|
De profundis, voci da dietro le sbarre
L’Opinione on line, 7 dicembre 2004 Natale nella galera della città di Ciampi
Gente che ha paura ad andare a parlare con i propri familiari. Terrore di venire picchiati in cella anche di notte. I detenuti della prigione delle Sugherie scrivono una lettera aperta chiedendo più assistenza medica e più controllo sull’operato dei responsabili. Sullo sfondo l’inchiesta sulla morte di Marcello Lonzi. I detenuti e i loro familiari chiedono chiarezza e giustizia e sperano in un abbassamento della tensione con le guardie carcerarie.
Livorno, un carcere che fa paura
"Siamo tutti sotto choc per quanto sta accadendo da quattro mesi a questa parte. Abbiamo paura anche di andare ai colloqui con i familiari perché non sappiamo mai cosa possa accadere". Appena sabato scorso - insieme ai parlamentari Ds Marida Bolognesi e Marco Susini - abbiamo raccolto l’appello della direttrice del penitenziario Anna Carmineo, del capo degli agenti Emilio Giusti, di educatori e sanitari, affinché tutta la città, con le istituzioni in prima fila, si faccia carico delle condizioni materiali e umane del carcere. A quell’appello, cui è seguita un’ampia discussione nel corso dell’ultimo consiglio comunale, si aggiunge oggi quello che arriva dalle voci dei detenuti: "Scriviamo - si legge nella lettera - perché desideriamo che il nostro grido d’aiuto possa giungere alle persone competenti che vogliono prendere visione di quanto trascritto". Prendere visione e rimboccarsi le maniche per trovare soluzioni alle richieste elencate, una dietro l’altra, nella lettera. A partire dalla mancanza di rapporto con i servizi sociali "che vengono effettuati raramente", continuando per "la carenza di assistenza medica continuativa, per cui le visite vengono meno al momento del bisogno", passando per "la mancata socialità all’interno delle varie sezioni". Al gruppo di detenuti che ha inviato queste richieste, si aggiunge una testimonianza a se stante che parla di "un regime molto stretto" applicato nel carcere livornese e mette l’accento sulle questioni sanitarie:"Io ho avuto l’occasione - scrive il detenuto - di assistere ai malori di un detenuto per cui l’intervento non è stato immediato in quanto passarono ben 40 minuti dalla chiamata. In altri casi il tempo è stato anche superiore". Una situazione di grande disagio, dunque, pur per chi non nega che "è vero che ci troviamo reclusi per aver commesso vari reati", ma chiede che la pena inflitta non si trasformi nella condanna a "vivere dimenticati dal mondo esterno". "Ci sono suicidi - continua il detenuto che scrive da solo - che potrebbero non esserci se questo carcere fosse più controllato e con un regime meno duro. Non come ora che non possiamo avere nessun tipo di svago in cella, le nostre domandine non vengono considerate e non ci sanno dare spiegazioni in merito".
Senza famiglia si finisce dentro
Circa il 30% dei detenuti stranieri, prima di entrare in carcere, viveva con conoscenti occasionali, mentre il 27% viveva solo e appena il 18% con la propria famiglia. Solo il 37% aveva un lavoro in nero e saltuario, il 26% lavorava regolarmente e il 37% era disoccupato. Sono alcuni dei dati emersi da 600 questionari somministrati in 6 istituti di pena nell’ambito della ricerca "Le condizioni civili dei detenuti stranieri nelle carceri italiane", promossa dalla Facoltà di scienze sociali della Pontificia università S. Tommaso d’Aquino insieme alla Fondazione Migrantes e all’Ispettorato generale dei cappellani delle carceri. L’indagine prevedeva che il questionario in italiano - somministrato dai cappellani delle carceri tra i mesi di febbraio e marzo 2004 - fosse tradotto in albanese, arabo, armeno, cinese, croato, francese, georgiano, ibo (Nigeria), inglese, polacco, rumeno, russo, spagnolo, ucraino. I penitenziari coinvolti sono stati: "S. Vittore"- Milano; Prato; "Ucciardone" - Palermo; "Le Vallette" - Torino; "Regina Coeli" - Roma; Isili (Nuoro). L’indagine verrà pubblicata integralmente all’inizio del 2005; i detenuti interpellati sono tutti uomini, compresi tra i 18 e i 64 anni, dietro le sbarre da un mese fino ad oltre 10 anni. La metà di loro è musulmana; le etnie più rappresentate sono quelle albanese, rumena, marocchina, tunisina, algerina.
La grazia e la giustizia, di Vincenzo Andraous
Quando il silenzio circonda il "pianeta sconosciuto" da farlo apparire una sorta di terra di nessuno, è da questa discrepanza che si creano le basi per lo sgretolamento del senso di sicurezza: discrepanza tra ciò che è realmente, e ciò che si vorrebbe fare apparire. Ma al male non si risponde con altro male, bensì con la fermezza dell’umanità ritrovata, la quale non ha occhi da utopista né da illusionista, ma comportamenti coerenti con lo spirito delle leggi, quelle vigenti, non quelle altre a venire che sanno di scartoffie impolverate. Qualche volta occorre scendere dal proscenio e prendere atto che il carcere è ridotto come è, anche a causa di alcune leggi in disuso, le quali non sono mai state correttamente applicate, e di questo scempio la colpa è antica, risale a ieri, all’altro ieri, anzi forse a domani. Infatti non porta voti né santificazioni occuparsi seriamente della galera, non è salutare guardare con pietà a chi sbaglia e deve pagare, non è innovativo a sufficienza spendere di più per prevenire e mettere mano alle leggi esistenti per renderle davvero operative, quindi efficienti ed efficaci. Non può bastare la giustificazione che in carcere non ci sono operatori sufficienti, che per colmare le assenze ed i vuoti istituzionali, debbono lavorare il doppio o il triplo, per tentare di fare andare bene le cose. Perché quei pochi operatori che scelgono di lavorare oltre che per la giustissima pagnotta anche per una vera e propria mission, non passerà molto tempo che si saranno arresi: sotto il peso del burn-out, per mancanza di risorse, di strumenti, circondati dalla frustrazione per l’assenza di una precisa volontà politica. Relegare la discussione ai principi generali, è cosa facile, non si corre il rischio dell’offesa, né di un calo di popolarità, ma il discorso cambia e l’analisi diventa spietata, quando si spogliano delle armature le reali condizioni del carcere, le reali intenzioni che si hanno sul penitenziario, i reali investimenti che si fanno sul versante Giustizia. Se occorre una dentiera lo stato paga? E se occorre un medicinale particolare? Una cura particolare ? Io so che la spesa sanitaria in carcere è stata tagliata e non di poco. Il lavoro è lo strumento principe di ogni trattamento rieducativo, di qualunque pedagogia dell’errore, eppure il lavoro che c’è, è quello che non esiste, e se anche ve ne fosse, è ridotto all’osso, perché anche questo capitolo ha subito tagli abnormi. Non è con le leggine martoriate dai pensamenti-ripensamenti che si eviteranno i tanti e troppi suicidi silenziosi, le recidive galoppanti, le critiche incongruenti agli Abele, ai Caino. In queste righe c’è poca proposta, servirebbe altro per rendere "Alta una Giustizia che solo apparentemente è sotto lo stesso cielo, perché ciascuno possiede il proprio orizzonte per carpirne il riflesso migliore". I tragici eventi che sovente accadono turbano le giornate e le notti di tanti cittadini incolpevoli, ma so anche che in una cella sovraffollata, abbandonati a se stessi, occorre morire due volte, per arrivare a sera e poi a mattina ancora vivi. Dunque della dignità foss’anche dell’ultimo degli uomini ne parliamo un’altra volta.
Suor Fabiola ci parla delle feste dei detenuti di Velletri
A Natale sono tutti più buoni. Nelle prossime settimane avremo una serie di iniziative e dichiarazioni buoniste che a ridosso delle festività solitamente fioccano un po’ da tutte le parti. Ci si ricorda dei bambini negli orfanotrofi, negli ospedali, nei campi nomadi, e noi aggiungiamo di non dimenticare quelli che stanno in carcere con le loro madri. I detenuti più grandi invece ce la metteranno tutta per far arrivare di gran volata l’epifania perché si sa che tutte le feste si porta via e con la loro allegria anche la paura di sentirsi più soli. Abbiamo chiesto ad una volontaria che entra in carcere da molti anni e che fa parte di quelle persone che a modo loro sanno essere buone tutto l’anno cosa farà a Natale. Caterina Catalano conosciuta come Suor Fabiola è un ex art. 78 dell’ordinamento penitenziario. Già assistente sociale in una scuola di Ardea, per aiutare le famiglie bisognose della sua parrocchia di Anzio si è trovata un lavoro in una ditta che produce pasta. Ha iniziato ad occuparsi di detenuti nell’87 quando collaboratrice di Padre Adolfo Bachelet lo seguiva e ascoltava attenta le vicende umane in cui di volta in volta si imbattevano. E’ così che molti detenuti l’hanno conosciuta ed apprezzata con il suo temperamento dolce, ma testardo e battagliero allo stesso tempo. Alla morte di Padre Adolfo non ha abbandonato la sua missione in carcere e da cinque anni segue i detenuti di Velletri.
Suor Fabiola, che cosa state preparando per Natale? Ogni volta mi sembra sempre molto poco ma poi vedo la soddisfazione sulle facce dei detenuti per i risultati ottenuti e l’idea che non è stato fatto abbastanza mi passa. Ad esempio anche aver consigliato e aiutato molti di loro nello studio e vederli contenti per aver conseguito la licenza media, la maturità e per qualcuno la scelta dell’università, conferma che il lavoro svolto con gli altri volontari in questi anni ha un senso. Per chi non era convinto di voler studiare si sono organizzati corsi di formazione professionale di grafica pubblicitaria e di lavorazione artigianale con legno e ceramica. Hanno realizzato una serie di prodotti di buona fattura che siamo riusciti a mettere sul mercato. Il ricavato è stato di 1800 euro che i ragazzi hanno voluto che fosse usato per riparare il tetto della parrocchia. Per le feste di natale siamo stati fortunati perché un mio amico amministratore delegato della catena Lombardini Discount di Milano ci farà un bel regalo. Per questo natale in azienda hanno deciso di non regalare panettoni e spumanti ai dipendenti ma donargli i lavori fatti dai detenuti. Sono 1300 cassettine di legno lavorate e dipinte a mano il cui ricavato sarà dato alle famiglie e ai figli dei carcerati. Un gesto piccolo ma importante per chi non avrà l’opportunità di essere a casa.
Che progetti ci sono per il futuro? Continuare a lavorare e coltivando la speranza che le cose buone portano altre buone cose, pensando che la pena va espiata ma deve avere un senso. Altrimenti non riconsegneremo alla comunità persone migliori ma solo più incattivite e a quel punto tutti avremo fallito.
De profundis, voci da dietro le sbarre
Un’ Opera da tre soldi
Egregio direttore, vorrei richiamare l’attenzione, ancora una volta, sulla scandalosa, ma purtroppo, stagnante situazione sanitaria che viviamo noi reclusi nel supercarcere di Opera. Qui la storia di Pasquale Squeo, che grazie al vostro quotidiano ormai tutti conosciamo, rischia di ripetersi con una frequenza a dir poco impressionante. Circa due mesi fa un nostro compagno di pena è stato salvato da morte certa solo dal tempestivo intervento del personale di un’autolettiga che si trovava casualmente nelle vicinanze del carcere, infatti dopo aver accusato un malessere diffuso e dolori alle braccia (classici sintomi di cardiopatie) per ben due volte il medico di guardia l’ha congedato dicendogli che non aveva nulla di cui preoccuparsi e se n’è andato seccato per il disturbo arrecatogli. Ebbene un paio d’ore dopo questo detenuto è stato colpito da una grave forma di infarto e solo per il fortuito intervento dell’autolettiga ha potuto essere recuperato con i defibrillatori e con un’iniezione al muscolo cardiaco. Dopodiché, intubato, con l’ossigeno, è stato portato via, incosciente, dallo stanzino adibito ad infermeria della sezione e operato d’urgenza in ospedale. Questo è solo l’ennesimo episodio vergognoso che rischiava di allungare la già nutrita lista di decessi nel carcere di Opera per l’imperizia del personale sanitario; infatti senza l’intervento degli operatori di quell’autoambulanza quella "lista" ora avrebbe un nome in più. Purtroppo non siamo in grado di fornire ulteriori informazioni sull’accaduto, anche perché, in questi casi, scatta una coltre di silenzio a compartimentazione stagna per non far trapelare nulla di sconveniente per i responsabili. Una settimana prima che accadesse tutto ciò, un altro detenuto che accusava una forte aritmia cardiaca, dopo aver superato "l’iter" infermiere-medico di guardia (per chiarire il concetto va detto che, dopo un primo esame sulla base delle sue conoscenze professionali, è l’infermiere a stabilire se è il caso di disturbare il medico di guardia) dopo altre due ore di attesa è stato scortato fuori dal carcere in ospedale per una visita urgente in struttura ospedaliera. Ma perché tutto questo se nel supercarcere di Opera c’è un Centro clinico C.D.T. (Centro diagnostico terapeutico) a "quattro stelle"? (così lo ha definito il nostro Ministro Castelli dopo la sua visita qui ad Opera). Per dovere di cronaca va detto che le sale operatorie del Centro clinico non sono operative da circa due anni e che non si sa quando torneranno ad esserlo, e il C.D.T. non riesce a fronteggiare le emergenze che è chiamato a coprire, infatti qui arrivano detenuti da tutti i carceri d’Italia, destinati al Centro clinico, ma che poi il centro clinico non lo vedono neppure e scontano la loro pena in sezioni normali, in mezzo agli altri detenuti sani, e non riescono ad avere le attenzioni mediche di cui hanno bisogno, perché la maggior parte del personale medico è abituato a visite dozzinali e poco avvezzo ad accurati monitoraggi. Qui ad Opera continuano a mancare farmaci di ogni tipo, dagli antinfluenzali agli antinfiammatori, dagli antidepressivi agli antiaritmici. Spesso accade che gli specialisti prescrivano farmaci non disponibili nella locale farmacia, così il detenuto in questione è costretto ad acquistarli a proprie spese (sempre che abbia la possibilità). Qui nel supercarcere di Opera non esistono "Sezioni non fumatori", chi non fuma non può tutelarsi contro il fumo passivo, che nelle sezioni raggiunge concentrazioni inimmaginabili soprattutto nei mesi invernali, inoltre il "non fumatore" è penalizzato doppiamente perché, non solo ha notevoli difficoltà ad avere una cella dove non si fuma, ma poi non può comunque accedere alle aree di socialità senza intossicarsi di fumo passivo. Le infiltrazioni d’acqua spesso fanno letteralmente piovere nelle celle dove cade acqua dal soffitto per settimane prima che venga effettuata una riparazione, se si fulmina una lampadina si rimane al buio per decine di giorni, perché l’approvvigionamento delle lampadine è sporadico e insufficiente. In quest’Istituto a "quattro stelle" il vitto dell’amministrazione arriva freddo ai detenuti, perché i carrelli termici portavitto non funzionano, la qualità del cibo è a dir poco scadente e la Commissione della cucina (formata da detenuti sorteggiati) non serve a niente, perché per incapacità o per timore non si azzardano ad avanzare la richiesta del rispetto della tabella alimentare del Ministero, perché la cucina è approvvigionata dalla stessa impresa che rifornisce il "sopravvitto" (il "sopravvitto" comprende tutti i generi che si possono acquistare a spese proprie) e i generi da noi acquistati hanno un prezzo non corrispondente alla loro effettiva qualità. Ci sono detenuti affetti da epatopatie e questi non devono alimentarsi a loro spese, perché la cucina non ha una tabella alimentare per epatopatici e l’unica risposta del personale sanitario è: "…ciò non è possibile perché il vitto per epatopatici è previsto ministerialmente". Ma una volta constatato che tale vitto non è in realtà previsto dalla cucina di quest’istituto si guardano bene dall’informare la Direzione, che però è molto presente in altri "campi". A tale proposito mi riferisco ad una lettera del nostro Direttore, il dott. Alberto Fragomeni, pubblicata sul vostro quotidiano venerdì 8 ottobre, nella quale il dott. Fragomeni si fregia del merito di aver migliorato la nostra qualità di vita attraverso i valori che possiamo riscoprire con un’esperienza come quella che stiamo vivendo all’ombra della sua creatura, il "Free Opera Brera", la sua squadra di calcio che tanto ha fatto discutere i media e che tende a presentarci con una nuova immagine al mondo esterno. Nobile iniziativa…ma tutto il resto? Questa è solo l’ennesima denuncia che mi accingo a presentare sulla realtà grottesca e surreale che viviamo noi detenuti del supercarcere di Opera, ne ho inoltrate altre e tutte per vie ufficiali: alla Procura di Milano, al ministero della Giustizia, al ministero della Salute, persino in Parlamento, attraverso una interrogazione parlamentare dell’on. Giuliano Pisapia (Interrogazione Res. N. 257 del 0302/2003). Ogni cosa è stata mistificata e, a parte l’on. Pisapia, nessuna delle Autorità interloquite ha mai risposto ai nostri appelli. Questo è l’atteggiamento che fino ad ora ha tenuto chi dovrebbe insegnarci a rispettare le "Regole" della società che avremmo danneggiato con i nostri misfatti.
In fede, Mariano Armando. Detenuto presso la C.R. di Milano-Opera
Pagina a cura di Dimitri Buffa Scrivete a: L’opinione, rubrica "L’opinione delle carceri", via del Corso 117 – 00186 Roma - E mail redazione@opinione.it – buffa@opinione.it
|