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Giustizia: sospensione della pena e lavoro di pubblica utilità di Guido Salvini (Gip presso il Tribunale di Milano)
Giustizia.it, 16 novembre 2004
Sospensione condizionale della pena subordinata alla prestazione di un lavoro di pubblica utilità: l’autore della prima applicazione, Guido Salvini - giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano, ci racconta come, in base alla legge 11 giugno 2004 n. 145, ha concesso al condannato la sospensione condizionale della pena subordinata alla prestazione di un’attività non retribuita in favore della collettività, per un periodo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa. La legge 145/04, entrata in vigore in modo quasi inosservato, ispirata dall’esigenza di favorire il percorso di reinserimento del condannato in aderenza al dettato dell’art. 27 terzo comma della Costituzione secondo cui la pena ha una funzione essenzialmente rieducativa, aveva, con alcuni ritocchi tecnici, ridefinito più istituti. In primo luogo aveva inserito la possibilità, sempre esclusa dalla giurisprudenza, di concedere la sospensione condizionale della pena anche in caso di irrogazione di pena detentiva congiunta a pena pecuniaria che, applicati i criteri di ragguaglio di cui all’art. 135 c.p., avesse superato i limiti massimi dei due anni (in tale ipotesi la pena detentiva può ora essere sospesa mentre la meno afflittiva pena pecuniaria deve essere comunque eseguita) e aveva anche accelerato i termini per l’ottenimento della riabilitazione. Ma la modifica più significativa è stata certamente l’introduzione del lavoro di pubblica utilità (già conosciuto dal sistema come vera e propria pena principale per i reati di competenza del giudice di Pace) come condizione subordinante il riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale che si aggiunge a quelli tradizionali costituiti dalle restituzioni o dal risarcimento del danno (per molti reati e in molte situazioni non prospettabili) e alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato (anch’esse sovente concretamente impossibili). In pratica ogniqualvolta la concessione della sospensione condizionale sia, per così dire incerta, la disponibilità dell’imputato a prestare il lavoro di pubblica utilità (in favore dello Stato, delle Regioni, dei Comuni o di organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato) può far pendere la bilancia in favore della concessione del beneficio essendo tale disponibilità sintomatica di una volontà di riabilitazione. L’art. 165 primo comma c.p. nella nuova formulazione prevede che il condannato " non si opponga" alla prestazione di tale lavoro socialmente utile ma nella pratica ciò dovrebbe spesso tradursi non in una "non opposizione" ma in una concreta proposta da parte dell’imputato corredata dall’indicazione e dalla disponibilità dell’Ente presso cui l’opera dovrà essere prestata. Un onere difensivo in sostanza in cui molto conterà l’impegno anche del difensore a rendere possibile l’approntamento di un programma adeguato. La prima applicazione significativa del nuovo istituto a Milano ha riguardato nell’ottobre 2004 il caso di un giovane incensurato e sino al momento del fatto con una regolare condotta di vita, colto in flagranza della detenzione di hashish, sostanza stupefacente "minore" ma che stava trasportando in notevole quantità e cioè quasi 200 chili. Al momento del giudizio abbreviato dinanzi al Gup l’imputato, che già si trovava agli arresti domiciliari, e il suo difensore hanno richiesto al Giudice l’irrogazione di una pena entro i limiti della sospensione condizionale accompagnata però dall’impegno a prestare per otto ore al giorno e per sei mesi un’attività di lavoro volontario per una Cooperativa collegata all’Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare. Allegata alla proposta vi era già la dichiarazione di disponibilità della Cooperativa milanese ad utilizzare l’imputato e il programma giornaliero di lavoro. La richiesta, che ha visto il parere favorevole del Pubblico Ministero, è stata accolta e l’imputato è stato condannato alla pena di due anni di reclusione con la sospensione condizionale subordinata all’obbligo di prestare per un periodo di sei mesi l’attività indicata. L’imputato al termine dell’udienza è stato quindi rimesso in libertà e la prestazione del lavoro socialmente utile, sottoposta al controllo dell’autorità di polizia giudiziaria competente per territorio, è subito iniziata e prosegue senza inconvenienti. La concreta applicazione dell’istituto merita due brevi riflessioni. Molto probabilmente, vista la quantità della sostanza stupefacente sequestrata, non sarebbe stata irrogata una pena rientrante nei limiti della sospensione condizionale se l’imputato non si fosse attivato per proporre un lavoro di pubblica utilità il che significa che il nuovo istituto non può che avere come effetto quello non solo di ottenere una sospensione ma una "contrazione" della pena dovendosi considerare il lavoro di pubblica utilità come una sorta di pena atipica (comunque sottoposta a controlli) che si aggiunge a quella detentiva classica prevista dal codice. In secondo luogo ha pesato nell’accoglimento della complessiva richiesta difensiva la particolare affidabilità del soggetto interessato, non solo del tutto incensurato e sino al momento della commissione del reato normalmente inserito sul piano familiare e lavorativo, ma già in passato impegnato, come è stato in grado di documentare, in attività di volontariato che da un lato hanno permesso la predisposizione del programma di lavoro con la Cooperativa e d’altro lato sono da ritenersi di per sé indicative dell’occasionalità della condotta criminosa. Si tratta di condizioni di partenza per l’applicazione dell’istituto certamente non frequenti e del resto si deve pensare che l’affidabilità del soggetto, che è presupposto l’accoglimento di questa sorta di "sospensione in prova", sia destinata ad essere positivamente individuata solo in un numero ristretto di situazioni. Non si dimentichi del resto che il lavoro socialmente utile è cosa ben diversa da strumenti solo apparentemente analoghi quale l’invio del tossicodipendente in una comunità già largamente applicato. Ciò che si richiede infatti al beneficiario della nuova sospensione condizionale non è la disponibilità ad essere curato ma qualcosa di più: la disponibilità a prendersi cura degli altri (ad esempio un portatore di handicap) o ad aiutare la collettività, consapevolezza e impegno che possono essere assunti solo in un numero limitato di casi. Ciononostante il nuovo istituto introdotto dalla legge 145/04 è certamente importante e condivisibile nelle sue finalità in quanto da un lato la disponibilità alla condotta riparatoria diventa uno strumento concreto per impedire la "desocializzazione" del condannato e d’altro lato la sperimentazione del nuovo istituto riaprirà il dibattito sulle alternative al duopolio pena detentiva -pena pecuniaria visti sinora come quasi unici mezzi di elisione del danno sociale prodotto dal reato.
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