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Valdẽnia Aparecida Paulino, "avvocato di strada" in Brasile di Nicola Sansonna (Segretario del Progetto "Avvocato di strada" di Padova)
Il suo "studio" è nelle favelas, dove la povertà è davvero molto grande e le persone non hanno accesso alla giustizia.
Persone veramente interessanti, da quando mi occupo della segreteria del progetto "Avvocato di Strada" a Padova, ne ho conosciute parecchie. La gente della strada ha una storia intensa, qualunque sia la provenienza. Mi sto rendendo conto che anche chi si occupa in maniera vera, costante, determinata di chi vive la strada, ha sempre qualcosa di speciale: non ci arriva per caso. Valdẽnia è certo una di quelle persone "speciali" che non dimentichi più. Molto bella, apparentemente fragile, ma con una dolcezza, una forza d’animo, una serena determinazione che può nascere solo dalla consapevolezza che quello che stai realizzando è giusto, anche se per farlo rischi la vita. Lei lo sta facendo nelle Favelas di San Paulo do Brasil.
Valdẽnia, ci puoi raccontare come ti è nata l’idea di occuparti degli ultimi, delle persone più disagiate, e spiegarci in cosa consiste il tuo lavoro in Brasile? Io sono cresciuta nella città di San Paolo nel secondo quartiere più popoloso della città, circa 300.000 persone in trentasette favelas. Lì la povertà è davvero molto grande, le persone non hanno "accesso" alla giustizia, cosicché non c’è neanche la fiducia nella giustizia, che è molto elitaria. Abbiamo iniziato negli anni 90 ad andare in strada a trovare proprio le persone delle nostre favelas ed ascoltare le loro domande. Eravamo io e un’educatrice, ascoltavamo le richieste e le portavamo avanti anche dal punto di vista giudiziario. Tante volte poi le persone non arrivano con un problema legale, ma per farsi sentire, per un contatto umano. Lì abbiamo iniziato, piano-piano il nostro gruppo è cresciuto, dopo tre-quattro anni di lavoro senza un posto fisso abbiamo trovato uno spazio insieme ai padri Comboniani che sempre hanno appoggiato la nostra iniziativa, dando un senso al lavoro di chi si occupa di diritti umani, soprattutto i diritti dei bambini.
Qual è la questione che ritieni più importante da affrontare a livello di diritti? Il nostro lavoro è anche quello di fare la formazione, perché tante persone non conoscono i propri diritti e le leggi sembrano fatte apposta per non farsi capire. Noi portiamo avanti questo lavoro per far conoscere questi diritti, e naturalmente facciamo anche la denuncia delle tante violazioni dei diritti fondamentali. Per esempio è molto comune che la polizia nei quartieri poveri entri nelle case senza un ordine giudiziario. La nostra legge dice che la polizia debba avere un ordine giudiziario scritto e solo di giorno si può entrare nella casa della gente. A volte poi durante queste perquisizioni bruciano i mobili delle case, altre volte hanno addirittura trovato della gente bruciata. Noi facciamo allora la denuncia, perché questa situazione non è una situazione di normalità e bisogna cambiarla. Cerchiamo di portare ogni sofferenza individuale sul piano collettivo perché così, nel collettivo, si può avere più forza e superare questa situazione. Un altro problema è questo, che la polizia arresta delle persone e le loro famiglie non hanno più notizie, talvolta addirittura le ammazzano e lasciano i cadaveri in posti in cui è difficile trovarli; allora le famiglie delle persone scomparse cercano noi e noi cerchiamo di avere notizie.
Immagino che darete fastidio a parecchia gente con le vostre denunce. Ci sono state ritorsioni contro di voi, intimidazioni? Facendo questo lavoro abbiamo avuto anche minacce di morte. Per esempio nel 2003 in quattro mesi la polizia ha ammazzato diciassette persone nel nostro quartiere senza una giustificazione, anche se io direi che non c’è mai giustificazione. Noi abbiamo fatto una serie di denunce, però ci è costato tantissimo e per risposta la polizia ha invaso il nostro posto di lavoro, ed ho anche subito direttamente delle minacce: mi hanno fatto uscire con la macchina fuori strada, sono stata costretta ad andare per un anno e mezzo con la scorta della polizia federale. Ora succede un po’ meno, solo quando c’è una settimana nella quale è fissata una udienza, il primo giorno e per qualche giorno dopo ho la scorta, prima succedeva 24 ore su 24. Ho anche cambiato qualche volta l’indirizzo perché non si doveva poter rintracciare la mia famiglia, era un rischio per loro.
In pratica hai dovuto rendere irreperibile la tua famiglia per evitare vendette. Ma con il governo Lula le cose sono cambiate? Le cose stanno così: il Governo Lula secondo me è "molto in gamba", però per quanto riguarda la giustizia ogni Stato ha la sua organizzazione. Sono stati federali. La polizia federale controlla le frontiere e si occupa dei crimini nazionali, per questo non interferisce direttamente con le polizie locali. C’è poi da dire che l’indipendenza del potere giudiziario e di quello esecutivo non è così limpida… c’è un rapporto tra loro che gli permette di garantirsi l’impunità, perché quelli che pagano il potere giudiziario sono quelli che hanno il potere esecutivo. Per questo dico: l’indipendenza non è così indipendenza! C’è un rapporto poco chiaro tra loro.
Ci racconti qualcosa di più di te, della tua storia? Sono nata a Minegerai in una famiglia numerosa, composta da madre, padre, quattro dorelle e due fratelli, ma solo io ho potuto studiare all’università. La mia famiglia è emigrata a San Paolo quando io ero ancora piccola, e come tante altre famiglie povere che vivevano a nord est, è andata lì per trovare lavoro, però eravamo senza soldi e abbiamo dovuto abitare in questi quartieri molto poveri della città, e io sono riuscita con fatica a sopravvivere in mezzo a tanta violenza.
Praticamente sei stata "l’investimento" della tua famiglia? Praticamente sì, però anch’io ho lavorato perché non potevo permettermi di studiare e basta. La famiglia mi ha dato una mano, nel senso che io lavoravo per pagare i miei studi e così non dovevo aiutare a casa. Nel nostro quartiere la comunità ecclesiale di base è uno spazio importante della chiesa cattolica, dove c’è una scelta di maggior prossimità con i poveri. Lì c’è uno spazio in cui studiamo, preghiamo insieme, organizziamo anche le feste. Sono cresciuta quindi in un ambiente di molta solidarietà, di voglia di guardarsi intorno, di lavorare insieme. Lì ho iniziato la mia esperienza sociale con una suora nella mia favela, lavorando con i bambini, poi ho abitato per otto anni con ragazze che volevano uscire dalla prostituzione, ho fatto un bellissimo lavoro con loro, tante ragazze ne sono venute fuori, anche adesso abito lì e aiuto la comunità. Ho vissuto sempre con bambini e ragazzi di strada che vogliono uscire dalla droga, oppure che sono usciti dal carcere e non trovano più un luogo dove andare. Un po’ è questa la mia storia.
Che studi hai fatto? Mi sono diplomata in pedagogia, ho scelto prima di tutto la formazione in pedagogia perché nel nostro quartiere tante persone ancora non sanno leggere. Tanti bambini durante il giorno sono in strada e hanno bisogno di essere aiutati in un luogo dove ci sia la possibilità di ritrovarsi, studiare, mangiare.
E gli avvocati come sono entrati in questo giro? Siccome il nostro quartiere non aveva avvocato, mi sono detta che bisognava andare a fare questo tipo di scuola. Studiare da avvocato costa troppo in Brasile, e mia madre non aveva soldi da darmi, io uscivo alle quattro e mezza della mattina con un poco di caffè nero, e dopo mangiavo qualcosa alle due del pomeriggio. È ancora oggi difficile trovare avvocati che vogliano lavorare nel nostro quartiere, perché le persone che studiano da avvocato in Brasile sono persone che hanno soldi e non abitano certo nelle favelas, ma nei quartieri ricchi o medio-ricchi. Dal nostro quartiere per andare in pullman al centro della città ci vuole un’ora, per questo è anche difficile trovare i volontari che vengano nella nostra favela. Adesso ci sono io ed altri due avvocati che lavoriamo insieme, la sera facciamo informazione alle persone sui loro diritti, durante il giorno andiamo in tribunale per le udienze ed a turno nella nostra sede ascoltiamo le persone.
Quindi siete tre avvocati. Come riuscite a coprire le spese? c’è qualcuno che vi dà una mano? la comunità internazionale vi sostiene? La comunità internazionale aiuta chi arriva dai padri Comboniani, oppure lo fa qualcuno delle famiglie dei padri che viene lì e vede il nostro lavoro. La sede dove siamo noi ad esempio sono due sale e sono di una società che le ha cedute a noi. Se c’è un convegno ci va un avvocato, arrivano i soldi per uno e li facciamo bastare per due… anche l’aiuto dei padri Comboniani che arriva lì lo mettiamo insieme al resto e copriamo tutte le spese, e qualcosa resta per noi. Per esempio io prendo mille Rias, un avvocato all’inizio della carriera di solito ne prende 3000. Però in nome della causa, del bisogno di cambiamento, si va avanti.
Ci sono altre difficoltà, nello svolgere il vostro lavoro di avvocato di strada nella favelas, di cui vuoi parlarci? Un’altra nostra difficoltà è che avvocati come noi, che fanno denuncie di violazione dei diritti, lo stato non li vuole pagare, anche se non facciamo solo la denuncia, ma pure delle proposte per il bene collettivo. Per il governo statale però non va bene un avvocato che fa sempre rumore. Per esempio molte delle nostre azioni riguardano il fatto che la nostra giustizia è molto lenta… per esempio tu arrivi con una pratica giudiziaria, può darsi che in tre mesi si concluda tutto, però se la vittima è un povero ci vuole tanto tempo. Abbiamo creato allora un’organizzazione con tante famiglie per sollevare questo problema e abbiamo fatto un corteo di fronte al tribunale e una catena umana, un girotondo attorno a tutto il tribunale. I media ne hanno parlato molto. Noi volevamo organizzare qualcosa che facesse sentire alle autorità la voce e le domande delle persone più povere. Per queste cose è molto difficile però trovare un finanziamento, se la causa è soprattutto individuale, per un divorzio, va bene; ma se tu cerchi di andare contro certe azioni della polizia o per esempio trovare cure mediche per qualcuno, allora fanno sempre fatica ad ascoltarti. Se fossimo fortemente sostenuti a livello internazionale, la cosa sarebbe diversa. Sai che cosa penso: un’altra cosa bella che possiamo fare con questa nostra amicizia internazionale è la pressione sulle autorità! Perché tante volte quando arriva una lettera, una telefonata, se ad esempio Avvocato di Strada dall’Italia pone delle domande e si informa se sono tutelati i diritti dei poveri, questo si può fare ed è utile.
Il Governo del Presidente Lula sta mantenendo, secondo te, le promesse fatte in sede di campagna elettorale? Il presidente cerca di fare, però ci sono diverse persone che lo frenano. A Lula e al suo gruppo piacerebbe fare la riforma agraria, però il tribunale non porta avanti la sentenza che obbligherebbe i latifondisti a lasciare i terreni. I latifondisti dicono che per andare fuori dai terreni vogliono essere indennizzati, così la situazione rimane bloccata. Servono soldi per indennizzare i latifondisti e soldi per avviare una seria riforma agraria. Non è solo prendere la terra, ma creare le condizioni giuste per poterla coltivare. Adesso con il governo federale stiamo cercando di fare un convegno dedicato alla questione dei documenti per le persone presenti nelle favelas, perché un altro problema per noi avvocati di strada è che uno si rivolge ai nostri sportelli magari per un divorzio, però non ha neanche il certificato di nascita, bisogna cercarlo, bisogna pagarlo, e questo è un servizio che si deve fare prima di iniziare qualsiasi pratica. A gennaio e febbraio poi piove tantissimo e le baracche delle favelas crollano, così si perdono tutti i documenti e gli incartamenti.
Esiste in Brasile qualcosa di simile alle cucine popolari e alle mense per i poveri italiane? Va bene i diritti, però anche mangiare è un diritto fondamentale. Nel nostro quartiere no, ma in altri posti offrono piatti pronti. Questo è uno dei primi diritti. Come anche tu mi hai detto, non è facile però operare in queste situazioni, perché molte volte le persone che vivono per strada prendono un appuntamento per qualche problema e poi magari non vengono. Anche da noi è spesso così, perché la vita di strada, di favelas ha altre dinamiche, non è lineare, organizzata.
Voi seguite anche casi in tribunale? Che tipi di procedimenti sono? Sono casi di bambini abbandonati, di famiglie con problemi, soprattutto penali, perché in Brasile diciamo che il diritto dei poveri è un diritto penale! Le persone non hanno alcun patrimonio, il patrimonio che posseggono è la loro stessa vita.
Per finire, voglio dirti che mi ha fatto un gran piacere averti conosciuta, spero che resteremo in contatto! Anch’io ho appreso molto dalla vostra esperienza ed è davvero interessante! Sono sicura che posso prendere quest’idea di una rete di avvocati volontari e cercare di realizzarla in Brasile. In pratica sono io che ho intervistato te perché ho appreso tanto del vostro metodo di lavoro e lo porterò con me. Quando puoi vienici a trovare in Brasile!
Penso che ci potrà volere ancora qualche anno, non posso lasciare l’Italia adesso, ho ancora un debito da saldare con la giustizia, di giorno posso lavorare all’esterno, ma di sera devo ancora rientrare in carcere. È bello che tu trovi adesso, dopo questa esperienza di vita, una strada perché tu e gli altri possiate aiutare tante persone. Dopo la tua esperienza di vita è di questo che hai bisogno, di un rapporto diretto con le persone.
Valdẽnia Aparecida Paolino è avvocato, laureata alla facoltà di diritto di San Paolo, Brasile. Proviene da una zona periferica, povera e molto violenta della città. Non ha mai abbandonato le sue radici, conquistando con fatica il diritto allo studio e garantendosi con il suo lavoro la possibilità di acquisire una professione a servizio degli esclusi. Si è impegnata a fianco dei più poveri, cominciando coi raccoglitori di cartone e ferro vecchio fino ad organizzare una comunità di recupero per ragazze coinvolte nella prostituzione minorile. Lavora al centro di difesa per i diritti di bambini e adolescenti, occupandosi della denuncia delle violazioni dei diritti umani in famiglia, nella società, nelle carceri minorili. Segue progetti di prevenzione e reinserimento comunitario, usando il suo tempo tra la presenza in favela, in università e nelle istituzioni e nelle associazioni di difesa dei diritti umani.
Per informazioni
Padre Dario, Missionari Comboniani Padova - Via San Giovanni da Verdara, 139 Tel. 049.8751506
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