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Giustizia forte con i deboli, ma chi garantisce i diritti? di Alfredo Carlo Moro, giudice minorile
Italia Caritas, giugno 2003
È il cardine di uno stato ben organizzato. E la nostra Costituzione aveva posto le condizioni per renderla davvero uguale per tutti. Ma in Italia, oggi, la giustizia è materia di scontro politico. E rischia di non tutelare le persone più fragili. A cominciare dai minori.
In uno stato autenticamente democratico, i diritti di ogni persona devono essere non solo riconosciuti, ma anche effettivamente garantiti: un adeguato sistema di giustizia è perciò essenziale per assicurare il rispetto dei diritti di tutti, per impedire che il forte possa prevalere sul debole, per ridurre drasticamente le onnipotenze prevaricatorie da chiunque vagheggiate. Il che significa anzitutto che la giustizia deve essere pronta e celere. Una giustizia civile lenta costituisce una irrisione per il cittadino economicamente debole, che non è in grado di aspettare e quindi è costretto a transazioni non sempre giuste. Una giustizia penale lenta facilita invece le prescrizioni (cioè le assoluzioni per decorsi limiti di tempo, non per insussistenza del fatto o assenza di prove- n.d.r.), e perciò premia chi ha strutture difensive tali da poter accortamente dilazionare la definizione di un processo. Ma la realizzazione di un adeguato sistema di giustizia implica anche che, non in astratto ma in concreto, tutti gli uomini siano considerati eguali davanti alla legge, che siano eliminare nicchie sociali di impunità, che le esigenze più giuste (e non quelle più forti) abbiano a prevalere, che chi ha lealmente adempiuto alle leggi del suo paese non sia costantemente vilipeso da chi le ha sistematicamente violate e vede premiato il suo comportamento con sanatorie e condoni. La giustizia è perciò il cardine della vita di uno stato ben organizzato. Non per nulla un costituzionalista inglese affermava, paradossalmente, ma giustamente, che l’esercito e la flotta d’Inghilterra avevano una sola funzione: rendere possibile che il giudice emani le sue sentenze.
Un cammino rallentato. Anzi, invertito...
Verso questo obiettivo il nostro paese stava faticosamente avviandosi. La nostra Carta costituzionale aveva posto le premesse per realizzare una giustizia in grado, almeno potenzialmente, di affermare il controllo di legalità in modo eguale nei confronti di tutti: i principi costituzionali della predeterminazione del giudice competente per legge, della autonomia del giudice dal potere politico, della sua indipendenza anche interna, della eliminazione della carriera affinché il giudice potesse decidere senza timori ma anche senza speranze e della obbligatorietà dell’azione penale costituivano alcuni fondamentali pilastri su cui ancorare un sistema che non si limitasse a perseguire i deboli e gli emarginati nella scala sociale, ma potesse anche controllare i potenti e sanzionare le loro eventuali illegalità, così da poter assicurare in modo egualitario i diritti di tutti. E, sia pure con troppa lentezza, si era incominciato a operare per costruire un sistema giudiziario efficiente ed efficace. Mi sembra di dovere amaramente constatare, però, che nell’Italia di oggi il cammino così faticosamente intrapreso si è non solo rallentato, ma sostanzialmente invertito. Nella misura in cui il sistema delineato dalla Costituzione ha incominciato a funzionare - e la magistratura ha perseguito non solo i reati "di strada" ma anche quelli dei "colletti bianchi" - è infatti esplosa, come era facile prevedere, una rabbiosa reazione. I detentori del potere sono, infatti, oggi in grado di controllare e condizionare, attraverso la propria maggioranza parlamentare, la funzione legislativa, trascurando del tutto apporti e critiche della opposizione: con il sistema dello spoglio della dirigenza amministrativa hanno la possibilità di asservire alle proprie esigenze la pubblica amministrazione, con buona pace del principio costituzionale della sua imparzialità: attraverso la concentrazioni di poteri mediatici hanno la possibilità di catturare il consenso e di far sparire sostanzialmente il dissenso (la magistratura indipendente e autonoma è l’unica variabile incontrollabile, quindi l’unico potenziale pericolo per la sicurezza della irresponsabilità e della impunità). Può dunque meravigliare che qualcuno ritenga indispensabile sottoporre la magistratura a limitazioni e controlli? Che nessuno sforzo sia stato fatto per rendere più efficiente il sistema, e che invece ci si sia impegnati allo stremo - negli ultimi mesi - solo per realizzare riforme processuali che, intervenendo in processi con imputati "eccellenti" rendessero più difficile l’accertamento della verità o la conclusione del processo (vedi le leggi sulle rogatorie e sul legittimo sospetto sul giudice), ovvero per cancellare dall’ordinamento reati di cui sono imputati alcuni detentori del potere (vedi la legge sul falso in bilancio).
Minori: si torna al "genitore padrone"?
In questa strenua difesa dei forti e di sottovalutazione delle esigenze dei deboli va inquadrata anche la stupefacente proposta governativa di soppressione dei Tribunali per minorenni: interrompendo una tendenza verso una sempre maggiore tutela dei diritti dei cittadini di età minore, si viene a sopprimere un fondamentale organo specializzato di tutela: si assicura pienezza di diritti solo al "genitore padrone", che torna a poter fare del figlio ciò che vuole: si cerca di dare apparenti sicurezze al mondo dei benpensanti, sanzionando sempre più pesantemente le devianze giovanili e ricorrendo allo spuntato strumento delle segregazione carceraria, con la conseguente rinuncia alla strategia - l’unica vincente - del recupero del deviante in libertà. Ma se la legge non sarà eguale per tutti, se la giustizia tornerà a essere debole con i forti e forte solo con i deboli, se dalla società civile si leveranno forse perché sapientemente orchestrate voci che esigono con forza l’impunità per i potenti e invece interventi sempre più repressivi e non recuperativi per i "poveracci", se si invocherà vendetta (non giustizia) per alcuni reati che colpiscono beni individuali e molta comprensione per quelli che attentano ai beni collettivi, se si affermerà l’idea che il consenso popolare, comunque ottenuto, rende candido ogni comportamento trasgressivo della legge vigente; se tutto ciò si realizzerà, nel nostro paese la giustizia con la "G" maiuscola ne uscirà sostanzialmente del tutto mortificata. E, con essa, una reale democrazia. |