai famigliari. Il ministero (ing. Castelli: ne è informato?) puntualmente ripete le prescrizioni dichiarate illegittime prima che le decisioni abbiano esecuzione. "Pe’ tigna", si direbbe a Roma. Perché il 41 bis è, nella realtà, solo afflittivo, tortura finalizzata alla costrizione al pentimento, si direbbe, con maggior aderenza al vero, in tutte le carceri italiane dove certi sistemi sono in uso.

Del resto, volete la prova di questo? Si è trovato il modo di rendere ancora più gravoso e disumano il regime carcerario restringendo ulteriormente, di fatto, la possibilità di visite dei parenti. Come?

Aggiungendo al 41 bis l’esilio, la destinazione di chi vi è sottoposto agli stabilimenti carcerari più lontani e disagevoli da raggiungere rispetto ai luoghi di residenza delle famiglie, perché queste siano sottoposte a spese, disagi, perdite di tempo enormi, insostenibili per usufruire della visitina mensile. Così la pena colpisce, aggravata, il disgraziato detenuto e colpisce pure i suoi congiunti. Pena con aggravamento trasversale. Le vendette trasversali, una volta, erano tipicamente mafiose. Ora…

 

Mohamed, chi gli ha creduto davvero?

 

Quella che vogliamo raccontare è la storia di Mohamed Abdelsalem, un detenuto del nuovo complesso penitenziario di Padova. Mohamed ha poco più di vent’anni, si trova in carcere e come i ragazzi della sua età è al culmine delle energie fisiche, sportivo, uno che cerca, anche in un luogo deprimente come questo, di trascorrere le giornate come meglio gli è possibile. Quattro o cinque mesi fa inizia ad accusare dei forti mal di testa accompagnati da un improvviso calo della vista. Da quel momento inizia anche la sua personale battaglia per conoscere i motivi del costante malessere. Ma per contro sembra che i medici e il sistema sanitario interno dell’Istituto non prendano in seria considerazione i disturbi accusati da Mohamed e non credano che siano veri.

Intanto con il passare del tempo le condizioni di salute continuano a peggiorare, i dolori diventano sempre più forti, passa la voglia di mangiare e lui non riesce nemmeno più a reggersi in piedi da solo. Per potersi muovere e uscire dalla sua cella deve essere accompagnato da qualcuno che lo sorregga. Mohamed in questi mesi è notevolmente cambiato fisicamente, lo sguardo non è più lo stesso, la camminata non è più naturale, non riesce più a parlare, ma pare che nonostante tutti questi cambiamenti i medici ancora non credano che ci sia qualcosa di serio e quindi non provvedano a somministrare dei farmaci appropriati, né tanto meno a prescrivere una visita specialistica.

I medici si direbbe che siano convinti che Mohamed stia simulando e quindi non ritengono opportuno fare tutti gli accertamenti necessari in casi simili. La malattia degenera a tal punto da far perdere a Mohamed il parziale uso della parola. Viste le sue recenti condizioni, sono i compagni di sezione a chiedere l’intervento sanitario, ma anche le loro richieste non vengono prese in considerazione. L’incubo per Mohamed si concretizza il giorno in cui sviene mentre sta telefonando ai suoi familiari. L’agente della sezione segnala l’accaduto all’infermeria, che interviene finalmente per far sì che gli venga fatta una visita adeguata.

È ormai palese, infatti, che il ragazzo non sta bene, e oggi a visita effettuata gli è stato diagnosticato un tumore al cervello. Pochi giorni fa è stato scarcerato in sospensione pena per gravi problemi di salute. Ci viene spesso detto che l’atteggiamento di scarsa fiducia da parte dei medici nei confronti dei detenuti possa anche dipendere proprio dal comportamento non sempre corretto di alcuni detenuti, ma il fatto che qualcuno simuli lo si dovrebbe considerare "fisiologico", vista la scarsa attenzione nei confronti dello stato di salute di chi è in carcere e di conseguenza la necessità di sollecitare in tutti i modi possibili gli accertamenti sul nostro stato di salute.

Casi come questo meritano comunque un’indagine dettagliata su eventuali responsabilità ed omissioni.

 

Luigi Manconi: "non faccio promesse, ma sbloccherò la situazione"

 

Alcune delle principali città italiane hanno recentemente nominato un "garante dei detenuti". Ne parliamo con l’ex senatore verde Luigi Manconi, nominato un anno fa da Veltroni "difensore civico per le persone private della libertà".

 

Anche la Regione Lazio ha istituito un "garante dei detenuti". Siete in due a ricoprire lo stesso compito?

No, e per due motivi. Per prima cosa la mia è una figura, come dire, di transizione. Nella scorsa legislatura, assieme alla collega senatrice Ersilia Salvato, presentammo una legge perché il parlamento istituisse a livello nazionale un "garante", e lo dotasse di risorse e poteri reali. La proposta di legge fece poca strada, e anche in questa legislatura, nonostante un bel convegno dal titolo "Tra custodia e custoditi", con il patrocinio del presidente della Camera Casini, e tante dichiarazioni di buona volontà da parte di tutti i partiti, esclusa la Lega, non stiamo andando lontano. Allora ho proposto a Veltroni e ad altri sindaci di iniziare a sperimentare la nuova figura a livello comunale, per poi tentare di nuovo di imporla a livello nazionale. Il secondo motivo per cui siamo diversi dal "garante regionale", è che noi, per la precisione, siamo il "difensore civico per le persone private della libertà", e in questa definizione rientrano anche due categorie importanti che altrimenti non sarebbero state calcolate. Ovvero coloro che si trovano sottoposti a fermo di polizia in caserme, commissariati e celle di sicurezza dei tribunali e per chi è trattenuto nei centri di permanenza per immigrati, quelle prigioni provvisorie in cui vengono stipati centinaia di immigrati inattesa di espulsione.

 

E dopo il difensore civico a Roma, cosa è successo a quello nazionale?

La risposta della giunta romana che ha velocizzato l’istituzione dell’ufficio ci ha convinti ad estendere a livello nazionale l’idea iniziale. Così dopo Roma, ora siamo riusciti a far deliberare i comuni di Torino, Milano, Padova, Genova, Bologna, Firenze, Napoli e Cosenza.

 

Avete aggirato la lentezza burocratica ma c’è l’impressione, anche dalle lettere che riceviamo dal carcere, che il difensore civico sia un bel proponimento rimasto sulla carta...

Un garante nominato a livello comunale si affida ad una base giuridica fragile che non gli attribuisce adeguati poteri, tanto meno ispettivi. A questo si aggiunge un atteggiamento che, nella più benevola delle ipotesi, può definirsi di totale indifferenza da parte del ministero della Giustizia. Sono un garante dei detenuti che ha moltissima difficoltà a incontrare i detenuti. Devo affidarmi alla buona volontà di alcuni direttori di carcere più "aperti" di altri, che almeno mi consentono di incontrare alcune delegazioni di detenuti. Si tratta di incontri praticamente "ufficiali", con tutti i limiti del caso. Il nostro ufficio è operativo da tre mesi. Riceviamo molte lettere, e rispondiamo a tutte. Non è la stessa cosa che incontrare le persone fisicamente, però è già un primo passo. Comunque anche con questi limiti siamo riusciti a risolvere già alcuni casi importanti.

 

I detenuti, volendo, possono scrivere lettere ai giornali, ai preti, ai volontari, o ai politici. Adesso possono scriverle anche a voi. Cambia molto?

Sono ottimista, anche se gli ostacoli frapposti dal ministero al momento stanno rallentando molto il nostro lavoro. Fino a quando non riusciremo a sbloccare questa situazione è meglio che io non faccia troppe promesse…

 

 

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