Progetto Icaro

 

Progetto Icaro dalla Casa Circondariale di Piacenza

 

Voci dal carcere, voci impegnate a sostenere un progetto di "ospitalità per familiari di detenuti" che porta il nome di Icaro, è promosso dal Centro di Servizio per il Volontariato-Svep e impegna due associazioni piacentine: Associazione Carmen Cammi volontari per la Caritas e P.A.ce. L’idea sicuramente molto seria e innovativa è quella di aprire un appartamento per accogliere le famiglie dei detenuti che risiedono lontano da Piacenza e offrire l’opportunità di incontrare i loro cari in un ambiente accogliente che non implichi altri costi da aggiungere a quelli del viaggio, del "pacco" mensile, delle telefonate.

La redazione ristretta nella Casa Circondariale piacentina ha voluto partecipare al progetto offrendo la propria esperienza di incontro con le famiglie e le persone care. Ne è uscito un mosaico di sensazioni, di emozioni e riflessioni che, purtroppo, hanno dovuto essere "stipate" nello spazio circoscritto di una pagina un po’ come detenuti e visitatori si trovano "stipati" nella stanza dei colloqui, oppressi dalla sensazione di non riuscire mai a dire tutto quello che vorrebbero, costretti dai tempi molto limitati a rinunciare a una carezza o un ultimo abbraccio…

 

Carla Chiappini

"Mi chiamo Vincenzo, ho quarantacinque anni di cui venti trascorsi in carcere". Così comincia l’intervista-riflessione realizzata da un detenuto della redazione "ristretta" nel carcere piacentino con la collaborazione del compagno di cella. Il tema delicato e non facile è quello dei rapporti con i propri cari.

 

In questi anni di reclusione come descriveresti i rapporti con la tua famiglia?

Da un giorno all’altro sono stato separato sia dalla mia famiglia d’origine, sia da quella che con amore ed entusiasmo avevo creato con mia moglie e mio figlio. Nonostante la buona volontà nel mantenere i rapporti con loro, non si può certo dire che le cose siano andate come speravo. A pagare le conseguenze più pesanti è stato il mio matrimonio; infatti dopo molti anni di tentativi per mantenerlo in vita, siamo giunti alla conclusione che la distanza e il lungo tempo di detenzione avevano ormai segnato irrimediabilmente la nostra coppia. Questa è stata certamente una delle decisioni più sofferte che ho dovuto prendere durante la mia carcerazione. Per fortuna non ha compromesso la possibilità di vedere mio figlio che viene a trovarmi settimanalmente.

Per quanto riguarda i miei genitori la situazione è stata del tutto inversa; in quanto, per uno stupido errore unito a un orgoglio malato, non ho avuto nessun contatto con loro per quasi dieci anni. Purtroppo di tale situazione mi sono ricreduto troppo tardi; quando la malattia di mio padre ha per forza di cose fatto riavvicinare tutta la famiglia. Ma dal giorno della sua morte porto con me il rimorso per questo errore.

 

Quindi possiamo dire che mantenere un rapporto affettivo quando si è rinchiusi in carcere è difficile?

La responsabilità di tutto ciò che mi è accaduto da quando sono "chiuso" è unicamente mia e questa è un’altra colpa di cui sento il peso, ma posso dire di non essere nemmeno stato agevolato in quanto, nei brevi momenti in cui mi era concesso di relazionarmi coi miei familiari, e mi riferisco ai colloqui, non ho certo trovato l’ambiente e la situazione adatta ad affrontare argomenti intimi e personali. Se pensiamo alla sala-colloqui di un carcere in cui vengono stipati 12 detenuti con rispettive famiglie, alcune delle quali con figli molto piccoli, e in questa sala tutte queste persone devono comunicare contemporaneamente, ciò che ne viene fuori non è un leggero brusio ma un grande baccano e se a questo aggiungiamo il naturale disagio dovuto alla presenza di uno o più agenti che controllano ogni tua mossa, e l’imbarazzo e l’umiliazione che i familiari subiscono con le perquisizioni corporali… con certezza posso dire che mantenere dei rapporti validi in carcere è molto difficile.

 

A cura di Vincenzo Blandina e Gianfranco Amato

 

 

Il colloquio in carcere

 

Appena vedi i tuoi familiari sei troppo felice perché vedi che stanno bene ma, dopo pochi minuti, ti accorgi che questa felicità comincia a spegnersi perché sei costretto a giocare un gioco che possiamo chiamare "il gioco della falsità". I motivi sono molti; appena loro ti chiedono se stai bene, esce la prima bugia perché dici che stai benissimo, quando in carcere non si sta mai benissimo ma devi dire così per farli stare tranquilli e perché loro non hanno nessuna possibilità di cambiare la tua vita dentro e non sono responsabili dei tuoi sbagli. Quando sei seduto le parole ti spariscono… così i nostri colloqui cominciano e finiscono sempre in questo modo: contenti e disperati.

 

Toshev Nikolay

 

Colloquio!

 

All’inizio della mia carcerazione non sapevo neanche il significato di questa parola... sono due ore la settimana che devi fare in due giorni diversi; ma questo vale solo per quelli fortunati che hanno la famiglia che vive nella stessa città in cui stanno facendo il carcere. Per me come per tanti altri è tutta un’altra cosa: io faccio il colloquio una volta al mese. E le difficoltà per la mia famiglia quel giorno cominciano ben presto. Con il risveglio prestissimo del mattino, con la combinazione del tram e del pullman per arrivare fino alla stazione del treno. E, dopo aver viaggiato un bel po’ col treno, prendono ancora il pullman per arrivare fino in carcere. E qui si aspetta ancora un bel po’ prima di entrare.

Ma c’è anche il problema economico: i soldi del viaggio e di quella roba che ti portano da mangiare e un po’ di soldi che ti lasciano per andare avanti in carcere. Io non ho dormito tutta la notte perché dopo un lunghissimo mese è arrivato ancora quel giorno in cui vedo e abbraccio i miei cari. E quell’abbraccio lo devo fare prima di sedermi e non tanto a lungo. E, una volta seduto, non posso alzarmi fino alla fine del colloquio… cerco di avvicinarmi un po’ di più ai miei cari ma lo sguardo dell’agente mi impedisce quell’avvicinamento che per me sarebbe indispensabile in quei momenti che sono gli unici in cui la famiglia è unita e ho bisogno più che mai di sentire il suo calore…

 

Eduarto

 

Il giorno del colloquio

 

Entro nella sala dei colloqui e abbraccio e bacio i miei familiari con molto affetto… dopo pochi minuti vedo che, come me, anche loro sono bloccati; non troviamo le parole giuste e per un’ora facciamo discorsi quasi inutili e i discorsi che avevo pensato la sera prima sono spariti nel nulla… Penso che queste cose succedono un po’ per le emozioni, un po’ per la mia situazione di detenuto ma credo che il problema più grande sia l’atmosfera… la sala è piccola, dentro siamo dieci detenuti con i familiari, spesso di 5 - 6 nazionalità diverse. Le tavole sono a circa mezzo metro una dall’altra e molte volte succede che a destra si parla arabo, a sinistra italiano e in mezzo io parlo albanese. Ma un grandissimo problema è il colloquio con i bambini. Mi ricordo quando ho fatto il colloquio per la prima volta con il mio nipote di 7 anni; quando è entrato da me era spaventato moltissimo perché lo avevano separato dalla sua mamma per la perquisizione e poi è entrato in questa stanza con un’atmosfera che spaventa ancora anche me che vivo qui e per tutta l’ora del colloquio non mi ha mai parlato perché continuava a guardarsi intorno.

 

Noria Indrit

 

Colloquio con la nipotina

 

Tengo sempre in braccio la mia nipotina, vorrei farle fare un giro all’interno della stanza per fare un po’ conoscenza, guardo gli occhi dell’agente che mi vogliono dire qualcosa e poi capisco e mi metto a sedere. Dentro fa un caldo pazzesco e penso che basterebbe avere un ventilatore. Ma non importa. Guardo la mia nipotina sudare e mi dispiace perché io sono abituato e non ci faccio caso ma mi dispiace per la piccolina e chiedo a mio fratello quanto costerebbe un ventilatore. Lui mi guarda e dice: - Mica sei a casa tua! Sei in carcere e sei qui per soffrire - gli do ragione e sto zitto perché non vale la pena di parlare. Mio fratello parla, io faccio le coccole alla mia nipotina e già sento la guardia che apre la porta e dice che è ora di andare e il colloquio è finito… torno in cella più disperato di prima.

 

Djon Tanushi

"Progetto Icaro" ha bisogno di volontari generosi e competenti che sappiano offrire una piccola ma costante disponibilità di tempo per la gestione della casa.

 

Per informazioni:

 

Associazione Carmen Cammi

Telefono 0523.332750

Referente Massimo Magnaschi

 

Associazione P.A.ce

Telefono 0523.338710

Referente: Mara Verderi

 

 

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