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La essenziale modificabilità del giudicato sulla pena Università degli Studi di Firenze - Facoltà di Giurisprudenza Relatore: Prof. Fabrizio Corbi - Tesi di laurea di: Maurizio Milani
I provvedimenti clemenziali
Tra le c.d. "cause di clemenza" vengono senz’altro in considerazione l’amnistia, l’indulto e la grazia. Da espressione del potere di "clemenza sovrana" (c.d. indulgentia principis), tipico della concezione assolutistico-teocratica del Monarca come fonte infallibile ed incontestata di giustizia, a strumenti di opportunità politico-sociale oggi, tali misure non sono mai state felicemente conciliabili con alcuna finalità razionale della pena. Non con la finalità retributiva, poiché il provvedimento di clemenza altera senz’altro l’inderogabilità della pena ed il rapporto di proporzionalità fra questa ed il male commesso. Non con la finalità generalpreventiva, poiché ne sviliscono la funzione deterrente. Tanto meno con la funzione rieducativa, in quanto, fatta eccezione per la grazia, l’amnistia e l’indulto sono provvedimenti di carattere generale ed astratto e non fondati su prognosi criminologiche individualizzate. Per quanto riguarda l’amnistia, si tratta di un provvedimento generale ed astratto con cui lo Stato rinuncia all’applicazione della pena per determinati reati. Ai sensi dell’art. 79 Cost., essa, così come l’indulto, viene concessa con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale. La legge in questione stabilisce, inoltre, il termine per l’applicazione dei due benefici e non può applicarsi che per i reati commessi precedentemente alla proposta di delegazione. Ai sensi dell’art. 151 c.p., l’amnistia è propria quando interviene prima della condanna definitiva e ha un’efficacia estintiva completa in ordine al reato contestato. Tuttavia, ai fini della modificabilità del giudicato penale rileva, piuttosto, l’amnistia impropria, in quanto la stessa interviene solo dopo la condanna definitiva, facendo cessare l’esecuzione della pena e le pene accessorie ma non gli altri effetti penali (perciò la condanna costituisce titolo per la dichiarazione di recidiva, di abitualità, di professionalità nel reato ai sensi dell’art. 106 c.p.; non estingue le obbligazioni civili nascenti dal reato; comporta l’impossibilità di ottenere il beneficio della sospensione condizionale della pena o la revoca di quella già concessa). L’amnistia inoltre non si applica per i recidivi, nei casi previsti dai capoversi di cui all’art. 99 c.p., per i delinquenti abituali, professionali o per tendenza, salvo che la legge disponga diversamente. Ai sensi del combinato disposto dagli artt. 151 c. 4 c.p. e 672 c. 5 c.p.p., l’amnistia è condizionata quando la sua applicazione definitiva è subordinata alla dimostrazione dell’adempimento delle condizioni o degli obblighi ai quali la concessione del beneficio è subordinata (es.: adempimento delle obbligazioni civili nascenti da reato). Fino ad allora, l’amnistia condizionata ha l’effetto di sospendere l’esecuzione del provvedimento penale fino alla scadenza del termine stabilito nella legge di concessione o, se non è stato stabilito il termine, fino alla scadenza del quarto mese dal giorno della pubblicazione della legge. Nell’ipotesi di concorso di reati, quando, per effetto non solo di amnistia ma anche di indulto o grazia, la pena dell’ergastolo è estinta, la pena detentiva temporanea inflitta per il reato concorrente è eseguita per intero. Se il condannato ha già interamente subito l’isolamento diurno, la pena per il reato concorrente è ridotta alla metà ed è estinta se il condannato è in espiazione di pena da oltre trenta anni (art. 184 c. 1 c.p.). La Corte costituzionale, con sentenza 14 luglio 1971 n. 175, dichiarò la illegittimità costituzionale dell’art. 151 c. 1 c.p. nella parte in cui non prevedeva la rinunciabilità dell’amnistia: rinunciando, l’imputato potrà essere assolto con tutte le formule previste dal codice di rito, ma anche eventualmente condannato. L’art. 672 c.p.p., disciplinante l’applicazione in fase esecutiva dell’amnistia e dell’indulto, prevede che il giudice dell’esecuzione, previa attivazione del pubblico ministero, dell’interessato o del suo difensore, provvede sulla domanda senza formalità (de plano) ed emette ordinanza che viene comunicata al pubblico ministero e notificata all’interessato (art. 667 c. 4 c.p.p.). In merito all’individuazione del giudice dell’esecuzione competente, si è posta la questione se tale giudice debba essere individuato, nell’ipotesi in cui si tratti di più sentenze comprese in un provvedimento di cumulo e ad una sola delle quali debba essere applicata l’amnistia impropria o l’indulto, nel giudice che ha pronunciato la sentenza divenuta irrevocabile per ultima (art. 665 c. 4 c.p.p.), oppure in quello che ha emesso la sentenza a cui deve applicarsi il beneficio. A rigor di logica, il problema non si pone per l’indulto : infatti la norma sostanziale di cui all’art. 174 c. 2 c.p. stabilisce che, in caso di concorso di reati, l’indulto si applica una sola volta dopo che sono state cumulate le pene, impedendo così ogni diversa soluzione da quella di cui all’art. 665 c. 4 del codice di procedura. Per quanto invece concerne l’amnistia impropria, l’art. 151 c. 2, stabilendo che la stessa, nel caso di concorso di più reati, si applica ai singoli reati per i quali è concessa, fa sorgere appunto la questione se il giudice competente, nel caso di più sentenze cumulate fra loro, debba essere quello ex art. 665 c. 4 c.p.p. oppure il giudice che ha emesso la sentenza oggetto della amnistia impropria ex art. 665 c. 1 c.p.p.. Aderendo alla prima soluzione, verrebbe dilatata la sfera applicativa dell’art. 665 c. 4 c.p.p. in quanto il giudice dell’esecuzione così come individuato dalla norma suddetta dovrebbe occuparsi di una questione riguardante non l’insieme dei provvedimenti da eseguire, bensì uno solo di essi. Nel secondo caso, invece, si andrebbe incontro ad una applicazione eccessivamente rigida del disposto in questione laddove, a fronte di più provvedimenti irrevocabili tutti in esecuzione, uno solo sia oggetto del giudice dell’esecuzione. La Corte di Cassazione ha affermato, con due importanti pronunce, che qualora l’esecuzione riguardi un solo provvedimento, trova applicazione la regola di cui all’art. 665 c.1 c.p.p., anche se sono intervenuti più provvedimenti di condanna; e che circa la determinazione del giudice competente per l’esecuzione di una sentenza, la norma di cui al comma 4 dell’art. 665 c.p.p. non trova applicazione solo perché vi sia coesistenza di più provvedimenti a carico della stessa persona, essendo necessario una pluralità di provvedimenti di giudici diversi da cui derivi la stessa questione esecutiva. Da ciò ne consegue che se sorge una questione che riguardi uno solo fra più giudicati, in tal caso deve osservarsi la disciplina di cui all’art. 665 c. 1 c.p.p.. Conformemente, in dottrina, si è sostenuto che l’espressione codicistica "se l’esecuzione concerne più provvedimenti emessi da giudici diversi.." deve intendersi nel senso che la unificazione della competenza opera solo se l’esecuzione coinvolge effettivamente più provvedimenti. Quindi, se la questione investe l’esecuzione di più provvedimenti cumulati, sarà competente il giudice dell’ultima condanna; se invece, pur in presenza di un cumulo di pene concorrenti, la questione incide su di un singolo provvedimento, sarà competente il giudice della singola condanna. Secondo un altro contrastante indirizzo, giudice competente è invece quello che ha pronunciato la sentenza divenuta irrevocabile per ultima anche se questa condanna non è relativa alla pena a cui va applicata l’amnistia, attuandosi così una interpretazione estensiva del disposto di cui all’art. 665 c. 1 del codice di rito ed ispirandosi al principio, affermato concordemente in dottrina quanto in giurisprudenza, circa l’unicità del giudice dell’esecuzione dovendo ogni questione che incide sull’esecuzione penale essere decisa dall’unico organo giurisdizionale deputato dal legislatore per la fase esecutiva. Nonostante questi contrasti, si deve affermare che, se è pur vero che il codice prevede la specifica norma ex art. 665 c. 4 c.p.p. solo per l’ipotesi in cui la specifica questione esecutiva riguardi l’insieme dei provvedimenti da eseguire, deve altresì essere considerato il riflesso dell’applicazione dell’amnistia su tutte le sentenze in esecuzione, nonostante l’amnistia possa riguardare uno solo dei provvedimenti cumulati. In questo senso, anche se l’amnistia impropria, pur potendo riguardare più di un provvedimento, non costituisce una questione esecutiva che investa la pluralità dei provvedimenti nel loro complesso, deve ritenersi che, per l’indubbia influenza che la stessa ha comunque sul provvedimento di cumulo, il giudice competente sia da individuarsi in quello che ha pronunciato la sentenza divenuta irrevocabile per ultima ai sensi dell’art. 665 c. 4 c.p.p..
Come l’amnistia, anche l’indulto è un provvedimento generale ed astratto, ma ne differisce in quanto opera esclusivamente sulla pena principale che, ai sensi dell’art. 174 c.p., viene condonata in tutto od in parte o commutata in un’altra specie di pena stabilita dalla legge. Mentre con il condono si ha una vera e propria estinzione, totale o parziale, della pena in concreta inflitta con la sentenza di condanna, con la commutazione si ha la sostituzione della pena applicata con un’altra di specie diversa. La commutazione rimane pur sempre una causa estintiva che opera sul concreto rapporto esecutivo e ne modifica oltre che quantitativamente anche qualitativamente le modalità di svolgimento: sostanzialmente unitaria è quindi la natura dell’indulto nel caso di condono così come nel caso di commutazione. L’applicazione dell’indulto non presuppone una condanna irrevocabile, anche se è nella fase esecutiva che esso trova, per così dire, il suo giudice naturale. Il problema dell’operatività dell’indulto ha, essenzialmente, come suo logico presupposto che si sia in presenza di una sentenza passata in giudicato, che deve essere eseguita o che è in corso di esecuzione. La concessione dell’indulto non estingue le pene accessorie, salvo che la legge disponga diversamente, e neppure gli altri effetti penali della condanna. Valgono per l’indulto le stesse osservazioni fatte per l’amnistia impropria, in tema di concessione e di ipotesi ostative alla stessa, di obblighi e condizioni, nonché nell’ipotesi di cui all’art. 184 c. 1 del codice penale. Qualora, per effetto dell’indulto, non debba essere eseguita la pena dell’ergastolo, il condannato è sottoposto a libertà vigilata per un tempo non inferiore a tre anni (art. 210 c. 3 c.p.). Giova, a questo punto, fare alcune considerazioni comuni ai due istituti appena visti. L’esigenza fondamentale che ha portato alla revisione dell’art. 79 Cost. da parte della L. cost. 6 marzo 1992 n. 1 ovvero l’abnorme ricorso, sotto il profilo quantitativo, a tali strumenti per fronteggiare i problemi di contenimento di un sistema carcerario del tutto insufficiente, ha di fatto snaturato la loro natura di mezzi straordinari, il cui ricorso appare compatibile solo con reati commessi in situazioni eccezionali ed a condizione del sopravvenire di circostanze tali da condurre a considerare tali reati, in quanto legati ad un momento storico ormai superato, non più offensivi della coscienza sociale.
A differenza dell’amnistia e dell’indulto, la grazia è un provvedimento particolare, in quanto si riferisce solo ad una determinata persona. La grazia è veramente l’espressione più completa e propria, se non addirittura l’unica, della c.d. potestà di clemenza. La sua concessione rientra nei poteri esclusivi del Capo dello Stato (art. 87 c. 11 Cost.) che, di regola, provvede previa proposta del Ministro di Grazia e Giustizia. Sotto un profilo di diritto costituzionale, la grazia pare ascrivibile alla specie degli atti di governo o "politici", in tal modo distinguendosi nettamente dagli atti del Capo dello Stato estrinsecantesi in decreti di natura amministrativa. La natura di atto di governo o "politico" si deduce dalla circostanza che il relativo decreto di concessione è sottratto al tipico controllo dei decreti amministrativi a firma del Capo dello Stato, costituito dal visto e dalla registrazione della Corte dei Conti; nonché dall’essere un atto a fini predeterminati cosicché può essere data per gli scopi più vari, non solo umanitari, senza che ciò possa mai configurare un vizio di eccesso di potere. La legge, sia quella penale che costituzionale, configura un particolare potere il cui esercizio, allorché la grazia sia definitivamente applicata, determina, al di fuori dell’intervento del giudice, la cessazione o la modifica del principale effetto giuridico della sentenza irrevocabile di condanna e cioè dell’applicazione della pena. Per quanto riguarda, più in particolare, i provvedimenti preordinati e successivi alla concessione del beneficio, la grazia può essere concessa su istanza dell’interessato o dagli altri soggetti a ciò legittimati dall’art. 681 c. 1 del codice di procedura. Sempre l’art. 681 c.p.p. al secondo comma prevede che in caso di domanda di grazia da parte di detenuto o internato, la domanda può essere presentata al magistrato di sorveglianza che esprime un motivato parere sulla istanza stessa fornendo un’attendibile rappresentazione della personalità del soggetto, previa acquisizione anche delle osservazioni del procuratore generale presso la Corte d’appello. Dopodiché, il magistrato trasmette la domanda al Ministro di Grazia e Giustizia. Nel caso, invece, di condannato in libertà, la domanda può essere trasmessa direttamente al procuratore generale succitato il quale, a sua volta, acquisite le opportune informazioni, la trasmette al Ministro di Grazia e Giustizia. L’esecuzione del decreto presidenziale che concede la grazia e l’emissione contestuale dell’ordine di scarcerazione del soggetto, se detenuto, appartengono al pubblico ministero presso il giudice indicato nell’art. 665 c.p.p., ovvero presso il giudice che ha deliberato la condanna oggetto di grazia (art. 681 c. 4 c.p.p.). La grazia, ai sensi dell’art. 681 c. 4 c.p.p., può essere concessa dal Presidente della Repubblica anche senza previa istanza da parte dei soggetti legittimati o una previa proposta del consiglio di disciplina nel caso di condannato detenuto o internato. A differenza dell’indulto, la grazia presuppone quindi una condanna irrevocabile, ma, come l’indulto, condona in tutto od in parte la pena inflitta o la commuta in un’altra specie di pena. Lascia quindi sussistere le pene accessorie (salvo che il decreto non disponga diversamente) e gli altri effetti penali della condanna (art. 174 c.p.). Come l’amnistia e l’indulto, anche la grazia può essere condizionata ed in questo caso si ha un’altra dimostrazione dell’ampiezza ed indeterminatezza del potere del Presidente della Repubblica: le condizioni che più di frequente vengono apposte sono quelle che stabiliscono la revoca del beneficio ove, in un determinato periodo di tempo, il condannato riporti altra sentenza di condanna; oppure quelle con cui si dispone che il beneficio sia subordinato al risarcimento, entro un periodo determinato di tempo, dei danni della parte lesa. Peraltro, nulla vieta che la grazia sia subordinata ad altre condizioni più idonee a meglio realizzare la finalità dell’istituto. Quando la grazia è condizionata, si applica lo stesso disposto previsto dall’art. 672 c. 5 c.p.p. per l’indulto e l’amnistia. Anche per la grazia vale quanto disposto dall’art. 210 c. 3 c.p. circa la pena dell’ergastolo, nonché dall’art. 184 c. 1 c.p. per l’ipotesi di estinzione dell’ergastolo e di pena temporanea nel caso di concorso di reati. Quando si parla di grazia è necessario porre anzitutto l’accento sulle esigenze di giustizia e di equità del caso singolo in quanto ogni provvedimento mira a porre l’accento su quelle condizioni di ordine personale, di ordine familiare o anche di ordine giuridico che rendono giustificato per il caso singolo il ricorso alla clemenza. In ordine ad un provvedimento del genere, ogni valutazione di ordine meramente giuridico sarebbe riduttiva. Appare inevitabile, quindi, soffermarsi brevemente sul fondamento eminentemente politico del beneficio in questione, soprattutto quando si consideri che lo stesso viene concesso per pene considerevolmente lunghe consentendo di intervenire quando la c.d. rieducazione sia avvenuta e quando il protrarsi dello stato di detenzione si rivelerebbe inutile se non addirittura dannoso. Tuttavia, sotto un profilo generale può dubitarsi della sua compatibilità con la posizione di supremazia riconosciuta alla legge negli ordinamenti costituzionali moderni, posizione che costituisce un aspetto fondamentale del cosiddetto stato di diritto. Solo un uso eccezionale di questo strumento sarebbe un presupposto per poter affermare la compatibilità della grazia con gli ordinamenti di oggi.
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