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La questione in dottrina e in giurisprudenza dell'interprete
e della difesa al sordomuto
La
Corte Costituzionale, con sentenza n. 341 del 22/7/1999, ha dichiarato
illegittimo l'articolo 119 del codice di procedura penale nella parte in cui non
prevede che l'imputato sordo, muto o sordomuto, indipendentemente dal fatto che
sappia o no leggere e scrivere, ha diritto di farsi assistere gratuitamente da
un interprete, scelto di preferenza fra le persone abituate a trattare con lui,
al fine di potere comprendere l’accusa contro di lui formulata e di seguire il
compimento degli atti cui partecipa. La
Corte ha ritenuto, infatti, del tutto carenti le garanzie prestate dalla norma
censurata sia sotto il profilo dell’omessa considerazione delle esigenze di
comprensione e di comunicazione proprie dell’imputato sordomuto, al di là
della sola ipotesi in cui egli debba o voglia rendere dichiarazioni, e più in
generale del diritto dell’imputato s.m. a partecipare consapevolmente al
procedimento, sia sotto il profilo dell’esclusione dell’assistenza di un
interprete quando l’imputato sordomuto sappia leggere e scrivere. Tale
impostazione presupponeva da parte del sordomuto un’effettiva capacità di
comprendere le domande del Giudice ed articolare le risposte mentre alcuna
distinzione era formulata dalla norma tra quanti, all'impossibilità di sentire
e di parlare, univano anche l'analfabetismo e quanti invece erano in grado di
leggere e scrivere. Infatti,
solo ai primi l'articolo 119 comma due riservava la facoltà di servirsi di un
interprete, allo scopo di farsi comunicare domande, avvertimenti, ammonizioni e
fornire le relative risposte mentre, nel caso di un imputato sordomuto, ma
alfabetizzato, la norma si limitava a prescrivere l'impiego della scrittura,
senza alcuna intermediazione. La
norma, siccome formulata, appariva, invero, del tutto discriminatoria e, a
parere del Giudice remittente, in palese contrasto sia con l'articolo 24 della
Costituzione, stante la lesione del diritto alla difesa dell'imputato sordomuto
alfabetizzato, cui sarebbe in ogni modo rimasto precluso di "comprendere
tutto quanto accade nel corso dell'istruzione dibattimentale e di valutare se e
quando rendere le spontanee dichiarazioni di cui all'articolo 494 del C.P.
P.”, sia con l'articolo tre della Costituzione, stante la disparità di
trattamento esistente sia con riferimento all'articolo 143 del C. P. che riserva
un trattamento certamente più favorevole all'imputato straniero, assistito
gratuitamente dall'interprete, così come nel caso previsto dall'articolo 71 del
C.P.P., che prevede la nomina di un curatore speciale nei confronti
dell'imputato malato di mente, e sia pure con lo stesso articolo 119 comma due,
che prevede l’obbligo di un interprete nei confronti di un imputato sordomuto
analfabeta. Ebbene,
la conoscenza della lingua nella quale si tiene il procedimento costituisce una
legittima quanto principale espressione, della necessaria partecipazione al
giudizio da parte dell’imputato anche se versi nella condizione del
sordomutismo con la conseguenza che tale esigenza non può essere limitata al
momento della semplice sottoposizione di una domanda del giudice. Dal
punto di vista della Corte delle Leggi, la comprensione della accusa da parte
dell’imputato s.m. come pure il compimento degli atti cui esso partecipa è
collegata alla nomina di un interprete gratuito, scelto di preferenza tra le
persone abituate a trattare con lui, indipendentemente dal fatto che
l’imputato sappia leggere o scrivere, analogamente a quanto previsto
dall’art. 143 C.P.P.. Peraltro,
nel caso previsto dall’art. 119, secondo comma, la qualità di interprete, a
norma dell’art. 144, ultimo comma C.P. P., può essere assunta da un prossimo
congiunto della persona sorda, muta o sordomuta, laddove per “prossimi
congiunti” ai fini della legge penale, si intendono gli ascendenti, i
discendenti, il coniuge, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado,
gli zii ed i nipoti ai sensi dell’art. 307, quarto comma C. P.. Importante
è il rinvio operato dalla Corte alle garanzie per l’imputato previste dai
trattati internazionali recepiti nell’ordinamento dallo Stato italiano laddove
forme speciali di tutela sono richieste allorquando l'accusato, a causa di sue
particolari condizioni personali, non sia in grado di comprendere i discorsi
altrui o di esprimersi essendo compreso. In
precedenza la Suprema Corte (v. Cass. Pen., Sezione VI, 29/10/1992 n. 10934,
Faggian) aveva enunciato che il disposto di cui all’art. 143 C.P.P. andava
riferito esclusivamente a coloro che parlano una lingua diversa da quella
italiana e non sono in grado di comprendere tale lingua o di esprimersi in essa. In
tale categoria di soggetti non potevano essere annoverati i sordomuti per i
quali andava applicata la specifica disciplina di cui all’art. 119 C.P.P. in
base alla quale la nomina di un interprete doveva ritenersi esclusa al di fuori
dei casi previsti dal secondo comma della disposizione. Della
stessa opinione era parte della Dottrina atteso che tale esclusione ”si desume
dal fatto che l’art.119 è richiamato soltanto nel comma due dell’art.143
che prevede l’interprete ausiliario e non l’interprete assistente
dell’imputato” L’impianto
dell’art. 119 è sostanzialmente analogo a quello dell’art. 143 del CPP
abrogato con alcune innovazioni. Innanzi
tutto è stato eliminato ogni riferimento al giuramento poiché lo stesso è
stato abolito dal nuovo Codice di rito. In secondo luogo la norma fa generico
richiamo alle dichiarazioni che il s.m. intende rendere all’autorità
giudiziaria. Infine, in deroga alla possibilità che i prossimi congiunti
possano astenersi dal testimoniare (art. 199) o dal prestare l’ufficio di
perito (art. 222, lett. d), gli stessi possono svolgere l’attività di
interprete in favore del s. m.. L’inosservanza
delle disposizioni relative alla nomina di un interprete è stata considerata
motivo di nullità sebbene a regime intermedio ai sensi dell’art. 180 C.P.P.
in relazione all’art. 178, lett. c che prescrive a pena di nullità
l’inosservanza delle norme concernenti l’assistenza dell’imputato e delle
altre parti private (v. Corbi, in Commentario Amodio- Dominioni, vol. pag.56). La
norma del Codice di Rito va, tuttavia, letta anche in correlazione all’art.96
C.P. secondo il quale “non è imputabile il sordomuto che, nel momento in cui
ha commesso il fatto, non aveva, per causa della sua infermità la capacità di
intendere e di volere. Se la capacità era grandemente scemata ma non esclusa,
la pena è diminuita”. Tale
disposizione risulta ancora oggi inserita nel contesto di altre norme del Codice
Rocco destinate all’accertamento della imputabilità tra cui sono annoverati
gli stati emotivi e passionali (art. 90), l’ubriachezza volontaria, fortuita o
abituale (artt. 91, 92, 94), le tossicodipendenze (93 e 95), la minore età
(art. 97 e 98). L’art.
96, nel prendere in considerazione il sordomutismo come possibile causa di
esclusione della imputabilità, parte dalla considerazione che l’udito e la
favella sono indispensabili per lo sviluppo psichico del soggetto(!), tuttavia,
poiché la scienza ha fatto notevoli progressi nella cura di questa malattia, il
Legislatore non ha adottato una soluzione definitiva, lasciando tale soluzione
all’accertamento giudiziale caso per caso della esistenza o meno della capacità
di intendere e di volere. In
conseguenza se il sordomutismo appare tutt’ora meritevole di accertamento ai
fini della imputabilità alla stregua di altri stati patologici ovvero derivanti
dall’abuso di alcolici o di sostanze stupefacenti dall’altra non manca di
rilevare la Corte Costituzionale l’insufficiente tutela processuale di tale
condizione umana ai fini della partecipazione al giudizio dell’imputato s. m.. Un
siffatto trattamento normativo del sordomutismo non appare immune da rilevanti
censure di costituzionalità sul piano logico giuridico. Invero
la Giurisprudenza ritiene che l’art. 96 non ravvisi nel sordomutismo uno stato
necessariamente psicopatologico, ma richieda soltanto che nel sordomuto tanto la
capacità quanto l’incapacità formi oggetto di specifico accertamento. In
conseguenza, nell’ottica della Giurisprudenza, “il sordomutismo non
costituisce una vera e propria malattia della mente valendo soltanto
eventualmente ad impedire o ad ostacolare lo stato di sviluppo della psiche e
dunque la maturità psichica”. Secondo
tale consolidato orientamento “è sufficiente che dalla decisione risulti che
detto accertamento sia stato compiuto e che il giudice abbia congruamente
motivato la decisione assunta sul punto” (v. Cass. Pen. Sezione VI, 30/11/1996
n. 8817, Gangitano ) Pertanto,
quando il Giudice riconosca che la capacità di intendere e di volere era piena,
il sordomuto sarà trattato come un individuo normale. Se invece si accerta che
la capacità non sussisteva, il s.m. è parificato all’individuo affetto da
vizio totale di mente, mentre se tale capacità era grandemente scemata il s.m.
è parificato all’individuo affetto da vizio parziale di mente. Nondimeno,
la norma dell’art.219 del C.P. prevede tutt’ora il ricovero del condannato
“per ragione del sordomutismo” in una casa di cura e di custodia per un
tempo non inferiore da un minimo di un anno ad un massimo di tre anni il secondo
della natura del reato commesso. Come pure la norma dell’art. 222 C.P. prevede
il ricovero in O. P.G. nel caso di proscioglimento dell’imputato “per
sordomutismo”. E’
pur vero che, in entrambi i casi tale ricovero è subordinato all’accertamento
della pericolosità sociale dell’imputato, come più volte sancito dalla Corte
Costituzionale in varie sentenze(v. sent. 139/1982,249/1983,1102/1988,324 del
1998) ma la ancora attuale previsione delle misure di sicurezza personali nei
casi di sordomutismo appare quanto meno del tutto anacronistica alla luce dei più
recenti orientamenti dottrinali e giurisprudenziali e della stessa sentenza
della Corte Costituzionale in commento che pure limita la sua analisi alle
garanzie processuali nei confronti dell’imputato s.m. senza analizzare i
riflessi della norma processuale sul trattamento normativo del sordomutismo
attualmente vigente nel Codice Rocco. In
conseguenza, se l'articolo 119 dovrà essere riformulato dal Legislatore in
maniera tale da consentire all'imputato sordomuto di avvalersi gratuitamente e
per tutto il corso del dibattimento, di un interprete "scelto di preferenza
fra le persone abilitate a trattare con lui", per la migliore comprensione
e il più adeguato compimento degli atti in cui è intenzionato o chiamato a
partecipare, l’intera disciplina del sordomutismo va riconsiderata anche in
vista della emanazione del nuovo Codice Penale che pone la tutela della persona
al centro dell’impianto normativo allo studio e contrariamente al vigente
Codice Rocco secondo il quale una tale rilevanza viene tutt’ora riconosciuta
allo Stato. Corte CostituzionaleSentenza
n. 341 del 22 Luglio 1999
La
Corte Costituzionale
Visto
l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito
nella camera di consiglio del 9 giugno 1999 il Giudice relatore Valerio Onida.
Ritenuto
in fatto
1.
- Nel corso del dibattimento a carico di un imputato sordomuto, che risulta
saper leggere e scrivere, il Pretore di Marsala, con ordinanza emessa il 23
luglio 1998, pervenuta a questa Corte 1'8 ottobre 1998, ha sollevato questione
di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 24 della
Costituzione, dell'art. 119
cod. proc. pen. "nella
parte in cui non prevede che l' imputato sordomuto che sappia leggere e scrivere
abbia diritto di farsi assistere, Premesso,
quanto alla rilevanza, che la partecipazione al dibattimento dell’imputato
sordomuto che sappia leggere e scrivere è regolata dall'art. 119, comma 1, cod.
proc. pen., che prevede solo l'uso dello scritto per la presentazione delle
domande, degli avvertimenti e delle ammonizioni e per le relative risposte,
mentre la nomina di interpreti è prevista dal successivo comma due solo nel
caso in cui il sordomuto non sappia leggere o scrivere, il remittente ritiene
che tale disposizione violi, in primo luogo, il diritto di difesa garantito
dall’art. 24 della Costituzione, impedendo allo imputato sordomuto, che sappia
leggere e scrivere, di comprendere tutto quanto accade nel corso dell'istruzione
dibattimentale e di valutare se e quando rendere le spontanee dichiarazioni di
cui all'art. 494 cod. proc. pen., così impedendogli di partecipare
coscientemente al dibattimento. In
secondo luogo, il giudice a quo ritiene che la disposizione in esame violi il
principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, perché riserva
all'imputato sordomuto che sappia leggere e scrivere un trattamento deteriore
rispetto all'imputato che non conosce la lingua italiana, cui l'art. 143 cod.
proci. Pen. riconosce il diritto di farsi assistere gratuitamente da un
interprete al fine di comprendere l'accusa contro di lui formulata e di seguire
il compimento degli atti cui partecipa; rispetto all’ imputato il cui stato
mentale sia tale da impedirne la cosciente partecipazione al procedimento,
riguardo al quale l'art. 71 cod. proc. pen. prescrive la sospensione del
procedimento medesimo e la nomina di un curatore speciale; nonché rispetto
all'imputato sordomuto che non sappia leggere o scrivere, per il quale è
prevista dal comma 2 dello stesso art. 119 cod. proc. pen. la nomina di uno o più
interpreti. Tale
diversità di trattamento appare al remittente illogica ed irrazionale,
considerando che tutte le ipotesi menzionate concernono casi in cui l'imputato,
per ragioni diverse, non è in grado di partecipare coscientemente al
procedimento, e che solo le altre disposizioni indicate prevedono gli opportuni
rimedi ed accorgimenti processuali. 2.-
È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, chiedendo
che la questione sia dichiarata non fondata. Ad
avviso dell'Avvocatura erariale, il legislatore avrebbe ritenuto il sordomuto
che sappia leggere e scrivere in grado di partecipare scientemente al
procedimento, comunicando per iscritto, onde non sarebbe violato il diritto di
difesa. Né vi sarebbe violazione del principio di eguaglianza, perché la
diversità della disciplina dettata per l'imputato sordomuto che sappia leggere
e scrivere rispetto alle altre evocate dal remittente si giustificherebbe per la
differenza delle fattispecie messe a confronto. Considerato
in diritto
1.-
La questione sollevata investe la disciplina risultante dall'art.119 del codice
di procedura penale per l'ipotesi in cui l'imputato sia sordomuto e sappia
leggere e scrivere. La disposizione prevede che quando un sordomuto "vuole
o deve fare dichiarazioni", gli si presentano per iscritto le domande, gli
avvertimenti e le ammonizioni, ed egli risponde per iscritto (comma uno); mentre
solo per il caso in cui il sordomuto non sappia leggere o scrivere si prevede
che l'autorità procedente nomini uno o più interpreti, scelti di preferenza
fra le persone abituate a trattare con lui (comma due). Tale
disciplina appare al remittente lesiva, da un lato, del diritto di difesa
dell'imputato, in quanto gli impedirebbe di comprendere tutto ciò che avviene
nel dibattimento e di valutare se e quando rendere dichiarazioni spontanee a
norma dell'art. 494 dello stesso codice, e dunque di partecipare coscientemente
al dibattimento; dall'altro lato, del principio di eguaglianza, in quanto
realizzerebbe un’irragionevole differenza di trattamento rispetto alla ipotesi
dell'imputato sordomuto che non sappia leggere e scrivere (in relazione alla
quale si prevede la nomina di interpreti), nonché rispetto a quelle
dell'imputato che non conosca la lingua italiana (perciò l'art. 143 cod. proc.
pen.prevede l'assistenza gratuita di un interprete), e dell'imputato che non sia
in grado di partecipare coscientemente al procedimento a causa del suo stato
mentale (nel qual caso l'art. 71 cod. proc. pen. prevede la sospensione del
procedimento e la nomina di un curatore speciale). 2.-La
questione è fondata, sotto il profilo della denunciata violazione dell'art. 24,
secondo comma, della Costituzione. Senza
la garanzia di tale possibilità, infatti, resterebbe irrimediabilmente
compromesso, nelle fasi processuali dominate dall'oralità, il diritto
dell'accusato di essere messo personalmente, immediatamente e compiutamente a
conoscenza di quanto avviene nel processo che lo riguarda, e così non solo
dell'accusa mossagli, ma anche degli elementi sui quali essa si basa, delle
vicende istruttorie e probatorie che intervengono via via a corroborarla o a
smentirla, delle affermazioni e delle determinazioni espresse dalle altre parti
e dall'autorità procedente; nonché, conseguentemente, il diritto dell'imputato
di svolgere la propria attività difensiva, anche in forma di autodifesa,
conformandola, adattandola e sviluppandola in correlazione continua con le
esigenze che egli stesso ravvisi e colga secondo l’andamento della procedura,
ovvero comunicando con il proprio difensore. La
più comune di tali condizioni è rappresentata dalla non conoscenza della
lingua in cui si svolge il processo, ed è per questo che le norme delle
convenzioni internazionali sui diritti prevedono espressamente fra i diritti
dell’' accusato quello di "farsi assistere gratuitamente da un interprete
se comprende o parla la lingua usata in udienza" (art. 6, n. 3, lettera e,
della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
libertà fondamentali; e analogamente art. 14, comma tre, lettera t, del patto
internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 19 dicembre
1966). Allo
stesso modo il legislatore italiano del codice ha preso in specifica
considerazione la situazione dell'imputato che non conosce la lingua italiana,
statuendo che egli "ha diritto di farsi assistere gratuitamente da un
interprete al fine di potere comprendere l'accusa contro di lui formulata e di
seguire il compimento degli atti cui partecipa" (art. 143, comma 1, cod.
proc. pen.). Disposizione, quest'ultima, che correttamente configura il ricorso
all'interprete non già come un mero strumento tecnico a disposizione del
giudice per consentire o facilitare lo svolgimento del processo alla presenza di
persone che parlino o comprendano
l'italiano, ma come oggetto di un diritto individuale dell'imputato, diretto a
consentirgli quella partecipazione cosciente al procedimento che, come si è
detto, è parte ineliminabile del diritto di difesa; e per questo anche è stata
intesa da questa Corte come suscettibile di essere applicata con la massima
espansione, in funzione della sua ratio (sentenza n. 10 del 1993). Nulla
di simile è invece previsto dalla legge per le persone che siano impedite di
parlare o di ascoltare, ovvero sia di parlare che di ascoltare, da un loro
handicap fisico (sordità, mutismo, sordomutismo), per i diritti delle quali
tuttavia si pongono le stesse esigenze di tutela. Il legislatore ha bensì preso
in considerazione tale situazione, ma a fini insieme più generici e più
limitati: infatti l'art. 119, comma uno, del codice di procedura penale prevede
che "quando Tali
previsioni non riguardano solo l'imputato, ma qualsiasi persona che sia chiamata
o abilitata, nel processo, a rendere dichiarazioni; e contemplano però solo il
caso in cui tale persona-e dunque anche l'imputato -voglia o debba rendere
dichiarazioni, non occupandosi in alcun modo della possibilità per I ' imputato
di seguire tutto ciò che avviene nel processo, indipendentemente dalle domande,
dagli 4
.- E dunque palese I ' insufficienza delle disposizioni di cui all'art. 119 cod.
proc. pen. a soddisfare le esigenze di garanzia effettiva del diritto di difesa
dell'imputato sordo o sordomuto (ma anche dell’imputato muto che sappia
leggere e scrivere, al quale è reso possibile di comunicare solo mediante lo
scritto): sia sotto il profilo della omessa considerazione delle esigenze di
comprensione e di comunicazione proprie dell’' imputato al di là della sola
ipotesi in cui egli debba o voglia rendere dichiarazioni, e più in generale
delle esigenze che derivano dal diritto dell'imputato a partecipare
consapevolmente al procedimento; sia sotto il profilo della esclusione della
assistenza di un interprete quando l'imputato sappia leggere e scrivere. La
lacuna va colmata attraverso una pronuncia di illegittimità costituzionale di
tipo "additivo" che estenda agli imputati che si trovino nelle
condizioni di cui all'art. 119 cod. proc. pen., la forma di tutela già prevista
dall'art. 143 dello stesso codice per l'imputato che non conosce la lingua
italiana, con l'ulteriore precisazione che l'interprete, secondo la regola già
presente nell'art. 119, comma due, dovrà essere scelto di preferenza fra le
persone abituate a trattare Resta
assorbito ogni altro profilo della questione.
Per
questi motivi
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