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Commissione Giustizia
della Camera dei deputati Audizione
del ministro Roberto Castelli (24 luglio 2001)
Una recente indagine demoscopica ha rilevato che il 73 per cento degli italiani è insoddisfatto di come funziona la giustizia nel nostro Paese, mentre soltanto il 13 per cento si dice, al contrario, appagato di come stanno le cose. Questi dati non fanno altro che dare un volto statistico a un sentimento assai diffuso, condiviso da cittadini, avvocati e magistrati. Come affrontare il problema giustizia? Per quanto mi riguarda, la risposta è chiara. La Casa delle libertà si è presentata agli elettori con un preciso programma anche su questa delicata materia e, pertanto, il Governo di cui mi onoro di fare parte, ha ora il dovere di realizzare le sue proposte programmatiche. Prima di illustrare i punti del programma voglio fare una precisazione che dovrebbe apparire superflua in una democrazia compiuta, ma che purtroppo nel nostro Paese non lo è. Mi riferisco alla separazione dei poteri legislativo e giudiziario, fondamento d’ogni moderna società democratica, oltre che principio sancito dalla Costituzione. Premessa: la separazione dei poteri Non voglio dilungarmi in una analisi storico - politica della vita della Repubblica, ma è fuor di dubbio che nel nostro Paese il principio di Montesquieu spesso non ha funzionato. Vi è stato in Italia un rapporto conflittuale patologico tra potere politico e ordine giudiziario. Abbiamo visto casi di predominio della politica sulla magistratura per poi passare a vicende di pretese di dominio da parte di certa magistratura sulla politica. Abbiamo assistito nel corso degli anni Novanta ad un acutizzarsi del problema, con r esplosione di un vero e proprio conflitto. Ed è indubitabile che una parte della magistratura, in questi anni, ha cercato di occupare spazi propri della politica, da un lato utilizzando anche articoli del codice penale figli di periodi storici che non ci appartengono più e quasi tutti caduti nel dimenticatoio, dall’altro cedendo in alcuni casi alla tentazione di una spettacolarizzazione della giustizia. Tutto ciò ha finito per alimentare perplessità da parte dell’opinione pubblica su un tema tanto delicato come quello della giustizia. Oggi possiamo affermare che tale lotta, a tratti condotta senza esclusione di colpi, ha rischiato di portare alla sconfitta di tutti. Agli occhi del Paese, infatti, sia la politica sia la magistratura hanno perso credibilità. Prima ancora di parlare di efficienza e di efficacia del sistema giudiziario, pertanto, occorre puntare al recupero del senso delle istituzioni democratiche e del comune sentimento di giustizia. Ciò deve accadere attraverso il pieno rispetto della Costituzione e l’attuazione di un complesso di riforme volte a ridare efficienza e credibilità all’ordinamento giudiziario, Parlare di rispetto della Costituzione, sia chiaro, non significa proporre la difesa di un testo ipostatizzato ed immutabile, dal momento che la stessa Carta prevede al proprio interno le procedure per apportarvi modifiche anche profonde, fatti salvi i fondamentali principi democratici in essa contenuti. Il programma di Governo: la giustizia civile Dopo tale doverosa premessa, l’azione di Governo intende svolgersi attraverso linee e scadenze precise che adesso illustrerò, partendo da quello che riteniamo sia il punto più importante e più sentito dalla società: quello della giustizia civile. Le condanne sistematicamente e impietosamente inflitte dalla Corte di Strasburgo dicono che l’Italia è lontanissima dagli standard europei, per quel che riguarda la giustizia civile. Tale stato di cose, oltre che danneggiare l’immagine del nostro Paese a livello internazionale, ha pesanti conseguenze per le relazioni personali, familiari, commerciali e imprenditoriali. Lo sviluppo economico ne risente, perché l’incertezza del diritto è una delle cause della scarsa capacità dell’Italia di attrarre capitali dall’estero. Si parla di circa tre milioni di procedimenti arretrati: un dato che si commenta da sé. La soluzione per tornare ad un ragionevole carico di lavoro per i magistrati può essere trovata in due modi: incrementando in modo notevole il numero dei magistrati, oppure riducendone la mole di lavoro. La prima soluzione non è agevole, né immediatamente percorribile, oltre a presentarsi come insostenibile dal punto di vista finanziario. Oltretutto, un incremento ex abrupto del numero dei magistrati andrebbe a scapito della loro qualità. Non resta, pertanto, se si vuole agire pragmaticamente, altra strada se non quella di diminuire il carico di lavoro. La razionalizzazione del processo Il codice pone il giudice al centro del processo civile e, tale impostazione, è stata mantenuta anche dalle numerose novelle che non hanno modificato l’originaria architettura processualistica. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: procedure drammaticamente lunghe e un irragionevole carico di lavoro per i magistrati. La situazione è inoltre aggravata dalla rigidità imposta dalla legge a ogni causa, dettando un ritmo uniforme per ogni processo, indipendentemente dalla sua rilevanza. È necessario, pertanto, ripensare alla struttura del processo civile, al fine di assicurare il servizio giustizia e di utilizzare le risorse umane e organizzative dell’apparato nel modo più funzionale possibile. Le linee programmatiche di intervento legislativo sono volte ad una forma di razionalizzazione del processo, delegando alle parti stesse l’attività istruttoria e assicurando l’intervento del giudice, oltre che nella fase decisoria, solo su specifiche istanze istruttorie formulate dalle parti in relazione al materiale documentale avanzato. La finalità dell’intervento deve essere, da un lato, quella di evitare lo spreco di attività giudiziale e, dall’altro, quella di stroncare tutti gli interventi dilatori della parte che ha convenienza a ritardare le decisioni e che, attualmente, è ampiamente agevolata nel suo intento proprio dalla struttura del processo, in particolare dall’irrealistica pretesa di far seguire ogni fase delle cause dal giudice e di farle marciare sempre al medesimo ritmo, predeterminato in astratto dalla legge. Appare inoltre necessaria la predisposizione di meccanismi patrimoniali dissuasivi della mancata ottemperanza delle decisioni e d’incitamento all’adempimento spontaneo dell’ordine giudiziale. Conforme a tale impostazione è anche una rifinitura, in senso limitativo, delle ipotesi d’esecuzione forzata. Più spazio a conciliazione e arbitrato L’accelerazione impressa al processo da tali modifiche può essere agevolata anche facendo più ampio ricorso alla cooperazione di profili professionali esterni all’amministrazione giudiziaria, come il notaio o altre figure. Penso, inoltre, al potenziamento di tutti gli strumenti extragiudiziari di composizione delle liti, come l’arbitrato e la conciliazione. Su questo tema ritengo che si debba dare ulteriore sviluppo a quanto previsto dalla legge n° 580 del 1993. In tale ottica, il nuovo e futuro disegno di riforma della giustizia civile dovrà prevedere l’utilizzo di questi strumenti di giustizia alternativa. In tale quadro sarà sicuramente tenuta presente l’esperienza maturata dalle Camere di commercio, le quali hanno già sperimentato strumenti atti allo scopo e possono contribuire a risolvere le difficoltà della giustizia con effetto deflattivo, potendo contare su strutture snelle e soprattutto già pronte. La giustizia penale Un sistema di giustizia penale deve soddisfare due esigenze: la difesa dei cittadini imputati di reato e la difesa della società offesa dallo stesso reato. La prima è l’esigenza delle garanzie, la seconda l’esigenza della punizione. Considerate assieme, costituiscono l’esigenza della giustizia. Per raggiungerla, però, occorre stabilire tre certezze: la certezza del reato, quella del processo e quella della pena. Se queste sono assicurate, viene automaticamente garantita anche la sicurezza. Per raggiungere tali fini, occorre restituire al sistema giustizia il suo ruolo proprio in uno Stato di diritto, che non è quello di una pretesa guida o tutela della società da parte del magistrato, ma più semplicemente e propriamente quello di accertare e perseguire singoli reati. La magistratura, dunque, non deve studiare, indagare e correggere i fenomeni, ma perseguire chi commette reati. Un deciso ricorso alla depenalizzazione e abolizione dei reati contro la personalità dello Stato Le linee dell’intervento riformatore, quindi, devono essere le seguenti. Occorre definire precisamente la fattispecie di ciò che si ritiene costituisca reato, sulla base di quello che è realmente avvertito come offensivo dai cittadini. La penalizzazione eccessiva soddisfa solo esigenze emotive, poiché la legislazione penale è ancora considerata come strumento primario di tutela della società e poiché il nostro codice è stato concepito in una stagione politica in cui i valori da tutelare erano assai diversi da quelli oggi avvertiti come tali, occorrono interventi sulla parte speciale del codice e sulla legislazione complementare, secondo i principi guida della proporzionalità e della sussidiarietà. Occorre abbandonare definitivamente la strada di un demagogico ricorso alla penalizzazione, volto più a soddisfare mere esigenze emotive che a disporre risposte sanzionatorie efficaci. In tale ottica appare necessario un intervento legislativo volto ad armonizzare la legislazione penale, prevedendo un deciso intervento di depenalizzazione. Esso deve essere finalizzato ad escludere dall’ambito penale quei reati la cui offensività non è più percepita come tale dalla società e quei fatti non realmente idonei a ledere il bene protetto, a riformulare alcune ipotesi per le quali risulta eccessivamente anticipata la soglia di tutela e a tipizzare definitivamente quelle fattispecie di reati la cui condotta appare indeterminata. Occorrerà, inoltre, procedere all’individuazione delle specifiche posizioni di garanzia e superare la mera clausola d’equivalenza per la conversione delle condotte commissive in omissive, oltre a superare l’attuale modello “aperto” di concorso di persone attraverso la determinazione delle tipologie concorsuali con la differenziazione sanzionatoria dei singoli contributi. Per tornare a quanto sopra espresso, e cioè ridefinire i reati in base a quanto effettivamente avvertito come offensivo dai cittadini, preannuncio di aver presentato al Consiglio dei ministri un primo disegno di legge riguardante la depenalizzazione di alcuni reati che sono non più percepiti come tali nel comune sentire dei cittadini. Mi riferisco, in particolare, ai delitti contro la personalità dello Stato, nel cui ambito è presente un insieme di fattispecie fortemente connotate ideologicamente, essendo finalizzate all’affermazione dei valori conformi al contesto politico - ideologico in cui sono state pensate e approvate. Si tratta peraltro di un contesto non più attuale e poco sintonico con il quadro costituzionale repubblicano, che afferma al contempo valori legati all’essenzialità dello Stato e alle libertà individuali, tra cui spiccano massimamente quelle di associazionismo e di libera manifestazione del pensiero. Il bilanciamento tra tali valori implica l’esigenza di superare quelle fattispecie criminose che, nella categoria dei reati sopra individuati, privilegiano il primo dei due a scapito del secondo, rendendo punibili anche fatti che, essendo frutto di manifestazioni di carattere politico e ideologico nell’ambito del libero associazionismo, rappresentano opinioni che nell’attuale comune sentire non sono affatto ritenute manifestazioni criminose. A sostegno di tale tesi si possono citare alcune recenti assoluzioni e, soprattutto, la sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato incostituzionale l’articolo 271 del Codice Penale. Tutto ciò prevede, come necessaria conseguenza, una generale rivisitazione della materia inerente ai reati d’opinione e devo dire che, da una prima ricognizione, abbiamo già individuato oltre venti articoli del codice penale da abrogare o riformulare.
Il
codice di rito: la necessità di riequilibrio tra garanzia ed efficienza Le continue modifiche legislative operate sul codice di Procedura Penale hanno finito per stravolgerne l’impianto originario. Le modifiche legislative in merito devono essere volte al riequilibrio delle due diverse esigenze: il diritto di difesa e quindi le garanzie processuali da un lato, l’efficienza della giustizia dall’altro. Occorre ridefinire i rapporti fra polizia giudiziaria e pubblico ministero, con ciò tracciando una netta linea di confine fra investigazioni preventive e giudiziarie e prevedendo un notevole avanzamento della soglia d’intervento giudiziario. Tale modifica renderà più efficace la realizzazione della cesura delle fasi processuali, con ciò riportando la normativa di rito alla originaria ispirazione accusatoria e rendendo effettivamente applicativo il riflesso dell’articolo 111 della Costituzione sulla normativa ordinaria. Al fine di rendere più snello ed efficiente il rito penale e rispondente ad una necessità di durata ragionevole occorrerà operare su due direttrici: la fissazione di termini certi e tassativi per gli atti degli adempimenti processuali e la fissazione certa dell’oggetto d’istruttoria processuale; dall’altro lato, tassatività dei motivi d’appello e allargamento delle procedure in camera di consiglio, previsione di sbarramenti nella reiterazione delle domande difensive in materia cautelare, incremento della sanzione pecuniaria per l’inammissibilità dei motivi di ricorso per Cassazione. La certezza della pena e la situazione carceraria Il motto del ministro vuole essere: “Dalla parte di Abele”. Ciò significa garantire agli onesti cittadini che, coloro i quali commettono reati, se condannati attraverso un equo processo, debbano scontare la pena che è stata loro comminata. E anche se questo non ripaga il cittadino per il danno subito, viene in questo modo appagata la sete di giustizia che in questo momento promana dalla società civile, una sete alla quale il Governo non può non dare una risposta. Tutto ciò, oltretutto, consentirebbe di attuare più compiutamente il dettato dell’articolo 27 della Costituzione, oggi sostanzialmente disatteso. Per raggiungere gli obiettivi occorre intervenire sul piano delle sanzioni, attraverso la riduzione dell’area della sanzione detentiva, sviluppando il ricorso a pene non detentive come pene principali in modo da ottenere un’effettiva efficacia deterrente, e parallelamente rendere effettiva la pena detentiva al fine di ottenerne la certezza, operando anche sulla rimodulazione dei limiti edittali previsti, spesso sproporzionati rispetto alla condotta delittuosa posta in essere. Idealmente, il sistema carcerario è ispirato al principio costituzionale (articolo 27) che stabilisce che ogni pena deve tendere alla rieducazione del condannato. Nella pratica, la situazione è assai diversa, perché nel corso degli anni il sistema carcerario ha subito gli effetti delle modifiche repentine e contraddittorie del sistema penale, il quale, essendo ancora caratterizzato da un elevato tasso di casualità sanzionatoria (fonte di vittimismo e di senso di ingiustizia fra i condannati), è stato ora indirizzato all’introduzione di forti limitazioni alla possibilità di accedere alle misure alternative, specie in dipendenza di particolari tipi di reato che di volta in volta hanno prodotto allarme sociale, ora volto all’espansione di tale prospettiva, ora usato come strumento di controllo di fenomeni di devianza sociale o di emarginazione (tossicodipendenti e clandestini). Le conseguenze di questo andamento pendolare sono state molteplici: la certezza della pena è divenuta poco più di un principio astratto, il ricorso alla custodia cautelare ha riempito le carceri di detenuti in attesa di giudizio, mentre talvolta la lentezza dei processi ha restituito alla libertà criminali pericolosi. L’esito ultimo è il rischio di fallimento della Costituzione: la pena o non viene espiata o viene espiata in strutture, condizioni e forme che non rispondono al principio della rieducazione dei detenuti. L’attuale situazione penitenziaria si può riassumere in queste cifre: i posti disponibili, secondo gli attuali standard, sono 45mila. Nella sua relazione programmatica, nel maggio del 2000, il ministro Fassino dichiarava che la popolazione carceraria ammontava a 50mila persone. Oggi il numero dei detenuti è di circa 57mila. La situazione dei penitenziari è variegata: a fronte di carceri di vecchia concezione e in condizioni al limite dell’accettabilità ci sono strutture di nuova costruzione e nuova concezione, predisposte anche a favorire l’attività di lavoro all’interno del penitenziario. Ho verificato di persona la situazione in alcuni penitenziari dove la criticità è maggiore e devo dire che alcune situazioni sono al limite della sopportabilità. Mi domando come si sia potuto lasciare che le cose degenerassero fino a questo punto. Devo dire che le scelte dei Governi precedenti, su questo fronte, mi lasciano molto perplesso. Infatti, sono anni che da un lato sentiamo dire che le carceri scoppiano (il che è vero), e dall’altro mi sono trovato di fronte ad un programma di chiusura di venti penitenziari tuttora in funzione. Il caso di Pianosa, poi, mi pare clamoroso: ho potuto verificare di persona che è stata abbandonata una struttura, non solo perfettamente funzionante, ma anche in grado, caso molto raro, di far lavorare i detenuti. Ad esempio, a Pianosa esistono strutture modernissime, attrezzate di tutto punto, lasciate oggi in stato di completo abbandono. Lo spreco di risorse, considerando vari penitenziari chiusi prematuramente, ammonta a svariati miliardi. Non voglio pensare che sia stata creata una situazione insostenibile per poter giustificare indiscriminate amnistie. Questa strada non è percorribile, sia per rispetto degli onesti cittadini, sia perché il principio della certezza della pena è irrinunciabile per la Casa delle libertà. Si deve, però, dare rapidamente una risposta al problema. Sono impegnato personalmente, su questo tema, e tre sono le strade che ho già individuato. In primo luogo, è necessario ampliare la capacità ricettiva del sistema penitenziario, avviando a pieno regime fin da subito strutture come quella di Bollate (Milano), valutando la possibilità di riaprire le strutture abbandonate e ristrutturando l’esistente. In secondo luogo, si è deciso di studiare soluzioni differenti da quelle esistenti per quanto riguarda i tossicodipendenti, che, lo ricordo, rappresentano ben il 33 per cento dell’intera popolazione carceraria. Ritengo sia possibile dare una risposta diversa dalla detenzione pura e semplice, raggiungendo il duplice scopo di alleggerire la pressione sui penitenziari e di dare una, sia pur parziale, soluzione alla piaga sociale rappresentata dalla droga. In terzo luogo, si dovrà intervenire sull’altro grande fattore di affollamento dei penitenziari: la presenza di molti extracomunitari, attualmente 17mila individui. Il Governo si sta ponendo il problema di rimpatriare, dietro precise garanzie di rinuncia al reingresso clandestino in Italia, i detenuti per reati lievi, un obiettivo da raggiungersi anche attraverso provvedimenti normativi e pesanti sanzioni. Esistono però, in proposito, problemi di natura costituzionale, internazionale e giuridica di non facile soluzione. In ogni caso vi sarà un forte impegno su questo tema. La soluzione sarà trovata con la nuova legge sull’immigrazione, che sostituirà la legge Turco - Napolitano. Ho intenzione di impegnarmi con determinazione per dare ai detenuti la possibilità di lavorare. Il lavoro, a mio avviso, è un vaccino importante contro la tendenza a delinquere e una valida medicina per recuperare chi ha già sbagliato. Stare tutto il giorno in cella a far niente è controproducente e si rischia di uscire dai penitenziari peggiori di come si è entrati. Se mi consentite di uscire dall’ufficialità della relazione, voglio raccontarvi un piccolo aneddoto “da ingegnere”. All’interno del carcere di Bollate è stato costruito un padiglione con quattro officine di circa 1.500 - 2.000 metri quadrati, alte sei metri e munite di pavimenti industriali: bellissime da un punto di vista industriale. Ho chiesto al direttore che cosa intendesse produrre e mi ha risposto “qualsiasi cosa”. Allora ho domandato come avrebbe fatto entrare i camion per le merci e se c’erano i carri ponte per la loro movimentazione, ma non mi ha saputo rispondere. Comunque, avrebbe cercato di risolvere entrambi i problemi; ormai era troppo tardi - gli ho detto - perché avrebbero dovuto essere progettati pilastri adatti. Con questo aneddoto, voglio ribadire che il compito del mio dicastero sarà di dare il più possibile lavoro ai detenuti. È mia intenzione promuovere una sorta di “devoluzione”, anche nel campo penitenziario, svincolando le carceri da un centralismo che, partendo da una difficile comprensione delle diverse situazioni locali, non riesce a dare risposte puntuali ai problemi. Il carcere non è la stessa cosa ovunque e non ha senso continuare a ignorare le specificità territoriali. Naturalmente, l’avvio di un processo di decentramento andrà condotto tenendo ben presente la diversa gestione che richiedono i detenuti per reati di diversa gravità e con differente pericolosità sociale. È mia personale convinzione che la permanenza in cella, senza svolgere alcuna attività durante la giornata non giovi al detenuto. Occorre stabilire il principio che la pena vada scontata con obbligo al lavoro. In tale prospettiva, si dovranno compiere i passi necessari per la rimozione degli ostacoli che ancora si frappongono al concreto conseguimento di questo obiettivo. Inoltre, il lavoro deve rispondere il più possibile ad un’effettiva utilità sodale, tale da costituire un concreto “risarcimento” che il condannato deve corrispondere alla società. All’effettuazione di un’attività lavorativa va principalmente connessa la possibilità di accedere alle pene alternative o alla liberazione anticipata e condizionale, cui dovrebbe essere riconosciuto il carattere di liberazione per buona condotta, applicabile a tutti sulla base di presupposti definiti. Si devono finalmente definire i “circuiti penitenziari differenziati”, con l’applicazione di regimi detentivi particolarmente rigorosi per certi criminali - in dipendenza del reato commesso o della condotta serbata in carcere - e meno severe per gli altri. Utile è anche un circuito per la custodia attenuata, destinato a soggetti di scarsa pericolosità e bisognosi di trattamento particolare (ad esempio, i tossicodipendenti o le persone con disturbi psichici), da collocare in strutture più “leggere”, più rapidamente apprestabili, rette da un regime anche giuridico ad hoc. La stessa liberazione anticipata per buona condotta dovrebbe essere messa in relazione al regime detentivo. Vorrei spendere una parola per la Polizia penitenziaria. Non si sa bene per quale motivo, nell’immaginario collettivo, si parla sempre di forze dell’ordine, di Polizia di Stato, di Corpo forestale, di Arma dei carabinieri, ma quasi mai di Polizia penitenziaria. Si devono stimolare al massimo grado l’impegno e il senso di responsabilità degli agenti, con forte recupero del senso di appartenenza al Corpo e della gerarchia. Parallelamente, si devono recuperare gli aspetti formali e deontologici, al fine di mantenere il fondamentale prestigio per il Corpo, ma soprattutto quella necessaria autorevolezza, che è essenziale per il governo dei detenuti, i quali devono immediatamente percepire nel proprio interlocutore competenza e affidabilità, quale patrimonio tipico del personale della Polizia penitenziaria. Interventi, infine, devono essere compiuti in direzione della crescita professionale degli appartenenti al Corpo, che è garanzia di competenza, di sicurezza e di rispetto della dignità dei detenuti. Il personale civile è attualmente inquadrato nel comparto Ministeri. Questa è una collocazione impropria e da correggere, perché non esalta la specialità tipica di un’attività che, per il fatto di svolgersi all’interno delle mura carcerarie, necessita di una peculiare professionalità e di una particolare dedizione. Specifica attenzione va poi destinata al servizio sanitario penitenziario. La recente legislazione (riforma Bindi), che ha previsto il transito di questo settore delicatissimo nel Servizio sanitario nazionale è foriera di scadimento della professione. La grande esperienza accumulata nel settore, tale che oggi si può parlare della medicina penitenziaria come di una branca specializzata della medicina, non può andare perduta all’insegna di una ideologica omogeneizzazione degli ammalati detenuti con gli altri ammalati affidati al Servizio sanitario nazionale. Se va affermata la specialità di tutto il personale penitenziario, a maggior ragione essa va sostenuta per il direttore dell’istituto penitenziario, che per un certo numero di anni (1991 - 1999) è stato inquadrato nel comparto sicurezza e ha goduto di un trattamento giuridico ed economico identico a quello dei pari qualifica della Polizia di Stato. Questa collocazione è oggi scomparsa, con gravi ripercussioni non soltanto per i vantaggi che potevano conseguirne ai diretti interessati, quanto per la stessa amministrazione, perché si è reciso quel filo, sia pure tenue, che rinsaldava il rapporto gerarchico - funzionale con la Polizia penitenziaria. Occorre, pertanto, restituire al dirigente - direttore penitenziario quel carattere di figura del tutto unica nel panorama della dirigenza statale, vuoi per il carico di responsabilità che gli compete, vuoi per la peculiarità dei compiti che gli sono attribuiti (sicurezza, trattamento psicopedagogico, amministrazione).
La
giustizia minorile Il nuovo regolamento ministeriale prevede un autonomo dipartimento per la giustizia minorile, come segno dell’attenzione particolare e della diversità della “questione minori” rispetto alla complessità del mondo giudiziario. Affinché tale scelta non rimanga esclusivamente formale, il Governo ritiene di dover prestare particolare attenzione ed interesse a tale materia, operando in maniera assolutamente pragmatica e quanto più possibile scevra da incrostazioni ideologiche e posizioni demagogiche. La base di qualsiasi discussione non può che essere il riconoscimento della priorità dell’interesse del minore, in quanto soggetto debole, nei cui confronti lo Stato ha obblighi di protezione ed assistenza specifici. Da tenere in assoluta evidenza, anche dopo i recenti episodi che hanno portato tale argomento all’attenzione dell’opinione pubblica, è la problematica legata alla maturità psicologica del minore ed alla sua responsabilità nei confronti della società. A tale proposito, debbo dire che sono rimasto personalmente sconcertato da alcune recenti prese di posizione, che sono apparse, ad una larga fetta dell’opinione pubblica, eccessivamente lassiste nei confronti dei minori che hanno commesso gravissimi reati. Questa è una materia estremamente delicata, ma non posso non farmi interprete di chi ritiene che sia un pessimo esempio per tutti, soprattutto per i minori, vedere scarcerati individui che hanno commesso omicidi. Oltretutto, vi è il pericolo che misure di protezione eccessivamente garantiste finiscano per tradire l’originaria funzione e trasformino i minori, soprattutto in alcuni particolari contesti socio - economici, in una fascia a rischio, come sacca di reperimento della manovalanza delinquenziale. Un’altra tematica di forte impatto sociale ed estremo interesse è quella relativa alla testimonianza dei minori, sia per quanto riguarda la valenza probatoria, che non può essere affidata esclusivamente alla valutazione prettamente giudiziaria dei riscontri, sia soprattutto in relazione alle modalità di acquisizione, che debbono il più possibile garantire non solo l’autenticità e la spontaneità delle dichiarazioni, ma anche il reale impatto emotivo dell’esperienza testimoniale sul soggetto. L’ordinamento giudiziario Passiamo adesso ad un altro problema fondamentale, quello dell’ordinamento giudiziario. La magistratura, a nostro avviso, deve essere ordinata in base a due principi: quello dell’autonomia e quello dell’indipendenza, affinché il rispetto della legge sia garantito nei confronti di chiunque e il servizio giustizia sia reso in tempi e modi adeguati. La carente applicazione di entrambi i principi, registrata nel nostro Paese, ha gravi conseguenze sul servizio, la cui qualità insufficiente è - come dicevo - al centro delle lamentele dei cittadini e fonte di condanna da parte degli organismi europei. Risulta pertanto necessaria un’inversione di tendenza, che non può però essere ottenuta con interventi improvvisati o, ancor peggio, pensando ad interventi di carattere punitivo contro la magistratura. Tenendo ferma questa idea, occorre ripensare all’ordinamento giudiziario, ispirandolo a tre linee di riforma: la prima consiste nel riportare la responsabilità della politica giudiziaria, soprattutto in materia criminale, nell’alveo proprio della sovranità democratica; la seconda nello stabilire un miglior raccordo tra l’esercizio autonomo della funzione giudiziaria e le esigenze del popolo (nel nome del quale la giustizia è amministrata); la terza nell’introdurre una maggiore efficienza nel servizio. La sessione speciale del Parlamento sui temi della sicurezza e della giustizia Per quanto attiene al primo punto, al fine di soddisfare la raccomandazione n° 19, del 6 ottobre 2000, del Consiglio d’Europa, si prevede che, ogni anno, il Parlamento dedichi una sessione speciale ai temi della sicurezza e della giustizia, in cui si discuta lo stato dell’una e dell’altra alla presenza dei ministri dell’interno e della giustizia. Le regioni nei consigli giudiziari Per quanto riguarda il secondo punto, l’accresciuta complessità sociale e la necessità di rappresentare le esigenze dei diversi operatori della giustizia, nonché il crescente interesse delle regioni per l’amministrazione della sicurezza e della giustizia nel loro territorio, impongono un ampliamento della composizione dei consigli giudiziari, con l’intervento delle regioni, cui deve spettare la nomina dei componenti laici. La composizione dei consigli giudiziari deve rispettare la proporzione prevista tra membri laici e togati nel Consiglio superiore della magistratura, prevedendo inoltre nuove attribuzioni da assegnare ai consigli ed il trasferimento a questi di una serie di funzioni. La riforma del CSM Per quanto riguarda il Consiglio superiore della magistratura, premesso il mantenimento dell’attuale composizione del rapporto tra membri laici e togati, si ritiene necessaria una diversa proporzione, all’interno della componente togata, tra giudici e pubblici ministeri, in modo da rappresentare il rapporto numerico esistente tra le due componenti. Anche la diversa rappresentanza dei membri togati del consiglio deve essere disposta attraverso una nuova legge elettorale, finalizzata a premiare al massimo le caratteristiche culturali, professionali e morali degli individui che saranno eletti. Relativamente all’aspetto disciplinare, occorrerà discutere la necessità di scorporare l’organo competente dal plenum del consiglio, al fine di renderlo effettivamente autonomo da tutte le possibili commistioni. Tale organo dovrebbe, comunque, rispettare il principio di proporzione previsto per il Consiglio superiore della magistratura. Reclutamento, separazione delle carriere e produttività dei magistrati L’efficienza del servizio e le garanzie ai cittadini sono una questione cruciale: tutti concordano che sia questo il nodo principale da sciogliere per un miglior funzionamento della giustizia. Su ciò, vi è anche l’alto parere del Presidente della Repubblica, che spesso è intervenuto su questo tema. Se si parla d’efficienza, la prima questione è relativa alla valutazione dell’attività del singolo magistrato e del tribunale. È mia precisa convinzione che nessuna riforma potrà avere efficacia, se prima non saremo stati in grado di individuare i parametri per misurare oggettivamente il lavoro dei giudici. Ciò al fine anche di poter svincolare la carriera da fieri parametri di anzianità, come accade tutt’oggi. Mi rendo conto perfettamente dell’estrema difficoltà dell’impresa, data la peculiarità dell’attività della magistratura. Ritengo, però, che tale questione non possa essere assolutamente disattesa ed è quella sulla quale mi attendo la più ampia collaborazione e il contributo d’idee da parte della stessa magistratura. Da parte mia, posso assicurare l’assoluta onestà di intenti, non essendo animato da nessun’altra motivazione se non quella di assicurare al Paese un servizio eccellente, che avrebbe come prima conseguenza quella di aumentare il prestigio, non solo della giustizia, ma anche della politica, di fronte ai cittadini. Occorrono modifiche al sistema attuale di reclutamento dei magistrati, impostate, oggi, su criteri sostanzialmente nozionistici (credo siate tutti al corrente della questione dei quiz). Per una maggiore laicità della magistratura e per la ricerca di un’interrelazione tra le varie professioni giuridiche si può prevedere, in sede di concorso, l’attribuzione di punteggi aggiuntivi da assegnare a candidati già in possesso di determinati titoli o requisiti. Relativamente ai criteri di professionalità, occorre una decisa linea d’intervento, finalizzata a garantire la qualità del servizio giustizia per i cittadini ed i magistrati medesimi. Tra le ipotesi al vaglio, vi è lo sganciamento della progressione economica - legata esclusivamente al criterio di anzianità ed alla verifica periodica dell’inesistenza di demeriti - dalla progressione in carriera, che, premessa la valutazione da parte del Consiglio superiore e attribuendo un peso (almeno istruttorio) all’elezione dei consigli giudiziari ai fini di tali valutazioni, porti alla fissazione di criteri per l’individuazione dei requisiti necessari allo svolgimento della specifica funzione superiore, richiesta al magistrato. In relazione agli incarichi direttivi occorre contemplare, come già esiste per determinate funzioni, la temporaneità e la possibilità di prevedere una sola linea d’azione preceduta da una valutazione del lavoro svolto. Al fine di snellire il lavoro dei magistrati occorre prevedere una nuova figura di ausiliari dei giudici. Gli assistenti dovrebbero essere delegati all’attività di ricerca, all’elaborazione del materiale ed all’esame della giurisprudenza. Tale figura dovrebbe essere introdotta anche mediante distacco di personale idoneo dalla pubblica amministrazione. A garanzia dei cittadini, come stabilito dall’articolo 111 della Costituzione (che prevede che il giudice debba essere terzo ed imparziale), appare non procrastinabile delineare una separazione tra giudici e pubblici ministeri. Mantenendo un accesso unico in magistratura occorre prevedere, dopo un percorso comune, l’immissione in due ruoli distinti. Il cambiamento di ruolo e funzione potrà avvenire previa partecipazione ad uno specifico corso - concorso, al termine del quale sarà valutata l’‘idoneità professionale ad esercitare la diversa funzione alla quale sia stata chiesta l’attribuzione. Il cambiamento di funzioni e di ruolo dovrà comportare comunque il cambio del distretto giudiziario. Migliorare l’organizzazione della giustizia Passiamo adesso al tema dell’organizzazione della giustizia. La giustizia è una grande macchina che produce un servizio di fondamentale importanza in una società civile e democratica. È, pertanto, fondamentale un’organizzazione della macchina che le consenta di funzionare al meglio. La questione organizzativa è stata al centro della mia attenzione in questo primo mese al ministero. Abbiamo risolto alcuni nodi, ma molte altre questioni restano ancora sul tavolo: ecco alcuni punti fondamentali. La carenza d’infrastrutture e la gestione dei fondi In primo luogo, la carenza d’infrastrutture. Vi è un’evidente mancanza di spazi e risorse che penalizza l’attività del ministero, della giustizia e delle carceri. Devo però registrare, per quanto riguarda la costruzione dei nuovi tribunali, l’assenza di un’adeguata risposta da parte degli enti locali. Abbiamo tantissimi fondi residui, perché gli enti locali richiedono un impegno che poi non utilizzano. A tale proposito, stiamo molto attenti, perché vi è il pericolo che il ministro Tremonti, verificando che non utilizziamo questi fondi, potrebbe toglierceli. Tutti voi avete un collegio: bisogna sensibilizzare moltissimo gli enti locali, affinché utilizzino effettivamente le risorse impegnate. Occorrerà, pertanto, attivarsi per avere una risposta da parte degli stessi. A questo scopo, l’apertura di nuove sedi decentrate del ministero, come già annunciato e previsto nel Documento di programmazione economico - finanziaria, potrà contribuire alla risoluzione di questo problema. A proposito dell’apertura delle nuove sedi decentrate del ministero, l’operazione sarà attuata (compatibilmente con le risorse disponibili) seguendo una nuova filosofia: saranno individuati spazi in altre città, oltre alla capitale (in particolare, penso ad una città del nord e ad una del sud del Paese). La convinzione è che alcune funzioni possano essere meglio espletate se più vicine al territorio. L’informatizzazione Uno snodo fondamentale per l’efficienza della macchina è, indubitabilmente, l’informatizzazione dell’intero sistema. Negli scorsi anni, l’impegno finanziario su questo fronte è stato veramente considerevole. Dalle prime verifiche effettuate, non sembra che le notevoli risorse impegnate siano state, al momento, effettivamente spese. Vi sono oltre 300 miliardi di residui passivi: un dato veramente eclatante. Pertanto, il passo successivo sarà là verifica di quanto è stato effettivamente realizzato e la razionalizzazione di situazioni che ne presentano la necessità. Per entrare nel concreto, si può dire che particolare cura sarà dedicata al cosiddetto “processo telematico” (è stato fatto un esperimento, proprio pochi giorni fa, qui a Roma), mentre, per quanto riguarda l’area penale, pur essendo in corso numerosi progetti d’informatizzazione, al momento non sembra che - stando alle informazioni raccolte - i sistemi già attivati funzionino in modo soddisfacente. In ogni caso, l’impegno sarà quello di utilizzare al meglio le risorse disponibili, anche avvalendosi della collaborazione del Ministero per l’innovazione e le tecnologie, appositamente costituito. Si proseguirà, inoltre, con lo sviluppo delle attività Internet del ministero e con i servizi ad essa collegati. Riorganizzazione del Ministero Un altro capitolo concerne la riorganizzazione del Ministero. Dando seguito alla riforma Bassanini, siamo impegnati nella riorganizzazione del ministero nei quattro dipartimenti previsti dalla legge. Tutto ciò ha rappresentato un gravoso impegno, che spiega il ritardo con cui mi presento alla Commissione per illustrare le linee programmatiche del Governo. Devo dire di essermi ritrovato con un ministero quasi completamente acefalo, in tutte le sue direzioni generali. Se ciò, da un lato, mi consente di agire all’interno di quella filosofia dell’alternanza, ormai accettata e auspicata da tutti, ponendo a capo dei dipartimenti figure nuove, che agiscono in piena sintonia con il ministro e applicando in modo convinto le linee programmatiche del Governo, dall’altro tutto ciò ha rappresentato un ulteriore gravoso sforzo, che altri ministri non hanno dovuto affrontare. Avrete letto dai giornali che il Consiglio dei ministri ha nominato, proprio ieri, le figure apicali del ministero. Il potenziamento degli organici Per quanto riguarda il potenziamento dell’organico, attualmente si stanno svolgendo due concorsi per uditore giudiziario, per un totale di oltre 700 posti complessivi. D’intesa con il CSM, inoltre, si prevede di dar corso a un nuovo bando, per un totale di altri mille posti. Ordini e libere professioni Veniamo adesso ad un’altra questione di competenza del Ministero della giustizia: gli ordini e le professioni. Gli ordini professionali esistenti rispondono all’esigenza di garantire la qualità della prestazione professionale in un mercato - quello dei servizi professionali - nel quale il rapporto tra cliente e professionisti è basato sulla fiducia del primo verso il secondo. Gli ordini hanno, appunto, la funzione di proteggere il cittadino, non il professionista. Quindi, gli ordini esistenti vanno migliorati e resi pienamente funzionali; non vanno né soppressi né aumentati. Devono, piuttosto, darsi regole che migliorino la loro efficienza, il controllo della formazione continua dei professionisti e quello dell’informazione, completa e trasparente, verso il cliente, funzioni tutte di rilevanza e di interesse pubblici. In questi limiti deve muoversi il legislatore, nel dettare norme di funzionamento e disposizioni che non pregiudichino l’autonomia degli ordini. Il rischio che gli ordini si trasformino in corporazioni, nel senso deteriore del termine - il rischio sussiste: se lo dico è perché faccio parte di un ordine - va contrastato attraverso una verifica del corretto svolgimento dei loro compiti; penso, ad esempio, in materia di accesso, alla presenza di professionisti nelle commissioni di esame (previste dall’articolo 33, comma 5, della Costituzione), presenza che non dovrà essere esclusiva ma dovrà, comunque, essere significativa. Per quanto riguarda, invece, le professioni non regolamentate, il livello di intervento pubblico dovrà essere minimo ed esclusivamente formale; potrà divenire più penetrante solo nel caso in cui a dette associazioni vengano attribuite potestà di certificazione professionale avente valore per il diritto interno, o a livello comunitario. Per quanto riguarda le società tra professionisti, è indubbia la necessità che l’attività svolta in comune tra più professionisti disponga di uno strumento normativo più sofisticato degli attuali studi associati; il ricorso a forme speciali di società, ad esempio a quelle tra professionisti, è generalmente condiviso, in considerazione delle caratteristiche proprie delle professioni rispetto alle imprese. Lo scadenzario degli interventi Concludo la mia esposizione - avendo, credo, approfittato già troppo della vostra pazienza - indicando uno scadenzario dei futuri interventi. Con ciò, credo di introdurre una novità ma voi sapete che il Presidente del Consiglio, nel programma presentato agli elettori, ha scandito i tempi della politica che il Governo intende attuare; quindi, credo sia mio dovere fare altrettanto. Infatti, in modo del tutto innovativo rispetto al passato, la Casa delle libertà si è impegnata anche al rispetto di un calendario per dare concretezza alle proprie proposte programmatiche. I cento giorni Per quanto riguarda i primi cento giorni, vorrei svolgere le seguenti considerazioni. Tra i primi impegni di questo dicastero vi è, come sapete benissimo, la riforma del diritto societario, con la riproposizione del testo della riforma elaborato dalla Commissione Mirone, fatto proprio dal Governo, che lo ha adottato come una buona base di partenza. L’obiettivo è l’approvazione del testo prima della pausa estiva e, possibilmente, l’entrata in vigore del medesimo entro la fine dell’anno. Il disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri, come naturalmente sapete, è stato appena licenziato dalla vostra Commissione e dalla Commissione finanze. Credo debba approdare in aula venerdì; l’auspicio è che la riforma possa essere approvata dalla Camera prima della pausa estiva. Di concerto con il Ministero per le pari opportunità, inoltre, il Ministero della giustizia è pronto a presentare un disegno di legge relativo ad un fenomeno d’estrema gravità sociale, quale la riduzione in schiavitù a fini di sfruttamento sessuale, tema per il quale, oltre al coordinamento con le strutture nazionali ed europee, è necessario prevedere autonome fattispecie penali. Il tema, già trattato nella precedente legislatura, sarà uno dei primi impegni del Governo, in totale spirito di collaborazione con quanti si sono già occupati di questi argomenti nel corso della scorsa legislatura. Per la fine dell’anno Entro l’anno sarà presentato il progetto di riforma del sistema elettorale del CSM. L’obiettivo è giungere all’approvazione della riforma entro il mese di aprile del prossimo anno, in tempo utile per il rinnovo del Consiglio stesso. Nel corso della seconda parte del 2001 si cercherà, inoltre, di giungere alla presentazione di un disegno di legge per l’abolizione dei reati d’opinione. La bozza del provvedimento è in fase d’avanzata preparazione. Entro la fine dell’anno, inoltre, saranno presentati disegni di legge per l’abbreviazione dei tempi della giustizia civile e per la riforma dell’ordinamento giudiziario. Nei prossimi anni Vengo ora ad esporre cosa prevediamo di fare nei prossimi anni. Contiamo, dal 2002, di giungere all’approvazione entro il 2002 della riforma che porterà all’abbreviazione dei tempi della giustizia civile; entro il 2003 abbiamo programmato di approvare la riforma del Codice Penale, mentre entro l’anno saranno presentati i quattro codici fondamentali nella loro nuova formulazione: Codice Civile, Codice di Procedura Civile, Codice Penale e Codice di Procedura Penale. Roma 24 luglio 2001 |