L'Opinione delle carceri

 

De profundis, voci da dietro le sbarre

 

L’Opinione on line, 30 novembre 2004

 

Il Papa non dimentica i carcerati. La politica sì

Voglio giustizia per la morte di mia moglie

Dateci un’opportunità di lavoro anche in galera

Il cappellano deve poter visitare anche i reparti del 41 bis

Il Papa non dimentica i carcerati. La politica sì

 

Ricordate con quanta ipocrisia qualche anno fa il centro sinistra invitò papa Wojtyla in Parlamento e con quanto sussiego promise di fare suo il discorso di perdono per i carcerati? Da allora le forze politiche si sono scannate in un dibattito compresso da una parte dall’emergenzialismo con la chimera della sicurezza nei confronti dei cittadini e dall’altra da quelle promesse di clemenza. Non si ebbe il coraggio di fare un’amnistia, perché i Ds temevano di perdere l’elettorato, e oggi i carcerati stanno peggio di quattro anni fa. Il Papa però non si è mai scordato di loro

 

Voglio giustizia per la morte di mia moglie

 

San Vittore. Premessa: Puttini Nadia di anni 27 mamma di Kevin Luigi nata il 10.8.1977 è deceduta non so perché il 30.10.2004 nella nostra casetta sola abbandonata da tutti e accanto al nostro bimbo Kevin.

Ho smesso di delinquere dal 1992 e ho scontato tutte le pene che mi sono state inflitte ho chiesto aiuto al Sert di Limbiate provincia di Milano per porre fine alla mia dipendenza dalla droga. Sebbene abbia impiegato qualche anno ne sono uscito, mi rimangono solo 4mm di metadone da eliminare, ora posso dire di esserci riuscito.

Nell’anno 2001 commetto un reato: sparando petardi e razzi e do origine ad un incendio di un bosco in un piccolo comune nella zona del Lago di Lecco; ho chiamato in soccorso i vigili del fuoco e guardia forestale (petardi e razzi regolarmente acquistati accertato dal Cf di stato) ho subito un processo e una condanna a cinque mesi e 10 giorni di reclusione ed essendo in cura presso il centro di recupero i giudici mi hanno dato una pena alternativa, affidamento sul territorio con relazione favorevole rilasciata dall’equipe del Sert stesso.

Ora vorrei portare l’attenzione al seguito del racconto: nello stesso anno febbraio-marzo 2001 ho cominciato una relazione con una ragazza che era in cura presso lo stesso Sert anche lei cercava di uscire da questo tunnel e sebbene io abbia anche contratto il virus Hiv mentre lei invece non ne era affetta, i medici e l’equipe decidevano di ostacolare la nostra relazione; ne io né lei abbiamo ascoltato questo parere (per fortuna) così è nato Kevin Luigi sanissimo lui, sanissima lei, e dando così torto alle teorie distruttive del Sert e così fra il sogno di formare una famiglia tentennando un po’ nei primi mesi di gravidanza smise l’uso di droga e psicofarmaci, facendo ricredere sebbene con alcune riserve anche l’equipe, portando a pronunciare pareri e relazioni favorevoli sul suo impegno.

Premetto che Nadia, così si chiamava, aveva una vita prima della nostra relazione che vorrei non citare perché il solo pensiero di ciò che ha subito è spaventoso. Questo cambiamento totale della nostra vita migliore e normale e felice non era gradito ad alcune persone note sia a me che a lei, che costringevano la ragazza a subire soprusi che con la mia presenza non potevano più mettere in atto. Fin dall’inizio della gravidanza sono cominciate le violenze, aggressioni, lesioni, minacce di morte, intimidazioni, telefonate... Insomma, di tutto e di più.

Tutto ciò è sempre stato segnalato alle autorità con innumerevoli denunce, hanno persino fatto un’accusa falsa, denunciandoli di maltrattamenti al bimbo, subito caduta dopo aver dovuto presentarci al tribunale dei minori. Su tutto questo noi abbiamo sempre informato le persone che ci seguivano il Sert, il magistrato dei minori il Csm a cui io ero affidato alla Ps stazione Quarto Oggiaro, ai Cc stazione Musocco, ai Cc stazione Limbiate, portando così la ragazza al terrore allo stress, all’ansia, alla paura di uscire da casa e facendola cadere per un giorno e una sola volta a usare droga.

Così il nostro Sert utilizzò questa ricaduta e informò subito il tribunale dei minori interpretando male (così dissero su mia richiesta) la mia richiesta d’aiuto. Ma niente e nessuno fece qualcosa per impedire a questi animali di tormentarci finché ricevemmo un avviso dal Sert e magistrati dei minori (per proteggere il minore bisogna rinchiudere la ragazza e il bimbo in una comunità), a quel punto commisi un grosso errore. Scaricai il mio stress, la rabbia e l’impotenza di non poter fare niente sull’assistente del Sert e i dottori.

E ora arriva il meglio della storia. Ritornando all’inizio del racconto, il Sert è sempre stato contrario alla nostra relazione e molte volte hanno cercato di convincere Nadia a farsi rinchiudere in una comunità. Ma siccome lei non usava più droghe e psicofarmaci, sottoposta a controlli a vista settimanali dichiarazioni di assistenti dell’ospedale Sacco e altri operatori esterni la crescita normale e sanissima certificata dalla pediatra ospedaliera e dalla pediatra di famiglia ciò non poteva farsi.

Questo non voleva dire che Nadia non avesse bisogno d’aiuto ma non di certo quello della comunità. Nadia ogni volta che tornavamo a casa dal Sert era spaventata dalla pressione fatta dai medici e in più minacciavano di farci togliere il bambino, quel bimbo a cui teneva tanto, e che già ne aveva perso uno, era la sua forza per porre fine alla tremenda e spaventosa vita fatta nei 3 anni prima e che era ormai riuscita a lasciare alle spalle.

Perciò misero in atto quello che io non ho paura di dire e cioè mandarla in comunità approfittando della mia rabbia scaricata sugli operatori del Sert (n. 2 schiaffi) di gg. da denuncia 09/2004 alle ore 7,40 (per questa colpa non mi basterà un’intera vita per portare con me il pesantissimo fardello di ciò che accadrà dopo tale data a Nadia e al nostro bimbo Kevin Luigi). Decisero di cacciarmi dal Sert sapendo bene cosa sarebbe successo, cioè il mio arresto e la ripetizione totale della pena (quasi tutta finita) in carcere e questo era anche giusto: ho sbagliato, devo pagare.

Ma questo non bastava, cacciarono anche lei che niente e nulla fece di male quel giorno se non attendere fuori dalla porta e alla presenza dei carabinieri che ci accompagnassero con il nostro bimbo in braccio. Così venivo arrestato e accusato di essere pericoloso e violento. Io, in 44 anni, non ho mai avuto denunce per risse o liti se non quelle avute con i nostri aggressori che ci hanno tormentato fin dall’inizio della nostra relazione e solo per difendere la mia famiglia.

L’èquipe del Sert conosceva bene tutti i fatti, conosceva bene Nadia, sapevano tutto le forze dell’ordine, ne era informato anche il giudice dei minori e l’assistente del Csa che sapeva che ero appena stato licenziato dal mio datore di lavoro cui qualcuno telefonò chiedendo se era vero che avevo orari e luoghi di lavoro dichiarati da me al giudice di sorveglianza. Sapevano che io ho sempre lavorato, sapevano che avevo già un nuovo lavoro ma non potevo iniziarlo finché non si trovava una soluzione per i controlli richiesti.

Inutile continuare, la sola cosa certa è che Nadia è morta il 3 ottobre 2004. Ventidue giorni dopo il mio arresto, le autorità intervenute hanno disposto un’autopsia per sospetto omicidio. Il Sert aveva tutte le ragioni per cacciare me, ma che motivo avevano di cacciare lei che niente e nulla aveva fatto? L’hanno trasferita al Sert di piazzale Accursio dove niente sapevano di noi. L’hanno abbandonata, sola e con il bimbo di 1 anno e 7 mesi alla mercé di aguzzini subito accorsi sulla preda. L’hanno fatta morire sola come un cane e ringrazio Dio di aver fatto ritrovare il suo cadavere dal fratello di lei, passato a farle visita e trovando il bimbo accanto al divano vivo.

Ancora non basta. Una volta ricevuto la notizia in carcere della sua morte vengo informato dall’assistente del Raggio Coc che quello che ho raccontato non è conforme alla versione data dal Sert. Strano, perché tutto questo è documentato. Come l’aiuto economico che stavamo per ottenere dal comune di Milano. Inoltre, se c’è una indagine in corso, perché nessuno chiede niente all’unica persona che viveva felice con lei? E io come posso fare per il nostro bambino? Esiste qualche legge cui io possa appellarmi per poter uscire dal carcere, oppure ora mi porteranno via anche il bimbo?

Premetto che sono in grado di accudirlo e che ho ancora la nostra casa, acquistata con un mutuo totale e che si paga da sola con la mia pensione di invalidità permanente. Chiedo ai giudici: io ho commesso un grosso errore a colpire l’assistente, ma credo di aver pagato a carissimo prezzo questo mio reato e tutte le mie pene. Signori giudici, non chiedo pietà ma vorrei poter tornare dal mio bimbo e spero che possiate controllare quello che è stato scritto.

Sono rinchiuso nel carcere di S. Vittore dal 10.09.04 avevo quasi terminato di scontare la pena e mi ritrovo a ricominciarla da capo. Non sono delinquente e non sono pericoloso né violento. Ho solo perso la testa per qualche minuto sotto quella montagna di stress e rabbia, impotente di fronte a ciò che ci è capitato. Spero che qualcuno possa valutare questa storia. Ringrazio chiunque voglia leggere e possa aiutarmi con il mio bambino.

 

Gianpiero Cagnetti

 

Dateci un’opportunità di lavoro anche in galera

 

Roma Rebibbia. G14 Infermeria

Caro Direttore, scrivo dall’infermeria G14, e ancora una volta mi rivolgo a lei da parte di tutti i compagni dell’infermeria. Sentendo le notizie sulla radio dell’ultimo rapporto di "Antigone", alla Rai, veniva riportato il solito dato sul sovraffollamento drammatico ma non lacerante. Chiunque, nelle città, vive una situazione di sovraffollamento nei parcheggi, per le strade, per trovare lavoro, nelle case in affitto. Non è un dato decisivo per far allarmare le coscienze. Nessuno se ne duole, molto più vincente potrebbe essere il dato riguardante la salute negata, la rieducazione mancata.

I detenuti cittadini vivono un "tempo nullo" in cui la loro vita è ibernata (in effetti i riscaldamenti sono insufficienti) sospesa e non vengono posti nella condizione di curarsi adeguatamente, che è il dato reale, poiché se diciamo che le cure non vengono somministrate, siamo facilmente smentibili. Le cure sono improprie, lacunose, tardive. È un uccidere ipocrita. Ma soprattutto il dramma sta nel tempo nullo, una pena gravissima che i cittadini sconteranno una volta fuori, constatando un divario sempre più irraggiungibile col mondo del lavoro, delle opportunità di reinserimento. È questo il vero problema che produce inevitabilmente recidività.

Possibile che nessuna mente eccelsa che ci governa si accorga di questo? Perché lamentarsi che i buoi scappano. Chiudere la stalla in ritardo e rimettere dentro dei buoi che scapperanno di nuovo?

Quello scappare intende il commettere reati, naturalmente. Perché non prevenire tutto ciò istruendo capillarmente i detenuti cittadini, sia stranieri che italiani? Perché non dare opportunità di lavoro che farebbero risparmiare soldi allo stato, in quanto una parte, una decima mettiamo, potrebbe andare alle spese di giustizia. Con ovviamente tutti i diritti del lavoro tutelati e garantiti. Con la libertà di lavorare oppure no.

Perché poi, quando sentiamo riempirci i padiglioni auricolari di tante enunciazioni solenni contro il razzismo, i pregiudizi, le discriminazioni che non è bello e non si deve… Perché discriminando di fatto 55.000 persone trattandole come cittadini di serie B, negandogli dei diritti fondamentali, come se fossimo i paria nella società indiana delle caste? Perché questo scempio, questa carneficina? Per caso serve a qualcuno? Non ci sarà una mafia che lucra sulla costruzione di nuovi carceri e l’assunzione di nuovi agenti penitenziari?

Potrebbero costruirsi piccoli laboratori di artigianato ed officine, gli stranieri potrebbero imparare l’italiano, gli italiani potrebbero migliorare le loro conoscenze, scoprendo le loro inclinazioni, si potrebbero dare degli sconti di pena ogni risultato raggiunto. Delle televisioni via cavo potrebbero trasmettere corsi di ogni tipo, a richiesta si potrebbero poi effettuare misure di sorveglianza tipo "sabato e domenica a casa" per certi reati. Dare agli educatori degli incentivi per ogni cittadino-detenuto reinserito. Continuiamo a sperare che degli uomini coraggiosi si diano da fare.

 

Il cappellano deve poter visitare anche i reparti del 41 bis, di Francesca Mambro

 

La Chiesa pensa ai diritti umani con uno sguardo alle carceri perché sia garantita la piena attenzione ai diritti fondamentali dell’uomo. L’ha fatto attraverso le parole del santo Padre Giovanni Paolo II che venerdì 26 novembre ha ricevuto in udienza i responsabili delle amministrazioni penitenziarie dei 45 paesi aderenti al Consiglio d’Europa. Il discorso del Papa è stato chiaro e diretto ricordando ad ogni governo che il carcere deve essere un luogo di umanità, redenzione e speranza.

Al carcerato va riconosciuta la dignità di persona, quale soggetto di diritti e di doveri: "È necessario pertanto ripensare come voi state facendo, la situazione carceraria nei suoi stessi fondamenti e nelle sue finalità. Se scopo delle strutture carcerarie non è solo la custodia, ma anche il recupero dei detenuti, occorre abolire quei trattamenti fisici e morali che risultano lesivi della dignità umana ed impegnarsi a qualificare al meglio professionalmente il ruolo di chi opera all’interno degli istituti di pena".

Ed ha proseguito: "In questa luce va incoraggiata la ricerca di pene alternative al carcere, sostenendo le iniziative di autentica risocializzazione dei detenuti con programmi di formazione umana, professionale, spirituale. In questo contesto è di riconosciuta utilità il ruolo dei ministri di culto che spesso sono chiamati a svolgere un compito delicato ed insostituibile che non si riduce ai soli atti di culto ma si estende spesso a quelle istanze sociali dei detenuti che la struttura penitenziaria non sempre è in grado di soddisfare".

Abbiamo chiesto a Don Sandro Spriano, cappellano della casa circondariale di Rebibbia nuovo complesso da oltre dieci anni e presidente dell’associazione Vic (Volontari in carcere) di darci un parere.

 

Questo intervento mi sembra un riconoscimento al vostro operato che va al di là dell’appartenenza alla madre Chiesa, possiamo dire che siamo di fronte ad una nuova figura di cappellano?

L’intervento del Papa è stato politicamente voluto e il discorso rivolto ai paesi del consiglio d’Europa è servito come un forte richiamo a chi pensa di poter eliminare la figura del ministro di culto. In diversi paesi anche di tradizione cattolica il sacerdote in carcere che assiste i detenuti, li visita nelle loro celle è visto come uno scomodo testimone che ricorda a tutti di dare dignità ad ogni essere umano, anche quello che per una parte della società si vorrebbe nascondere dimenticandone la stessa esistenza. Ma più in generale l’intervento va a scoprire la grande ipocrisia di cui sono oggetto i cappellani. Infatti, sempre più spesso ci viene chiesto di risolvere i molti problemi a cui il carcere non sa o non può dare soluzioni e si assistono i detenuti anche con interventi su necessità primarie (piccole somme per i francobolli, vestiario, prodotti per l’igiene personale) e quando si chiede poi di intervenire nei nostri ruoli di ministri di culto troviamo poca collaborazione. Non è nelle nostre intenzioni convertire nessuno ma a fatica riusciamo a dare quel conforto religioso a cui siamo chiamati, soprattutto quando chiediamo di arrivare nei reparti di isolamento o dove vige il trattamento del 41 bis per celebrare la messa. Ecco allora che il nostro ministero si scontra con le varie disposizioni per garantire sicurezza e viene considerato superfluo se non del tutto inopportuno.

 

Più che la Chiesa mi sembra di capire che sia questo Papa ad avere a cuore la sorte dei detenuti?

Non mi stancherò mai di ripeterlo. Fortunatamente abbiamo questo Papa. Non ha mai dimenticato che esistono i detenuti. Purtroppo la Chiesa nei suoi servizi pastorali e le comunità di base spesso dimenticano questa umanità sofferente che coinvolge in realtà anche migliaia di famiglie all’esterno del carcere. Penso infatti ai figli e alle mogli di chi sta in carcere. Mentre il Santo Padre da anni ne ha fatto una bandiera e non perde occasione per ricordare attraverso le parole di Gesù i detenuti: "Perché io ho avuto fame e tu mi hai dato da mangiare, ho avuto sete e mi hai dato da bere; ero forestiero e mi hai ospitato, nudo e mi hai vestito, malato e mi hai visitato, carcerato e sei venuto a trovarmi".

 

Pagina a cura di Dimitri Buffa Scrivete a: L’opinione, rubrica "L’opinione delle carceri", via del Corso 117 – 00186 Roma - E mail redazione@opinione.itbuffa@opinione.it

 

 

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