Reato e riparazione

 

Reato e riparazione. Le sfide di un percorso possibile

di Paola Bovo, assistente sociale del CSSA di Venezia

 

Polis - luglio 2002 "speciale percorsi di giustizia"

 

In questi ultimi anni si sta facendo strada, nel dibattito culturale attorno al significato della pena, negli orientamenti della magistratura e nella metodologia di lavoro dei servizi che si occupano di problematiche penali, il tema della giustizia riparativa, ovvero di una giustizia che assume su di se il compito di realizzare una sorta di riparazione del danno arrecato attraverso il compimento dr uno o più reati. Una giustizia che pone al centro chi ha commesso il reato, ma considera anche chi ne ha subìto le conseguenze, sia singolo, che collettività.

 

La giustizia riparativa l’orientamento verso la giustizia riparativa si è già affermato nella giustizia minorile, sin dal 1988, con l’approvazione del nuovo codice di procedura penale e ha trovato spazio, nel decreto legislativo n° 274 del 28.8.2000, che ha istituito il giudice di pace.

In ambito penitenziario, la giustizia riparativa si è affermata circa vent’anni orsono, allorché la legge Gozzini (nel 1986), ha previsto che le persone che scontano la condanna in "affidamento in prova al servizio sociale" debbano adoperarsi, per quanto possibile, a favore delle vittime del reato.

(c.7 art. 47 l. 354/75 e modifiche), indicazione rimasta disattesa sino agli anni recenti.

 

L’attività al C.S.S.A.

 

AI Centro di Servizio Sociale per Adulti (C.S.S.A.) di Venezia, abbiamo iniziato a porci il problema della riparazione intorno al 1999. Il nostro servizio, che fa parte del Ministero della Giustizia, si occupa infatti di persone che, avendo commesso un reato ed essendo state condannate, si trovano in carcere, oppure scontano la condanna nel territorio, usufruendo di una delle misure alternative previste dalla legge.

Proprio riguardo ai soggetti che scontano la condanna nel territorio, attraverso l’affidamento in prova al servizio sociale, da qualche tempo il Tribunale di Sorveglianza di Venezia ha ritenuto di dare attuazione a quanto disposto dalla legge Gozzini, ovvero all’obbligo di adoperarsi a favore delle vittime o, in alternativa, della collettività.

Da tale organo, dunque, è giunta una forte sollecitazione, per il nostro servizio, a considerare la dimensione della giustizia riparativa, fino ad allora trascurata.

 

Ma che cosa si intende, in ambito penitenziario, per riparazione del danno?

 

Il pensiero che sottende all’azione riparativa è quello secondo il quale il reo, attraverso il reato, si è reso autore di un danno contro qualcuno, che può essere un singolo individuo, un gruppo o più in generale la collettività.

L’adoperarsi a favore della vittima o della collettività vuoi significare allora restituire, in forma materiale o simbolica, a questi soggetti, ciò di cui sono stati privati a seguito della commissione del reato. Si tratta di un insieme di processi di pensiero e di azione attraverso i quali, durante il periodo della pena, una persona che ha commesso uno o più reati si attiva con modalità che possono comportare:

il risarcimento alla parte lesa, se questo è previsto nella sentenza di condanna e non è ancora avvenuto;

il contatto con la vittima del reato, anche attraverso terzi, sempre che questo sia possibile e opportuno;

l’impegno in un’attività gratuita a favore della collettività.

 

Riflettere sulla pena

 

Lavorare su questa dimensione, ci ha fatto riflettere sul senso della pena, su come essa stia cambiando, sulla filosofia ad essa collegata, oltre che sul significato stesso della "prescrizione risarcitoria", che prevede per l’appunto che l’affidato si adoperi, per quanto possibile, a favore della vittima o della collettività.

Con la prescrizione dell’attività di riparazione, abbiamo potuto sperimentare come l’affidamento in prova al servizio sociale sia andato assumendo significati diversi rispetto al passato, allorché le prescrizioni stabilite dalla magistratura di sorveglianza si caratterizzavano principalmente con una serie di divieti alla persona sottoposta alla misura alternativa. Accanto al "NON FARE", compare ora un "FARE", che tinge di sfumature diverse l’intero percorso dell’esecuzione penale e il tempo dell’affidamento in prova al servizio sociale, connotandolo con una valenza costruttiva.

Senso della riparazione e senso della pena sono gli iniziali interrogativi, che ci siamo posti come operatori.

 

Alcuni risultati raggiunti

 

Nel tempo, mentre sperimentavamo percorsi, contatti, spazi di riflessione, sono sorti nuovi dubbi, ma è stato anche possibile raggiungere alcuni risultati, per noi significativi, in merito ai quali ci pare utile avviare un confronto per verificarne la possibile condivisione.

Per esempio siamo giunti presto alla convinzione che, al momento, stante il nostro percorso professionale, preferiamo non contattare direttamente le vittime, senza aver prima avviato una riflessione sulle tecniche da utilizzare. Pensiamo anche che l’intervento degli operatori debba potersi inserire in un diverso quadro legislativo.

Inoltre, ci pare opportuno considerare la necessità di assicurare alla comunità locale un congruo margine di tempo affinché questa prenda consapevolezza in merito alle tematiche esposte. Senza il contributo di essa, qualsiasi esperienza di riparazione potrebbe rischiare di non raggiungere i risultati auspicati.

 

Alcune esperienze già realizzate

 

Le riflessioni suggerite di seguito fanno riferimento in particolare ad esperienze di attività svolte a titolo gratuito da soggetti in misura alternativa, a favore della collettività oppure ad esperienze di riparazione, basate sul risarcimento.

Attraverso tali esperienze siamo giunti alla consapevolezza che la riparazione del danno si caratterizza per due diverse valenze: una di tipo prevalentemente risarcitorio, che si connota con una prescrizione, un obbligo, ed un’altra di tipo educativo che richiede, per la sua attuazione, tempi adeguati ed un processo di elaborazione a volte lungo.

Ci è sembrato possibile operare su di un doppio binario risarcimento-gratuità: in alcuni casi può essere utile il risarcimento, adempiere ad un obbligo, talvolta invece è importante privilegiare l’aspetto educativo di un’attività svolta a titolo gratuito a favore della collettività.

Affinché una persona sia disponibile a svolgere attività di riparazione, occorre da un lato che essa riconosca la responsabilità riguardo all’azione illecita posta in essere e dall’altro che maturi la consapevolezza dei danni arrecati.

Nella nostra esperienza questo delicatissimo passaggio ci ha portato a dover condurre il reo a ripensare al reato, spesso accaduto molti anni prima. Questo ritornare al momento della commissione del reato, non sempre consente di attivare un processo di revisione personale. A volte, occorrono tempi lunghi, anche tutta la durata della misura alternativa.

Qui si pone un attento e paziente lavoro dell’assistente sociale che, nell’avviare il condannato, non particolarmente motivato, a svolgere un’attività di riparazione, nel contempo, continua a sostenerlo, sollecitandolo anche in itinere a ripensare all’accaduto. A volte, succede che nel corso della misura alternativa le emozioni, i sentimenti di rabbia della persona in espiazione di pena, lascino il posto a spazi di riflessione e allora si instaura un processo di autocritica. Altre volte, questo non accade.

Nel tempo, abbiamo compreso che, per promuovere un approccio globale alla persona, portatrice di interessi, competenze e problematiche, l’attività di riparazione deve essere compresa all’interno di un percorso di trattamento. Ci sembra utile stabilire una stretta connessione tra il progetto della persona e per la persona e la riparazione, che diventa quindi parte integrante di un più ampio percorso.

Ad esempio, nel caso di tossicodipendenti che entrano in comunità terapeutica la riparazione, può far parte del progetto terapeutico, ed è utile che sia prevista in certi fasi e non in altre. Prevederla nel momento dell’accoglienza sarebbe infatti fuori luogo, perché la persona in questa fase investe gran parte delle proprie risorse, per prendere le distanze da un mondo che sino a pochi giorni prima sembrava essere l’unica via possibile.

 

Elementi portanti del progetto di riparazione

 

Nel delineare un progetto che contempli anche attività di riparazione, abbiamo sperimentato che appare utile prendere in considerazione alcuni elementi che, se non valutati correttamente, rischiano di far saltare il progetto stesso o, comunque, invalidarne la pregnanza.

Quelli sinora individuati sono:

la tipologia del reato: affinché vi sia una congruenza tra questa e l’attività gratuita che il soggetto andrà a svolgere;

le competenze della persona: considerare le sue capacità e i suoi interessi può essere utile, affinché un percorso di riparazione non risulti slegato rispetto alla storia del soggetto che ne è protagonista;

le caratteristiche economico-sociali della persona ed in particolare la sua situazione lavorativa: è in effetti rilevante considerare se una persona già lavora oppure no, e che tipo di stabilità occupazionale la caratterizza. Abbiamo, infatti, potuto sperimentare che, se una persona non lavora, oppure ha un lavoro altamente precario, la proposta di svolgere un’attività gratuita, a prescindere dalla sua situazione occupazionale e dai sentimenti spesso di grossa frustrazione a questa legati, stimola nell’utente reazioni di chiusura rispetto al tema trattato. Tali vissuti vanno quindi presi in considerazione affinché nel soggetto maturi uno spirito di collaborazione e disponibilità;

la nazionalità: parlare di riparazione con gli stranieri può avere un significato completamente diverso rispetto a quello che viene attribuito da un soggetto di nazionalità italiana, sostenuto da una comunanza culturale di riferimento.

 

E infine, che fare nel caso di soggetti psichiatrici? È opportuno anche per questi utenti prevedere, nell’ambito del progetto di trattamento, l’attività di riparazione? E se sì, quale attività, in quale Ente, Associazione ? Questo, più di altri, è un aspetto su cui ci si interroga nel C.S.S.A. di Venezia. la questione è delicata, per le ripercussioni che eventuali interventi di inserimento possono sortire, sia rispetto all’equilibrio, spesso fragile, dell’utente, sia nel contesto in cui l’attività di riparazione si sviluppa. Al momento, come assistenti sociali del C.S.S.A, non siamo ancora giunti a sciogliere questo nodo problematico e quindi a stabilire delle prassi operative strutturate.

 

Una presenza innovativa sul territorio l’esperienza legata all’attività di riparazione, ci ha riportato inoltre, in modo decisamente innovativo, sul territorio. In più occasioni, a partire dalla prassi e dalle riflessioni scaturite dalle Corso di Formazione del novembre 2001 sul tema della riparazione, ritorna il tema della comunità locale.

Il soggetto è chiamato a svolgere attività riparativa in qualche Ente o Associazione del territorio. Ma la comunità locale che ne pensa? Che cosa pensa della pena e del reo? lo teme e ne teme le sue espressioni o è disponibile ad accoglierlo, mettendolo "alla prova", anche rispetto alle sue competenze, capacità e interessi?

Si è avviata nella comunità una riflessione sui possibili significati e sull’opportunità di un’attività di riparazione? Attraverso la nostra esperienza abbiamo potuto cogliere come la riparazione sia una dato culturale, non un dato automatico, e va dunque promosso attraverso un processo di sensibilizzazione e coinvolgimento della realtà sociale. Quest’ultima culla di contraddizioni, che danno vita a problemi sociali e, in un certo qual modo, alla devianza ed alla criminalità stessa.

 

Nuovi spazi per espiare una condanna

 

Ora più che mai l’espiazione di una condanna può trovare concreta realizzazione negli spazi offerti dallo stesso contesto sociale nel quale è avvenuta la commissione del reato, che ha comportato la rottura del patto sociale.

Se prima l’espiazione della condanna vedeva la presenza del Tribunale di Sorveglianza, dell’utente e del C.S.S.A. con i Servizi Territoriali, ora assume rilevanza anche la comunità locale. Già il lavoro di rete, ormai in atto da diverso tempo anche in questo C.S.S.A., prevede di prendere in considerazione molteplici realtà.

Ora, si tratta di fare un salto di qualità, dialogando in un’ottica di apertura all’esterno, che si rivolga anche al territorio nelle diverse espressioni: volontariato, privato sociale, cooperative, associazioni culturali, sportive, ricreative, cittadinanza. Da questo punto di vista, ci sembra di poter dire che nel territorio vi sono più canali attraverso cui lavorare, con modalità strutturate, costruendo strategie che portino a maturazione il percorso. Percorso avviato inizialmente a partire dall’iniziativa e dalle intuizioni dei singoli operatori o dall’utenza stessa.

Avviare dei tavoli di lavoro integrati che si interroghino sulla riparazione, ci appare a questo punto la via da perseguire, per collocare il percorso di espiazione della pena nel terreno di appartenenza del soggetto.

Alcune espressioni associative del territorio, data la disponibilità ad aderire a singoli progetti, ci hanno inoltre interrogato sui risultati conseguiti dall’utente nell’ambito di una determinata esperienza e sui diversi significati da questa emersi; hanno cioè richiesto di ricevere un " ritorno" sull’esperienza svolta. Abbiamo colto così la necessità di considerare e curare la "visibilità" delle diverse esperienze di riparazione vissute dai soggetti in espiazione di pena, sia rispetto all’ente o associazione che li accoglie, sia rispetto alla comunità nel suo complesso: l’eco che ne può derivare può costituire un mezzo altamente efficace per la diffusione della cultura della riparazione.

Proprio nell’ottica della strutturazione e ricerca di strategie, il C.S.S.A. di Venezia nelle tre Province in cui opera, (Venezia, Treviso e Belluno), ha avviato nel corso del 2001-2002 dei programmi di sensibilizzazione del territorio e di collaborazione con le realtà locali.

Tale esperienza, è nata dalla necessità di giungere a trovare risposte più rapide, più adeguate ed anche innovative, rispetto alle modalità di trattazione dei singoli casi.

A Venezia, in particolare, sta per essere avviato in collaborazione con il Comune di Venezia, un rapporto stabile con alcune associazioni del territorio, che si sono rese disponibili a collaborare.

Nel Sandonatese, nella Riviera del Brenta, ed anche nel Bellunese, è stata avviata un’azione di sensibilizzazione dei servizi territoriali e delle associazioni di volontariato, sono stati promossi diversi incontri con gli Enti locali, che hanno evidenziato il grande interesse di tali soggetti nei confronti della tematica in analisi.

Da questi primi tentativi di ricerca di strategie operative, e metodologie di lavoro, si può osservare come il problema della riparazione del danno abbia messo in moto risorse e creatività degli operatori, ma anche di molti altri soggetti, cosicché la pena, reclusa nell’ambito penitenziario, interroga e modifica le sue forme, andando a coinvolgere la comunità locale.

 

Precedente Home Su Successiva