|
Ministero della Giustizia - Dipartimento Amministrazione Penitenziaria Provveditorato Regionale della Calabria Facite - Fondazione di culto e religione. Promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana
"Da esclusi a cittadini. Il contributo del volontariato nel recupero e nel reinserimento sociale dei detenuti"
Introduzione
Parte Prima (Tavola rotonda)
Parte Seconda (Lavori di gruppo)
Parte Terza (Conclusioni)
Introduzione
Il ruolo del Volontariato nel settore penitenziario è stato per molto tempo sottovalutato. Per troppi anni i volontari nelle carceri hanno prodotto i loro interventi in silenzio, senza condividere le loro esperienze con la collettività. La Legge 266 del 91, l’Ordinamento Penitenziario ed il Regolamento d’Esecuzione del 2000, attribuiscono al Volontariato un valore insostituibile, un ruolo di congiunzione tra il "dentro" ed il "fuori", tra un’istituzione totale e la comunità esterna, considerandolo concreta espressione di solidarietà in una realtà che ha bisogno di particolare attenzione. Nella Regione Calabria il Volontariato vanta una lunga tradizione, anche se non estesa in modo omogeneo in tutti i penitenziari, ed opera con un numero limitato di persone. I 34 volontari che operano con l’art. 78 O.P., negli Istituti e nei Centri della Regione offrono quotidianamente un valido contributo nell’organizzazione di attività finalizzate al reale recupero e reinserimento sociale del detenuto. La giornata di studio "da esclusi a cittadini: il contributo del Volontariato nel reinserimento sociale dei detenuti", tenutasi a Lamezia Terme l’11 giugno 2003 ha visto come protagonisti circa 200 partecipanti fra operatori penitenziari e volontari. E’ stata l’occasione per analizzare le realtà attuali e le prospettive future del Volontariato penitenziario in Calabria, poiché si avverte sempre di più l’esigenza di progettualità integrate nel campo della promozione, della formazione e del coordinamento di questa insostituibile componente dell’esecuzione penale. Gli atti che qui si presentano costituiscono le premesse per una riflessione sul ruolo attuale del Volontariato, sulla necessità di una sua formazione permanente, e offrono lo spunto per l’elaborazione di progetti integrati sempre più rispondenti alle moderne concezioni dell’espiazione della pena.
A cura di Dr. Mario Nasone- Direttore Ufficio Esecuzione Penale Esterna Dr.ssa Maria Concetta Siriani – Assistente Sociale Dr.ssa Giuseppina Di Pinto - Collaboratore
SALUTI Provveditore Regionale della Calabria – Dirigente Generale - Dottor Paolo Quattrone.
Ringrazio tutti per la partecipazione, un ringraziamento particolare ai relatori. L’incontro di oggi vuole costituire un momento di riflessione sull’insostituibile ruolo del Volontariato nell’esecuzione della pena, e soprattutto di analisi delle realtà attuali e delle future prospettive del volontariato penitenziario in Calabria, poiché si avverte, sempre più, l’esigenza di progettualità integrate nel campo della promozione, formazione e coordinamento di questa importante componente del sistema dell’esecuzione penale. In prospettiva abbiamo in mente di organizzare con la FACITE un scuola per il Volontariato, dove si svolgeranno dei corsi di formazione affinché chi si avvicina al mondo del penitenziario abbia una conoscenza, la più ampia possibile, della vita e delle dinamiche che sono alla base del sistema penitenziario. Questo incontro di oggi si colloca in una fase importante di rinnovamento per l’amministrazione penitenziaria della Calabria e quindi per tutti coloro che si troveranno ad interloquire con essa. Il protocollo d’intesa, che andremo a sottoscrivere con la Regione Calabria, riguarderà infatti tutti i settori del penitenziario con progetti integrati per quanto riguarda l’assistenza sanitaria ai detenuti, la tossicodipendenza, i sex offenders, i poli universitari, i poli scolastici, i poli lavorativi. Abbiamo già trasmesso al signor Capo del Dipartimento, la riorganizzazione del nuovo circuito penitenziario della Regione Calabria. E’ alla sua attenzione. Successivamente procederemo ad una ridistribuzione della popolazione detenuta essendo state previste nella Regione Calabria diverse sezioni di reclusione presso alcuni Istituti di notevole complessità gestionale, quali la Casa Circondariale di Vibo Valentia e di Catanzaro. La Casa Circondariale di Rossano Calabro è stata individuata esclusivamente come Casa di reclusione. Un’altra sezione verrà istituita presso la Casa Circondariale di Cosenza e presso la Casa Circondariale di Paola. Nel reggino, invece, abbiamo individuato l’ex casa mandamentale di Laureana di Borrello come Istituto Sperimentale di custodia attenuata per giovani ed a Reggio in località Arghillà sorgerà la nuova casa di reclusione. Apriremo quell’Istituto entro due anni e mezzo, anche se spero di avere delle assicurazioni più rapide dal Sindaco Scopelliti con il quale ci incontreremo alla fine del mese. Abbiamo ottenuto un finanziamento di 27 miliardi con i quali completeremo questa struttura nella quale è prevista l’istituzione di una colonia agricola. Abbiamo ottenuto dei finanziamenti per le carceri calabresi, 10 miliardi per Reggio Calabria, con i quali verrà ristrutturato e adeguato funzionalmente S. Pietro, 8 miliardi per Locri, 8 miliardi per Cosenza, 2 miliardi e mezzo per Paola. Questo per quanto riguarda la manutenzione straordinaria degli stabili del demanio, a questa manutenzione straordinaria si aggiunge una manutenzione ordinaria con i fondi che l’Amministrazione ci assicura nel corso dell’esercizio finanziario. L’adeguamento funzionale delle carceri sta vedendo anche la partecipazione e il contributo della popolazione detenuta. In tutte le strutture penitenziarie abbiamo chiesto ai signori Direttori di avviare al lavoro i detenuti perché noi riteniamo che il lavoro sia lo strumento cardine del trattamento e dia anche la possibilità di fare delle attente verifiche. Noi dobbiamo accertare, anche per dare un’ utile indicazione ai Tribunali di Sorveglianza, se quella scelta di vita criminale che ha caratterizzato i soggetti che hanno fatto ingresso in Istituto, vuole essere accantonata dagli stessi o meno. Questo ci darà anche la possibilità, di utilizzare in ogni singolo Istituto penitenziario il nuovo modello di lavoro della Pubblica Amministrazione, che è quello del lavorare per progetti. Riteniamo assieme alla Facite, che sia importante organizzare dei corsi di formazione integrati, il primo, PROMOFOL, inizierà a ottobre. Questi corsi vedranno impegnati gli operatori penitenziari ed è nostra intenzione estenderli a tutti gli operatori che si avvicinano al settore penitenziario, come gli operatori delle ASL, gli operatori della Regione, e degli Enti Locali, affinché vi sia la giusta comunicazione fra operatori che lavorano in Istituto anche se appartenenti ad istituzioni diverse. Il nostro progetto, come Amministrazione Penitenziaria, è quello di rilanciare gli Istituti penitenziari della Regione Calabria. Chiaramente non siamo dei profeti isolati, da soli non ce la potremmo mai fare né io, né le Autorità politiche, né chi si avvicina al carcere con grande sensibilità e con grande attenzione. Abbiamo l’esigenza di avere il vostro contributo, il contributo degli operatori di tutti gli enti, dobbiamo rimboccarci le maniche e tutti assieme metterci a lavorare in modo serio, il più possibile produttivo. Ci tenevo poi a chiarire una cosa, ne parlavo poco fa con l’Onorevole Chiarella, vi do delle informazioni ufficiali perché c’è in atto una disinformazione serpeggiante nei confronti dell’Amministrazione Penitenziaria e nei confronti di chi la rappresenta in sede periferica. Si parla di chiusura di Istituti, di dismissione delle carceri. E’ un falso, chi dice queste cose è un disonesto perché noi non solo non chiuderemo le carceri, ma le adegueremo funzionalmente e apriremo carceri in Calabria. Voi tutti poi verificherete quanto siano infondate tali notizie. Qualcuno ha detto che verrà chiuso il carcere di Lamezia Terme. Non corrisponde per niente alla realtà. Noi abbiamo, giustamente, fatto una verifica in questi giorni presso la struttura penitenziaria, e abbiamo ritenuto che quell’Istituto, che è stato quasi totalmente adeguato funzionalmente, debba essere completato. Abbiamo quindi l’esigenza di avere una cucina dignitosa per la popolazione detenuta, delle sale colloqui adeguate all’attuale normativa, e rendere adeguati anche gli ambienti di lavoro dei nostri collaboratori, del personale della Polizia Penitenziaria e del personale amministrativo. Non è accettabile che una struttura venga adeguata parzialmente. Abbiamo quindi l’esigenza di completare questo penitenziario. Non andremo da subito nel reggino, ma sappiamo, che dovremmo chiudere la Casa Circondariale di Locri, perché un suo adeguamento funzionale completo prevede la chiusura temporanea per 6 - 8 mesi. Nell’ambito della riorganizzazione del nuovo circuito penitenziario ci saranno moltissime sorprese, di cui mi dispiace non potervi anticipare nulla, perché sono all’attenzione del signor Capo del Dipartimento e, quindi, c’è la necessità di avere comunicazioni formali circa l’avvenuta approvazione. Successivamente farò la verifica dell’organico di tutte le strutture penitenziarie per utilizzare al meglio le risorse umane perché in questa realtà territoriale vi sono degli Istituti che hanno un esubero di personale, e altri che hanno una carenza. Da ciò diremo al Dipartimento che è ora di fare chiarezza. Non è concepibile mantenere nelle piante organiche delle strutture penitenziarie della Regione, decine di operatori che sono distaccati da anni presso altre sedi di servizio, quali il Dipartimento, ma continuano a risultare nel totale regionale, ed altri operatori che sono distaccati al Provveditorato. Non esiste una pianta organica regionale, l’ho preparata ma ho bisogno dell’approvazione in modo da stabilire il numero di operatori che deve lavorare in ogni singola struttura penitenziaria. Vi chiedo scusa se mi sono dilungato ma mi è parso opportuno, oltre che un breve saluto, darvi qualche informazione per avere una migliore conoscenza delle nostre problematiche, e dei progetti che l’Amministrazione Penitenziaria, in sede periferica, ha intenzione di realizzare. Ho verificato personalmente e ho preso atto del grande impegno di tutti gli operatori della Regione. Ho visto un grande attivismo nelle strutture penitenziarie, un impegno straordinario da parte degli operatori di tutte le aree professionali, dell’area educativa, amministrativo-contabile, dell’area della sicurezza. Veramente la nostra è una progettualità molto ambiziosa. Sappiamo però, che perché possa avere riuscita, deve essere condivisa da voi, e che tutti insieme dobbiamo impegnarci quotidianamente per poterla attuare nel più breve tempo possibile.
PRESENTAZIONE Sac. Antonino Iachino – Presidente Fondazione FACITE Sono particolarmente lieto di porgere il benvenuto a tutti i partecipanti a questo convegno, o meglio, a questa giornata di studio sul Volontariato penitenziario. Il Provveditorato regionale dell’Amministrazione Penitenziaria ha chiesto la collaborazione della fondazione Facite per realizzare questo incontro considerata la specifica competenza che la fondazione ha maturato in questi anni nel campo della formazione e della promozione, in particolare, del Volontariato. Come abbiamo scritto nel depliant-invito, "questo incontro si prefigge di analizzare le realtà attuali e le prospettive future del Volontariato penitenziario in Calabria poiché si avverte sempre di più l’esigenza di progettualità integrate nel campo della promozione, formazione e coordinamento di questa importante componente del sistema dell’esecuzione penale". Il dott. Livio Ferrari, presidente della Conferenza Nazionale del Volontariato Giustizia, che rappresenta gran parte del volontariato svolto nei penitenziari, dottor Livio Ferrari, riassume così efficacemente il valore civile dell’opera prestata nelle carceri: "La qualità della vita che esprime una società, è data dal tenore di coinvolgimento, intervento e proposizione che viene manifestata dai soggetti del territorio. Tutto il carcere, pur non essendo un posto normale, è comunque parte del territorio e ha bisogno di attenzione come ogni altro luogo dove si consuma l’esistenza". La Legge 266 del 91 riconosce al Volontariato un valore sociale ed una funzione di particolare rilevanza. Lo considera concreta espressione di solidarietà e di partecipazione della comunità. L’Ordinamento Penitenziario e il Regolamento d’Esecuzione del 2000, considerano il Volontariato come presenza rilevante nel reinserimento sociale delle persone che vivono l’esperienza carceraria, anzi arrivano ad indicare anche quando la presenza del Volontariato deve essere auspicata, ricercata e sollecitata. Il contributo del Volontariato è sempre più importante, da un lato per organizzare attività che rendano più sopportabile la condizione dei detenuti, dall’altro per rendere possibile l’applicazione di misure alternative che, senza il ruolo del Volontariato, sarebbero ancora meno utilizzate. Del ruolo del Volontariato nelle carceri si parla poco, e questo è un male, anche perché il Volontariato penitenziario, laddove ben organizzato, è una delle poche realtà, previste dalla Riforma, che funziona seriamente, come gli stessi operatori riconoscono. Riporto ancora qualche altra osservazione del dottor Livio Ferrari: "per troppi anni i volontari, nel carcere, hanno prodotto il loro intervento senza che questo fosse di pubblico dominio e, pertanto, le energie e le esperienze non sono state condivise con la collettività". Inoltre, molti penitenziari, specialmente del Sud, dove il Volontariato, come sappiamo, è ancora molto limitato, non hanno del tutto superato il pregiudizio che li porta a vedere i volontari, al massimo, come una risorsa sulla quale scaricare alcune incombenze, specialmente di ordine materiale e di emergenza, e non come protagonisti della vita carceraria da trattare alla pari. "La presenza dei volontari in carcere non vuole essere funzionale e di supplenza, bensì l’intervento di un territorio che non delega, e desidera sempre di più colmare la distanza tra il "dentro" ed il "fuori", affinché nelle politiche sociali, dell’Ente locale non si continui colpevolmente ad omettere gli interventi sul carcere, nella sottolineatura che il carcere non è un luogo normale". Solo così sarà possibile restituire al carcere il suo ruolo di recupero, e non di ammasso, dei detenuti. Perché, come diceva il Beato Giovanni XXIII°, il Papa buono e santo, "non bisogna guardare l’uomo attraverso i suoi errori, ma gli errori attraverso l’uomo, perché l’uomo è sempre più grande dei suoi errori". La FIVOL, nel 2000, ha pubblicato una ricerca sulle organizzazioni di volontariato nel settore giustizia, dopo aver censito 351 organizzazioni. Le Organizzazioni di volontariato che operano, in Italia, nel campo della Giustizia, sono di dimensioni medio-piccole. Il numero medio di operatori è pari a 45, ma, se si considerano solo i volontari attivi, il numero scende a 13, mentre ben il 40% non supera i 10 volontari. Ma le realizzazioni non sono tutte uguali: lo studio FIVOL ne distingue tre tipi fondamentali. Il primo è quello delle piccole associazioni, che in genere operano da molto tempo nelle carceri. E’ un volontariato di natura religiosa che ha un punto di riferimento nei cappellani degli Istituti e che non crea una reale collaborazione con gli operatori penitenziari. Il suo scopo principale è dare sostegno morale ed una piccola assistenza materiale ai detenuti. Il limite di questi gruppi è quello di raggiungere solo una piccola parte della popolazione carceraria. Il secondo tipo è quello che organizza progetti all’interno delle carceri: formazione, recupero scolastico, orientamento professionale, biblioteca ecc. C’è però il rischio che queste attività restino precarie, legate all’iniziativa delle organizzazioni, e non di rado nascono e muoiono con le risorse del volontariato. La terza categoria è quella delle organizzazioni più grosse strutturate, che si occupa sia di detenuti che di ex detenuti, che intrattiene rapporti con la Direzione del carcere e con i Servizi Sociali per gestire al meglio le persone alle quali sono state concesse le misure alternative o sostitutive alla detenzione, e che sono state sostanzialmente affidate dalle stesse organizzazioni. Spesso a queste attività si aggiungono quelle di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sui temi legati alle carceri ed a sostegno delle Leggi che permettono un recupero sociale dei detenuti. Cresce in queste organizzazioni la propensione ad operare in collaborazione, quando non in convenzione, con le Istituzioni pubbliche, oltre alla volontà di reclutare anche operatori professionali. Sono quelli che fanno più frequentemente parte di coordinamenti e federazioni, ed in quanto tali sono invitati a partecipare ai tavoli di programmazione e di consultazione. Dal punto di vista geografico, la maggior parte delle organizzazioni è concentrata al Nord e al Centro, in minor al Sud, dove c’è una prevalenza di piccole associazioni giovani che intrattengono rapporti più con la Chiesa che con il pubblico, attente al recupero scolastico, alla formazione religiosa ed ad interventi di assistenza nell’emergenza. Comunque si evidenzia una crescente credibilità del volontariato come parte in causa del sistema carcerario, anche se da parte delle organizzazioni non mancano le lamentele per i vincoli burocratici che ostacolano i rapporti con gli Enti pubblici. Il pubblico e talvolta anche la stessa Istituzione penitenziaria, fatica a considerare le organizzazioni di volontariato come un aiuto in grado di migliorare la qualità del carcere, a vincere pregiudizi e diffidenze. Il lavoro del volontariato deve essere inserito dentro un "progetto carcere" o un "progetto giustizia" - laddove c’è la volontà o la cultura a realizzarlo - ; e quindi occorre considerare tale lavoro in termini strategici in vista di un miglioramento complessivo dell’offerta nel penale. Non possono, però, essere tenuti nascosti i limiti delle stesse organizzazioni di volontariato, spesso non riconosciuti, che evidenziano scarso livello organizzativo e carente preparazione. Se è vero che il grado di vivibilità di un carcere è dato dalla qualità delle attività prodotte e dalla presenza costruttiva dei rappresentanti del territorio, queste presenze sono assai necessarie per svuotare il carcere da quel senso di separatezza e lontananza dalla città che lo pervade, per creare i presupposti per un effettivo reinserimento delle persone detenute che sentano di usare costruttivamente il loro tempo ed investire per il futuro che, per forza di cose, è fuori dalle mura. Nella nostra Regione, la presenza del Volontariato penitenziario è una realtà che ha una lunga e consolidata tradizione, anche se non è estesa in modo omogeneo in tutti i penitenziari ed opera con un numero ristretto di persone. Si ritiene insufficiente la formazione e la qualificazione dei volontari, soprattutto in vista di una presenza più costante e fattiva a favore dei soggetti ammessi all’esecuzione penale esterna in notevole crescita. Non basta più una presenza del volontariato che svolga benemerite iniziative assistenzialistiche, ma si richiede un volontariato capace di svolgere un ruolo culturale e promozionale di alto valore. Sento il bisogno personalmente di esprimere viva gratitudine al Provveditorato della Calabria, ed al Provveditore dottor Quattrone in modo particolare, per le iniziative che sta svolgendo, e che vuole svolgere con più continuità e profondità, per coordinare meglio il volontariato penitenziario al fine di una crescita culturale e qualitativa, anche in collaborazione con altri organismi, ed in particolare con le Caritas Diocesane, che nella promozione e formazione del volontariato devono investire sempre di più intelligenza ed energia. Aver chiesto alla fondazione Facite - espressione operativa della Conferenza Episcopale Calabra - di realizzare attività formative in questo settore, è un atto di fiducia nella presenza della Chiesa, che vuole essere soprattutto accanto ai poveri, alla sequela del Signore. Concludo ringraziando in modo particolare i relatori di questo convegno e tutti voi per tutto quello che riuscirete a produrre soprattutto nei lavori di gruppo del pomeriggio.
MODERATORE Dottor Mario Nasone – Direttore Ufficio Esecuzione Penale Esterna
Vedremo insieme di proseguire il lavoro di questa giornata che è abbastanza impegnativo. Come Provveditorato ci aspettiamo da questa giornata dei frutti in termini di proposte, di indicazioni, ma soprattutto di programmazioni comuni rispetto a questo compito importante che ci viene dal titolo di questo incontro di oggi: "Da esclusi a cittadini. Il contributo del volontariato nel recupero e nel reinserimento sociale dei detenuti". Questo è un tema che deve vedere l’Amministrazione Penitenziaria ed il volontariato accomunati in un unico impegno. Leggendo questo titolo mi sono venute in mente due frasi che diceva spesso Luciano Tavazza, uno dei fondatori del volontariato italiano: "Il volontariato si deve concepire non come un fine ma come un mezzo; il fine del volontariato non è quello di aumentare di numero ma è quello di costruire una società solidale". Ciò significa, nel contesto che analizziamo oggi, costruire una società che sia attenta, accogliente, inclusiva delle persone che hanno difficoltà, e tra queste ci sono le persone che hanno, o hanno avuto problemi, con la Legge. L’altra frase che diceva sempre Luciano Tavazza era questa: " Il volontariato funziona bene laddove le Istituzioni funzionano bene", quindi, non supplenza, ma un volontariato inserito in strutture pubbliche efficienti e che fanno la loro parte. Il discorso che faceva il Provveditore quando parlava di progettualità e di tutto quello che riguarda i programmi sia all’interno sia all’esterno delle carceri, credo sia un discorso importante proprio perché va in questa direzione. Noi non vogliamo un volontariato a cui delegare quelli che sono i compiti dell’Amministrazione, ma un volontariato che si inserisca pienamente all’interno di scelte, comportamenti ,anche coraggiosi che dobbiamo attuare innanzitutto noi come Amministrazione Penitenziaria. Su questa logica indirizzeremo il discorso odierno che è un discorso soprattutto di prospettive. Vorremmo che da questa giornata venissero fuori delle linee guida, delle scelte, delle disponibilità, per lavorare nei prossimi anni sempre più insieme su progetti concreti. Il programma del pomeriggio è dedicato ai lavori di gruppo suddivisi in ambito territoriale. Sarà un momento in cui ci troveremo a dialogare ta soggetti che operano nella stessa realtà locale. Collaborare concretamente tra noi è l’aspetto forse più importante, è il momento in cui ognuno, o come operatore dell’Amministrazione, o come volontario, deve dire quali sono i percorsi, quali sono le idee, quali sono i progetti che vuole realizzare in quel territorio specifico in modo che, alla fine della giornata, possiamo raccogliere le proposte per consentire al Provveditore di trarre le conclusioni. Iniziamo la tavola rotonda che è composta da persone particolarmente qualificate che hanno un’esperienza professionale, ma direi anche umana, importante, che ci possono dare degli input forti in questo settore e ci possono aiutare a far luce e chiarezza. Ve li presento brevemente. Monsignor Bregantini, vescovo di Locri e Gerace. Conosce molto bene il carcere perché è stato cappellano, una persona che lo ha vissuto dall’interno. Mi raccontavano che ancora oggi, nel carcere di Crotone, in qualche cella ci sono le foto del vescovo Bregantini a testimonianza del ricordo molto bello che ha lasciato. Ha continuato la sua missione pastorale a Locri. E’ quindi una persona ricca di esperienza che ci può dire moltissimo su quello che è il senso del fare volontariato rispetto all’ispirazione cristiana ed ai valori che lo muovono. Il dottor Rebuzzini è il presidente del consorzio "Nova Spes" della Caritas Ambrosiana di Milano. Ha un’esperienza consolidata soprattutto per ciò che riguarda l’inserimento lavorativo e sociale dei detenuti che è una delle grandi sfide che ci attende in Calabria. La dottoressa Carmen Bertolazzi, vice presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, fa parte anche dell’"ARCI – Ora d’aria ", una delle associazioni più attive nel settore penitenziario. Il Consigliere Regionale Egidio Chiarella che, oltre ad essere consigliere regionale, è anche Presidente, nella sua qualità di consigliere, del Comitato di gestione dei Centri di Servizio per il Volontariato a livello regionale. E’, quindi, persona qualificata, a parlarci di volontariato. L’onorevole Chiarella mi ha chiesto di parlare per primo per impegni istituzionali.. Inizierei da lui, riproponendo quell’idea che il Provveditore Quattrone ha lanciato all’inizio per quanto riguarda l’istituzione di una scuola per il volontariato della giustizia. Quest’idea è stata "un assist" che vi ha dato per vedere se il progetto di creare una struttura permanente che aiuti il volontariato a formarsi, a crescere in termini di qualità, possa essere raccolta dalla Regione Calabria. Anche da questo punto di vista la Regione Calabria nel Protocollo di intesa che andremo a firmare, prende degli impegni assieme a noi per promuovere, sostenere il volontariato, e finanziarne i progetti. Sappiamo bene che in Calabria le risorse finanziarie sono scarse, ma vorremmo che arrivasse qualche segnale anche in questo settore. La scuola potrebbe essere un segnale ma c’è anche un ampio discorso da sviluppare sulla Legge 328. L’attuazione di questa Legge sarà importantissima anche per noi che ci occupiamo di esecuzione penale.
Il ruolo della Regione Calabria per la promozione del volontariato penitenziario On. Egidio Chiarella – Consigliere Regionale – Presidente Comitato di Gestione dei Centri di Servizio per il Volontariato
Intanto grazie per l’invito che viene dopo l’esaltante esperienza positiva vissuta a Reggio Calabria in un convegno di alto spessore culturale ed istituzionale che il Provveditore Quattrone ha voluto assieme al sottosegretario alla Giustizia, Onorevole Valentino. Un saluto al tavolo della Presidenza per le autorevoli figure che portano un contributo diretto all’importante incontro odierno che esce fuori dalle righe, perché si propone come momento concreto di valutazione e, come diceva prima il moderatore, pronto a raccogliere stimoli, proposte, tendente a dei risultati che solitamente non vengono considerati in molti convegni. Questo è uno stile che io condivido. Non rimarrò fino alla fine, chi mi conosce sa che io non sono di quelli che scappano via, ma proprio stamattina alle 11 abbiamo un incontro per chiudere finalmente l’attuazione dei Centri di Servizio per il Volontariato, per intercettare i fondi delle fondazioni bancarie che ammontano a tanti miliardi di vecchie lire che in Calabria non abbiamo mai usato proprio perché questi Centri non erano stati mai attivati. Ho voluto cercare di vincere questa scommessa insieme alla presidenza della Giunta Regionale, oggi dovremmo definire il tutto, e mettere queste risorse a disposizione dei Centri Provinciali. Questi fondi saranno nuova linfa per il volontariato e apriranno una nuova stagione che si preannuncia, secondo me, ricca di progetti innovativi. Devo dire, con grande soddisfazione, che non mi era mai successo di partecipare a delle riunioni così importanti, con il taglio che ha voluto dare il Provveditore Quattrone, che, noto sempre di più, è uomo di poche parole ma, di molte azioni. Nelle sue prospettive ci sono importanti momenti di apertura culturale intorno al mondo degli Istituti Penitenziari dove, chi opera, sicuramente avrà la possibilità di esprimere il meglio della propria professionalità e, chi è costretto a pagare, ad espiare una pena, la possibilità di aprirsi ad un futuro dignitoso. L’investimento sociale e culturale negli Istituti Penitenziari della Calabria, con la figura del dottor Quattrone e con la spinta anche del sottosegretario Valentino, come abbiamo assistito a Reggio Calabria, tende ad offrire un ventaglio importante di prospettive nuove, che guardano, sempre e comunque all’uomo in primis, nella convinzione che è sempre possibile recuperare una persona per riportarla a ciò che è veramente, e non a ciò che è diventata attraverso degli errori. Lavorare in questa direzione significa, in realtà, fare i conti con se stessi. Dove vi sono degli errori, dove vi sono delle questioni che hanno rotto l’equilibrio istituzionale, ognuno di noi, quando può, deve intervenire, perché è anche un fatto personale. Ognuno di noi, nel momento in cui fa recuperare qualcosa che è andata al di là dell’equilibrio istituzionale, rende giustizia non solo agli altri ma anche a se stesso. Gli errori altrui sono comunque sempre legati ad un qualcosa che, "nei limiti" della responsabilità di ognuno di noi, ha sicuramente un punto di riferimento ed un punto di contatto. In questa direzione il volontariato assume un aspetto gigantesco. Gigantesco perché la società tante volte ha abbassato la testa e non ha fatto, e non ha permesso, che il volontariato si potesse esprimere nel migliore dei modi. In realtà, quando io parlo di un volontariato che si ingigantisce, non faccio altro che sottolineare l’aspetto naturale del volontariato, che è tanto gigante, quanto più resta con i piedi per terra, quanto più sviluppa sul territorio quel grande momento di apertura umana che, purtroppo, in una società che vive delle immagini, una società che vive in una corsa verso non so che cosa, sempre di più viene meno, per cui tante volte, anche il normale ci sembra, sotto alcuni aspetti, straordinario. Il recupero di ciò che appartiene agli uomini, è un recupero di ciò che deve stimolarci nel ruolo che abbiamo, ed indirizzarci verso questa nuova strada, che poi è la strada più antica dell’uomo, quella di riprendersi le proprie radici, di riscoprire i propri valori e metterli al servizio di una umanità, che deve sempre e comunque vedere l’uomo al centro dell’attenzione generale. In questa direzione si pone anche il protocollo d’intesa, che è stato sottoscritto tra la Regione Calabria e il Ministero della Giustizia, e che spero possa avere presto l’approvazione finale. Come diceva il dottor Nasone, il protocollo dà stimolo e dà possibilità per l’inizio di una nuova stagione del volontariato. Sono interventi importanti perché le parti si impegnano a realizzare progetti di interventi congiunti relativi al circuito penale sul piano della comunicazione e sull’utilizzo di strumenti informatici e telematici, della tutela della salute dei cittadini in esecuzione penale, dell’organizzazione all’interno delle strutture penitenziarie per adulti e per minorenni, del coinvolgimento delle associazioni di volontariato e del privato sociale. In questo, il protocollo di intesa è molto chiaro. Sono previsti, inoltre, progetti specifici per stranieri, autori di reati sessuali, donne, aspetti delicatissimi dell’esecuzione penale. Nel protocollo non sono trascurati gli interventi relativi all’educazione alla legalità nella prevenzione della criminalità minorile e nel trattamento dei minorenni sottoposti a misure penali con il coinvolgimento del terzo settore. Come vedete ritorna sempre in questo protocollo di intesa il riferimento al terzo settore. Il protocollo è un atto concreto, che le parti poi dovranno riempire di contenuti nella speranza che non rimanga sulla carta, perché purtroppo, in Calabria siamo abituati a scrivere tante belle cose che, spesso, non vengono realizzate,. Per poterle realizzare, come sottolineato in un passaggio importante del provveditore Quattrone, ognuno deve fare la propria parte. La politica dal canto suo, ma alle spalle delle Istituzioni ci deve essere il corpo intermedio, che oggi è basilare. E’ impossibile pensare, ormai, alla politica istituzionale slegata dalla realtà dei "conti terreni" dove nasce, secondo me, lo spirito principe del concetto di "sussidiarietà". Noi possiamo intervenire in questa direzione se dei corpi intermedi legati al territorio possono amplificare i bisogni che nascono e possono, di riflesso, riassumersi in risultati positivi per tutti. In questa direzione, il convegno di oggi, rappresenta un impulso importante, perché mentre si aspetta la firma a Roma, del protocollo di intesa, il Provveditorato, le Associazioni di volontariato, la Chiesa, la Regione per la sua parte, si confrontano, si incontrano. Per me questa è una vera, grande azione politica, la politica con la "P" maiuscola. QQQqquella politica, che almeno in questi momenti, ci allontana da separazioni legate a sigle di partito. Perché c’è una grande Politica, che appartiene al territorio, che appartiene agli uomini, che appartiene alle esigenze della collettività e che va spesa sperando di contribuire alla creazione di una coesione sociale e culturale. Questo dobbiamo fare in Calabria, poi può vincere la destra, può vincere la sinistra. Questo è un gioco che si fa nella Democrazia, ma prima che vinca l’una o l’altra noi abbiamo il sacrosanto dovere come uomini, e per il ruolo che rivestiamo, di lavorare perché venga attuata una coesione sociale, una coesione culturale, una coesione territoriale in grado di rafforzare il tessuto delle nostre comunità. In questa direzione noi abbiamo delle responsabilità enormi che io richiamo anche in direzione del Consiglio Regionale, per il ruolo che ho, in qualità di Presidente della prima Commissione, a costo di risultare atipico ma, prima di essere consigliere regionale, sono un uomo e devo fare i conti con la mia coscienza, con la mia spiritualità per quello che rappresento. In questa prospettiva ritengo che stamattina questo incontro possa dare risultati importanti. Caro dottor Nasone e Provveditore, è normale che la vostra proposta di avere una scuola del volontariato, che aiuti e sostenga coloro che poi di fatto diventano protagonisti in questo nuovo modo di guardare la società, trova il mio consenso. Nelle direzioni prima tracciate, per una conoscenza sempre più appropriata del mondo che ruota intorno e dentro, agli Istituti Penitenziari. In questa prospettiva, la scuola non è solo un fatto istituzionale, fine a sé stessa, diventa un "nucleo centrale". Noi siamo consapevoli che il volontariato, che opera e che dovrà operare, sui grandi problemi che ci sono all’interno delle carceri, sia un volontariato che ha bisogno di essere formato. Bisogna, perciò, eliminare quegli ostacoli per raggiungere quegli obiettivi che portino a dei risultati importanti per tutti. Credo che in questa direzione, questa scuola rappresenti una grande scommessa. Per quel che mi riguarda, chiederemo ufficialmente, me ne assumo la responsabilità stamattina, un incontro con la Presidenza della Giunta Regionale, che in questo momento ha le deleghe delle politiche sociali, per comprendere come questo progetto possa diventare realtà. Andremo a prospettare qualcosa di concreto, non andremo a lesinare nulla, non andremo a chiedere favori. Andremo a far comprendere, come tutte queste parole che stiamo dicendo stamattina, e tutto quello che è stato scritto nel protocollo di intesa, debba avere poi degli strumenti concreti per potersi realizzare. Sicuramente la scuola può essere uno degli strumenti necessari per raggiungere degli obiettivi. Non mi voglio dilungare, voglio solo dire che la Politica si è mossa, nella direzione di guardare al volontariato con molta attenzione. Riguardo a questo delicato tema, che noi trattiamo stamattina, già nel 99, l’8 giugno, il Ministero della Giustizia ha sottoscritto con la Conferenza Nazionale del Volontariato Giustizia un protocollo di intesa che ribadisce il valore, la funzione, del volontariato come espressione della società civile riconoscendone l’insostituibile ruolo da esso svolto per rendere concreto il principio costituzionale secondo cui la pena deve tendere alla rieducazione del condannato. Questo è un principio sancito e importante, che è alla base dei nostri discorsi. Il protocollo impegna l’Amministrazione Penitenziaria e la Giustizia Minorile ad agevolare le attività in tutti i campi di intervento previsti dalla norma di riferimento, ed esplicitamente indicati nel rapporto stesso. Quindi ci sono dei punti di riferimento importantissimi in questa direzione. In questo contesto devo prendere atto del ruolo dei Provveditorati Regionali e del nostro Provveditore. Dico questo non perché mi trovo con il Provveditore di fronte e sono pronto ad esprimere delle lodi. Generalmente si usa fare questo quando abbiamo davanti la persona o l’Istituto di cui si parla. Non è così. Scatta invece in me un altro ragionamento: qui in Calabria siamo abituati invece al contrario. In Calabria siamo abituati a denigrare. In Calabria siamo abituati a dire, sempre e comunque le cose che non vanno. Poche volte apriamo i giornali e siamo pronti a rafforzare l’azione e la progettazione di chi, al di là di ciò che rappresenta, mira a smuovere in senso positivo la società. Bene, io voglio andare contro tendenza. Ritengo che ognuno di noi debba avere la capacità e l’onestà intellettuale di dire le cose come stanno nel momento in cui riconosce delle sensibilità particolari, che saranno pure normali, ma le riconosce. Ognuno deve concorrere affinché queste sensibilità diventino, concretamente, parte attiva di un discorso sociale più impegnativo. In questa direzione, ritengo, che si stia movendo questo Provveditorato, anche perché, grazie a Dio, c’è un gruppo di operatori che, a pari livello, esprime potenzialità. Molte volte gli operatori che lavorano nei vari settori, soprattutto di questo importante istituto, non hanno avuto la possibilità, non la capacità ma la possibilità, di potersi esprimere per come avrebbero voluto esprimersi. Questa fiducia che si sta dando, ai vari livelli, a coloro che operano negli Istituti Penitenziari della Calabria, secondo me, darà frutti eccezionali. Sono convinto che ognuno, quando viene riconosciuto per quello che fa, per quello che sa, e soprattutto per quello in cui crede, automaticamente, al di là di ciò che dovrà fare per il contratto che ha assunto con l’Amministrazione, darà mille volte di più un risultato positivo, perché si crea, al di là del ruolo che occupa, un nuovo modo di essere, che è il modo naturale degli uomini di poter esprimere il meglio di sé stessi, a maggior ragione quando, come in questo caso, si lavora per rendere più civile la società. Perché la società diventa più civile nel momento in cui si recupera una sola persona che era stata destinata all’emarginazione, alla chiusura completa dalla vita normale. Non è filosofico questo. Certo ci vogliono le risorse. Qualcuno a Reggio osservava che con il mio discorso avevo fatto un libro dei sogni, che avevo elencato cose che, probabilmente, sarà difficile attuare. Scusatemi, ma delle volte non capisco. Ci si accusa di non avere le idee chiare su alcune cose, quando poi cominciamo ad averle, ci si dice che probabilmente stiamo sognando. Intanto io dico che gli uomini prima di realizzare le cose, le devono assumere dentro la propria interiorità; poi dipende sicuramente dalla responsabilità, dalla società, da altre questioni contingenti. Qualsiasi grande progetto ha prima alle spalle un sogno, ha soprattutto una valutazione di natura spirituale, filosofica, chiamatela come volete, ma comunque, per partire e per vincere grandi battaglie, bisogna avere una determinazione interiore alla quale, io, non voglio sicuramente rinunciare, al di là delle battute degli altri nel momento in cui descrivono questo mio slancio come un qualcosa che è fuori del tempo. Se questo è essere fuori del tempo, probabilmente significa che noi nel tempo, quello normale, non rientreremo mai. Se le cose le vivremo, sempre e comunque, con la stanchezza intellettuale legata solo ad un’immagine fine a se stessa che questa società, in tanti momenti, purtroppo, esprime come parte attiva del suo modo di essere. Io vi ringrazio, perché, vedete, parlare in questo modo non è facile. So, però, che qui lo posso fare per la presenza di un vescovo illuminato, che ci ha dato segnali importanti in questa Calabria, e che tante volte, probabilmente, non abbiamo ascoltato e tante volte, probabilmente, come succede con il nostro Papa, lo abbiamo ascoltato, ma poi non abbiamo vissuto per quel che ci riguarda ciò che abbiamo ricevuto. Lo faccio perché so che qua ci sono operatori che lavorano nel silenzio, e che magari non saranno mai sulla cronaca dei giornali. Capisco e conosco il lavoro che fanno perché poi è alla base di tutto ciò che dice il Provveditore, per rilanciare questa immagine nuova del recupero del detenuto che viene inquadrato, verso un recupero nella società, nella sua vera grandezza. Finisco, pensando ad alta voce, dicendo che per poter muovere un volontariato verso questi traguardi, bisogna tra di noi, per quello che rappresentiamo, fare rete, esprimere al meglio le nostre condizioni, le nostre possibilità, sapendo che l’uno ha bisogno dell’altro. Questo grande spirito di sussidiarietà deve accarezzare sia le Istituzioni, sia gli istituti intermedi che sono interessati per dare slancio al territorio. Ci vogliono gli strumenti. Il protocollo di intesa darà delle indicazioni forti. La provocazione che faremo con la scuola di volontariato, cercheremo di realizzarla. Ci batteremo affinché la Legge 328, come dicevamo prima con don Giacomo che saluto cordialmente perché è uomo in prima linea per quanto riguarda l’aiuto al disagio sociale, anche in Calabria diventi realtà. Già nella prossima seduta della Commissione, approveremo la Legge, e creeremo la possibilità concreta, attraverso i Piani di Zona, di instaurare un nuovo modello sociale dove il territorio diventi protagonista. Sarà il momento in cui le organizzazioni no-profit, le ASL, le realtà in generale, con le cose più importanti che hanno, si metteranno al tavolo della concertazione per avviare discorsi territoriali non tarati dall’Assessore di turno, che rispondono solo a questioni elettorali, perchè alla grande scommessa del rinnovamento nessuno dovrà sottrarsi.
La povertà del carcere interpella la comunità cristiana e la società civile Mons. Giancarlo Maria Bregantini – Vescovo di Locri- Gerace. Presidente Commissione Episcopale Nazionale per i Problemi Sociali e il Lavoro
Nell’avvicinarsi al mondo del carcere e nel fare del volontariato con i detenuti, si possono tracciare varie fasi che riguardano il modo di sentire del volontario nei confronti del detenuto. Una prima fase, io la chiamo quella del "poverino" che porta a fare del volontariato sotto la spinta di una sorta di pietà nei confronti del detenuto. Questo spirito con cui si affronta "il male" dà una certa rassicurazione ma, determina, una serie di fatti che cambia la realtà del cuore con cui si guarda ai problemi. A mio giudizio, però, la fase del "poverino" dura poco, perché poi vedi che i problemi restano, che i drammi ci sono, che la mafia è la mafia, che i problemi sono reali, che la gente, di guai ne ha commessi. Allora che cosa succede? Io mi ricordo, un giorno andai in profonda crisi, quando un tale, nel carcere di Crotone, mi parlò. Aveva ucciso la moglie. Io non gli avevo chiesto nulla delle sue ragioni, ma lui si mise a descrivere, cosa piuttosto rara perché in genere nessuno parla dei suoi problemi, con una tale particolarità di situazioni, con tali macabri e raccapriccianti particolari, che io rimasi scosso. Quando alla fine quest’uomo mi diede la mano, mi parve che sulla mia mano ci fosse il sangue di quella povera donna che lui aveva ucciso,e tornando a casa, mi lavai le mani col senso di dire no, quel senso psicologico che poi è anche spirituale e teologico, di dire "Io il male che incontro tutti i giorni in carcere, non voglio incontrarlo". Non voglio che il male che io vedo, tocchi me. E’ il discorso di chi lavora in un ospedale, chi lavora in un lebbrosario, il senso di dire "Io ti curo, però non voglio essere contagiato dal tuo male". Questo è il momento più pericoloso perché, se non è gestito bene, lo dico a voi volontari ma anche a tutti, produce due fasi: o la fase della condanna assoluta, quindi del rifiuto, o la fase del mio non trovarmi bene con queste persone in questo luogo. Per cui o è un rifiuto mio o un rifiuto di te, comunque internamente è sempre un rifiuto. A quel punto bisogna trovare una soluzione. Dove? Come ho fatto? Io devo dire grazie al Signore. Attraverso l’incontro con persone, con alcune situazioni particolari, con persone illuminate, con libri, con testimonianze, adagio adagio, sono riuscito a recuperare la dimensione spirituale ed a riflettere sul grande tema, che credo sia il più grande tema del mondo: "Perché il male? Da dove il male? Che senso ha il male?" Guardate che non si può risolvere il volontariato carcerario, ma anche, a mio giudizio, il lavoro nel carcere, senza aver dato una propria risposta a questa domanda. Ognuno la darà a suo modo, però non può non darla, perché non può non affrontare questa domanda:"Perché c’è il male?" Il tema, da psicologico, "poverino", si è fatto teologico, addirittura etico – teologico. A quel punto, sono entrato nel vivo del mio essere cappellano, "che senso aveva celebrare lì? Che senso aveva, da parte mia, annunciare il Vangelo?" In questa dimensione, ho scoperto un tratto, bellissimo e semplicissimo del Vangelo Matteo 543-48, quando il Signore dice "amate tutti e perdonate tutti e siate (ecco il modello) figli del Padre vostro celeste che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti". Questo brano che io avevo letto mille volte nell’Esegesi, nei corsi di teologia, mi ha profondamente illuminato e mi ha aperto gli orizzonti, perché ho scoperto che c’è un Dio che è Padre che non guarda il merito di ciascuno, non guarda ciò che tu hai fatto, non guarda la tua storia, ma guarda il Suo cuore , perché se dovesse guardare la storia dovrebbe mandare l’acqua sul campo del buono e non sul campo del cattivo. In questo caso userebbe un criterio meritocratico, ed invece Dio ci ha regalato il sole di oggi e nessuno di noi ha pagato il sole, né paga la pioggia quando piove durante l’estate. Nessuno ha pagato questi doni, né il sole, né la pioggia. Appare sempre più fondante che io ho dovuto ricostruire il mio servizio di cappellano, e voi di volontari e di operatori, entro una realtà centrale ed è il tema di Dio che ci è Padre. Ma ci è padre al di là dei meriti, perché il padre resta padre anche se il figlio è indegno, il padre resta sempre tale ed io resto sempre figlio, magari indegno, magari incapace, ma resto sempre figlio. Allora è chiaro che la riscoperta della paternità di Dio mi ha restituito speranza, perché mi ha fatto sentire accolto e amato comunque, non solo io ma ogni tipo di realtà. Qual’è, perciò, l’immediata conseguenza? Se Lui è padre io sono figlio, gli altri mi sono fratelli. A quel punto ho ricostruito tutto il discorso di prima; cade perciò il discorso del delinquente, è ovvio, cade anche il discorso del "poverino", perché è pietismo di emozione che dura poco, cade il discorso della facile giustificazione sociale "è cresciuto in un paese di mafia, che vuoi, poveraccio", entri in un’altra dimensione e ci si accorge che si diventa tutti corresponsabili. Tutti dentro il medesimo cammino verso una liberazione del male che resta il problema di tutti allo stesso modo, pure se affrontato con modalità diverse. A quel punto il nocciolo è riconoscere l’errore. Per chi l’ha compiuto ma anche per chi cammina con l’altro che l’ha compiuto, perché il nodo è uguale, è riconoscere il proprio errore recuperando il passato della propria vita, è il dono più grande che un figlio possa fare ad una persona. Questo riconoscimento non è istintivo. Ecco il problema. Nessuno in carcere riconosce il proprio errore, è rarissimo che uno dica "ho sbagliato". Riconoscere l’errore non è un fatto ovvio, "ho sbagliato quindi lo riconosco", non è vero. Ognuno di noi, di fronte al proprio errore, lo rigetta, oppure cerca sempre autoscuse, si difende, è difficilissimo, anzi, riconoscere l’errore. Il riconoscimento dell’errore non solo è un fatto spiritualmente decisivo, ecco la confessione, ma è anche spiritualmente, psicologicamente, liberante ed è socialmente, il punto nodale. E’ lì che noi dobbiamo arrivare, non per fare i confessori, non è compito vostro, ma è compito vostro far si che il passato di una persona non sia gettato in un cestino, perché questo è il nodo. Il passato di una persona non va mai gettato in un cestino, comunque sia, perché il passato è sempre prezioso, anche gli errori, anzi diremmo soprattutto, gli errori, sono decisivi. Ora il discorso diventa tutto diverso perché il passato si fa risorsa e non limite. Capite il senso. In questa logica è chiaro che passi ad un’altra fase: non solo il peccato dell’altro, io devo aiutarlo a riconoscerlo, ma addirittura il peccato dell’altro, lo sbaglio dell’altro, l’errore dell’altro, mi interpellano, ecco il titolo che mi è stato affidato. La povertà del carcere interpella, cioè l’errore dell’altro mi riguarda, non è più lui solo, lui che lo ha fatto, ma nel suo sbaglio anch’io mi sento fratello di lui, collegato con lui, figlio dello stesso Padre. Addirittura il peccato dell’altro non solo mi interpella, ma io, da credente, dico una frase ancora più grande: "mi converte", non converte lui, ma converte me, perché mi libera da una presunzione con cui giudico l’altro. Questo è il passaggio più prezioso. Un volontario non può mai giudicare l’altro. E, guardate che non è facile, perché, istintivamente, siamo tutti portati a giudicare. Non lo dici magari fuori, hai gli occhi giusti, però, dentro dici: "lazzarone", perché dentro te le senti queste cose, se non riesci a giustificare in senso diverso, cioè ad impostare in senso diverso le problematiche. Allora ti accorgi che la Grazia del Signore ha accompagnato tutti anche se in modo così diverso; Dio è grande perché sa perdonare, perdona lui e perdona te, perdona il delinquente e perdona l’uomo bravo. Seconda fase. Perché una persona finisce prete e l’altra è mafiosa, oppure, una è suora di clausura e l’altra è prostituta? Boh! Valli a capire i misteri della vita. Che merito abbiamo avuto noi se abbiamo avuto una certa mamma o un certo papà, o un certo paese, o una certa scuola? Ora si comincia a rileggere la propria vita in termini di gratuità. Non abbiamo avuto meriti, abbiamo avuto doni, doni che però non possono restare nel cuore, ma li devi restituire. Ecco il volontariato. Qui è il discorso. Il volontariato non è una buona azione che si deve fare agli altri. Con questa convinzione il volontariato non dura. Il volontariato è una restituzione. Questo è decisivo. E’ la restituzione di un dono fondante che tu hai, adagio adagio, maturato nella tua vita, a diversi livelli. Io vi ho fatto il tragitto spirituale, voi potreste fare gli altri ma, fondamentalmente, questo tragitto è decisivo per tutti. Il volontariato non è una buona azione, ma è restituzione. Se tu lo vedi come restituzione allora capisci che l’altro, anche nel suo essere quel che è, cambia te, e tu cambiando, cambi lui, ma c’è anche un gioco reciproco, un gioco di specchi. Nessuno da solo, è capace né di salvarsi né di salvare. Tutti abbiamo bisogno reciprocamente di un altro. Don Tonino Bello diceva: "siamo angeli con un’ala sola", per volare ho bisogno dell’altro fratello che mi si abbraccia, io mi abbraccio a lui e insieme voliamo". Lui arriva a dire con la sua grande e bella fantasia, che anche Dio "è un angelo di un’ala sola, perché, per volare, ha bisogno dell’uomo", ed è bellissima questa immagine. Questo è il senso. Se noi riusciamo a cogliere questa fase è chiaro che le conseguenze sono tante, ma partono tutte da questo concetto ed è quello che sentirete stamattina, che immagino che voi poi direte. Perché allora poi nascono un volontariato spirituale, un volontariato culturale, un volontariato sociale ed un volontariato politico. Ve lo ripeto: perché sono progressive, ma nascono da questo cuore: un volontariato spirituale, un volontariato culturale, modo di pensare, uno sociale, problema del lavoro, un volontariato politico. Mio compito non è illustrarveli, gli altri li affido a voi, però al primo, al volontariato spirituale, ci dedico un minuto in più, perché è compito mio specifico. E’ chiaro, a questo punto, che il volontariato spirituale è, prima di tutto, la gratitudine, chi è in carcere lo sa benissimo, chi ha fatto il cappellano ancora di più. Per esempio, leggere il Passo in una comunità parrocchiale qualsiasi e leggere il Passo in carcere, è diversissimo. Ancora di più se poi vicino a te hai due carcerati, come li ho avuto io un anno, svegli ed intelligenti, ma furbacchioni, che hanno imbrogliato l’anima con tutte le loro strategie ed avevano combinato anche cose grosse, che hanno interpretato i personaggi del Passo. E’ chiaro che la storia di ieri è la storia di oggi, mai nessun luogo come il carcere rende la parola di Dio vera. Il Vangelo, mai in nessun luogo è così autentico. Così come appare più vero Gesù, anche Lui carcerato, anche Lui tribolato, anche Lui crocefisso ingiustamente come nella realtà di oggi. Appare chiarissimo che la parola di Dio si invera dentro il carcere,e il carcere ti regala, mi regala, la solidità della parola di Dio. Io devo ringraziare il carcere, mi ha dato tantissimo ed oggi, come Vescovo, tante cose le posso capire perché, grazie a Dio, il Signore mi ha mandato in questa esperienza. Così, per esempio, a Locri abbiamo realizzato altri segni, forse lo avete fatto anche nelle vostre carceri, con la Catechesi tramite i fratelli delle comunità catecumenali. E’ un’esperienza interessantissima. Con gli stessi segni, la penitenziale, la consegna della Bibbia, la convivenza no, perché ancora non ci permettono di farli uscire, ma chissà se un giorno, chi ha vissuto questa esperienza nel carcere, sa quant’è illuminante e liberante. Concretamente si dice: "Tuo è il Vangelo", non si dice "poverino", no, Gesù Cristo in croce, non ha distinzioni, parla con tutti allo stesso modo, a tutti con lo stesso linguaggio d’amore ed insieme di liberazione. Questa è l’esperienza interessantissima, c’è un volontariato spirituale profondissimo da difendere, e ci sono dei piccoli segni, ve ne racconto qualcuno. Quando ero a Crotone, io celebravo una messa all’alba per le suore di clausura di Capo Colonna, verso le sei, sei e mezza,e mi "scialavo", come si dice in calabrese, cioè mi sentivo veramente in pace, bene, in gran silenzio; si entrava al buio, si usciva che era già sorto il sole. Capo Colonna poi, è un posto bellissimo. Le suore, prima di partire, mi regalavano un mazzetto di fiori da portare nella cappella del carcere per i carcerati, ed io dicevo loro:"Sapete chi ve li manda questi fiori?" "Chi ce li manda?". "Ve li mandano suore di clausura che hanno le sbarre più grandi delle vostre, e non ci sono per alcuni anni, ma per tutta la vita". "E chi glielo fa fare? Come mai? Che hanno combinato?". Adagio adagio, si costruiva una fratellanza fra le suore di clausura e il carcere. Succedeva un po’ quello che diceva La Pira: "Sarebbe bellissimo che, accanto ad ogni carcere, ci fosse un monastero di clausura, chi è carcerato per il male, chi è carcerato per il bene" uno aiuta l’altro a recuperarsi, perché le suore di clausura aiutano i carcerati ma anche loro sentono che i carcerati sono loro fratelli e loro sorelle, uno aiuta l’altro ed è veramente il punto sublime di tutto il discorso che ho fatto. Quel mazzetto di fiori che correva dalle suore di clausura al carcere è il segno meraviglioso di quello che io vi ho raccontato. Altro esempio, qui c’è il Comandante. Quando abbiamo fatto a Locri, il Giubileo, come lo abbiamo aperto? Prima di aprire la Cattedrale siamo andati davanti al carcere, e lì è stato bellissimo perché tutta la comunità l’ho fatta arrivare davanti al carcere. Il giorno dopo, il giorno di Natale, di fronte alla comunità cristiana, ad un certo punto, con solennità, le porte automatiche le abbiamo fatte aprire; è stato un gesto bellissimo prima che si aprisse la cattedrale. Ci si è accorti che non si può aprire quella porta senza aprire questa. Capite il senso. Oppure, al Corpus Domini, abbiamo fatto una "stazione" davanti al carcere ed abbiamo messo le manette dei detenuti, aperte, ovviamente, accanto all’Eucarestia. Sono quei segni in cui la forza dei Sacramenti si invera nella storia, e viceversa. La parte importante del volontariato culturale, voi lo capite benissimo, è data dall’importanza di riflettere su queste cose. A Crotone facemmo un corso ben articolato, che era più o meno quello che state facendo voi, carcere e territorio, che è la sintesi di quello che abbiamo detto. Chiaramente questo chiede un cambiamento di logica anche da parte della gente, non solo del cappellano nel rileggere la realtà del carcere. A Locri ho fatto più fatica a trasmettere il dramma carcere, perché Locri è molto più intrisa nei problemi della mafiosità locale. Lo dico perché è un problema vero, non solo mio, perché delle volte le cose sono così radicate. Tra l’altro il carcere di Locri è attaccato alle case, i detenuti ritmano dalla chiesa della cattedrale i loro orari, il problema rimane aperto. Però è certamente vero che come volontari, come cappellani, facciamo un cammino di riconsiderazione del carcere. Anche la società è chiamata a farlo. Guai se il volontariato agisse soltanto in carcere, ed ecco quello che Don Iachino ha detto all’inizio, tutte le varie modalità. In pratica, il volontariato ed anche il cappellano, devono fare il 50% in carcere ed il 50% fuori, perché se non cambia la logica fuori non serve a niente che cambi dentro. Non siamo delle buone azioni, ma delle persone che liberano dal male sé stessi, gli altri e la società. C’è poi il volontariato sociale che si occupa del dramma del lavoro. Milano è diversa da Locri. Io faccio un’immensa fatica a collocare detenuti con i benefici. Dove li metti? La mafia è lì, pronta. Ho il caso di un soggetto a cui la mafia ha già offerto il lavoro, però è la stessa che lo ha buttato dentro per droga, ma gli ha già offerto il lavoro. Il volontariato culturale produce modi diversi di vivere quello spirituale per sfociare in quello politico.
Dr. Mario Nasone
Ringraziamo Padre Giancarlo perché, veramente, con il suo intervento ha gettato le fondamenta di quello che deve essere il nostro impegno. Il discorso sull’uomo che lui ha fatto credo che sia alla base di qualsiasi progetto. Credo che ciò non riguardi solo il volontariato ma anche noi operatori penitenziari. Io ho sempre pensato che un operatore penitenziario che non crede nell’uomo, nel trattamento, è un po’ paradossalmente come un vescovo che non crede in Dio, una contraddizione vivente. Spesso succede che anche tra di noi si dica: "Non è possibile, nessun detenuto si potrà recuperare". Ci facciamo prendere dalle negatività, che pure ci sono. Credo che il discorso di Padre Giancarlo ci voglia mandare un messaggio di ottimismo e di fiducia.Dire questo non significa buonismo, dimenticare i problemi delle varie forme di criminalità, la mafia e così via, ma significa avere sempre chiaro che l’uomo ha sempre la possibilità di liberarsi. Poi, un’altra cosa che credo sia importante, anche se Mon. Bregantini ha avuto solo il tempo per accennarla, cioè quando diceva del 50% del lavoro del volontario che deve essere fatto all’esterno.Il volontariato non può essere consolatorio. A noi non servirebbero dei volontari che magari si gratificano di un tipo di intervento dentro il carcere, di sostegno, ecc. Noi abbiamo bisogno di un volontariato che sia liberatorio, un volontariato che riesca ad aiutare le persone ad avere autonomia, dignità, progettualità di vita, che accompagni il detenuto fuori dal carcere. Il fatto che non abbiamo volontari che operino presso i CSSA è significativo che quasi tutto il volontariato è concentrato dentro le carceri e il fuori, la famiglia del detenuto, i dimessi dalle carceri, i soggetti sottoposti alle misure alternative, non hanno accanto volontari. Questo può essere un’ ulteriore sfida per i volontari, per i cappellani e per le associazioni perché si prosegua anche fuori. Questo lavoro, se fatto bene, ci permette di conseguire un fondamentale obiettivo: contrastare la recidiva, scongiurare nuove ricadute e ritorni nel carcere. Diamo ora la parola a Riccardo Rebuzzini, il quale, come tutti i relatori che vengono dal Nord, ha l’handicap di dover parlare ad un territorio che potrebbe dire:"Tu vieni da Milano, lì è tutta un’altra realtà, ecc." Lui è preparato anche a questo. A Riccardo noi abbiamo chiesto proprio di aiutarci, sapendo la diversità di contesti, le difficoltà. Di aiutarci innanzitutto a capire se è possibile questo progetto di accompagnamento, di accoglienza, di reinserimento, anche nelle diverse latitudini in base all’esperienza concreta. Voi avete avuto anche un documento -"Nova Spes"-; sono due paginette dove viene raccontata questa esperienza che si fa a Milano e che noi speriamo di poter attivare anche in Calabria, magari in misura diversa, perché credo che sia una di quelle esperienze vincenti che ci dimostrano che le cose che andiamo dicendo sono possibili, non sono utopie, non sono solo dei sogni.
L’impegno del volontariato nell’accoglienza e nell’accompagnamento del detenuto e della sua famiglia Dr. Riccardo Rebuzzini – Presidente Consorzio Nova Spes- Caritas Ambrosiana
Io ringrazio per l’invito. In particolare ringrazio per il fatto di avermi tolto dall’imbarazzo di dovermi presentare come milanese. Avete un moderatore di visione lunga, sono un po’ più preoccupato nel dovere parlare dopo quello che ha detto il vostro Vescovo. Certamente credo che ci siano delle aspettative immaginando che chi viene dal Nord abbia, chissà, quali poteri taumaturgici su queste cose. Il taglio che vorrei dare è il taglio dell’imprenditore. Faccio questa premessa perché lo sono, lo sono da 23 anni, sono un imprenditore sociale. Mi risulterebbe difficile negarlo, ma faccio volutamente un aggancio con il volontariato. Certamente cugino prete, figlio prete, la moglie che insegna agli handicappati, la sorella che insegna in carcere, l’unico che faceva un lavoro normale, hanno fregato anche me, e quindi la carriera del contesto era quella, il contesto era quello, però non posso dimenticare che sono un imprenditore. Perché faccio l’aggancio con il volontariato? Ho avuto occasione di collaborare - all’inizio dell’attività delle Cooperative sociali a Colle Valenza - con Monsignor Pasini, allora direttore di carcere. Monsignor Pasini disse una cosa che mi colpì molto, anche se una mia scelta era stata già fatta, ma che io ho voluto continuare a riproporre: "ad un certo punto bisogna passare oltre il dare il surplus del proprio reddito in termini di soldi e di tempo, ma forse è tempo di cominciare a condividere le fonti del reddito con i soggetti svantaggiati". Questo credo sia un punto su cui riflettere perché io stamattina ho cercato di capire tutte le sfumature del volontariato. Ho conosciuto il dottor Quattrone in Umbria, quindi non mi sono nuove certe sue impostazioni, ma ad un certo punto il volontariato sfocia, inevitabilmente, in qualcosa di più organizzato. Il vescovo si rivolge a me quando parla di lavoro perché non esiste un’attività lavorativa sostenuta dal volontariato, promossa dal volontariato, a cui il volontariato dà l’idea iniziale, la spinta. Se voglio sostenere un’attività d’impresa il volontariato non mi basta più. Allora tenete presente questo legame: volontariato e io che non sono volontario, lavoro, consorzio, ho fatto una mia scelta, ho lasciato il mio lavoro ed ho scelto di fare l’imprenditore sociale. Credo però che questo passaggio lo si debba affrontare con molta tranquillità, senza l’enfasi di voler salvare il mondo, senza qualsiasi altra paura, con il giusto passaggio tra la fase della promozione, la fase dell’ideazione, della fantasia, la fase nella quale ci mettiamo lì a discutere e a cercare di capire cosa possiamo fare e la fase successiva che è quella della realizzazione. Questa è un po’ la premessa. Una seconda premessa, un po’ provocatoria, stupidina, ma passatemela, io sono un cittadino, poi ho fatto anche l’alpino – il mare lo vedo molto raramente – però quando penso alla grande enfasi delle reti, io le reti le vedo fatte di buchi e di nodi, non sono un marinaio, quindi non sparatemi addosso. Attraverso i buchi entra ed esce quello che vogliamo fare entrare ed uscire a seconda delle maglie; poi ci restano i nodi. Qualsiasi tipo di relazione noi creiamo tra soggetti così diversi, mi rende contento. Sono entusiasta quando sento parlare della scuola del volontariato ma, dentro questa scuola ci sarà: il PRAP, la Polizia penitenziaria, il politico locale, il CSSA per l’attenzione all’esterno, il direttore del carcere, gli educatori interni, il volontariato cattolico e laico. In Lombardia ci sono tutte le Associazioni tanto che, in alcune carceri, abbiamo più iniziative che detenuti. Si dice a Milano che c’è di tutto e di più. Tutti questi soggetti, possiamo in coscienza dire, che hanno un obiettivo comune, certamente l’attenzione al detenuto, ma gli obiettivi non dichiarati, sottesi da ogni singolo soggetto che si interessa a questo, emergono in una qualche misura? Oppure noi dobbiamo rischiare di condividere momenti di lacerazione dove ognuno si tira le iniziative a seconda di chi comanda al momento, perché poi, da alpino che non conosce il mare, quando penso alla rete, penso a qualcosa da tirar su, e quando la tiro su vuol dire che c’è qualcuno che governa la rete? La rete vista come la Democrazia massima, ma di Democrazia la rete che funziona ne ha poca. Quindi devo riuscire a capire chi governa la rete, quali obiettivi ha. Pongo questi temi in termini problematici, volutamente problematici, come spunti di riflessione. Adesso vi dico che cosa potremmo fare. Il "potremmo fare" è da intendersi nel senso di "vi porto l’esperienza"; certamente la cultura lavoristica del Nord in qualche momento aiuta. Dobbiamo tutti lavorare, a Milano si corre, alla fine facciamo lavorare anche i detenuti. Abbiamo fatto lavorare i tossicodipendenti, poi facciamo lavorare gli handicappati, i malati di mente, quelli sani vanno in ferie. Lo so che sto dicendo delle sciocchezze, però attenzione, perché anche il valore terapeutico del lavoro, inteso come ultima spiaggia per risolvere tutti i problemi dell’emarginazione, mi preoccupa. Il lavoro inteso come giusta componente dentro un percorso a cui dare il giusto valore, ma nessuno di noi oggi sarebbe disposto a dire che quando ha risolto i problemi del lavoro, ha risolto tutti i problemi della sua vita. Men che meno per persone che, dichiaratamente, di problemi ne hanno qualcuno in più della media. Se abbiamo per un verso qualche facilitazione in più, perché c’è un po’ di lavoro in più intorno, per un altro verso corriamo il grosso rischio di dare troppa enfasi a quest’aspetto lavorativo. Allora abbiamo il cappellano, il parroco, la suora, il religioso che, la prima cosa che ti chiedono, è un posto di lavoro. Abbiamo il politico che ti chiede un posto di lavoro, abbiamo qualsiasi persona che ti dice: "se avesse un lavoro potrebbe uscire", abbiamo il Regolamento Penitenziario che ti dice "se non hai un posto di lavoro non puoi andare da nessuna parte", quindi l’enfasi è massima. Io vorrei porre una riflessione nel senso di dire: Noi abbiamo ben capito qual è il peso che dobbiamo dare al lavoro in un contesto di questo genere? Perché, altrimenti, fatemi fare una battuta di quelle che si potevano fare alla scuola alpina, nell’esercito hanno capito benissimo come si fa a far lavorare la gente inutilmente, non c’è problema, se dobbiamo inventare delle cose per tener occupate le persone, per carità di Dio! Abbiamo di quelle scuole dietro! Quindi: Dare il giusto senso al lavoro. Che cosa abbiamo cercato di fare in pratica? Abbiamo cercato spunto dalle esperienze esistenti, quindi la cooperazione sociale, che è stata capace di intraprendere ed ha creato posti di lavoro. Questa è la premessa. Esistono delle possibilità per far lavorare i detenuti in carcere, soltanto il nostro consorzio, in questo momento, ha 130 persone in 9 carceri della Lombardia come lavoratori interni, nella sede esterna 35 tra semiliberi, articolo 21, affidati, e una settantina nelle 18 cooperative che costituiscono il consorzio, quindi più di 200 persone. Quindi possibilità di lavoro concrete, stipendi. Dico le cifre dentro il carcere: Sulle 6 ore lavorative, da 500 a 600 Euro al mese netti per la persona, tutte persone regolarmente assunte con contratti firmati dal Sindacato, senza soldi che non siano in regola, tanto per essere molto espliciti. Gli stipendi esterni vanno dai 1000 ai 1500 Euro, quindi anche stipendi di mercato, come si suol dire. L’informatico che è stato in carcere, se è un bravo informatico, lo devo pagare come un informatico bravo, non come un ex detenuto, e quindi guadagna i suoi 1500 Euro al mese. Questa è la premessa. Cosa abbiamo cercato di fare su queste premesse. Abbiamo cercato di portare un’idea di progetto sociale. Progetto sociale, per noi, ha voluto dire, creare un pool, una rete, che oggi è composta da 4 educatori, 5 psicologi, 1 segreteria che coordinano, vivono insieme agli educatori interni del carcere, le situazioni delle persone. Se penso ai costi, come imprenditore, rabbrividisco, perché c’è una parte di volontariato anche in questi professionisti, per il resto, anche loro devono mangiare e hanno una famiglia, e questo costa. La scelta strategica dell’impresa è stata questa. Se noi pensiamo solo e soltanto al lavoro, noi andiamo avanti poco perché, inevitabilmente, prima o poi le persone si stancheranno, si demotiveranno. Anche il lavoro più nobile, più alto, diventa ripetitivo. Tutte quelle situazioni di utilizzo distorto del lavoro, che il detenuto è bravissimo a fare: "Ho bisogno di un lavoro per….", dopo di che, dopo aver ottenuto il lavoro per uscire di cella, dico che non sto tanto bene e quindi vado a giocare a pallone. No, un momento, cerchiamo di capire: Se tu fossi fuori ed avessi firmato un contratto e devi andare a lavorare, cosa fai ? Smetti di lavorare e vai a giocare a pallone? No, tu vai a lavorare: C’è la connivenza della Polizia Penitenziaria? Non sparatemi addosso ma qualche volta dico di si. La Polizia Penitenziaria sa benissimo che quello lì deve andare a lavorare, e perché lo lascia uscire dalla sezione lavorativa per andare a giocare a pallone? Ci sono un insieme di problemi non facili da risolvere. C’è però bisogno di un progetto sociale in cui la persona sia chiamata ed accompagnata in una profonda riflessione sul suo lavorare. Questo è stato l’aggancio forte. E’ stata anche, credo, un’idea vincente, un po’ da milanese, passatemi la battuta. E’ stata quella di dire "il lavoro io te lo do però tu accetti che dentro questo percorso ci sia qualcuno con cui confrontarti, scontrarti, metterti a discutere, metterti a ragionare della tua vita, delle tue situazioni. Se si, ok, se no, amici come prima. Certamente il problema non è semplice. Il detenuto trova scritto sul Regolamento che ha diritto al lavoro e quindi si aspetta che qualcuno glielo dia, non sta a farsi tante domande del tipo" chi è questo qui che oltre tutto vuole cambiare anche il mondo, non sono così sciocco, so benissimo quali sono i problemi", però la sfida è stata questa. La sfida è stata quella di cercare di accompagnare il lavoro ad altro, fino al punto di tentare di immaginare un futuro, non ancora realizzato, ma come idea, che è quello di far lavorare le persone di meno, quattro giorni di lavoro e uno di formazione permanente, in un pacchetto coordinato con il sindacato dentro a un contratto, perché una parte di lavoro è indispensabile, dà dignità, dà la possibilità di avere delle risorse, ma deve continuare ad essere uno strumento per un percorso di rilettura del tuo passato. Soltanto così potremo effettivamente dare la possibilità al detenuto dentro di poter uscire con un bagaglio non solo professionale, ma anche umano, un po’ modificato. Diversamente avremo soltanto una persona che ha imparato un mestiere in più, che gli potrà anche servire, non voglio negarne l’utilità, ma forse non abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare. Questa è stata un’idea grossa. Altro tassello dentro le attività, legate queste più al volontariato, è stato quello di creare la rete di sportelli, i nomi, poi, metteteci i vostri che va benissimo. L’idea vincente, anche qui, è stata quella di cominciare a ragionare con sportelli interni. Alcune funzioni di raccolta delle necessità che i detenuti esprimevano in termini lavorativi e in termini di colloqui, fatte da detenuti stessi prima addestrati, un’azione di sportellista svolta da detenuti presso le singole sezioni. Lo sportellista interno entra in contatto ed in relazione, 2 – 3 volte la settimana, a seconda delle richieste, con l’operatore esterno che porta sull’esterno tutte le necessità in modo tale da cominciare a creare un substrato, una rete possibile di collegamenti per favorire il momento dell’uscita. Sostanzialmente ciò avviene su due filoni: Il lavoro e la casa. Non invento niente, sapete benissimo cosa vuol dire. Il lavoro e la casa sono le situazioni sulle quali si va all’indispensabilità. Certo anche le strategie dell’azienda, ad un certo punto, hanno riflettuto su questo, ed il consorzio Nova Spes, oggi, ha 17 appartamenti, persone con contratto di 6 mesi, al massimo rinnovabile una volta, per cui, dopo un anno, comunque, se ne devono andare. Li aiutiamo nel primo momento, nella prima fase, ma poi se ne devono andare. Qualche appartamento è volutamente tenuto libero per i permessi, quindi per i fine settimana dei permessi. Questo perché l’azienda, proprio come produttrice di fonte di reddito, capisce che il lavoro non è l’unica cosa. Ci sono anche gli affetti, c’è bisogno della casa, c’è bisogno di altre cose. Questa azione di sportello dentro e fuori ha formalmente costruito la rete di relazioni, dove c’è dentro il cappellano di turno,c’è l’assistente sociale del Comune, c’è l’educatore interno, c’è il parroco, ci sono tutti quelli che partecipano a questa attività. Come funzionano le reti? Le battute le abbiamo già fatte prima. Certamente qualche volta ci sono dei casi che sono tragici, solleviamo un po’ l’uditorio e ve ne racconto una che è troppo eclatante. Da noi lavora una donna spacciatrice, conosciuta negli ultimi periodi della sua detenzione e poi portata anche nell’attività esterna dove ha finito di scontare la pena. Quando sta finendo la detenzione, mi chiama e mi dice che anche il marito ha bisogno di noi. Al marito concediamo colloqui di primo permesso per vedere se c’è la possibilità di inserirlo. Hanno un figlio, però, intanto, lei, come tante penso, si è rifatta la sua vita, però io non devo dirlo al marito, sono soltanto io che sa questa cosa, ma se lo so io figurati, la sa il cappellano, la sa l’educatore. Io ricevo la lettera del cappellano che, senza sapere che la donna lavorava da me, mi dice che c’è questo caso da seguire, poi ricevo anche la telefonata di Don Virgilio, direttore della Caritas, che mi dice "guarda che bisogna seguirlo quello lì". E’ un classico. Ci siamo interessati in 20 di 2 persone che ci hanno preso letteralmente per il naso. Questo è il nodo classico delle situazioni. L’unico che può fare la parte del cattivo è sempre l’imprenditore, perché il prete non la può fare per istituzione, il volontario è buono per natura, la suora non parliamone, l’unico che può mettere i puntini sulle i è l’imprenditore. Ciò per dire che succedono queste cose. Lo dico perché, con tutta l’attenzione doverosa alle persone, io credo che non dobbiamo mai farci usare dalle persone le quali, per i loro problemi, e forse qualche volta per il contesto, imparano benissimo ad usare gli altri. Non ci facciamo usare troppo. Due o tre notizie in più su che cosa fa il consorzio. L’attività più grossa, che oggi copre il 65% del fatturato che nel 2002 è stato di 3.800.000 Euro, è data dalla digitazione dei dati delle ricette farmaceutiche. Quasi la totalità delle ricette farmaceutiche che passano in Lombardia su 9 milioni di abitanti. Grosso modo c’è una media di 2.800.000 ricette al mese, quindi vuol dire che una persona su tre una volta al mese va dal dottore. La quantità è notevole e questa attività impegna parecchio le persone dentro il carcere. E’ un’attività abbastanza complessa, su numeri così grossi, che ha bisogno di verifiche poi fuori. Il lavoro si paga: è certamente un lavoro con un alto tasso di ripetitività, ma, come tutti i lavori al computer, oggi come oggi, o sei un cervellone che inventa qualcosa, o, se no, il computer è diventato la catena di montaggio moderna e quindi è un continuo immettere dati. Però si paga. A questo abbiamo aggiunto l’attività più innovativa di archiviazione ottica. Porto alcune esperienze che possono interessare, credo, anche voi. Le Province hanno assunto da poco tempo gli oneri che riguardavano l’Ufficio di collocamento, Ufficio di collocamento obbligatorio ed ordinario. Tutte le operazioni di inserimento dati e archiviazione ottica dei documenti, gestione del magazzino cartaceo per il collocamento della Provincia di Milano, la gestiamo noi. Le azioni di inserimento dati protocollo presso le strutture della provincia di Milano sono tutte fatte da detenuti in articolo 21. Tutti a contatto con il pubblico, persone che di fatto escono dal carcere la mattina, operano e rientrano. Abbiamo aggiunto le competenze legate al disegno tecnico sia per il Comune di Milano che per la Provincia; stiamo gestendo attività di CAD, trasferimento di disegni a tecnigrafo su supporto informatico. Anche qui ha voluto dire corsi di addestramento e poi il lavoro. Abbiamo vinto una gara con la SNAM, la rete dei tubi del gas in Italia, l’abbiamo trasferita su CD da supporto cartaceo in un anno di lavoro nel carcere di Como. Ha voluto dire prendere registri, digitare e fare. Lavoro per una decina di persone per un anno. Per la Regione Lombardia abbiamo creato l’archivio informatico di tutte le delibere dal 1970, da quando hanno creato le Regioni. Le delibere sono tutte su supporto cartaceo, la carta si impolvera, si rovina,ma soprattutto, se devo mettere in rete i nuovi uffici, qualsiasi cosa, non posso più avere la fotocopia, devo avere il CD. L’operazione consiste nel prendere la carta e trasformarla in archivio informatico. E’ quello che stiamo facendo. Abbiamo macchinari che hanno la potenzialità di leggere, in lettura ottica, 250.000 pagine al giorno, leggiamo 250.000 pagine al giorno. Abbiamo poi altre attività forse più semplici: Comuni che mettono a bando la pulizia degli uffici scolastici. Il consorzio partecipa e tramite una sua cooperativa crea posti di lavoro per ex detenuti. Abbiamo vinto una gara con un Comune limitrofo a Milano per la gestione dei bollettini ICI. Lo dico per ultimo ma, passatemi un po’ di enfasi, abbiamo fatto tutto l’iter per l’ottenimento dell’ISO 9000 ed abbiamo la certificazione ISO 9001 in carcere, non solo fuori ma dentro gli Istituti carcerari. Siamo gli unici, credo, in Europa, non c’è nessuno che ha la certificazione del prodotto dentro il carcere. Questa credo che sia stata una delle azioni di maggior impatto per la motivazione delle persone. Effettivamente i lavoranti di quel laboratorio si sono sentiti persone che lavoravano in un processo produttivo tanto quanto il mondo esterno. Una certificazione non semplice da ottenere, vi posso garantire, che ha obbligato le persone a studiare, ad imparare, a dotarsi di strumenti, a lavorare non per occupare il tempo ma per essere produttivi. Ecco, questo è ciò che in una qualche misura stiamo facendo. Che cosa si potrebbe fare insieme? La Pubblica Amministrazione, in tutta Italia, è ancora indietro nel settore della informatizzazione, per cui, nel momento in cui si pensa di poter gestire carta e trasformarla in supporto informatico, ancora per una decina d’anni abbiamo da lavorare tutti, poi magari, chissà. Gli Enti pubblici non hanno una grandissima propensione, nonostante le dichiarazioni dei politici, a darti lavoro, perché ci sono le regole europee, perché ci sono gli appalti, perché non è facile. Però per piccole cose, vuol dire che realisticamente, almeno fino a 100.000 Euro, si possono avere canali privilegiati in funzione della Legge 381 che consente all’Ente Pubblico di farlo. Bisogna spingere il politico di turno ad elaborare l’atto politico che dica: Noi una parte del lavoro comunque vogliamo darla in via privilegiata ai soggetti che si interessano di recupero e reinserimento dei detenuti. La Provincia di Milano, faccio un esempio, fa un appalto per la gestione del servizio di protocollo, vuol dire lavoro per 7 persone. E’ un appalto che politicamente è rivolto solo a realtà sociali, le quali – c’è scritto nella gara d’appalto – si impegnano, a fronte della vincita, ad occupare ex detenuti. Più chiaro di così, basta avere la volontà politica per farlo. E così andiamo avanti. La fantasia poi aiuta, credo che, volendo, se ne possono fare tante di cose e se ne possono trovare di ambiti in cui farle. Un’ultima considerazione per chiudere è sul senso dell’intraprendere: alla fine, effettivamente, la spinta del volontariato è indispensabile perché è quello che senza interessi specifici ti sa dire le esigenze, le necessità, ti porta a vedere i bisogni. Certamente il passo successivo è quello della organizzazione e quindi, probabilmente, l’impresa sociale in questo momento è il soggetto giuridico più consono; se l’impresa sociale non mantiene lo spirito del volontariato, che ha così ben espresso il vescovo, diventa il business del sociale. Abbiamo finito, lì abbiamo finito.
Dr. Mario Nasone
Il dottor Rebuzzini ci ha lanciato questo messaggio molto forte che riguarda soprattutto la mentalità che dobbiamo acquisire rispetto al lavoro. Perché non è solo un problema di dire "il lavoro è la priorità", cosa che ci diciamo continuamente, ma è cercare di capire quali percorsi noi vogliamo attivare rispetto al lavoro. Allora noi abbiamo innanzitutto bisogno di imprenditori, perché noi, come operatori penitenziari, come volontariato, possiamo fare dei cambiamenti, possiamo sempre di più inserire la prospettiva lavorativa come prospettiva strategica nel nostro lavoro che non deve essere assistenziale e consolatorio, però abbiamo bisogno anche di partners che sappiano fare bene questo mestiere, perché noi non possiamo essere tuttologi. Questa della sfida del lavoro in Calabria, ne abbiamo parlato più volte al Provveditorato, è una sfida in cui dobbiamo cercare di coinvolgere sempre di più l’imprenditoria calabrese che ha i suoi problemi che non sono pochi ma che deve aprirsi anche a questo settore. Noi non possiamo nemmeno accettare che alcune Leggi, come la Legge Smuraglia, la Legge 381 sulle cooperative di tipo B, vengano utilizzate al Nord, dove magari c’è meno bisogno, e al Sud siano quasi completamente inattivata. Poi magari questo lo riprendiamo. Allora cosa importantissima, per le cooperative sociali, è il ruolo del volontariato. Con il Provveditore ne abbiamo parlato più volte; noi abbiamo avuto anche delle esperienze negative, per esempio cooperative di ex detenuti, come è successo anche a Napoli, come in Calabria, che sono state strumentalizzate da organizzazioni criminali che hanno utilizzato quello che doveva essere uno strumento di liberazione per creare nuovi condizionamenti. Allora anche qui dobbiamo, nel momento in cui sarà necessario, promuovere delle cooperative, delle imprese,dare uno spazio importante alla figura dei volontari come garanti rispetto agli obiettivi prefissati, volontari che siano da filtro, da barriera, rispetto a tentativi di infiltrazione e che svolgano nel contempo un ruolo di accompagnamento e di rinforzo delle motivazioni delle persone da reinserire. Come vedete il ruolo del volontariato non è quello di diventare imprenditore però è un ruolo fondamentale perché certi processi vengano attivati nel modo giusto e le risorse vengano indirizzate rispetto ai veri obiettivi. L’ultimo intervento è quello di Carmen Bertolazzi, alla quale abbiamo chiesto di darci, per completare il panorama che ci siamo dati, degli spunti, degli stimoli, per capire quale deve essere il ruolo del volontariato a livello culturale e politico. Quale deve essere il ruolo del volontario per i cambiamenti culturali che può attivare in una società in cui, ancora oggi è grande la disinformazione rispetto a tutto ciò che è carcere, misure alternative, è tantissima, dove pregiudizi, barriere, sono ancora molto forti. Ha un ruolo il volontariato rispetto al cambiamento? Quali potrebbero essere, anche per il volontariato calabrese, le indicazioni in riferimento a questa attività?
La dimensione culturale e politica del volontariato penitenziario Dr.ssa Carmen Bertolazzi – Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia
Proverò a darvi qualche indicazione non solo sul ruolo del volontariato ma anche su una questione che mi sta molto a cuore ossia sulla identità. Per fare questo, se mi permettete, devo fare dei cenni storici, perché molto spesso, quello che siamo oggi, dipende da quello che abbiamo fatto nel passato. Quindi faremo dei cenni storici sia sul volontariato che sulla Conferenza, credo che siano utili per fare la fotografia dell’oggi. Tra l’altro, vorrei fare un cenno a quello che diceva anche il vescovo, cioè perché uno fa il volontario? Una bella domanda, è una domanda da 100 milioni come si diceva una volta. Il vescovo mi ha fatto molto riflettere sul tema della restituzione. Molto spesso anche i mass media mi chiedono: ma lei perché fa la volontaria? Io rispondo sempre che non so quanto riesco a dare agli altri, gli altri a cui si rivolge la mia attività di volontariato, però sicuramente so che cosa dà a me fare il volontario in carcere. Mi dà sicuramente, e questo credo che sia fondamentale, la possibilità di riflettere su quello che sono io, su quello che prima il vescovo chiamava il male, ma il male qual è? E’ il male della società, il male della collettività, ma è anche quel pezzo di male che c’è in ognuno di noi, con cui noi ci confrontiamo, spesso combattiamo, che rimane poi sopito e, in altri casi, in altri contesti, emerge, ma che tutti abbiamo dentro. Fare volontariato in una situazione di confine, così difficile come il carcere, credo che contribuisca anche al mio percorso individuale di persona. Io credo che, in questo senso, fare volontariato dà molto a se stessi, poi si spera di riuscire a dare qualcosa anche agli altri. Per quanto riguarda il volontariato, vorrei ricordare che ha una sua storia. Innanzitutto possiamo dare una data fondamentale in quella della riforma penitenziaria, prodotta con la così detta Legge Gozzini. Non che prima non esistesse, anzi esisteva un volontariato prevalentemente religioso: Cappellani, Suore, alcuni preti entravano in carcere per un lavoro assistenziale di sostegno individuale, che io riconosco importante in quegli anni. Molti anni fa in carcere non entrava nessuno, il carcere era veramente una istituzione chiusa e anche queste figure singole che entravano portavano quella che si chiamava "buona azione", una parola di conforto. Io credo che vada riconosciuto, è stato veramente importante. Con la riforma Gozzini cambia il volto del carcere perché permette quello che prima non era permesso: la comunicazione tra il dentro e il fuori, tra il fuori e il dentro. Tra il dentro e il fuori si introducono i permessi premio, le misure alternative e tutto quello che noi conosciamo, si permette, quindi, alle persone detenute di uscire dal carcere, ma permette soprattutto in molti istituti l’ingresso della comunità esterna, della collettività, all’interno. Devo dire che è stata una stagione, sempre in alcune zone geografiche precise, come si diceva prima, Milano, io vengo dall’esperienza di Roma, in cui in carcere sono entrati veramente tutti: persone anonime, personaggi famosi, giovani, anziani, studenti, liberi professionisti. E’ stato veramente un ribollire di conoscenze e anche di proposte da tutti i punti di vista soprattutto culturali in una prima fase. Basta pensare alla convegnistica, di quegli anni. Molto spesso si dice, col senno di poi, che forse è stato un momento troppo intenso. Sicuramente lo è stato, però è stato anche un momento necessario per rompere anche una diffidenza, che come ricordava il vescovo, c’era e c’è ancora. Devo dire, che dopo questo primo momento, e chi è stato in carcere se lo ricorda, c’è stata anche una scrematura, ovvia, giusta, necessaria, per cui da questo primo momento in cui tutto entrava in carcere, qualcosa è cominciato a rimanere. Ed è rimasto, sotto alcuni aspetti, il meglio, sia dal punto di vista delle competenze, della qualità, ma soprattutto delle necessità. Si è continuato a fare cultura ma è entrato anche tutto il discorso del lavoro. Io ricordo il problema del lavoro in carcere, tutto il lavoro. Sono nate le prime cooperative, non potevano nascere cooperative di detenuti, quindi le persone che entravano come volontari sono stati i soci fondatori delle cooperative, poi c’era l’idea sbagliata che le cooperative nate in quell’epoca potevano risolvere il problema del lavoro. Non era e non poteva essere vero, però sicuramente si è posto il problema della cooperazione sociale. Oggi come oggi, forse, le cooperative sociali di un certo tipo non possono competere sul mercato, possono però offrire un momento di transizione dal carcere all’esterno per le persone che non sono ancora pronte. Possono essere un momento quasi di tirocinio, di formazione. Da quelle iniziative sono nati dei percorsi che poi portano a delle buone pratiche. Oggi, per esempio, abbiamo sentito parlare prima sul lavoro, ma questo anche in tanti altri campi. Quegli anni hanno posto la questione che io credo sia centrale, centrale allora ma lo è soprattutto oggi, quando parliamo di temi quali cultura, formazione, lavoro, il problema del territorio. Perché se il volontariato rappresenta la comunità, la collettività, la società civile come l’abbiamo chiamata nel corso degli anni, quello che si è capito è che, senza la presenza del territorio, che non vuol dire soltanto la collettività, ma vuol dire per esempio gli enti locali, il mondo dell’imprenditoria, tutte le altre realtà sociali, professionali che esistono sul territorio, non andiamo da nessuna parte. E credo che questo sia stato il fatto determinante di un volontariato diverso. Non soltanto di un volontariato ma anche dei ruoli che chi entra in carcere si deve dare. In carcere esiste il volontariato ma via via abbiamo capito che esistono anche altre figure professionali che corrispondono ad altri percorsi che devono essere integrati, che possono e devono lavorare insieme, ma sono ruoli diversi. Da una parte abbiamo il volontariato, da un’altra parte abbiamo l’operatore sociale, il formatore ecc. Parliamo di sportelli dentro al carcere come parliamo di corsi di formazione, che non possono essere fatti da volontari. E’ una professione, è una competenza che richiede una continuità che il volontariato può offrire ma che può anche non offrire, non è che per questo il volontariato non vale. Si è creata la questione del lavoro, abbiamo sentito prima, occorrono recuperatori sociali, esistono dei formatori, dei tutors, esistono delle persone che devono fare l’accompagnamento. Tutti questi sono dei ruoli professionali che, abbiamo capito, non devono essere affidati ai volontari. Allora mi si dirà: e il volontario a cosa serve? Io credo a moltissimo. Il volontario è una figura che rappresenta questo tramite con l’esterno. Il volontariato può essere un esempio, deve essere un esempio di confronto sui grandi temi, sui temi delle relazioni con gli altri, di una relazione con se stesso, sui temi della legalità, sul tema delle opportunità. Io credo che questo sia un ruolo che il volontariato può ricoprire. Il volontariato ha poi dei non- ruoli, non deve fare quello che spetta ad altri. Può promuovere le richieste, sicuramente, molto spesso interviene in casi di emergenza, ma io credo che il volontariato non debba occupare gli spazi degli altri, lo spazio dell’operatore sociale, del formatore, questo non deve avvenire. Come non deve avvenire che il volontario sia dalla parte di qualcuno. Questo è uno dei grossi problemi che molto spesso porta i volontari a discutere, per esempio, con gli psicologi prendendo le parti dei detenuti. I volontari stanno dalla parte di un percorso di confronto, di analisi e non importa da che parte si sta. Si sta dalla parte dei diritti, della solidarietà, dalla parte della giustizia. Credo che questo sia importante perché altrimenti il ruolo del volontariato diventa, come dire, un ruolo di sindacalista del detenuto. Assolutamente no. Non si fa del bene a nessuno. Io credo che questo sia stato, e possa essere, un difetto del volontariato, un difetto che poi ha anche una sua causa. Una causa che può essere riferita alla mancanza di una formazione seria ed adeguata. Devo dire che proprio dalla valutazione di quello che è stato il percorso del volontariato nel suo complesso, è nata la spinta che nel lontano 94 ha fatto incontrare tutte le associazioni che operavano nel volontariato. Ricordo ancora le riunioni organizzate nel 94 a Roma dove si incontrarono il Presidente della SEAC, che coordina molte associazioni piccole e grandi che lavorano nel penitenziario, la CARITAS nazionale e l’associazione L’ORA D’ARIA che rappresenta un mondo più laico, con la presenza di un grande amico Luciano Tavazza che è stato il nostro accompagnatore. Non è stato facile, un po’ eravamo diffidenti uno con l’altro, un po’ eravamo pieni di dubbi, non sapevamo a cosa ci avrebbero portato questi incontri. Avevamo, però, delle idee chiare che erano comuni, quella che il volontariato non era una buona azione, che il volontariato non aveva una maternità ed una paternità, non era cioè né laico né cattolico, né aveva una etichetta di una struttura piuttosto che di un’altra, che occorreva traghettare il volontariato da uno spontaneismo che esisteva, e che creava anche dei danni, ad un volontariato formato e con un’identità precisa. Molti, all’inizio, temevano che si volesse formare una nuova associazione. Niente di tutto questo, volevamo creare un tavolo di confronto che non fosse né il sindacato del volontariato, né la rappresentanza dei detenuti. Abbiamo deciso di lavorare insieme, di mettere insieme tutte le nostre esperienze nel pieno rispetto delle nostre autonomie. Ogni associazione - Caritas, SEAC e tutte le altre che sono venute dopo-, devono continuare a lavorare con la propria filosofia, con la propria deontologia. Insieme dovevamo trovare un comune denominatore, dovevamo lavorare per questo. L’abbiamo trovato, e abbiamo lavorato insieme dal 2000 ad oggi in vari settori come ad esempio sulla richiesta di un atto di clemenza fatta dal Papa a cui non è stata ancora data una risposta, ma anche sulla politica dei minori, sul tema della sanità, sulle questioni di vivibilità quotidiana nel carcere. Abbiamo cercato di porci come interlocutori nelle istituzioni, al Ministero della Giustizia, in modo che al Dipartimento non avessero degli interlocutori diversi, una volta l’uno una volta l’altro, tanto che all’istituzione stessa risultava difficile capire il ruolo del volontariato. Abbiamo deciso di costruire un tavolo con l’istituzione e questo è stato fatto. Con il Ministero, con il DAP oggi vi sono dei lavori, degli incontri, esistono dei riconoscimenti reciproci, vi sono dei protocolli di intesa già firmati ed altri in attesa di firma. La Conferenza non vuole lavorare soltanto sulla questione carcere, ma sulla questione Giustizia, su quello che c’è prima della detenzione, sul discorso della prevenzione molto difficile, sull’espiazione della pena, ma soprattutto sul territorio, sulle misure alternative, sull’affidamento, su tutto ciò che esiste sul territorio. Tra l’altro, le persone ammesse all’espiazione della pena con misure alternative sul territorio, possono rappresentare un vero aspetto di allarme sociale. E’ importante in tale senso rivolgere la nostra opera anche in questo settore. Perciò risulta importantissimo collaborare con i CSSA, anche per modificare l’immagine comune del volontariato della giustizia non esclusivamente inteso come volontariato carcerario. L’altra parte del percorso della Conferenza è stato nel passaggio dal grande al piccolo. Dopo aver creato la Conferenza Nazionale siamo passati all’istituzione delle conferenze regionali. Dopo aver creato un’immagine ben visibile all’esterno occorreva lavorare sul territorio, perché è sul territorio che avvengono le cose e che si presentano le difficoltà. Ci sono differenze di interventi legate al territorio. Ci sono le regioni forti, come la Lombardia, che, ad esempio ha del lavoro da offrire ai detenuti, ma ci sono altre regioni come ad esempio il Lazio dove non c’è lavoro ma ci sono altre risorse da sfruttare come una grossa apertura, tanta cultura ecc. Ci sono situazioni in cui gli enti locali sono attivi, sono presenti, offrono delle risorse, perché le risorse sono importanti, come ci sono situazioni in cui queste risorse non sono presenti. Per questo erano necessarie Conferenze Regionali che ormai esistono in tutte le Regioni. Proprio dalle riunioni con le conferenze regionali capiamo le difficoltà, la differenza degli interventi da attuare. Essere qui, in questa Regione, per noi è importante perché sappiamo che vi sono delle potenzialità in ogni regione anche se la presenza del volontariato non è molto forte. Anche la presenza sui mass-media va riconsiderata. In genere si parla solo di alcune realtà, di alcuni Istituti, di alcune attività, dimenticando tutto quello che avviene in altre parti. Credo che questo sia un impegno da prendere in considerazione. Ogni volta che la stampa ci chiede in quali Istituti si fa cultura, c’è lavoro o, si fanno delle iniziative innovative, dove esistono delle buone pratiche, noi rispondiamo Opera, Firenze Sollicciano, Rebibbia. Questi sono i nomi ricorrenti. Invece noi dovremmo invitarli a non entrare negli istituti che conoscono, ma di andare a vedere gli altri, dove si fanno dei grandi sforzi per fare delle piccole cose, e che, probabilmente, hanno un maggior valore di quelle che facciamo negli istituti dove forse tutto è più facile. Questo è tutto quello che intendevo dire. Rispetto al programma che ho visto sulla scuola di formazione per il volontariato, io credo che sia molto importante e mi fa molto piacere che si inizi partendo proprio dalla formazione. La formazione spesso è vista come un qualcosa in più, un optional, invece io credo che in carcere i volontari non dovrebbero accedere se prima non formati. Questo lo diciamo ai volontari: entrare in carcere senza formazione, può fare del male, tanto male, soprattutto alle persone a cui è rivolto l’intervento. La questione della formazione è fondamentale. Credo che sia importante portare avanti quella che si definisce una formazione unitaria. Dobbiamo formarci tutti, in primis noi volontari. Si deve formare chi lavora in carcere, che siano educatori, che sia Polizia Penitenziaria, per conoscere i volontari, per sapere cosa dobbiamo fare, chi siamo, da dove veniamo. Una conoscenza reciproca che deve valere anche per tutti gli operatori del territorio che non sono solo quelli dei CSSA ma, per esempio, quelli del Servizio Sociale del territorio. A noi manca sempre un pezzo, che è quello dell’uscita dal carcere. Abbiamo persone che seguiamo durante la detenzione, seguiamo durante l’uscita dal carcere in misura alternativa, ma che poi perdiamo a fine pena. Nei percorsi che noi facciamo, a cominciare da questi progetti di formazione sul volontariato, dobbiamo essere tutti presenti includendo gli educatori, gli psicologi, la Polizia Penitenziaria, il CSSA, i volontari, il territorio. Solo coinvolgendo tutti possiamo seguire i soggetti durante tutto il percorso. Devo dire che coinvolgere il territorio molto spesso è una grande fatica, ma non se ne può fare a meno. Credo che l’istituzione di un Centro di Servizio per il volontariato sia un grosso ma importante impegno. Termino dicendo che forse noi abbiamo esperienze di più lunga durata, spesso siamo stati più fortunati in certi territori, il Provveditore che conosce l’Italia sa che è una fortuna avere degli enti locali o avere delle strutture che rispondono, ma tutti siamo convinti che le buone pratiche possono e devono crescere ovunque. In Calabria, proprio perché è la Calabria, ci deve essere lo stesso impegno che noi mettiamo in altri territori. Penso al Nord , Nord - Est rispetto alle questioni del lavoro, penso alle Regioni del Centro. Credo che uno scambio di esperienze, di percorsi attuati, come avviene in questa iniziativa odierna, sia utile per la crescita di tutti, perché anche la differenza nella qualità di interventi e opportunità offerte, rappresenti un fatto di giustizia.
Dr. Mario Nasone
Questo intervento è stato veramente molto ricco e conferma il nostro proponimento di avere strutture di formazione permanente. Il Provveditore l’ha già detto. In futuro, chi vorrà fare del volontariato negli istituti e nei CSSA, dovrà fare prima un percorso di formazione, perché è fondamentale che questo capitale umano che è il volontariato venga speso bene. Noi abbiamo già previsto una prima occasione di formazione. Nei mesi di ottobre e novembre faremo il corso PROMOFOL che in Calabria si chiamerà "Prima l’uomo" e che coinvolgerà operatori penitenziari, volontari, rappresentanti degli enti locali. Vorrei lasciare spazio a due-tre interventi brevi. Sarebbe opportuna qualche domanda per valorizzare meglio la presenza di nostri relatori.
Dr. Agazio Mellace – Direttore Casa Circondariale di Catanzaro
Io non ho preparato un intervento, però sono stato preso da forti emozioni nell’ascoltare le relazioni di stamattina. Lavoro da 23 anni in carcere e mi sembra di sentire stesse parole, stessi discorsi, stessi proponimenti, alti, qualificati, appassionati, veri perché nascono dall’esperienza. Sono stato io, Monsignore, colpevole di avere detto Paradiso quando lei ha affermato che il carcere è un Inferno. Io, da dietro, ho detto Paradiso, per provocare. Il carcere è un luogo dove si limitano alcune libertà, ma può essere un luogo di redenzione, di ampia cultura, di proponimento, di preziosità per tutti. Volevo solo dire no alla cultura del lamento. Sono lieto di lavorare in una realtà dove vedo giorno per giorno che questo è possibile, quello che è l’intendimento, quello che è il desiderio, si può realizzare. Il carcere è anche un luogo che a volte diventa positivo rispetto alla società, ma non da adesso, da qualche decennio. Ho sentito qualche detenuto che mi diceva: io non voglio uscire. L’ho sentito ad Opera dove c’era una sezione a custodia attenuta, a Vercelli dove c’era un detenuto sieropositivo che non veniva curato, mi è capitato ad Opera dove è stata fatta un’esperienza molto bella. Questi detenuti non volevano uscire perché avevano realizzato all’interno del carcere un tipo di regole, di comunanza di intenti, che per loro erano vita. Voglio solo dire che in carcere si possono fare tante cose, ma non domani, subito. Volevo anche sottolineare, perché mi ha colpito molto per la sua veridicità, quello che ha detto Riccardo Rebuzzini: che in alcuni istituti si fanno più iniziative di quanti sono i detenuti. C’è qualche carcere che lo fa. Bisogna, perciò, valutare che tipo di iniziativa si fa. Voglio ancora dire a Riccardo che io il lavoro lo ritengo fondamentale, senza il lavoro non si muove niente, non si muove la dignità umana, non si muove il vecchiume nella società e nel carcere. Sono convinto che dal carcere può partire il lavoro. Molte volte diciamo che deve cambiare la società, io invece, nel mio piccolo, ho provato a cambiare la realtà interna, e ho visto che questo è possibile ed è possibile farlo in pochissimo tempo e che da lì nasce anche il rinnovamento per l’esterno. Tutto ciò è possibile quando si lavora per progetti. In Calabria questo lo stiamo facendo e stiamo vedendo che un rinnovamento, un cambiamento, si sta verificando da mesi. Vogliamo proseguire su questa strada, e credo che quando c’è la volontà, se c’è un forte intendimento di realizzarlo, si può fare. Alla Dottoressa Bertolazzi vorrei chiedere: se, come afferma, il volontariato non è dalla parte della Direzione né del detenuto, gli operatori con chi sono? Gli operatori sono con lo Stato, sono con l’Amministrazione, sono con la Legge. Questo è un atteggiamento che forse va rivisto. Rappresentiamo un’idea, una normativa, rappresentiamo ciò che lo Stato ci invita a fare, questo vuol dire molto. Forse il volontariato si sente distante, a parte, quasi a dividere. Io penso che forse con l’imparzialità ci guadagneremo tutti.
Mon. Giancarlo Maria Brigantini – Replica
Anche se è sempre una realtà drammatica quella del carcere, è consolante sentire dire queste parole di coraggio su ciò che si può realizzare tutti i giorni. In questo senso credo che sia molto preziosa la capacità di snellire i passaggi burocratici che rendono complicata la vita in carcere, e la non sincronia, per esempio, tra l’azione dell’uno e dell’altro. Se tutto questo si risolve con interventi efficaci, ben coordinati tra loro e con uno sguardo risolutivo ai problemi, si ha veramente una grande grazia. Ben volentieri mi associo a quanto lei dice auspicando proprio questa concretezza che già tutti i giorni un operatore in carcere può attuare. Il si o il no dell’operatore, la sua presenza o assenza, determina spesso la vita degli altri. Basta un nulla per aprire o chiudere la porta, è un mistero. E’ importantissimo questo. Mi preme dire una seconda cosa su quella che è la sincronia che è stata auspicata tra tutti i vari momenti degli operatori. E’ bellissimo sentir dire che si può lavorare insieme per sperimentare e per migliorare sempre di più. Il volontariato non occupa spazi altrui però, nello stesso tempo, gli operatori hanno bisogno del volontariato. Guardate ciò che fa il volontariato non può farlo l’operatore, anche il contrario, ma anche questo. Ci sono spazi che solo il volontariato occupa. Non deve occupare spazi altrui ma deve occupare i propri. E’ difficilissimo sincronizzarsi insieme, questo è molto importante per chi dirige. Chi dirige deve avere il quadro di tutto e nello stesso tempo operare per fluidificare le diversità degli operatori.
Dr.ssa Carmen Bertolazzi – Replica
Rispetto a quello che diceva il Direttore, mi scuso, forse, non mi sono spiegata. Io sostenevo che il volontario non è un educatore, è una figura terza. Dico questo perché non è molto chiaro sia nella discussione che c’è nel nostro ambito, sia perché spesso, ahimè, è una pratica affermata. Il volontario non è un rappresentante della causa del detenuto, e non è nemmeno una nuova figura dell’istituzione penitenziaria, altro rischio che si presenta nella realtà quotidiana. Lo dico perché molto spesso, in alcuni istituti, questi problemi di identità del volontario si sono posti. Alcune direzioni hanno chiesto, si sono poste il quesito, se il volontario debba partecipare alle riunioni di equipe. Io posso dire qual’ è la mia idea assolutamente personale. Accade di frequente che al volontariato, molto presente in alcuni istituti, vengano chiesti dei pareri. Questo perché, in alcuni casi, il volontario conosce i detenuti, non voglio dire meglio della Polizia Penitenziaria, perché so che questo non è vero, però rispetto agli educatori e alla quantità di educatori presenti negli istituti, forse si. Io credo che si possano dare dei pareri. Se penso alla mia attività di volontaria che consiste nel lavorare con le Direzioni, con gli educatori, con il comandante, si esprimono costantemente pareri sulle persone. Non penso, però, si possa partecipare a riunioni dove figure istituzionali devono prendere delle decisioni che molto spesso riguardano la libertà delle persone. Credo che questo non sia il ruolo del volontario. Così come non è il ruolo del volontario quello di affermare che il detenuto ha sempre ragione, assolutamente no. Il volontario entra in carcere per fare dei percorsi soprattutto di riflessione, e quindi anche di cambiamento. Si dice che in carcere ci siano molti casi di innocenza, io come volontaria devo partire dal presupposto che ci sono dei colpevoli altrimenti farei altri tipi di battaglie riguardanti la giustizia. Se una persona è detenuta il mio problema da volontaria non è se innocente o colpevole, ma se il periodo dell’espiazione della pena gli può offrire occasioni, opportunità di cambiamento, che credo siano l’essenza stessa della pena. Partendo da questo, poi, posso fare altre battaglia sul fatto che il carcere non può essere l’unico modo di espiare una pena, ma questo sarebbe un dibattito successivo. Da anni chiediamo al legislatore di intendere la condanna in tanti modi, non solo come la cella del carcere. Io sono d’accordo con quanto detto sul volontario inteso come soggetto terzo, ma farlo diventare tale non è facile e occorre la formazione. E’ questo che intendevo dire. Spesso il volontario che entra in carcere, e lo dico da volontaria, non ha chiara la propria identità. Altro problema fondamentale è quello del lavoro. Il lavoro dà dignità ed identità, autonomia economica e in molti casi sopravvivenza. Pensiamo ai detenuti stranieri che non hanno una famiglia all’esterno, o ai poveri italiani. Il problema del lavoro è però molto complesso. Tutti noi abbiamo fatto degli inserimenti lavorativi chiedendo ai nostri amici di assumere qualcuno, rovinando talvolta anche delle amicizie. Ci siamo però resi conto che se il lavoro non è accompagnato da un sostegno per tutte le altre problematiche della persona, è un’esperienza destinata a fallire nella sua funzione di strumento per il recupero. Una persona che ha avuto problemi di dipendenza, alcool o droghe, così come un soggetto con particolari condizioni familiari alle spalle, deve essere sostenuta da altri tipi di intervento nel suo percorso di inserimento lavorativo. Quando parliamo di inserimento lavorativo dobbiamo usare il termine "inserimento socio-lavorativo". Se per l’inserimento lavorativo, come si diceva, c’è la cooperazione sociale, per l’inserimento sociale, che deve accompagnare quello lavorativo, penso che il volontariato possa e debba avere un grosso ruolo. E’ in queste attività, con la collaborazione di altre figure del territorio, che si definisce il ruolo del volontariato.
Dr. Riccardo Rebuzzini – Replica
La tragedia si è compiuta, nel senso che, se devo essere l’ultimo a parlare mi viene una grande voglia di provocazione. Ci ho pensato un attimo, però la provocazione la voglio fare. Lo spunto me l’ha dato il Dottor Mellace quando dice che il lavoro è importantissimo. Vi prego, prendete le parole che sto per dirvi con molta attenzione e con il giusto senso. Io sono stato minacciato perché porto lavoro dentro al carcere. Ho dovuto ricorrere alla DIGOS per avere la protezione. Sono stato minacciato dalla Polizia Penitenziaria. C’è sempre una scheggia impazzita, non sono così sciocco o così stupido, però provate a pensare all’imprenditore tradizionale del territorio a cui domani vi rivolgerete per portare lavoro dentro al carcere. Portare lavoro dentro al carcere vuol dire portare possibilità alla persona detenuta di riprendere coscienza dei propri diritti. Non è che poi sempre tutti siano d’accordo su questo. Sapevo di essere un provocatore però mi sembra importante per farci un quadro completo dei problemi, altrimenti rischiamo di illuderci.
Mon. Giancarlo Maria Brigantini – Replica
Oggi è stato poco trattato il ruolo della famiglia. Questo è un limite che forse dobbiamo rivedere perché spessissimo il volontariato agisce, e sarebbe da riflettere su questo, sul detenuto, sulla sua realtà, sulla sua famiglia. Questo sarebbe un intervento decisivo per il detenuto. Abbiamo parlato poco di questo aspetto anche se avrei molte cose da dire. Credo che sia un fattore da sviluppare anche durante i gruppi di studio di questo pomeriggio.Provate a farlo, perché non si può evitare di riflettere su quanto, per il detenuto, il rapporto con la famiglia sia decisivo, in un certo senso fondamentale. Tra i problemi che io mi pongo, una domanda riguarda il 41 bis. Io non ho esperienza diretta. Nelle nostre carceri io non ne ho incontrati, però penso a ragazzi che conosco della zona di San Luca, a quali traumi possono subire, nel non poter abbracciare il loro papà, non possono vederlo se non attraverso un vetro. Io non voglio sollevare questo problema perché è un problema immenso, però c’è da tener presente questo spazio che il volontariato può gestire. In situazioni in cui la Legge è severa mi chiedo, chi copre questo vuoto? Io la pongo come domanda, non ho ancora fatto dentro di me una riflessione. So solo, attraverso gli insegnanti di religione di questi paesi, che i ragazzi più cattivi sono quelli che hanno il padre in carcere con regime di 41 bis. E’ necessario, perciò, in qualche modo, che qualcuno copra questa mancata presenza, che plachi questa rabbia che hanno dentro. Io mi chiedo: può essere il volontariato a farlo? Questa è una domanda in più. Anche se stamattina non abbiamo parlato della famiglia vi sono degli spazi che forse il volontariato, diretto o indiretto, cioè in carcere o fuori, deve in qualche modo coprire. E’ una domanda aperta perché io ci vivo con queste persone, vedo gli insegnanti. Chi aiuterà questi ragazzi? Non vorremmo avere un figlio peggiore del padre. Io porto una domanda, capisco di averla posta alla fine, ma vuole essere un invito a voi del gruppo di studio a meditare su quale possa essere lo spazio del volontariato tra la famiglia e il detenuto.
Provveditore Dr. Paolo Quattrone – Replica
Eccellenza, in Italia ci sono 500 soggetti circa, che hanno fatto una scelta di vita criminale confermata anche in ambienti penitenziari. Si sono posti fuori da ogni ordinata regola del vivere civile. Nei confronti di questi soggetti, il Ministro della Giustizia, ha emesso un apposito decreto con il quale vengono richieste delle adeguate condizioni di vigilanza, perché non vorremmo che il carcere, nelle condizioni attuali, divenisse una sorta di "università del crimine". Io sono da sempre, come operatore penitenziario, sensibile al principio della territorializzazione dell’esecuzione della pena. Ho voluto che la Casa Circondariale di Rossano fosse individuata come Casa di Reclusione, perché ritengo doveroso che questi soggetti abbiano la possibilità di scontare la pena nel loro territorio poiché, e in questo ha ragione la Dottoressa Bertolazzi, non c’è possibilità di recupero se il territorio non accoglie il soggetto. Quanto detto vale per la stragrande maggioranza dei detenuti ma non può, né deve valere, per i soggetti sottoposti all’articolo 41 bis. Questi signori, da dentro le carceri, mandano segnali di morte, da dentro le carceri minacciano, quotidianamente, gli operatori penitenziari e la stessa popolazione detenuta. Poiché molti hanno una grande disponibilità economica condizionano anche chi si vuole allontanare dalla criminalità organizzata. Lei ha detto che i bambini di questi soggetti sono "più cattivi". E’ cattivo chi fa del male per fare del male, un bambino difficilmente può essere cattivo in tal senso, un adulto può essere cattivo, i bambini sono poco attenti, poco sensibili. Chi è nato a Platì ha dei condizionamenti territoriali, ha dei condizionamenti familiari notevoli, perché è impregnato di cultura mafiosa. Noi intendiamo che il carcere diventi territorio di vita. Se il detenuto 41 bis ci tende la mano noi abbiamo il dovere, come operatori penitenziari, di porgere la nostra. Vogliamo, però, una dimostrazione concreta che per il futuro abbia volontà di fare un’esperienza diversa da quella che ha caratterizzato il suo vissuto. Prevediamo nelle carceri dei percorsi trattamentali, perché non sottovalutiamo il fatto che questa è un Italia che dimentica le vittime del delitto, e dimentica tutti quelli che si sono immolati per difendere le istituzioni della Repubblica. E’ attuale la polemica per la scarcerazione di persone condannate a 40 - 50 anni di reclusione. E’ una realtà. E’ l’applicazione della normativa da parte dei Tribunali di Sorveglianza, questo prevede la Legge. Dobbiamo essere realisti. Essere realisti vuol dire anche considerare tutto quello che ha detto Rebuzzini. Noi vogliamo e dobbiamo fare il rilancio culturale dell’Amministrazione, ma questo non deve riguardare solo la Polizia Penitenziaria. Innanzitutto il rilancio dell’Amministrazione deve partire da un nuovo progetto culturale perché il carcere anticipa i tempi. Bisogna rivedere la visione custodiale del carcere. L’Amministrazione non vuole questa visione. Vuole altro. Poi ci sono le schegge impazzite tra la Polizia Penitenziaria, tra i Direttori Penitenziari, gli imbecilli purtroppo ci sono dappertutto. Il significato molto forte è questo, le problematiche sono così complesse che nessuno di noi può avere la soluzione. La soluzione più idonea si avrebbe ideando un gioco, permettetemi questo termine, di rete. Gli operatori della Polizia Penitenziaria devono perciò pensare di fare quella che è la parte più gratificante della loro formazione professionale, quello che prevede l’articolo 5 dell’Ordinamento Penitenziario, rimettendosi in discussione, confrontandosi con gli uomini che sono stati affidati alla loro custodia. Capisco che è molto più facile chiudere un cancello che parlare con un detenuto. Ai Direttori dico: girate negli Istituti, non state dietro le scrivanie, verificate quotidianamente, perché i detenuti e gli operatori penitenziari hanno l’esigenza forte di sentire qualcuno al loro fianco. I volontari devono essere attenti ai bisogni non soltanto dei detenuti, ma della Comunità Penitenziaria, bisogna verificare che il volontario che ha la "parola buona" nei confronti del detenuto, lo abbia effettivamente visto. L’agente della Polizia Penitenziaria, specialmente negli Istituti del Nord, è spesso stato estrapolato dal proprio territorio di origine, vive spesso difficoltà di inserimento, vive in una caserma, spesso le condizioni alloggiative non sono adeguate, il supporto del personale intermedio non è dei migliori perché non si è molto attenti ai bisogni dei propri collaboratori. Gli ispettori spesso dimenticano di essere stati agenti, i sovrintendenti dimenticano che è molto opportuno che quando un agente chiama, si rechino immediatamente in sezione. Noi dobbiamo immaginare, anzi io voglio ribadire, e quando dico voglio mi identifico con l’Amministrazione, di gestire le carceri in Calabria, anche perché io sono a favore della devolution, non più con autoritarismo ma con autorevolezza, l’autorevolezza che il ruolo ci impone. Io penso che il personale dell’Amministrazione e chiunque accederà al carcere, debba instaurare da subito un rapporto significativo con l’uomo detenuto per il quale il carcere diventi non l’isola della disperazione qual è, ma un’isola di speranza e possibilmente anche un territorio di vita.
Sintesi Lavori di Gruppo
Sintesi Lavori di Gruppo Provincia di Catanzaro
Nell’incontro pomeridiano tra operatori penitenziari e volontari, abbiamo fatto una sintesi dei punti elencati nella griglia di discussione per i lavori di gruppo. Abbiamo dato una valutazione favorevole, positiva, a questo momento di conoscenza tra volontari ed operatori qui presenti a vario titolo, che l’Amministrazione ci ha offerto. Ci siamo scambiati delle reciproche esperienze fatte nel penitenziario. Tra i primi punti abbiamo sottolineato le difficoltà operative che si incontrano quotidianamente, dovute a carenze di personale. I volontari ci hanno sensibilizzato su quelli che sono i tempi tecnici che molte volte si perdono nelle attese, per venire in contatto con l’utente. Tempi che stiamo cercando di ridurre con il miglioramento delle condizioni logistiche nelle sezioni dove si effettuano i colloqui. Stiamo cercando di creare degli uffici più comodi e confortevoli, in modo che tutti gli operatori possano andare nei piani delle sezioni per effettuare i colloqui con i detenuti. E’ stato sottolineato come, da parte soprattutto della Polizia Penitenziaria, ci sia uno spirito di collaborazione con i volontari, che con il loro grande contributo spesso devono farsi carico di situazioni particolari dovute a carenze di operatori penitenziari, in particolar modo degli educatori. Abbiamo riportato l’esperienza che stiamo vivendo a Catanzaro. Con i volontari abbiamo allestito degli sportelli per le varie esigenze dei detenuti. Abbiamo creato uno sportello CARITAS che si occupa della distribuzione degli indumenti ai detenuti indigenti, e uno sportello informativo. Con la collaborazione del Cappellano del carcere e dei volontari, siamo in grado di fornire delle risposte alle richieste più frequenti dei detenuti, misure alternative, benefici ecc. Sono state individuate delle persone responsabili all’interno di ogni reparto dei padiglioni detentivi, che curano la raccolta delle richieste. E’ stato approntato anche un modellino per le richieste fatte dai detenuti soprattutto per quanto riguarda le innovazioni legislative, ad esempio per la liberazione anticipata. Le innovazioni apportate dalla nuova Legge prevedono infatti, l’inoltro immediato delle pratiche al Magistrato di Sorveglianza corredate dalle prescritte relazioni affinché si possa esprimere una valutazione in tempi brevi. L’estensione di tale istituto anche agli affidati, ed il conseguente aumento del numero delle pratiche negli istituti, nei CSSA e per i Magistrati di Sorveglianza, ha generato la necessità di fornire risposte precise ed immediate che possono determinare la scarcerazione di detenuti. La terza domanda della griglia riguardante l’indicazione delle aree tematiche che in modo prioritario richiedono un maggiore impegno ed investimento delle risorse del territorio, è stata una domanda che ci ha stimolato alla discussione. A questo proposito, sempre riferendoci all’esperienza che si sta facendo al carcere di Catanzaro, si è sottolineato come l’esperienza formativa non debba essere un momento fine a se stesso ma, come per esempio nella istituzione di laboratori artigianali, debba prevedere una progettualità che permetta la realizzazione di un aggancio con il territorio. I laboratori possono offrire lavoro e attivare sul territorio delle richieste in settori specifici. Altro gancio importante da sviluppare sul territorio è quello con gli enti locali. Qui, come ha preannunciato il Provveditore, è in atto la sottoscrizione del Protocollo di intesa con la Regione che sarà lo strumento, così come ribadito anche nel gruppo, che darà l’indirizzo a tutta la progettualità dell’Amministrazione Penitenziaria calabrese. E’ importante attivare con gli Enti Locali, con la Regione con le Province, ulteriori protocolli di intesa per la formazione e lo sviluppo di gruppi di lavoro che possano condividere ed incentivare le attività già svolte nei vari istituti. Il Protocollo prevede poi anche una progettualità riguardante la scuola che sarà di tipo modulare partendo dalle scuole dell’obbligo, alle superiori, per poi passare, in una fase successiva, alla creazione dei poli universitari. Il progetto prevede un tipo di intervento modulare ed interdisciplinare. Il volontariato è basilare in questo momento e ne ha piena consapevolezza, perché da soli noi operatori penitenziari non potremmo farcela.
Integrazione Lavori di Gruppo – Provincia di Catanzaro
Io voglio soltanto fare delle conclusione perché è già stato detto tutto nella precedente relazione. Voglio solo auspicare che ci siano dei confronti periodici tra gli operatori interni del carcere e noi volontari. Sono necessari dei momenti formativi sia a livello di operatori, di educatori, di assistenti sociali, di criminologi, di psicologi perché abbiamo tutti bisogno di conoscerci. E’ solo attraverso la conoscenza e l’interazione tra noi che possiamo fare il bene del detenuto e lavorare per un suo futuro reinserimento nella società. Abbiamo bisogno di vederci, di incontrarci e di confrontarci più frequentemente perché è importante che la nostra formazione sia comune.
Sintesi Lavori di Gruppo - Provincia di Cosenza
Sono il Direttore del CSSA di Cosenza e proverò io a sintetizzare la discussione del gruppo. Abbiamo fatto una piccola riflessione su quello che soffre la gestione dei volontari all’interno degli istituti di pertinenza della provincia di Cosenza, incluso il Centro di Servizio Sociale che si avvale della presenza di 2 volontari. Come primo punto della problematica abbiamo ribadito che, probabilmente, c’è un po’ di confusione tra art. 17 e art.78, l’abbiamo annotato come punto da sviluppare per arrivare ad un maggiore coinvolgimento delle persone con un sempre maggiore utilizzo dell’art.78. Per quanto riguarda il servizio sociale penitenziario ci stiamo attivando perché non c’è una casistica di quello che il volontariato ha fatto, casistica che dovrà essere sviluppata. Abbiamo fatto dei piani di lavoro che speriamo possano portare dei risultati positivi. Un altro nodo che è stato individuato nel lavoro dei volontari è la mancanza di coordinamento tra CSSA e volontari. E’ una mancanza di conoscenza reciproca all’interno degli Istituti tra il volontario e l’assistente sociale. Il maggiore coinvolgimento del CSSA riguarda anche il momento della dimissione del detenuto, momento molto delicato per il reinserimento nella società. E’ perciò auspicabile un maggiore coinvolgimento nei luoghi di sostegno, e un maggior punto di riferimento nelle figure degli educatori. Educatori le cui problematiche sono state già ampiamente sottolineate. Emerge l’esigenza di una maggiore flessibilità negli orari dei colloqui dei volontari, nel rispetto delle esigenze della sicurezza che ben conosciamo, ed un maggior coordinamento nelle varie attività. Sappiamo, e da questo punto di vista le Direzioni dovrebbero fare uno sforzo, che vi sono spesso accavallamenti di attività diverse negli stessi spazi, già pochi, e negli stessi orari. Se riuscissimo ad avere una migliore razionalizzazione degli spazi si potrebbe avere una migliore organizzazione delle attività del volontariato e delle altre figure. In questo sono incluse anche le attività dei CSSA che come organi esterni vanno ad occupare , spesso, spazi già impegnati Tra le problematiche evidenziate durante la discussione è emersa l’esigenza di avere un volontariato adeguatamente formato, tanto da spingerci a proporre una necessaria formazione professionale per i volontari penitenziari. Abbiamo evidenziato anche la necessità di creare dei raccordi tra il volontariato e le imprese che lavorano sul territorio in modo che il volontariato diventi una sorta di cuscinetto e possa portare negli Istituti e nei Centri nuove idee anche per quanto riguarda gli sbocchi lavorativi. Probabilmente, molte cose che a noi operatori penitenziari sembrano impossibili, determinano una maggiore apertura e un miglior dialogo, se proposte da una persona che viene dall’esterno. Tante cose che sembrano irrealizzabili potrebbero essere sviluppate con nuove idee, proposte da persone esterne alla comunità penitenziaria. Abbiamo condiviso l’idea del Provveditore di programmare dei corsi di formazione per volontari, ci sembra un’idea vincente, ma anche su questo punto si è evidenziato qualche nodo problematico. Il volontario di per sé considera il detenuto come una persona con cui si devono attuare degli interventi. Bisogna, però, considerare che questi interventi possono avere una maggiore efficacia se vengono programmati, condivisi e progettati con l’Amministrazione. Un’altra proposta che forse non sarà accettata ma che vuole essere una provocazione, è quella di fare un albo dei volontari del Provveditorato. Istituire un albo a cui si accede attraverso una specie di prova valutativa che non vuole essere una prova punitiva, ma una valutazione generale della persona. A volte, dietro, ci potrebbero essere degli interessi particolari. L’albo servirebbe ad evitare le situazioni spiacevoli di cui si diceva prima. Nella nostra esperienza abbiamo avuto il caso di una ragazza che era uscita da un gruppo che era stato creato nel carcere di Cosenza 4 anni fa in un corso per volontari che poi non ha potuto continuare la propria attività. Anziché seguire un iter burocratico molto complesso, si potrebbe arrivare ad avere un elenco di volontari da gestire con più elasticità. Infine c’erano delle proposte. La prima riguarda la istituzione di una Consulta Provinciale con sede nei Capoluoghi così da rendere più omogeneo il lavoro del volontariato all’interno della stessa Provincia. La Consulta dovrebbe essere costituita da un gruppo abbastanza omogeneo che preveda, al suo interno, dei gruppi di lavoro operanti nei vari Istituti e Centri, con compiti ben precisi, e che includa tutte le figure dell’Amministrazione Penitenziaria compresa la Polizia Penitenziaria. Questo potrebbe rappresentare un momento di raccordo per quelle problematiche di cui si è parlato. Questo che abbiamo sottolineato è finalizzato ad una progettualità che eviterà la frammentarietà degli interventi.
Sintesi Lavori di Gruppo – Provincia di Crotone
Cercherò di essere molto breve anche perché il nostro gruppo era formato solo dagli operatori di Crotone, 6 persone. La presenza attuale del volontariato nel nostro Istituto è di una volontaria ex art. 78 e due volontari ex art. 17 che hanno già avviato la pratica per l’articolo 78. Si spera che prossimamente possiamo contare su maggiori forze. E’ presente una Consulta carceraria presso il locale Episcopato che è seguita direttamente dal Cappellano. Si sta facendo già da alcuni anni un corso di formazione, anche se non è stato ancora possibile coordinare gli interventi e prevedere una turnazione di operatori nell’Istituto. Questa sarà una iniziativa da attuare prossimamente. Chiederemo al PRAP le modalità da seguire per organizzare un corso di formazione tra Amministrazione Penitenziaria e Consulta. Abbiamo la presenza sporadica, episodica, della Caritas locale. La realtà di Crotone ci fa dare una valutazione non molto positiva rispetto al I° punto per vari problemi a cui accennerò. Su tutto il territorio non c’è una presenza massiccia e visibile del volontariato, e purtroppo, quella che è la realtà esterna, si riflette all’interno dell’Istituto. Quali sono le problematiche emergenti sul territorio? Poca presenza del volontariato a vari livelli, soprattutto poca visibilità, scarsa conoscenza , isolamento del carcere, e disinformazione sul mondo carcerario. Queste sono le problematiche che viviamo a Crotone, così come penso, anche negli altri istituti. Questi sono aspetti molto generici, però, messi all’interno di un discorso sul volontariato, sono molto importanti. Un volontario deve essere prima di tutto informato su quello che dovrà affrontare e vivere, come cittadino prima di tutto e poi come volontario. Vi sono carenze di canali di comunicazione tra carcere, territorio e con gli enti locali. Ultimamente è presente la Provincia. Attraverso suoi finanziamenti sono stati realizzati dei progetti. Gli altri enti locali sono del tutto assenti. Il problema carcere-territorio è vissuto quotidianamente. Quali sono le tematiche più urgenti da considerare in termini progettuali, soprattutto cosa vorremmo realizzare prossimamente? Gli extracomunitari rappresentano una categoria che a Crotone, ultimamente, è stata massicciamente presente. Sapete tutti degli sbarchi di clandestini, cosicché siamo arrivati a punte del 50% della popolazione carceraria. Extracomunitari con i più svariati problemi anche a livello espressivo e comunicativo. Sarebbe pertanto opportuno avviare un progetto di mediazione culturale, che rappresenterebbe una iniziativa coinvolgente i vari operatori e i volontari. Anche tutta la problematica del detenuto tossicodipendente, che per la realtà di Crotone è ormai radicata, ci spinge ad avviare una serie di iniziative in questo campo. Un altro progetto molto importante, di cui hanno già parlato altri colleghi, è lo sportello informativo, per un discorso di orientamento, formazione e conoscenza a tutti i livelli, soprattutto per gli stranieri. Ci sono, poi, altri progetti, rivolti in particolare al miglioramento della qualità della vita all’interno dell’istituto; la biblioteca, un giornalino informativo ecc. Questi progetti sono legati alla presenza di altre forze in campo, tra cui quella del volontariato. Ci sarebbe poi una serie di problemi logistici per l’organizzazione dei corsi di formazione, e per la sede della Consulta provinciale. Ci sono problemi di spazi tanto che si pensava di operare direttamente sul territorio, ad esempio ospiti dell’episcopato. Le modalità le concorderemo in seguito, si stava pensando di fare la parte formativa all’esterno e la parte esperenziale all’interno dell’Istituto. Tutti questi progetti presuppongono uno screening delle realtà presenti, che spesso non si conoscono. Non sappiamo se vi sono associazioni, Enti, cooperative, gruppi. Conosciamo poche di queste realtà, forse anche perché noi, dall’interno, non diamo un segnale di apertura. La prima fase dovrebbe essere quella della conoscenza del territorio, in una fase successiva l’organizzazione di corsi di formazione, e successivamente la stipula di veri e propri protocolli di intesa.
Sintesi Lavori di Gruppo – Provincia di Reggio Calabria
Durante il nostro incontro è emerso, come aspetto importante, la necessità della formazione per i volontari. Operare in un carcere è diverso dalle attività in altri settori per cui è necessaria una buona formazione. Abbiamo passato in rassegna la situazione negli istituti della provincia. A Palmi, dal 1990, non c’è nessuna presenza di volontari, l’ultima è stata nei laboratori e nelle esperienze teatrali. A Locri c’è la presenza di un’associazione culturale che gestisce un laboratorio teatrale: in passato c’erano i gruppi catecumenali che facevano la Catechesi, ora non operano più all’interno del carcere. Ci sono delle volontarie della CARITAS che entrano per gli extracomunitari e per le sezioni femminili. A Reggio siamo in 7 con l’art.17. Attualmente ci occupiamo dell’animazione liturgica ma, in futuro, sono previsti dei nuovi progetti. Fermo restando il discorso sulla sicurezza noi pensiamo che sia importante incontrare "l’uomo" se si vuole parlare di reinserimento. Se non incontri l’uomo, se non incontri la persona, credo che l’esperienza del volontariato non si possa definire completa. L’esperienza del volontariato non può, infatti, limitarsi all’aspetto liturgico. L’obiettivo è quello di elaborare progetti nuovi, diversi. Ci sono poi dei problemi particolari per i detenuti malati mentali, come per alcuni che devono uscire dal carcere ma non hanno né casa, né lavoro, né famiglia. Bisogna avere delle attenzioni anche sul territorio, specie per i detenuti tossicodipendenti, che devono avere dei punti di riferimento fuori, dove hanno bisogno di una presenza più attenta. Per poter aiutare un detenuto nel reinserimento nella società bisogna conoscerlo all’interno del carcere. La sensazione è che da noi, in questo momento, il servizio che si offre all’interno del carcere è n po’ limitato, sembra però che ci sia la buona volontà per un cammino nuovo. E’ necessario fare ricorso anche allo spirito di sacrificio perché possono capitare dei momenti particolari legati alla sicurezza, possono esserci delle emergenze che noi dobbiamo rispettare. Per questo è importante la formazione, per migliorare il nostro modo di porci, per saperci accostare adeguatamente al detenuto, alle famiglie, al mondo del penitenziario. Bisogna lavorare tutti insieme ed avere dei momenti di incontro sia con i Servizi Sociali, che con il volontariato e con le figure professionali operanti nel carcere.
Integrazione Lavori di Gruppo – Provincia di Reggio Calabria
Una piccola integrazione perché alcune cose le ha ben dette la signora che ha animato il nostro gruppo. A breve chiederemo che sia varato un tavolo di concertazione con le associazioni. Abbiamo da poco fatto un incontro a Locri proposto dal CSSA di Reggio Calabria molto utile, nel quale è emerso che ci sono numerose associazioni pronte ad offrire il loro contributo. La concertazione prevede la istituzione di corsi di formazione dopo aver costruito, con le associazioni, una rete di volontari. E’ importante ribadire che la formazione non deve dare solo una serie di nozioni ma deve soprattutto dare indicazioni sugli atteggiamenti e sui valori da trasmettere durante le attività. La formazione deve intendersi anche a livello esperenziale per l’acquisizione di atteggiamenti idonei. Un’altra proposta che viene da due volontari di Locri e da altri gruppi, riguarda la capacità di concordare con le Direzioni dei tempi di accesso più rapidi all’interno degli istituti e, per ultima, la proposta dal Presidente dell’Associazione "Amici della terra" relativa al lavoro necessario del dopo carcere. E’ necessario un maggiore accordo per pensare insieme a questo aspetto che include, da una parte, il problema della prevenzione e, dall’altra, il reinserimento per chi esce dal carcere e spesso trova il nulla.
Sintesi Lavori di Gruppo – Provincia di Vibo Valentia
Il gruppo di Vibo Valentia, in merito alla prima domanda, è partito da una premessa: la necessità di un volontariato che si adegui ad una realtà in grande evoluzione, un volontariato che pone al primo posto la persona privata della libertà che però deve essere messa nelle condizioni giuste perché conservi la propria dignità, nella considerazione che la persona è unica, anche se detenuta. Il lavoro all’interno dell’istituzione penitenziaria, attraverso i colloqui che si effettuano assume la valenza di riconoscimento della persona. Purtroppo, la società, nelle nostre realtà, è spesso poco sensibile, i mass-media ignorano il pianete carcere, ne parlano solo quando si verificano eventi negativi, i politici seguono gli umori del momento. Noi volontari, conoscendo il territorio, siamo convinti che dobbiamo fare da apri pista per produrre dei cambiamenti, senza offrire il fianco a strumentalizzazioni, ma facendo rispettare le Leggi a tutti i livelli. I mutamenti di quest’ultimo periodo, nella nostra realtà di Vibo, sono significativi. Il più recente è la presenza di 10 volontari che operano sistematicamente con l’articolo 78. Abbiamo elaborato, con la direzione dell’Istituto, un progetto, perché con i detenuti è necessario lavorare per progetti, che prevede la realizzazione di attività teatrali che li vedrà direttamente coinvolti come attori. Tra le attività che abbiamo intrapreso, ci sono spettacoli vari di intrattenimento, corso di pittura, soddisfacimento, per quello che è possibile, di qualche bisogno materiale. Le difficoltà sono molte ancora, e sono da imputare essenzialmente a mancanza di collaborazione con le figure professionali esterne, e con le istituzioni pubbliche. Sul territorio però stiamo registrando delle positività. Innanzitutto, e questo è molto importante, comincia a veicolare nel contesto la problematica carcere, e questo è un fatto estremamente positivo. Per quanto riguarda la seconda domanda noi abbiamo messo in evidenza che la pena giusta va espiata in giuste condizioni. Bisogna creare una Giustizia che ricucia e crei rapporti. Il trattamento non deve essere e ridursi ad un complesso di attività per distrarre il detenuto dalla monotonia quotidiana, questo sarebbe solo intrattenimento, ma deve essere finalizzato all’integrazione sociale, al reinserimento. Allora chiediamo la collaborazione delle strutture che operano all’esterno. Noi è da tempo che abbiamo chiesto la presenza di nostri volontari nei Centri di Servizio Sociale per Adulti, anche se a Vibo è di prossima apertura. Altra problematica che impedisce la realizzazione di momenti fondamentali per l’ opera di integrazione sociale è il sovraffollamento che crea grossi problemi perché non consente il rispetto delle regole e non coniuga i presupposti fondamentali dell’istituzione: trattamento e sicurezza. Infine, la mancanza di figure dell’area trattamentale, impedisce dei rapporti proficui all’interno della struttura. Per quanto riguarda il terzo quesito vogliamo mettere in evidenza che è necessario superare la difficoltà dovuta alla scarsità di risorse se vogliamo operare un cambiamento di cultura, se vogliamo contribuire al superamento di molti pregiudizi. L’obiettivo, nella nostra realtà, è il coinvolgimento del sociale, del mondo dell’imprenditoria perché poi si arrivi alla sensibilizzazione degli enti locali stimolandoli, almeno speriamo, come diceva stamattina l’onorevole Chiarella, che finalmente la Regione recepisca la 328 e si creino gli spazi in cui gli enti territoriali devono agire per cercare di soddisfare tutti quelli che sono i bisogni. Verso la realizzazione di questo obiettivo, un primo passo fondamentale, e questo è un invito per tutti, è il convegno regionale della Conferenza del Volontariato Giustizia che terremo il 20 prossimo a Vibo. Il convegno vuole essere il primo passo verso questo cammino di sensibilizzazione. Per quanto riguarda la quarta domanda abbiamo condiviso l’iniziativa dell’istituzione di una scuola di formazione per volontari anche se pensiamo che sarebbe opportuno che la formazione dei volontari fosse fatta insieme agli operatori istituzionali per creare una maggiore sinergia ed empatia negli interventi. Al volontariato si richiede anche maggiore coinvolgimento, lo si chiede al mondo del volontariato, alla Conferenza Nazionale del Volontariato Giustizia, alla CARITAS. Si chiede che si attivino in questi momenti di formazione. Si auspica, infine, la promozione di altri incontri di questo genere, almeno con cadenza annuale, per verificare i percorsi, per verificare se il cammino che di volta in volta si intraprende sia quello giusto ed eventualmente porre i correttivi necessari per renderlo più incisivo, per non rischiare di essere autoreferenziali. Per quanto riguarda, infine, l’ultima domanda, abbiamo messo in evidenza che l’area educativa, con progetti mirati alle singole realtà, deve essere terreno di collaborazione mediante gruppi di lavoro e incontri programmati in maniera tale che, tutti i soggetti, abbiano pari dignità, in relazione ai rispettivi ruoli, tra educatori, agenti e volontari. Questo perché? Riteniamo sia vero che il carcere ferma la persona e la fa pensare, ma riteniamo altrettanto vero che, se in questo pensare è accompagnata, può anche cambiare.
Sac. Antonino Iachino – Replica
E’ certamente, quella che si è fatta oggi, un’iniziativa di cui dobbiamo essere grati, l’abbiamo detto fin dall’inizio, al Provveditore, perché è stato lui soprattutto che ha voluto questo incontro. E’ stato importante già incontrarsi. Io capisco tutti i limiti che ci possono essere in un incontro organizzato con tanta fretta, con tanti relatori. Questi sono tutti limiti che portano a lavorare con meno intensità, forse non esprimono i sentimenti o le idee di tutti i partecipanti. In ogni convegno ci sono sempre questi limiti, soprattutto quando è intenso e ridotto tutto in una giornata. Io volevo, a conclusione, sottolineare una cosa: il volontariato normalmente nella sua attuazione nei vari settori, ha una storia, ha dei contenuti precisi, ha delle regole, ha firmato anche un carta d’identità tanto che non si può più parlare del volontariato spontaneo come se fosse qualcosa che stiamo inventando ora. Quando parliamo di volontariato sappiamo di che cosa si parla, anche se una definizione del volontariato è stata sempre difficile da dare. Noi abbiamo una descrizione del volontariato perché esso è molto di più di come il nostro linguaggio può definirlo, ha prospettive sempre più ampie e soprattutto esprime il meglio della società civile. E’ un soggetto sociale di cui non si può più fare a meno, è una crescita della società. Laddove il volontariato esiste e opera c’è qualità di servizi, c’è qualità di vita certamente assai superiore agli ambiti in cui il volontariato è assente. Dobbiamo essere molto attenti e soprattutto, oserei dire, il volontariato carcerario ha una sua storia precisa. Ho detto stamattina qualcosa sulla indagine della FIVOL che bisognerebbe leggere nella sua completezza, laddove si parla delle tre fasi del volontariato carcerario, significano la sua storia. E’ proprio là, dove la persona sta vivendo la sua storia di redenzione, il suo purgatorio, come diceva il direttore di Reggio, che la società civile deve essere presente. Questo è stato il primo passo, c’è stato sempre, per i cristiani. Poi è anche un dovere di coscienza visitare i carcerati, è una dimensione della propria esistenza cristiana. Quindi bisogna trovare le modalità, le regole. Le regole si è cercato di scriverle sempre nella storia, non è un favore che viene fatto, semmai è un favore quello che fanno gli istituti penitenziari alla società, ma è la società che deve farsi carico dei suoi mali e curarseli. Li cura attraverso queste istituzioni che sono, certamente più adeguate, che hanno professionalità sempre più dignitose e anche di alto valore. Dobbiamo poi dire che il volontariato carcerario ha una sua crescita, ed ecco le altre fasi di cui parla la FIVOL. Se all’inizio questo volontariato era presente in modo caritatevole accanto ai fratelli che soffrono, oggi ci sono altre esigenze. Queste altre esigenze si stanno scrivendo. Il convegno di oggi è un momento di formulazione di progetti nuovi che il volontariato si propone. Noi vogliamo camminare con i tempi. Se oggi si parla di espiazione della pena fuori dal carcere, io parto dal presupposto che la società non possa essere assente in questo percorso, e non può essere assente il meglio della società civile che dovrebbe essere il volontariato. In questo senso io credo che dobbiamo lavorare e camminare insieme, approfondire, studiare, riflettere molto, curare in modo essenziale prima di tutto la formazione. Queste cose le dico con passione. Se non facciamo la formazione, corriamo il rischio di "mettere pezze" che non servono a niente, e che certe volte guastano, perché creano illusioni ed altro. Il volontariato deve essere formato, deve essere professionale, deve aggiungere qualità alle professionalità che già ci sono. Se non è professionale il volontariato è inutile e rischia di essere dannoso.
CONCLUSIONI Provveditore Dr. Paolo Quattrone
Iniziamo con una nota lieta a conclusione di questa giornata di lavori che è stata pregnante per l’idealità degli interventi, comunicando che in data 26 giugno alle ore 15,00 il Signor Ministro della Giustizia Castelli si porterà nella Regione Calabria per sottoscrivere il Protocollo di intesa. Mi è stata fatta la comunicazione dal Consigliere del Ministro, Dottor Nebbioso. La firma rappresenta il primo atto che ci darà la possibilità di fare gli interventi adeguati su tutte le strutture penitenziarie calabresi. Successivamente si potrà passare da una fase propositiva ad una fase operativa. Dopo la firma del protocollo di intesa attueremo il Progetto Athena, Progetto Giustizia, con il quale "aggrediremo" tutte le carceri della Calabria sotto molteplici aspetti, lavorativo, formazione, sanitario ecc. Penso che a voi interessi particolarmente vedere come questo progetto inciderà sui rapporti tra carcere e comunità esterna. Che cosa prevede il Protocollo di intesa? Il Ministero della Giustizia e la Regione Calabria concordano nell’affermare e nel riconoscere la corresponsabilità educativa nei confronti dei soggetti adulti e minori ristretti in carcere, e nel considerare come elemento fondamentale del trattamento, la partecipazione della comunità esterna. Definiscono le "Linee di indirizzo in materia di volontariato",approvate dalla Commissione Nazionale Consultiva dell’8 giugno 99 e del 10 marzo 94, e confermano l’importante ruolo che il Volontariato, e più in generale il Terzo Settore, possono esercitare nell’attività di prevenzione generale, nel corso del trattamento e del reinserimento sociale. Al fine di potenziare l’attività svolta dal terzo settore il Ministero della Giustizia e la Regione si impegnano a promuovere e stimolare la presenza di volontari all’interno dei Servizi della Giustizia o sul territorio, in forma singola o associata, mediante una programmazione in grado di coinvolgere i cittadini in una maggiore conoscenza e disponibilità nei confronti delle problematiche riguardanti gli istituti penitenziari per adulti e minorenni e gli altri servizi della Giustizia. Con il Protocollo di intesa si intende innanzitutto fare un’azione promozionale sul carcere. Perché? Il problema carcere non è solo un problema degli operatori penitenziari, su questo bisogna essere molto chiari, sono i problemi della società civile, tutti ne devono prendere coscienza. Se non lo vogliono fare per spirito d’amore lo facciano almeno per motivi economici considerato che un detenuto costa 300.000 lire al giorno e i soldi dei contribuenti devono perlomeno essere spesi bene. Molti non sanno, perché generalmente si pensa a quelli che stanno dentro al carcere, non a quelli che stanno fuori dal carcere, che vi sono 100.000 persone in esecuzione penale di cui 52.000 sono dentro al carcere, 48.000 sono fuori dal carcere. Non tutti sono a conoscenza di questi 48.000, tutti invece ritengono che i problemi dell’esecuzione penale siano solamente i problemi del mondo strettamente penitenziario. Il volontariato dovrebbe essere molto più attento, ed avvicinarsi al settore della esecuzione penale esterna. Noi abbiamo l’esigenza che presso i Centri del Servizio Sociale, spero in futuro Centri dell’Esecuzione Penale Esterna, vi sia l’apporto del contributo insostituibile del volontariato perché ci aiutino a stabilire il giusto rapporto con il territorio, l’integrazione del centro con il territorio. Se io facessi con i miei collaboratori un discorso squisitamente burocratico dovrei affermare che il mio mandato, e quello dei miei collaboratori, si ferma al carcere, non pone l’aggancio con il territorio. Io non sono tenuto come operatore penitenziario a fare degli interventi fuori dall’ambito penitenziario. Io concludo il mandato che mi ha affidato l’Amministrazione quando assicuro i diritti del detenuto all’interno della struttura penitenziaria. Io sono un cittadino e sono un amministratore allora subentra il concetto di Amministrazione. Amministrare oggi cosa vuol dire? Vuol dire essere attenti ai bisogni che si presentano nel settore in cui si opera. Se allora io sono un amministratore e devo essere attento a questi bisogni, il mio mandato non si può fermare al carcere, anche se burocraticamente io sono a posto, vengo pagato perché quel mandato lo esaudisca in quel settore, però sono consapevole, come cittadino e come amministratore, che l’effettiva possibilità perché i soggetti non ritornino in ambiente penitenziario è data dal fornire loro più opportunità concrete. Le opportunità concrete possono essere offerte esclusivamente se c’è sinergia di interventi tra i servizi sociali, il volontariato ed il terzo settore imprenditoriale. Nel momento in cui i detenuti escono dal carcere, persone che hanno pagato il loro debito con la giustizia, è giusto, opportuno e doveroso, che la società faccia tutto il possibile perché vengano reintegrati in ambito sociale. E’ indispensabile, in tal senso, finalizzare gli interventi. L’opera del Volontariato dentro le carceri o fuori dalle carceri è insostituibile per svariati motivi. Intanto perché noi operatori interveniamo nel carcere e il detenuto pensa "hanno l’obbligo di intervenire perché sono dipendenti del Ministero della Giustizia, vengono retribuiti per questo". Inoltre, facciamo parte di una istituzione e quindi la nostra credibilità è inferiore alla vostra perché il detenuto pensa "ci dicono questo perché il loro Dipartimento dice di dire questo, hanno delle regole ben precise". L’intervento del volontario è significativo proprio perché è al di fuori di questa logica di pensiero del detenuto. Il volontariato è spinto solamente da un bisogno d’amore e di gratuità, ed è attento ai bisogni dell’uomo o della donna detenuti. Tutto ciò il detenuto lo percepisce, lo avverte. Una parola detta da un volontario ha molto più peso di quella detta da un operatore penitenziario. E’ più credibile, perché non fa parte dell’istituzione. Il volontario deve, però, essere molto attento quando opera nel carcere. La scelta del volontariato penitenziario è una scelta molto difficile, perché il volontario penitenziario, spesso, non ottiene grandi soddisfazioni morali. Ai volontari che operano nelle strutture penitenziarie spesso viene detto " abbiamo i disabili, abbiamo gli orfani, abbiamo gli anziani, e ti occupi proprio dei detenuti, di coloro che hanno violato le norme. Stai attento ai bisogni dei delinquenti?" Talune volte queste notevoli resistenze sono proprio in ambito familiare. Questa è perciò una scelta veramente molto impegnativa e gravosa perché tra l’altro noi non amministriamo "mammolette", nelle carceri, tra tanti poveri disgraziati ci sono i "delinquenti",e molti tra questi sono capaci di attente opere di strumentalizzazione. Spesso, infatti, non siamo noi che osserviamo loro, perché tra l’altro abbiamo anche poco tempo per poterlo fare, ma sono loro che osservano noi. E ci osservano ventiquattr’ore su ventiquattro, riconoscono le persone più deboli. I Volontari che lavorano in carcere, io li considero a tutti gli effetti operatori penitenziari, non sono altro, sono operatori che fanno parte della nostra comunità penitenziaria. Naturalmente io auspico che dopo una conoscenza iniziale del "mondo carcere" si possa passare ad un maggiore utilizzo dell’articolo 78 per i volontari, e che vi siano dei volontari a tempo pieno nelle carceri. E’ chiaro però che questi interventi devono essere interventi programmati e organizzati in quelli che io definisco "I Progetti Cultura dell’Amministrazione Penitenziaria". I progetti di cultura penitenziaria devono includere l’istruzione, il coinvolgimento, le attività teatrali, le attività ludiche e tutto quello che può servire ad elevare culturalmente la popolazione detenuta. Questo è importante perché non basta il lavoro nel carcere, sappiate che tanta gente delinque molto spesso per ignoranza. Noi dobbiamo operare per la ricostituzione dei valori morali, questa è una società dove sono venuti meno i valori. Le persone che operano con grandi idealità, con grande impegno, nel tessuto sociale contribuiscono notevolmente ad elevare anche la nostra idealità di operatori penitenziari. La promozione che noi facciamo sarà anche una promozione culturale. Il mese di giugno sarà il mese dedicato all’Amministrazione Penitenziaria in Calabria, verrà la banda del Corpo a Lamezia Terme, perché molti non sanno che il Corpo della Polizia Penitenziaria ha una banda eccezionale, ci sarà la festa regionale del Corpo presso il carcere di Vibo Valentia, ci sarà la firma del protocollo di intesa con l’Onorevole Ministro della Giustizia, ci sarà il 20 p.v. presso il carcere di Vibo Valentia la Conferenza del Volontariato organizzato dai volontari della struttura, poi riprenderemo ad ottobre ma non perché ci fermiamo. Siamo già in fase esecutiva di tutti i progetti attuativi del Progetto Athena. Il progetto Athena prevede un coinvolgimento degli Enti Locali, della FACITE e del mondo imprenditoriale perché siamo i primi ad essere consapevoli che alcuni progetti dovranno essere attuati con il mondo imprenditoriale e con il cooperativismo per quanto riguarda l’aspetto lavorativo. Il dottor Rebuzzini, che abbiamo avuto il piacere di avere come relatore, è un grande imprenditore, è un milanese, e noi abbiamo approfittato della sua presenza per prendere il "pesciolino", perché lui ha fatto l’esperienza di Milano Opera. Analoga esperienza, anche se ridotta, è stata effettuata a Perugia. Abbiamo la convinzione con il dottor Mellace che la stessa possa essere ripetuta presso il carcere di Catanzaro perché le condizioni della struttura penitenziaria lo consentono. Abbiamo programmato nel protocollo il Polo Universitario ed è stato individuato in prima battuta un istituto sede di Università ossia, Catanzaro. Questo è un istituto sprovvisto di capannoni, è una mega struttura dove non si è pensato che poi i detenuti dovevano lavorare, tanto che oggi con il dottor Mellace ci troviamo nella difficoltà di dover avviare delle attività, di offrire delle concrete possibilità lavorative alla popolazione detenuta, con una carenza di spazi. Il progetto informatico del dottor Rebuzzini ci consentirà di creare 10 – 15 posti di lavoro con degli spazi anche non rilevanti. In atto c’è molta disinformazione, abbiamo avuto un paio di mesi fa la visita del consulente del Ministro presso il carcere di Cosenza, il Consigliere Magno, il quale ha visto le squadre di detenuti che lavoravano nell’istituto e pensava che fossero operai di una ditta esterna. Gli ho detto erano detenuti, anzi gli ho chiesto se voleva parlare con loro. Il consigliere ci guardava sbalordito, i detenuti in quella occasione gli hanno chiesto due cose, perché i detenuti chiedono due cose, non chiedono altro. Ogni tanto si parla di sesso in carcere ma i detenuti non hanno mai chiesto questo. Chiedono l’affettività in carcere che è cosa ben diversa, cioè avere la possibilità di avere dei colloqui con i loro familiari in ambienti dignitosi, per evitare che alcuni ambienti del carcere possano traumatizzare i familiari. Come seconda cosa chiedono lavoro perché per loro non svolgere attività lavorativa vuol dire essere tagliati dal mondo. Non chiedono un lavoro passivo, ma un lavoro produttivo. Il detenuto è felice quando produce, non vuole il lavoro assistenziale. A conclusione della visita il Consigliere Magno era ancora più meravigliato e mi disse "sono stupito perché a me avevano detto che in Calabria i detenuti non vogliono lavorare". Questo è un falso perché, tra l’altro, noi abbiamo una professionalità di manodopera detenuta per l’adeguamento funzionale delle strutture penitenziarie, muratori, imbianchini, falegnami nelle carceri si trovano con molta facilità. Anche questi sono progetti integrati. Non possiamo pensare alla attività lavorativa nel carcere o alla produzione industriale senza cercare il collegamento con l’esterno. In tale ottica si può parlare di progetti integrati. Bisogna offrire una opportunità concreta, con una specifica politica di piccoli passi. Faccio un esempio per essere concreto e chiaro. Al carcere di Cosenza stiamo assumendo i detenuti in base alla Legge Smuraglia, ovvero chiediamo agli imprenditori di assumerli una volta verificato che hanno lavorato per conto dell’Amministrazione e che possono essere considerati soggetti "affidabili". Questa Legge offre un vantaggio fiscale notevolissimo anche per l’imprenditore, poiché non paga i contributi previdenziali ed assistenziali. Già nel carcere di Cosenza abbiamo favorito l’assunzione di 4 detenuti in base a questa Legge. Il dottor Mellace si è rivolto al sindaco di Cosenza chiedendo di vedere l’attenzione per il sociale con un impegno concreto. Dopo questa richiesta il Comune di Cosenza con apposita delibera ha assunto 4 detenuti. Certo è una goccia, sono 8 detenuti solo a Cosenza, ma se immaginiamo che sono 206 istituti penitenziari e calcoliamo lavoro per 10 detenuti in ogni istituto, avremmo la possibilità di assumere centinaia di detenuti. Questo non ci basta. Quello che dice anche il mondo imprenditoriale esterno, affidarsi solo al cooperativismo, all’imprenditoria privata nel carcere non va bene, io per esempio sono per la politica del doppio binario. L’amministrazione deve avviare la propria politica lavorativa e deve avere grande apertura nei confronti dell’imprenditoria privata, ma mai delegare perché può succedere quello che è successo tanti anni fa, che dall’oggi al domani gli imprenditori non hanno avuto convenienza, anche per una politica demagogica dell’amministrazione, ed hanno abbandonato le carceri da un’ora all’altra. A Padova per esempio ricordo facevamo lavorare 256 detenuti su 260. Andarono via in un giorno tre imprese che davano lavoro, noi ci trovammo in una situazione con detenuti a fine pena lunga, 20 - 25 anni da scontare, che non svolgevano più attività lavorativa. Su questo deve molto riflettere l’amministrazione, non c’è stata attenzione da parte dell’amministrazione che portasse ad una efficace ed attenta politica lavorativa nei confronti della popolazione detenuta, c’è stato lo sperpero delle risorse umane, c’è stata una cattiva gestione. Dobbiamo procedere gradualmente, ci sono dei finanziamenti con cui dobbiamo assicurare una preminenza, e la preminenza bisogna farla nelle case di reclusione, non si può pensare di fare interventi a pioggia in tutti gli istituti penitenziari. Bisogna mandare via chi rema contro questa politica penitenziaria. E’ capitato che direttori penitenziari abbiano deciso di chiudere una lavorazione e l’amministrazione ha acconsentito a questo. A Massa Carrara, per esempio, producevamo dei plaid che venivano utilizzati dalla Tirrenia. E’ cambiato il direttore, il successore ha deciso di chiudere la lavorazione e l’amministrazione ne ha preso atto. Abbiamo case di reclusioni o istituti, tanto per restare in Calabria, come Vibo Valentia, con dei capannoni industriali che un imprenditore ci invidierebbe, che sono letteralmente vuoti, lo stesso presso la casa circondariale di Rossano, lo stesso presso la casa di reclusione di Padova. E’ mancata una politica dell’amministrazione quindi noi siamo alla mercé, alla singola volontà dei direttori. Abbiamo direttori illuminati che hanno un po’ di spirito imprenditoriale e che sotto delle grossissime responsabilità attivano delle lavorazioni, però se il direttore allo stesso modo vuole chiudere una lavorazione l’amministrazione ne prende atto. Poco fa tutti avete parlato di lavorare per progetti ed io condivido, del coordinamento del volontariato che è indispensabile, dei progetti culturali che abbiamo anticipato, di consulte che dovrebbero essere delle consulte cittadine che dovrebbero vedere, nelle 11 città sedi degli istituti penitenziari, la presenza dell’amministrazione comunale, del direttore dell’istituto, del direttore del CSSA, del volontariato e di quanti altri sono attenti ai bisogni dei detenuti proprio per poter risolvere delle determinate problematiche. Queste vanno viste in un’ottica più ampia, un’ottica regionale perché il Provveditorato effettuerà sempre la supervisione degli interventi. Noi non vogliamo che le carceri calabresi non abbiano un’uniformità di indirizzo, non vogliamo isole infelici né vogliamo isole felici. Quando io sento dire che a Palmi non opera nessun volontario all’interno dell’istituto penitenziario, mi allarmo perché verifico che ci sono realtà, quali il carcere di Vibo, dove viene attuato l’Articolo 78 ed altre realtà come il carcere di Reggio dove da anni ed anni operano volontari ancora con l’articolo 17. Ci deve essere uniformità. Alla luce di quanto detto appare molto opportuno la formazione della scuola per il volontariato. Questa ci darà le risorse per conoscere meglio dove operiamo e per integrarci sempre di più con il territorio perché dobbiamo fare un discorso di rete e di integrazione multiprofessionale. La scuola, i cui docenti saranno in parte operatori dell’amministrazione penitenziaria, operatori del terzo settore, universitari e quanti possano apportare ogni utile contributo per la migliore conoscenza dell’ambiente e per il migliore indirizzo, ci consentirà di fornire ogni utile indicazione per degli interventi sempre più appropriati, partendo dall’idea che bisogna conoscere molto l’ambiente in cui si opera e rispettarne le regole. Stamattina a me ha fatto molto piacere incontrare ancora una volta Sua eccellenza Bregantini perché è una persona di grandissima idealità però, il monsignore ha un limite che io non ho, io sono impregnato di cultura mafiosa perché sono un calabrese, lui non sa neanche, perché non l’ha mai vissuta, qual è e che cosa vuol dire cultura mafiosa, da bambino non è stato mai a difendersi da niente e da nessuno, se ricordo bene è del Trentino Alto Adige, uno di noi lavora e vive in un ambiente dove da piccolino è costretto a confrontarsi con una realtà sociale particolare. Quando a noi dicono che siamo mafiosi non vuol dire che facciamo parte della criminalità ma che abbiamo un determinato modo di pensare che tra l’altro ci consente di salvaguardarci. Nell’ambiente penitenziario, voi saprete, una stretta di mano ha un significato, un sorriso ha un significato, uno sguardo ha un significato, il non dire ha un significato. Ci sono detenuti che non parlano però hanno lanciato dei messaggi, allora è opportuno che chi lavora in questo ambiente penitenziario abbia la conoscenza dei più elementari rudimenti per operare, abbia la conoscenza minima delle regole penitenziarie e della vita degli istituti perché in buona fede può fare qualcosa che è vietato dal regolamento e il suo intervento viene visto come un intervento "a favore del detenuto". La conoscenza poi ci consentirà sempre di più di integrarci e di fare interventi adeguati nel settore che ci è stato affidato al quale noi speriamo, tutti assieme, di poter apportare contributi, anche perché la nostra terra ha bisogno che tutti i settori, anche quello penitenziario, apportino un contributo per il rinnovamento della nostra Regione.
"se tu trovassi sulla strada un diamante caduto nello sterco, cosa faresti?" "Non avrei nessuna ripugnanza a sporcarmi, lo prenderei, lo laverei ridonandolo in tal modo alla sua originale brillantezza." "Fa così dell’uomo." (don Giovanni Calabria)
|