Il 41 bis e la mafia

 

Il 41 bis e la mafia, di Giovanna Maggiani Chelli

Vicepresidente Associazione Familiari delle Vittime della strage di Via dei Georgofili

 

Pisa - Università La Sapienza, 13 maggio 2004

 

L’introduzione dell’articolo "41 bis" è stata la molla che ha spinto la mafia ad uccidere a Firenze, Roma e Milano, le ormai note stragi del 1993. Questa non è secondo noi la sola ragione che sta dietro a queste stragi, tuttavia i mafiosi colpevoli di averle eseguite, il carcere duro non lo vogliono e questo è un punto importante, sul quale noi non dobbiamo mai smettere di riflettere.

Innanzitutto debbo dire che oggi manca qui con noi il Procuratore Capo di Palermo Dr. Grasso, purtroppo ha avuto impegni improvvisi e non ha potuto essere presente. Siamo molto dispiaciuti, ma sicuramente ha problemi più importanti del nostro Convegno da dover affrontare a Palermo.

Tra noi doveva esserci anche un religioso impegnato da anni nelle carceri con i detenuti sottoposti a regime di "41 bis", ma non è potuto intervenire, e di questo siamo rimasti veramente sconcertati.
Oltre a lui abbiamo contattato, già dal mese di gennaio scorso, tantissimi altri religiosi compreso Don Ciotti, ma tutti regolarmente ci hanno riferito di essere oberati dagli impegni.

Ora se è pur vero che non si può entrare nel merito degli impegni di nessuno, non possiamo non aver constatato quanto si possa essere coraggiosi davanti alla mafia, ma, probabilmente, molto meno davanti alle sue vittime, almeno quelle di un certo tipo.

Veniamo ora all’articolo "41 bis", che sarà oggi il tema di questo Convegno, per il quale ringrazio l’Università di Pisa , il Prof. Bresciani e tutti coloro che hanno voluto partecipare in qualità di relatori, il Proc. Vigna , tutti gli altri e tutti voi che siete in sala.

Quanto previsto dall’articolo "41" bis, in sostanza un regime carcerario severo, è necessario per il contrasto alla mafia. Questo è il nostro pensiero e faremo quanto sarà nelle nostre possibilità per affermarlo in ogni luogo e forma.

Il "41 bis" voluto fortemente dal Giudice Falcone, prevede misure di detenzione speciali introdotte per impedire alla mafia di avere contatti dal carcere con l’esterno.

L’introduzione dell’articolo "41 bis" è stata la molla che ha spinto la mafia ad uccidere a Firenze, Roma e Milano, le ormai note stragi del 1993. Questa non è secondo noi la sola ragione che sta dietro a queste stragi, tuttavia i mafiosi colpevoli di averle eseguite, il carcere duro non lo vogliono e questo è un punto importante, sul quale noi non dobbiamo mai smettere di riflettere.
Queste misure di detenzione però, vogliamo sottolinearlo, non hanno mai funzionato molto bene. Infatti solo meno di un anno dopo la strage di Via d’Amelio, l’ordine per nuovi attentati fu reiterato attraverso le sbarre e l’ordine era sempre lo stesso: andate e uccidete.

D’altra parte ci sono prove di un malfunzionamento del regime carcerario suddetto. Infatti i fratelli Graviano, condannati all’ergastolo per le stragi del 1993 e sottoposti a regime di "41 bis", hanno figliato riuscendo a far uscire dal carcere il proprio seme.

L’articolo "41 bis" non è mai stato applicato nella sua completa severità, così come avrebbe dovuto essere in seguito all’uccisione dei due Magistrati Falcone e Borsellino, eppure alla mafia non è mai piaciuto lo stesso.

A questo fatto, a mio avviso, non possiamo del tutto escludere si possa collegare l’intensa "messaggistica esplosiva", indirizzata ai personaggi più disparati, che non di rado, e da parecchi anni, circola per il nostro Paese tra un ufficio postale e l’altro.

Ci sono poi coincidenze che, a nostro giudizio, devono essere prese in considerazione. Verso i primi giorni del mese di Novembre 1993, quindi poco dopo il fallito attentato all’Olimpico del 31 ottobre del 1993, 130 mafiosi furono trasferiti da 41 bis a carcere normale.

Se è pur vero che i collaboratori di giustizia riferirono che quella strage, rivolta contro l’arma dei carabinieri, fallì perché il telecomando che doveva far saltare l’esplosivo non funzionò, resta difficile oggi, alla luce dell’esperienza di questi anni, non porsi la domanda: la mafia potrebbe aver annullato quell’attentato all’ultimo momento visti i risultati che pochi giorni dopo avrebbe ottenuto?

Per inciso si deve dire che è giunta soltanto ieri la notizia dell’indignazione espressa da alcuni politici, secondo noi un poco in ritardo sui tempi, contrariamente alla nostra ira, riguardo al fatto che altri 72 mafiosi sono passati, nel giro di poco tempo, dal regime carcerario duro al carcere normale.
A questo punto, però, prima di procedere voglio pormi, e porre a tutti voi, una domanda:
riusciremo oggi qui a scandalizzare quanti da anni si battono per forme di recupero del reo?

Certo che lo faremo, perché a quanti vogliono trovare attraverso le leggi un sistema di riabilitazione diverso dalla detenzione, suonerà certamente male sentir parlare di un’applicazione seria del "41 bis", sia pure per crimini efferati come le stragi.

Ma noi proveremo a dimostrare che coloro che sono stati condannati all’ergastolo per le stragi del 1993, in prigione devono rimanere a vita e a regime di "41 bis" per tutto il tempo previsto dalla legge. Questo perché sono pericolosi e lo saranno sempre.

Giuseppe Graviano uomo di "cosa nostra", condannato all’ergastolo in Cassazione per la strage di Firenze e le altre del 1993, il 10 marzo 2004, al processo svoltosi a Firenze per il già citato attentato allo stadio Olimpico di Roma, una strage ideata contro sessanta carabinieri ha recitato più o meno così:
"Io sono innocente e ultimamente ricevo visite di Magistrati i quali vogliono farmi dire che ho perorato la causa di un giocatore del Milan, ma io l’anima non la vendo". Che cosa voleva dire Giuseppe Graviano? Si rivolgeva forse in modo trasversale a chi ha avuto funzione di "mandante esterno a cosa nostra"(di "autore")per la strage del 27 Maggio 1993? Voleva forse minacciarlo e fargli comprendere che la sua anima per ora non è in vendita, ma domani chissà, o forse peggio?

In quella dichiarazione spontanea le minacce a volte paiono ancora più gravi. Infatti l’uomo che ha assassinato Caterina Nencioni, di soli cinquanta giorni di vita, sua sorella Nadia di 8 anni, i due genitori delle bimbe e lo studente di architettura Dario Capolicchio di soli 20 anni, tutti morti a Firenze in via dei Georgofili, non accetta di essere sottoposto ad un regime carcerario come quello previsto dal "41 bis", e paragona il suo carcere a quello di Guatanamo.

Certo non sarà come stare in Luglio in una villa in Versilia, potendosi permettere di pagare un affitto mensile di 25 milioni delle vecchie lire, a sorseggiare vini pregiati, riposandosi delle fatiche sostenute in Via dei Georgofili la notte del 27 Maggio 1993, ma il "41 bis" non è neppure una forma di galera infernale, come la si vuol far figurare.

A tal proposito permettetemi di leggere quanto scrivono Sergio D’Elia e Maurizio Turco nel loro libro "Tortura democratica Inchiesta su "la comunità del 41 bis reale": "Graviano Giuseppe, detenuto nel carcere di Novara, (nel frattempo è stato trasferito nel carcere di Terni), 39 anni, originario di Palermo, assieme al fratello Filippo (in 41 bis a Tolmezzo) indicato come il reggente del mandamento di Brancaccio e partecipante alla riunione della Cupola in cui si decise la strage di Capaci, in carcere dal 27 gennaio1994, in 41 bis dall’8 marzo dello stesso anno, condannato in via definitiva all’ergastolo per associazione e omicidio, appellante contro una condanna all’ergastolo per omicidio, ricorrente contro una condanna all’ergastolo per omicidio, assolto dall’accusa di omicidio per la quale gli era stato comminato l’ergastolo, ha diversi processi in corso e altre condanne definitiva.

Si è diplomato quest’anno in ragioneria e si sta iscrivendo all’Università di Biologia molecolare. Prima aveva il walkman per studiare inglese, concesso da un ispettore, poi glielo hanno ritirato. Ha avuto buoni voti in tutte le materie,ed è dispiaciuto che la media si è abbassata a causa del voto in inglese e in informatica non avendo la possibilità di usare il walkman e un computer(pensate che nelle cancellerie dei Tribunali spesso non hanno i computer).

Appassionato di pittura, mostra delle cartoline bianche  dipinti di Monet, Kandisky, Klimt, deturpate dal visto della censura apposto sia dalla parte bianca sia sul dipinto.
Ha scritto: sono stato trasferito dalla Casa Circondariale di Novara a quella di Terni e ristretto nell’area riservata, oltre ad essere isolato da tutti gli altri detenuti ho le telecamere 24 ore al giorno, nel bagno di 1 mq. ne ho 2".

Da questa lettura si evince come il recluso sottoposto al regime di "carcere duro" non possa più impegnarsi in tutto ciò che le sue vittime avevano intrapreso, o forse avrebbero voluto intraprendere, e non hanno avuto possibilità di fare; egli potrà, pentendosi, ancora fare tutto ciò, altri non lo potranno più.

Noi crediamo che il 41 bis sia la giusta conseguenza per aver compiuto stragi dove bambini, donne, uomini e ragazzi sono stati uccisi, esclusivamente per gli interessi di una organizzazione criminale e delle persone che in questo Paese si sono colluse con essa.

Sempre al processo per il mancato attentato allo stadio Olimpico, in una sua dichiarazione spontanea, ancora più "esplicito" è stato Salvatore Riina.

Riina uno dei capi storici di "cosa nostra", condannato anche lui all’ergastolo per tutte le stragi del 1993, il 10 aprile scorso ha preso in prestito le parole del Presidente Scalfaro, formulate in un discorso agli italiani a reti unificate il 5 Novembre 1993.

"Io non ci sto…." disse l’allora Presidente, riferendosi anche alle bombe esplose pochi mesi prima di quell’intervento, "io non ci sto" ha replicato Salvatore Riina il 10 aprile scorso, e usando le possibilità che il processo consente, come prima di lui aveva fatto Giuseppe Graviano, ha recitato più o meno così : "Sono innocente, chiedete piuttosto a uomini dei Servizi Segreti, a certi Generali, a certi Ministri, a certi Terroristi…". Che cosa voleva dire Salvatore Riina con queste parole? Si trattava di avvertimenti o piuttosto di minacce? Uomini di "cosa nostra", che non vogliono il "41 bis", e che, forse, lanciano minacce nel corso di un processo.

La mafia non vuole quel tipo di carcerazione, che come i fatti dimostrano non è poi così severa, e per farla abolire ha scientificamente eseguito la strage di Firenze del 27 Maggio 1993 e tutte le altre di quell’anno.

Inoltre ha tentato di forzarne l’abolizione durante tutto il corso del processo di Firenze contro "cosa nostra" per quelle stesse stragi; processo svoltosi grazie all’immane lavoro fatto da uomini di legge, come il Proc. Vigna e il Proc. Chelazzi, ai quali possiamo solo esprimere la nostra riconoscenza, e aggiungo, senza timore di esagerare, che la lapide del compianto Dr. Chelazzi dovrebbe diventare, per tutti meta di pellegrinaggio.

Questi uomini di "cosa nostra", ne siamo certi, domani rifarebbero una strage se ciò procurasse nel tempo lauti guadagni all’organizzazione criminale stessa, perché se non fosse così oggi collaborerebbero con la giustizia dopo aver visto le fotografie del corpo carbonizzato di Dario Capolicchio e lo strazio del corpicino della piccolissima Caterina Nencioni, morta a 50 giorni di vita senza sentire l’abbraccio della madre.

Collaborando ci spiegherebbero perchè, ancora oggi, insistono con attacchi allo Stato che si intravedono nelle loro dichiarazioni spontanee, mentre chiamano in causa istituzioni e terroristi.
Per esempio sarebbe giusto venisse spiegato come mai la mattina del 27 Maggio 1997, nel giorno del quarto anniversario dell’attentato di Firenze, una bomba a mano, chiamata "ananas", venne fatta ritrovare in prossimità di via dei Georgofili e sia stata poi rivendicata dalle BR UCC (vedi Repubblica del 27.5.1997).

Non abbiamo mai saputo se quella rivendicazione fosse fasulla o meno, se si trattasse di un depistaggio oppure no; è possibile che Riina sappia tutto ciò.

Come avrete ben compreso, ogni occasione è buona per questi criminali, per lanciare incredibili messaggi mafiosi attraverso le videoconferenze fatte dalle aule di giustizia, figuriamoci che cosa accadrebbe se ogni giorno potessero incontrare tranquillamente i propri parenti e i propri amici, parlare con loro toccarli e quant’altro. Tutto questo potrebbe apparire come una sete di vendetta, ma in realtà noi vogliamo solo giustizia.

Vogliamo conoscere i nomi dei mandanti esterni a "cosa nostra", gli "autori" delle stragi del 1993, vogliamo la certezza della pena per gli esecutori oggi già in carcere, comprensiva anche del "41 bis", perché i crimini che hanno commesso contro i loro simili sono senza eguali, e perché potendo avere ampi contatti con l’esterno sarebbero disposti ad ordinare un massacro al giorno, pur di salvare i capitali frutto del malaffare.

Secondo noi, c’è una sola strada per uscire dal carcere e dal così detto regime carcerario duro. Convinti che per le stragi del 1993 esistano dei "mandati esterni a cosa nostra", l’unica via praticabile per i mafiosi è la collaborazione con la giustizia.

Questo non farebbe di loro certo uomini migliori, ma sicuramente uomini fuori del giro delle organizzazioni mafiose e questo sarebbe una garanzia della loro impossibilità a commettere altre stragi, altri massacri.

A proposito dell’applicazione dell’articolo "41 bis" per i mafiosi rei di strage, si sentono dire e vengono scritte una gran quantità di sciocchezze. Si abbia almeno il coraggio di ammettere che il richiamo alle coscienze per la salvaguardia della dignità dell’uomo, in simili casi, è soltanto il frutto di interessi che non vogliamo neppure pensare di prendere in considerazione, perché dovremmo formulare pensieri rivoltanti nei confronti di certi politici.

Il giorno del primo dell’anno 2004 ,a nome dell’Associazione, ho scritto in una nota di agenzia quello che pensavamo su chi si era recato a trovare Salvatore Riina, portando fuori dal carcere le rimostranze del capo di "cosa nostra".

Personaggi politici reduci da una battaglia ancora calda per la scarcerazione di altri detenuti, hanno sentito immediatamente l’esigenza di praticare la strada dei mancati "diritti umani" anche per stragisti sanguinari.

Tutti quei diritti umani compresa la giustizia che alle vittime, da sempre, sono stati assolutamente negati, ebbene è stato risposto che ci esprimevamo così, perché non avevamo ottenuto quello che ci spettava dal punto di vista economico.

Non ci sarà mai il giusto risarcimento che spetterebbe ai parenti dei nostri morti e ai feriti, perché altrimenti, soprattutto la politica, rimarrebbe in mutande e abbiamo ben visto invece di quanto denaro ha bisogno.

Qui però non voglio usare, ipocritamente, le parole sfruttate mille volte che non ci sarebbe cifra adeguata per le sofferenze delle vittime, queste infatti non sono vere, un risarcimento giusto, può essere molto importante. Certe ferite gravissime e del tutto particolari, si curano meglio al di fuori del prontuario della USL.

In ogni caso per noi il punto della questione è un altro: Noi vogliamo giustizia fino in fondo, se le "coperture" per gli stragisti sono in Parlamento, queste devono uscire e affrontare i Tribunali. Non è abolendo il "41 bis" o svuotandolo dei suoi contenuti che avremmo la verità.

Mi avvio alla conclusione, ripetendo: non scordiamoci mai che le stragi del 1993, sette stragi in due anni, 1000 chili di tritolo stragista confezionato con composti militari, dieci morti , cento feriti, sono state eseguite da "cosa nostra" in nome e per conto dell’abolizione del "41 bis", dell’abolizione dell’ergastolo, della non confisca dei beni, della revisione dei processi e dell’abolizione dell’uso delle intercettazioni telefoniche; e tutto questo un poco alla volta, con una botta a destra e una sinistra, lo si sta regalando alla mafia, quasi a voler esaudire le sue richieste.

Queste ultime cose sono i fatti che le dicono. A questo punto a qualcuno sembrerà forse ancora strano, ma tuttavia non ci consideriamo dei "torturatori". Ho letto molto attentamente alcuni libri che inneggiano all’abolizione del "41 bis" e che usano per questo tipo di norme carcerarie espressioni come "tortura democratica"e proprio per tutto quanto sopra non mi hanno convinto affatto. Non sosteniamo nessuna forma di tortura neppure la più democratica, contrariamente a chi le vittime le tortura ogni giorno, relegandole ad una sorta di isolamento, per amore della sporca politica.
Riteniamo solo e lo ribadiamo, che dal carcere non debbano mai più uscire ordini di stragi ed omicidi o qualsiasi altro tipo di infami messaggi che troppo spesso hanno posto dei limiti alla democrazia. A proposito di letture sul "41 bis", un’ultima cosa, ho letto le motivazioni espresse dalla "Court Europeenne des droits dell’homme" quando si è pronunciata in favore del mafioso Ganci proprio sull’applicazione di questo articolo.

E devo essere sincera non ho affatto compreso le ragioni di certe affermazioni della Corte visto che la mafia stragista, terrorista ed eversiva, da San Giuseppe Jato è arrivata fino a Milano il 27 Luglio 1993, passando per Firenze e Roma e dopo tutto ciò più che mai siamo nelle condizioni di esportarla ovunque.

In definitiva vogliamo ben  chiarire che il "41 bis" non può e non deve essere applicato a chi non commette reati gravissimi come le stragi, ma solo a chi si permette di massacrare la gente inerme, donne ragazzi e bambini, professarsi innocente e lanciare minacciosi messaggi da sofisticate videoconferenze; e tutto questo mentre le vittime possono solo parlare in convegni gravosi da organizzare, convegni che si possono rivolgere solo a chi è disposto a venirci ad ascoltare, come voi. Vogliamo inoltre sottolineare fortemente che l’Associazione familiari delle vittime della strage di Via dei Georgofili condannerà qualsiasi forma di strumentalizzazione del 41 bis.

Vi ringrazio.


Giovanna Maggiani Chelli

Associazione tra i Familiari delle Vittime di Via dei Georgofili

 

 

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