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Articolato: l’organizzazione penitenziaria
Capo I° - Gli istituti penitenziari
Art. 1. Uniforme all’attuale art. 59 nei numeri 1, 2 e 3 del comma unico. 2. Il numero 4 è abrogato.
Art. 2. (Istituti di custodia preventiva). 1. Gli istituti di custodia preventiva sono le case circondariali. 2. Le case circondariali assicurano la custodia degli imputati a disposizione di ogni autorità giudiziaria. Esse sono istituite in ogni sede principale di tribunale. 3: Le case circondariali assicurano anche la custodia dei detenuti e degli internati in transito, nonché delle persone fermate o arrestate nei casi previsti dalla legge in relazione all’avvio di un procedimento penale.
Art. 3. (Istituti per la esecuzione delle pene). 1. Gli istituti per la esecuzione delle pene detentive della reclusione e dell’arresto sono le case di reclusione. 2. Sezioni di casa di reclusione possono essere istituite presso le case circondariali. 3. Per esigenze particolari, e nei limiti e con le modalità previste dal regolamento, i condannati in esecuzione di pena detentiva possono essere assegnati alle case circondariali.
Art. 4. (Case territoriali di reinserimento sociale). 1. Possono essere istituite case territoriali di reinserimento sociale nei comuni che realizzano programmi a tal fine. La istituzione è effettuata con provvedimento del Ministro della giustizia su proposta del sindaco del comune in cui l’istituto è posto. Le case territoriali possono essere istituite anche nei comuni in cui siano presenti istituti di cui agli artt. 2 e 3. di questo capo 2. Lo Stato assume gli oneri economici necessari per la creazione e la gestione delle case territoriali da parte dei comuni. Le risorse economiche necessarie per la creazione degli istituti sono rimborsate dallo Stato all’esito delle opere compiuti. Le risorse economiche necessarie per la gestione degli istituti sono anticipate in base ad un bilancio di previsione e liquidate definitivamente alla fine di ogni anno in base ad un bilancio consuntivo, accompagnato dalla documentazione relativa. 3. Direttore delle case territoriali è il sindaco del comune o un delegato dello stesso. Il personale che cura la gestione delle case territoriali è dipendente dal comune e assunto dallo stesso con concorso pubblico. Si applica a tale personale, per la parte normativa e retributiva, la disciplina relativa ai vigili urbani. 4. Presso tali istituti sono assunti e svolgono la loro attività operatori di rete che seguono la realizzazione dei programmi di reinserimento sociale. Ove occorra, svolgono, per tempi limitati, le funzioni di loro competenza presso le case territoriali gli educatori assegnati agli istituti di cui agli artt. 2 e 3 di questo capo, esistenti nella provincia nella quale si trova la casa territoriale.
(Nota bene. Si pone tra parentesi l’art. 5, concernente le specie delle misure di sicurezza detentive di cui è prevista la soppressione in una proposta di legge, di cui si fa menzione nella relazione all’articolato(pg. 73). Nella stessa si prevede la sostituzione degli ospedali psichiatrici giudiziari con strutture diverse con diversa denominazione).
((Art. 5. (Istituti per la esecuzione di misure di sicurezza). 1. Gli istituti per la esecuzione delle misure di sicurezza detentive si distinguono in: colonie agricole; case di lavoro; case di cura e custodia; ospedali psichiatrici giudiziari. 2. Uniforme al precedente comma 2 dell’attuale art.62; 3. Uniforme al precedente comma 3 dell’attuale art. 62)).
Art. 6. (Costituzione, trasformazione e soppressione degli istituti. Autonomia gestionale e finanziaria del Dipartimento della amministrazione penitenziaria). 1. Uniforme all’attuale art. 66. 2. Presso la direzione generale a ciò delegata del dipartimento della amministrazione penitenziaria è svolta, con autonomia dal sistema dei lavori pubblici del ministero corrispondente, la parte progettuale e economica concernente l’edilizia del sistema penitenziario con riferimento alle nuove costruzioni, nonché per la manutenzione e la ristrutturazione di quelle esistenti. L’attività relativa a queste ultime può essere svolta, su delega delle direzioni generali predette, dai corrispondenti uffici dei provveditorati regionali della amministrazione penitenziaria. 3. Le risorse economiche necessarie, in base ai programmi predisposti dagli uffici competenti di cui al comma 2, sono messe a disposizione del dipartimento della amministrazione penitenziaria prima dell’inizio dell’anno in cui i programmi devono essere attuati.
Art. 7. (Visite agli istituti). 1. Al comma 1 dell’attuale art. 67, dopo la lettera f), sono così integrate e modificate le lettere successive: g) il presidente della provincia e il sindaco del comune in cui si trova l’istituto e le persone dagli stessi delegate, in loro sostituzione, per lo svolgimento dei rapporti con l’istituto e per la verifica del rispetto dei diritti dei detenuti e internati; nonché il presidente del quartiere e il responsabile della azienda sanitaria locale in cui si trova l’istituto; h) i parlamentari europei, nonché i rappresentanti delle istituzioni della Comunità europea che svolgono attività concernenti gli istituti penitenziari, nonché i rappresentanti del Consiglio d’Europa; i) l’ispettore dei cappellani. 2. Uniforme al comma 2 dell’attuale art. 67. Alla fine è aggiunta la seguente proposizione: "L’autorizzazione non occorre anche per il capo del dipartimento della amministrazione penitenziaria in tutti gli istituti e per i provveditori regionali della amministrazione penitenziaria negli istituti esistenti nei territori di loro competenza." 3. Uniforme al comma 3 dell’attuale art. 67. 4. Uniforme al comma 4 dell’attuale art. 67.
Capo
II°
Art. 8. (Criteri di differenziazione).
1. Uniforme all’attuale art. 64. 2. La distribuzione delle persone negli istituti o sezioni avviene: a) con riferimento al diverso livello di sorveglianza, che le stesse richiedono, distinguendo fra una sorveglianza elevata, una sorveglianza media e una sorveglianza attenuata; b) con riferimento alle difficoltà di convivenza di singole persone con la restante popolazione detenuta a seguito della tipologia del reato commesso da tali persone o dei comportamenti tenuti dalle stesse nel corso dei processi sostenuti o della detenzione sofferta; c) con riferimento alle situazioni delle persone affette da infermità fisica in situazione di cronicità o da minorazione fisica. 3. La collocazione separata non impedisce l’applicazione a tutti i detenuti o internati delle regole di trattamento previste dalla normativa operante in materia penitenziaria. Tali regole non possono essere sospese neppure temporaneamente in nessun istituto, salvo non ricorra una specifica situazione prevista dalla legge. 4. Negli istituti sono installati sistemi di sorveglianza a distanza, che comportano maggiore sicurezza ed economia di personale e minore usura dello stesso: in particolare, ciò deve essere attuato per la sorveglianza sui muri di cinta. 5. Le modalità di svolgimento della sorveglianza non devono in alcun modo ridurre la tempestività degli interventi nelle situazioni critiche che si verificano nelle singole sezioni nei periodi di chiusura delle stesse, in particolare per i detenuti e internati nelle singole celle.
Art. 9. (Circuiti differenziati. Il circuito a sorveglianza elevata).
1. Con il regolamento di esecuzione o con altre fonti amministrative vengono definiti i singoli circuiti. 2. Il circuito a elevata sorveglianza riguarda i detenuti autori di reati compresi nelle previsioni normative relative alla criminalità organizzata e, in particolare, dal primo periodo del primo comma dell’art. 54bis. 3. Nel circuito ad elevata sorveglianza, il rapporto numerico fra operatori di polizia penitenziaria e detenuti o internati deve essere elevato. La sorveglianza di tali operatori durante le attività trattamentali si svolge a diretto contatto con i soggetti sorvegliati, anche se, per le attività trattamentali svolte in locali chiusi sotto la direzione di operatori specifici, la sorveglianza avverrà all’esterno dei locali stessi. 4. Nelle sezioni o istituti a elevata sorveglianza sono svolte tutte le attività trattamentali previste dalla legge. Per manifestazioni singole, organizzate in sezioni dell’istituto a sorveglianza inferiore e non ripetibili, la partecipazione dei detenuti e internati del circuito ad elevata sorveglianza viene consentita, mantenendo una separazione dagli altri detenuti. Analogamente è a dirsi per quelle attività a svolgimento continuativo che non possono essere attuate più volte nello stesso istituto. 5. L’inserimento nel circuito a elevata sorveglianza è temporaneo e viene riesaminato annualmente, salvo che non intervengano nuove circostanze prima di tale scadenza. L’inserimento è disposto e viene revocato dalla direzione dell’istituto in cui la persona interessata si trova. Quando in un istituto si procede alla revoca dell’inserimento, le direzioni degli istituti in cui la persona interessata viene successivamente trasferito, non possono rinnovare l’inserimento.
Art. 10. (Circuiti differenziati. Il circuito a sorveglianza media).
1. Nel circuito a sorveglianza media sono compresi tutti i detenuti e internati non assegnati agli altri due circuiti. 2. In tale circuito, la sorveglianza è effettuata da gruppi di operatori della polizia penitenziaria per tutte o parte delle sezioni comprese nei singoli padiglioni detentivi. La sorveglianza operata deve essere organizzata in modo da distribuire gli interventi, concentrandoli nei luoghi e nelle situazioni in cui risultano necessari. 3. Nello stesso modo di cui al comma 2 si procede alla sorveglianza per le attività di lavoro o dei corsi scolastici o di attività trattamentali diverse: un unico gruppo di operatori della polizia penitenziaria distribuisce gli interventi dove vengono richiesti o risultano oggettivamente necessari. Per le attività trattamentali che si svolgono con propri operatori, la sorveglianza non deve essere attuata con la presenza degli operatori della polizia penitenziaria nei locali di svolgimento delle attività.
Art. 11. (Circuiti differenziati. Il circuito a sorveglianza attenuata).
1. Il circuito a sorveglianza attenuata è riservato a detenuti e internati di modesta pericolosità, ricavabile dalla devianza prevalentemente di carattere sociale che ha portato al reato, anche se in esecuzione di pena non breve, nonché ai detenuti e agli internati in esecuzione di pena breve. Tale circuito deve interessare almeno il 10% dei detenuti o internati nell’ambito del territorio di ogni provveditorato regionale. 2. La sorveglianza attenuata può anche essere attuata in singole sezioni di un istituto. 3. La sorveglianza attenuata è attuata, salvo singole situazioni che richiedano una sorveglianza diversa:
4. La sorveglianza attenuata deve assicurare lo svolgimento di tutte le attività trattamentali. 5. La sorveglianza attenuata si attua con un gruppo di operatori di polizia penitenziaria disponibili per gli eventuali interventi di emergenza che vengano richiesti, nonchè per la sorveglianza generale dell’istituto.
Art. 12. (Sezioni protette).
1. Sono predisposte apposite sezioni alle quali sono assegnati detenuti o internati che richiedono particolari cautele, anche per la tutela da aggressioni o sopraffazioni da parte dei compagni, sia con riferimento ai tipi di reati commessi, sia in relazione al comportamento tenuto durante i processi o nel corso della detenzione. Con riferimento alle diverse ragioni di protezione sono attivate sezioni diverse. 2. Una sola sezione può essere utilizzata per l’utenza di più istituti. 3. La permanenza dei motivi cautelari viene verificata semestralmente. In sede di verifica, i detenuti e internati interessati possono essere, pertanto, assegnati, con il loro consenso, alle sezioni ordinarie degli istituti. 4. Specialmente quando si tratti di persone che hanno commesso particolari reati, gli interventi, attuati in particolare con la partecipazione degli esperti dell’osservazione e trattamento, sono rivolti alla individuazione delle motivazioni dei comportamenti illeciti e al possibile superamento delle stesse. 5. E’ esclusa l’attuazione, all’interno di tali sezioni, di situazioni di isolamento dei singoli detenuti o internati.
Art. 13. (Sezioni per persone affette da infermità fisica in condizioni di cronicità o affetti da minorazione fisica).
1. Sono predisposte sezioni apposite per le persone affette da infermità fisica in condizioni di cronicità e per persone affette da minorazione fisica, che non possano trovare adeguata assistenza nelle sezioni ordinarie anche con l’aiuto di un compagno di esecuzione quale badante o piantone. 2. La esigenza di assegnazione nelle sezioni apposite è accertata dal servizio sanitario e viene verificata semestralmente o a periodi più brevi nei casi con maggiori possibilità di evoluzione. 3. Tali sezioni sono realizzate per ogni regione o gruppi di regioni, secondo le esigenze. 4. In tali sezioni, sia con la rimozione delle barriere architettoniche, sia con l’assistenza di un compagno, come indicato al comma 1, particolarmente nei casi in cui le persone interessate non siano autosufficienti, sono attuati gli interventi utili a ridurre le limitazioni del regime di vita. Le camere di pernottamento sono tenute aperte e devono essere disponibili locali comuni. 5. Le persone interessate hanno diritto a partecipare alle attività di osservazione e trattamento per loro possibili e, se non siano autosufficienti, e le attività si svolgano fuori dalla sezione, ad essere accompagnate dove le stesse si svolgono. 6. Le situazioni predette, con apposita relazione sanitaria sulla incompatibilità o sulle limitazioni di compatibilità con lo stato di detenzione, sono segnalate alle autorità giudiziarie competenti a conoscere del mantenimento o meno dello stato di detenzione. 7. L’art. 65 del testo vigente è abrogato.
Art. 14 (Sezioni per i collaboratori di giustizia).
1. Sono predisposte apposite sezioni per collaboratori di giustizia. Le sezioni sono differenziate in relazione al tipo di reati per cui è stata prestata la collaborazione, nonchè allo stesso tipo della collaborazione e al riconoscimento che è in corso o ne è stato effettuato. 2. Nella assegnazione alle sezioni si tiene conto della vicinanza ai familiari e generalmente della esigenza del distacco dal territorio di provenienza o di commissione dei reati. 3. Nei confronti delle persone interessate sono svolte le attività di osservazione e trattamento, anche in relazione alla possibile ammissione ai benefici penitenziari secondo la specifica normativa applicabile. 4. Tali sezioni devono essere realizzate in istituti diversi e non prossimi a quelli nei quali sono collocate sezioni per l’attuazione del regime di cui all’art. 41bis, comma 2 e segg..
Art. 15. (Situazioni individuali di criticità).
1. Nei confronti dei detenuti ed internati che presentino relazioni critiche con le strutture penitenziarie, dovute a condizioni problematiche dal punto di vista psicofisico o psichiatrico o di condizionamenti personali, è attuata una presa in carico da parte dei servizi dell’istituto con apporti professionali multidisciplinari. 2. Occorre particolare attenzione nell’uso dello strumento disciplinare. E’ escluso il ricorso all’isolamento, in conformità alle limitazioni dello stesso secondo le previsioni della presente legge. 3. In base alla presa in carico di cui al comma 1, viene redatto un programma di trattamento tendente a migliorare la relazione del soggetto con la struttura e i suoi operatori, nonché alla individuazione della partecipazione ad attività trattamentali ed alla eventuale assegnazione ad altro istituto, che possano essere utili al fine predetto. Tale intervento è particolarmente necessario nei casi in cui la persona interessata manifesti propositi autolesivi o autosoppressivi, ferma restando, in tali casi, la esigenza di una adeguata sorveglianza. Per le persone straniere, ai normali operatori si aggiunge anche un mediatore culturale, specificamente adeguato alla criticità del caso. 4. Se il caso trattato presenti aspetti di tipo psichiatrico, si esaminerà la opportunità di un periodo di permanenza presso una sezione attivata con l’apporto del servizio psichiatrico. 5. La situazione e gli interventi disposti e la loro attuazione sono riesaminati ogni sei mesi.
Capo
III°
Art. 16. (Regime di sorveglianza particolare) Uniforme all’attuale art. 14bis, salvo l’aggiunta del comma 1bis dopo il comma 1. "1bis. Ai casi di cui al precedente art. 15 non è applicabile il presente regime di sorveglianza particolare".
Art. 17. (Reclamo) Uniforme all’attuale art. 14ter.
Art. 18. (Contenuti del regime di sorveglianza particolare). Uniforme all’attuale art. 14quater.
I commi due e seguenti dell’art. 41 bis sono sostituiti dai seguenti articoli:
"Art. 19. (Regime di massima sicurezza).
1. Quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, anche a richiesta del ministro dell’interno, il ministro della giustizia ha la facoltà di sospendere, in tutto o in parte, nei confronti dei detenuti o internati per taluno dei delitti di cui al primo periodo del comma 1 dell’art. 54bis (4bis nel testo vigente), in relazione ai quali vi siano elementi tali da fare ritenere la sussistenza di collegamenti con una associazione criminale, terroristica o eversiva, l’applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla presente legge che possano porsi in concreto contrasto con il mantenimento o la ripresa di quei collegamenti. 2. I provvedimenti emessi ai sensi del comma 1 sono adottati con decreto motivato del ministro della giustizia, sentito l’ufficio del pubblico ministero che procede alle indagini preliminari ovvero quello presso il giudice che procede ed acquisita ogni altra necessaria informazione presso la direzione nazionale antimafia e gli organi di polizia centrali e quelli specializzati nella azione di contrasto alla criminalità organizzata, terroristica o eversiva, nell’ambito delle rispettive competenze. I provvedimenti medesimi, alla prima applicazione, hanno durata non superiore ad un anno e sono prorogabili nelle stesse forme per periodi successivi, non superiori a sei mesi, purché vi sia conferma attuale che la capacità del detenuto o dell’internato di mantenere contatti con associazioni criminali, terroristiche o eversive non è venuta meno." 3. Se anche prima della scadenza risultano venute meno le condizioni che hanno determinato l’adozione e la proroga del provvedimento di cui al comma 1, il ministro della giustizia procede, anche d’ufficio, alla revoca con decreto motivato. Il provvedimento che non accoglie l’istanza presentata dal detenuto, dall’internato o dal difensore è reclamabile ai sensi dell’art. 20. In caso di mancata adozione del provvedimento a seguito di istanza del detenuto, dell’internato o del difensore, la stessa si intende non accolta decorsi 30 giorni dalla sua presentazione. In tal caso, se venga presentato reclamo, deve essere accompagnato da certificazione dell’istituto della mancata comunicazione della decisione nel termine indicato. 4. La sottoposizione al presente regime è limitata nel tempo e, in difetto di revoca, deve cessare: quando siano decorsi 10 anni dall’inizio della applicazione con riferimento a coloro che, con sentenza, sono stati ritenuti in posizione apicale nella organizzazione criminale; quando siano decorsi 5 anni negli altri casi. 5. Per coloro per i quali i termini indicati nel comma precedente siano già scaduti alla data di entrata in vigore di questa legge, la sottoposizione al presente regime deve cessare entro cinque anni dalla entrata in vigore della legge 23/12/2002, n. 279. 6. L’applicazione del regime di cui al presente articolo non può essere ripristinata se non dopo due anni dalla cessazione e in base alla dimostrata attualità delle condizioni richieste dal comma 1 per l’applicazione della misura. 7. I detenuti e internati nei cui confronti è revocata o cessa l’applicazione del regime di cui al presente articolo sono assegnati ad una sezione ad alta sorveglianza per almeno un anno con l’ordinario regime applicato in tale sezione. 8. Non possono essere create e, se create, debbono cessare situazioni di separazione per singole persone, che realizzino, di fatto, condizioni di isolamento e un regime concretamente diverso da quello previsto dalla presente normativa.
Art. 20. (Reclamo)
Comma 1. Uniforme al comma 2quinquies del testo vigente. Comma 2. Uniforme al comma 2sexies del testo vigente.
Art. 21. (Contenuti del regime di massima sicurezza).
1. La sospensione della applicazione delle regole o degli istituti di cui all’art. 18 non può comportare la attuazione di misure comunque incidenti sulla qualità e quantità della pena o sul grado di libertà personale del detenuto (v. sent. Cost. n. 349/93 e 351/96), nonché misure che, per il loro contenuto non siano riconducibili alla concreta esigenza di tutelare l’ordine e la sicurezza o siano inidonee o incongrue rispetto a tali esigenze con una portata puramente affittiva (sent. Cost. n. 351/96), nonché, infine, misure che violino il divieto costituzionale di disporre trattamenti contrari al senso di umanità e l’obbligo di tenere conto della finalità rieducativa che deve connotare la pena (art. 27 Cost. e sent. Cost. 351/96). 2. La sospensione delle regole di trattamento e degli istituti di cui all’art. 19 può comportare: a) la determinazione dei colloqui in non meno di due ore e in non più di quattro ore al mese, distribuite in non meno di un colloquio e in non più di quattro colloqui, da svolgere a intervalli di tempo regolari ed in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti. Dopo i primi due anni di applicazione, la determinazione dei colloqui sarà, comunque, di 4 ore al mese, articolata in almeno due colloqui e in non più di quattro. Sono vietati i colloqui con persone diverse dai familiari e conviventi, salvo casi eccezionali, determinati volta per volta dal direttore dell’istituto ovvero, per gli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dall’autorità giudiziaria competente ai sensi del secondo comma dell’art. 11. I colloqui possono essere sottoposti a controllo auditivo ed a registrazione, previa motivata autorizzazione dell’autorità giudiziaria competente ai sensi del secondo comma dell’art. 11. Può essere autorizzata, con provvedimento motivato del direttore dell’istituto, ovvero, per gli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dall’autorità giudiziaria competente ai sensi di quanto stabilito dal secondo comma dell’art.11, e solo dopo i primi sei mesi di applicazione, una telefonata mensile con in familiari e conviventi per i quali è autorizzato il colloquio, della durata massima di dieci minuti, sottoposta, comunque, a registrazione: la comunicazione avviene con il numero telefonico indicato dall’interessato, previa verifica dell’appartenenza dello stesso ai familiari o ai conviventi con i quali si corrisponde. Dopo i primi due anni di applicazione, l’autorizzazione deve essere rilasciata, salvo non vi siano motivi, esplicitamente specificati, perché sia negata Le disposizioni della presente lettera non si applicano ai colloqui con i difensori. b) la limitazione delle somme, dei beni e degli oggetti che possono essere ricevuti dall’esterno; c) l’esclusione dalle rappresentanze dei detenuti e degli internati; d) la limitazione alla permanenza all’aperto, che non può svolgersi in gruppi superiori a dieci persone, ad una durata non inferiore a due ore al giorno, salva la disposizione del primo comma dell’art. 10, e non superiore a quattro ore al giorno. Dopo i primi due anni, devono essere concesse quattro ore al giorno. Al di fuori di questo, la permanenza nella camera di pernottamento deve essere limitata e non deve incidere sulle attività trattamentali che devono essere svolte secondo le previsioni della legge.
Art. 22. (Situazioni di emergenza). 1. In casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza, il ministro della giustizia ha facoltà di sospendere nell’istituto interessato o in parte di esso l’applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati. La sospensione deve essere motivata dalla necessità di ripristinare l’ordine e la sicurezza e ha la durata strettamente necessaria al conseguimento del fine suddetto.
Capo
IV°
Art. 23. (Organizzazione del personale penitenziario negli istituti) 1. L’organizzazione del personale penitenziario negli istituti di prevenzione e pena deve realizzare le indicazioni di cui all’art. 1. 2. Il personale operante negli istituti ha il suo vertice organizzativo nella direzione. Il personale è distribuito in aree professionali: area della direzione, area amministrativa-contabile, area educativa, area degli esperti dell’osservazione e trattamento, area sanitaria e area della sicurezza. 3. Le singole aree hanno propri responsabili, che collaborano con la direzione, che coordina ed indirizza l’attività complessiva dell’istituto. 4. Agli istituti è anche assegnato personale con specifica preparazione informatica. 4. Ogni istituto ha una propria autonomia in ordine alla attuazione di programmi, che annualmente presenta al provveditorato regionale per l’approvazione. Questo, in relazione ai programmi proposti ed approvati e alle complessive risorse disponibili, distribuisce le stesse ai singoli istituti. In relazione a ciò sono disposti un bilancio preventivo e un bilancio consuntivo, utili alla valutazione della complessiva attività degli istituti e dei responsabili degli stessi..
Art. 24. (Area della direzione). 1.Il direttore esercita i poteri relativi alla organizzazione dell’istituto, al coordinamento ed indirizzo delle attività delle singole aree e al controllo delle stesse. Predispone, con i responsabili delle singole aree, i programmi da attuare, in istituto e all’esterno, e ne segue lo svolgimento. Impartisce direttive agli operatori penitenziari, i quali svolgono i compiti loro affidati secondo le rispettive specificità professionali. Coordina le attività degli operatori volontari e ne agevola lo svolgimento. 2. Il direttore, nell’ambito dell’area della direzione, distribuisce le responsabilità operative dei funzionari direttivi assegnati all’istituto fra i vari servizi e sezioni dell’istituto. 3. Il direttore o i funzionari direttivi che lo coadiuvano devono effettuare audizioni frequenti dei detenuti e internati, vi sia o meno richiesta degli stessi. 4. Il direttore dell’istituto ha qualifica dirigenziale, salvo che negli istituti minori, con capienza prevista di non più di cinquanta persone. 5. Negli istituti minori di cui al comma precedente non sono compresi quelli che abbiano funzioni speciali o che curino l’attuazione di progetti sperimentali o quelli in cui si eseguono misure di sicurezza, anche se ciò avvenga soltanto in sezioni degli istituti medesimi. 6. E’ predisposto il ruolo organico dei funzionari direttivi, distribuito nei vari livelli fino a quelli dirigenziali. Gli organici devono essere calcolati con riferimento alla articolazione della presenza dei funzionari direttivi nei vari servizi dell’istituto.
Art. 25. (Area amministrativa-contabile). 1. L’area amministrativa-contabile segue tutte le attività dell’istituto, che attengono ai rapporti di carattere giuridico ed economico con i dipendenti, alle relazioni con gli organi della amministrazione penitenziaria e con organismi esterni, pubblici e privati, nonché alla concreta gestione delle risorse economiche disponibili nell’istituto. 2. All’area è preposto un funzionario operativo di adeguata preparazione professionale. 3. All’area amministrativa contabile è assegnato personale con preparazione e in numero adeguati ai compiti da svolgere, tenuto conto non solo della gestione ordinaria dell’istituto, ma anche di tutte le attività che nell’istituto devono essere svolte con riferimento a quanto disposto dal comma 1 dell’art. 1 del presente capo. Tale personale fruisce di adeguato sviluppo di carriera.
Art. 26. (Area educativa). 1. Il personale dell’all’area educativa svolge, sempre con riferimento a quanto disposto dal comma 1 dell’art. 1, le attività necessarie per promuovere la individualizzazione del trattamento penitenziario, l’attuazione degli elementi del trattamento, la predisposizione dei percorsi riabilitativi dei detenuti e degli internati e il sostegno agli stessi. Nella predisposizione di tali percorsi viene procurata la realizzazione di una rete sociale, che raccoglie, oltre agli operatori interni e a quelli dei centri servizio sociale adulti, gli operatori dei servizi sociosanitari, assistenziali e degli altri servizi pubblici, nonché persone e organizzazioni private, che promuovono l’inserimento sociale e lavorativo. 2. Il personale predetto partecipa inoltre alla predisposizione dei programmi di cui al comma 4 dell’art. 1 di questo capo, collabora alla organizzazione e segue la fase attuativa degli stessi. 3. Il responsabile operativo dell’area appartiene al ruolo degli educatori ed ha funzioni dirigenti dell’area. Di intesa con la direzione, organizza e coordina l’attività degli educatori e anche quella degli altri operatori impegnati nelle attività relative all’area stessa. Provvede inoltre a promuovere, coordinandosi con la direzione, le attività, anche esterne, che realizzano gli elementi del trattamento. 4. L’organizzazione del gruppo di osservazione e trattamento, che raccoglie tutti gli operatori che svolgono le attività relative, è curata dal dirigente dell’area educativa. Lo stesso cura, in particolare, i rapporti con gli esperti dell’osservazione e trattamento e gli operatori del centro servizio sociale adulti, che svolgono le attività di loro competenza. Gli incontri del gruppo sono coordinati dal direttore o da un funzionario direttivo delegato, mentre l’attività di segreteria è affidata ad un educatore assegnato dal dirigente dell’area. E’ redatta apposita cartella della osservazione e trattamento, relativa alle varie fasi di intervento. 5. La struttura e le dimensioni del ruolo organico degli educatori deve tenere presente la esigenza che gli stessi siano operativamente presenti nei servizi e nelle sezioni degli istituti per acquisire una reale conoscenza dei detenuti e internati e dei loro problemi individuali e collettivi e svolgere conseguentemente le attività di loro competenza . Tenuto conto di questo, sono predisposti i ruoli organici degli educatori, calcolati per i vari istituti in ragione di un educatore operativo ogni 25 detenuti o internati. Nel ruolo organico sono anche previsti i livelli superiori con lo sviluppo di carriera fino alle funzioni dirigenziali. 6. La copertura dei nuovi organici indicati nelle tabelle allegate deve essere operata con assoluta urgenza. Una prima parziale copertura, fino alla metà degli organici previsti in tabella, sarà effettuata, nell’ambito dei singoli provveditorati, con gli educatori professionali risultati idonei nei concorsi presso gli enti locali, secondo i criteri definiti dal dipartimento della amministrazione penitenziaria.
Art. 27. (Area degli esperti dell’osservazione e trattamento). 1. Per l’attività di osservazione e trattamento viene istituito un apposito servizio, cui sono assegnati, con rapporto organico con la amministrazione penitenziaria, professionisti esperti in psicologia, servizio sociale, pedagogia, psichiatria e criminologia clinica. 2. E’ predisposto il ruolo organico degli esperti della osservazione e trattamento, calcolato per i vari istituti in ragione di un esperto ogni 100, o frazione di 100, detenuti e internati. Nel ruolo organico sono anche previsti i vari livelli di carriera fino a quelli dirigenziali. 3. Alla copertura di tale ruolo si provvede inizialmente, a loro richiesta, con gli esperti attualmente operanti negli istituti con rapporto libero professionale, previa valutazione del servizio svolto. Il provveditorato regionale della amministrazione penitenziaria provvede agli atti necessari per lo svolgimento della procedura di assunzione, secondo i tempi, la progressione e i criteri definiti dal dipartimento della amministrazione penitenziaria, che, all’esito della procedura, decide la assunzione. 4. Sono inseriti nell’area i servizi già esistenti e comunque denominati, svolti da esperti in psicologia con rapporto libero-professionale con la amministrazione penitenziaria. 5. Il servizio degli esperti dell’osservazione e trattamento opera di intesa con gli operatori delle altre aree nel quadro della attività di coordinamento svolta dalla direzione dell’istituto. In particolare, coadiuva gli operatori dell’area educativa nel gruppo di osservazione e trattamento, svolgendo le attività di propria competenza. 6. Inoltre, in relazione a quanto previsto dal comma 6 dell’art. 11 della presente legge, il servizio coopera con tutti i servizi dell’istituto che svolgono attività di assistenza e cura alla persona dei detenuti e degli internati, compresi quelli appartenenti al servizio sanitario nazionale. Tale cooperazione è realizzata attraverso la presa in carico di ogni detenuto e internato all’arrivo nell’istituto e sviluppando da questa tutti gli interventi successivi. E’ redatta una cartella apposita, che viene tenuta dal servizio degli esperti dell’osservazione e trattamento. 7. Il responsabile operativo dell’area e dirigente della stessa, organizza e coordina l’attività degli esperti. La direzione dell’area è assegnata tenendo presente il livello di carriera dei singoli esperti e, nel caso in cui non sia utilizzabile tale criterio, il livello della anzianità di servizio, calcolato anche il periodo di attività con rapporto libero-professionale con la amministrazione penitenziaria.
Art. 28. (Area sanitaria). 1. L’organizzazione dell’area sanitaria prevista dagli artt. 11 e seguenti della presente legge ed operante nel quadro del Servizio sanitario nazionale, si atterrà alle regole ivi previste, di intesa con l’amministrazione penitenziaria. 2. Fino a quando non sarà realizzato tale inquadramento, il servizio sanitario penitenziario proseguirà la sua attività con la organizzazione e gli operatori attuali. Le risorse economiche necessarie devono essere adeguate e sufficienti per le modalità del servizio indicate negli artt. 11 e seguenti. Le eventuali riduzioni apportate sono illegittime e ne deve cessare la efficacia. La mancata copertura, per insufficienza delle risorse economiche necessarie, degli interventi di assistenza e cura e dei farmaci indispensabili comporta la responsabilità diretta di chi doveva fornire le risorse stesse. 3. Per gli ospedali psichiatrici giudiziarie e le case di cura e custodia si applicano le disposizioni del comma 11 dell’art. 11 della presente legge. A tal fine, la amministrazione penitenziaria è impegnata a provvedere e mantenere la copertura integrale degli organici del personale sanitario.
Art. 29. (Area della sicurezza). 1. Il personale dell’area della sicurezza, che costituisce il Corpo di polizia penitenziaria, svolge, secondo le modalità previste dalla presente legge e in particolare dall’art. 1 della stessa, le attività necessarie per il mantenimento dell’ordine e della disciplina negli istituti, sempre in osservanza della funzione di vertice del direttore. Lo stesso personale disimpegna inoltre il servizio di traduzioni e scorte dei detenuti e degli internati. 2. L’organizzazione del Corpo di Polizia penitenziaria è definita dalla legislazione che lo riguarda. Le assunzioni del personale devono essere operate con concorso pubblico, effettuato nelle sedi di ogni provveditorato, in relazione alle necessità di personale di ciascun territorio, con vincolo di permanenza nello stesso per almeno cinque anni. Non sono consentite modalità di assunzione diverse dal concorso pubblico. Nel ruolo organico sono previsti i vari livelli di carriera fino alle funzioni dirigenziali. E’ definito l’organico complessivo del Corpo di polizia penitenziaria con riferimento a tutti i servizi della amministrazione penitenziaria relativi a tale settore. 3. Al reparto di polizia penitenziaria presente nei singoli istituti è preposto un responsabile operativo che ha funzioni di dirigente dell’area stessa. Per ogni istituto è definito l’organico necessario di tale reparto, tenendo conto delle dimensioni e delle funzioni degli istituti, compreso il servizio di traduzioni e scorte. Tale organico è definito, sentite le direzioni degli istituti, su proposta dei singoli provveditorati regionali, dal dipartimento della amministrazione penitenziaria. 4. Il personale di polizia penitenziaria collabora alle attività svolte dal personale delle altre aree per la concreta attuazione del trattamento penitenziario previsto dalla presente legge. Collabora, inoltre, alla predisposizione dei programmi previsti dal comma 4 dell’art. 1 di questo capo. 5. Il servizio traduzioni e scorte è organizzato attraverso una distribuzione del personale di polizia penitenziaria nelle varie sedi penitenziarie. I reparti operanti negli istituti sono inseriti nell’area della sicurezza dei singoli istituti e dipendono dal dirigente della stessa, ma hanno un proprio responsabile, che organizza lo specifico servizio.
Art. 29. (Organici degli istituti e copertura degli stessi). 1. Per ogni istituto deve essere previsto anche l’organico del personale che provvede al lavoro amministrativo nelle varie aree. 2. Con tabella allegata alla presente legge è determinato l’organico complessivo per ogni area in tutti gli istituti, nonché quello di ciascuno degli stessi. Quando l’organico è definito in relazione al numero di detenuti o internati dell’istituto, si tiene conto del valore medio della presenza giornaliera degli stessi negli ultimi due anni. 3. L’adeguatezza di tale organico è riesaminata ogni cinque anni. 4. Alla copertura dei nuovi organici si provvede nel termine massimo di tre anni. 5. A tale copertura si provvede con concorsi pubblici da organizzare ed espletare nell’ambito di ciascun provveditorato, con vincolo quinquennale, per gli assunti, di restare nell’ambito territoriale in cui il concorso si è svolto. Alla scadenza del vincolo predetto, l’accoglimento di istanze di trasferimento dovrà essere adeguatamente motivata e non potrà determinare criticità nel servizio relativo: la situazione si considera critica quando, anche per effetto dell’accoglimento della istanza, l’organico resta scoperto nella misura del 5%. 6. Il sollecito espletamento dei concorsi è controllato dal dipartimento della amministrazione penitenziaria, che provvede alle assunzioni. 7. Sono salve le disposizioni per la parziale copertura, in via d’urgenza, di una parte degli organici degli educatori e per l’inquadramento nell’organico della amministrazione penitenziaria degli esperti dell’osservazione e trattamento, attualmente operanti con rapporto libero-professionale.
Capo
V°
Art. 30. (Funzioni e organizzazione dei centri di servizio sociale per adulti e dei loro operatori). 1.Nelle sedi degli uffici di sorveglianza sono istituiti i centri di servizio sociale per adulti, che dipendono dalla amministrazione penitenziaria. 2. La struttura dei centri, in ragione delle dimensioni del territorio di competenza e del volume di lavoro, può essere articolata in sedi decentrate. 3. L’attività dei centri di servizio sociale adulti deve realizzare le indicazioni costituzionali richiamate nell’art. 46bis. A tal fine i centri, a mezzo del personale di servizio sociale, svolgono le attività richieste dagli uffici di sorveglianza, nonché dalle direzioni degli istituti penitenziari. Partecipano, con le loro competenze, alle attività di osservazione e trattamento. Seguono lo svolgimento delle misure alternative e degli altri interventi penitenziari e penali. Compiono, inoltre, tutte le altre attività e funzioni attribuite alla loro competenza. 4. Il personale di servizio sociale dei centri svolge la propria attività anche negli istituti, in rapporto diretto con i detenuti e gli internati, d’intesa con le direzioni degli istituti e le direzioni dell’area educativa. 5. Nella organizzazione dei centri si distinguono: area della direzione e della segreteria, area del servizio sociale e area amministrativa-contabile. 6. Per ogni centro deve essere previsto anche l’organico del personale che provvede al lavoro amministrativo nelle varie aree. 7. In ogni centro è anche previsto il ruolo degli autisti per gli spostamenti del personale sul territorio. Quando se ne ravvisi la opportunità e, in particolare, nella assenza o insufficienza degli autisti appartenenti a detto ruolo o degli automezzi necessari, gli assistenti sociali e gli operatori di servizio sociale possono essere autorizzati all’uso di mezzo dell’ufficio o di mezzo proprio. 8. Ogni centro di servizio sociale ha una propria autonomia in ordine alla attuazione di programmi, che annualmente presenta al provveditorato regionale. Questo, in relazione ai programmi proposti ed approvati e alle complessive risorse disponibili, distribuisce le stesse ai singoli centri. In relazione a ciò sono redatti un bilancio preventivo e un bilancio consuntivo, utili alla valutazione della complessiva attività dei singoli centri e dei loro responsabili.
Art. 31. (Area della direzione e della segreteria). 1. Il direttore esercita i poteri attinenti alla organizzazione del centro, al coordinamento ed indirizzo della attività delle singole aree e al controllo della stessa. Predispone, inoltre, con i responsabili assegnati alle singole aree, i programmi da attuare e ne segue lo svolgimento. Coordina anche le attività degli assistenti volontari e ne agevola lo svolgimento. 2. All’area della direzione è preposto un funzionario della carriera direttiva del centro di servizio sociale. E’ necessario che lo stesso abbia anche una qualificazione professionale nel servizio sociale, così che, in misura limitata, possa svolgere anche attività operativa di servizio sociale. Secondo le dimensioni ed esigenze dei singoli centri, può essere prevista la presenza di altri funzionari della carriera direttiva che collaborano col direttore e per i quali valgono le stesse disposizioni di questo comma relative al direttore. I funzionari dell’area direttiva fruiscono di uno sviluppo di carriera fino alle funzioni dirigenziali. 3. Il direttore del Centro ha qualifica dirigenziale. 4. Nell’area di cui al presente articolo opera anche personale tecnico informatico per le esigenze operative o di ricerca dei centri.
Art. 32. (Area del servizio sociale). 1. All’area del servizio sociale sono assegnati gli assistenti sociali e, per la collaborazione agli stessi, gli operatori di servizio sociale di cui al successivo comma 5. 2. Gli assistenti sociali svolgono le funzioni indicate nei commi 3 e 4 dell’art. 30. Il responsabile dell’area, assegnato in relazione allo sviluppo di carriera, coordina lo svolgimento del servizio degli altri operatori, mantenendo,però, attività operativa diretta di servizio sociale. 3. Nella fase della esecuzione della pena all’interno degli istituti, gli assistenti sociali concorrono alla formazione e alla attività della rete sociale di cui al comma 1 dell’art. 26. Nella fase della preparazione delle misure alternative, a seguito di istanze avanzate dalla libertà, nonché nella fase della concreta attuazione delle misure, al fine di realizzare una efficace integrazione sociale attraverso la esecuzione della misura alternativa, sono gli stessi assistenti sociali che promuovono la realizzazione della rete sociale, che raccoglie gli operatori dei servizi sociosanitari e assistenziali, nonché degli altri servizi pubblici e degli organismi privati. Per sei mesi dopo la conclusione della misura alternativa, gli assistenti sociali dei Centri, a richiesta degli interessati, svolgono ancora attività di sostegno nei loro confronti e di stimolo alla continuazione della attività della rete sociale per agevolare il loro reinserimento sociale, come previsto dal comma 5 dell’art. 4 del Capo I° del titolo IV°. 4. Gli assistenti sociali devono essere forniti di idonea qualificazione professionale a livello universitario. Fruiscono di uno sviluppo di carriera fino alle funzioni dirigenziali. 5. E’ istituito il ruolo degli operatori di servizio sociale con proprio organico: questo è calcolato, in ogni centro, nella misura di un quarto dell’organico degli assistenti sociali previsto per lo stesso centro. Tali operatori collaborano con gli assistenti sociali. Svolgono attività di affiancamento e sostegno agli stessi e, su incarico degli assistenti sociali, provvedono a singoli accertamenti e controlli, in particolare sul rispetto delle prescrizioni da parte delle persone in affidamento in prova al servizio sociale, compresa la prescrizione relativa alla permanenza dell’affidato al domicilio per parte della giornata e, in particolare, nelle ore notturne. Svolgono anche funzioni di vigilanza e di protezione dei centri. Gli operatori di servizio sociale devono essere forniti di qualificazione professionale a livello di scuola media superiore. 6. In casi limitati, quando non risulti sufficiente l’intervento dei competenti organi pubblici territoriali e risulti necessaria una specifica attività di consulenza ai centri, in occasione della redazione di relazioni sociofamiliari o al fine di seguire e sostenere i fruitori di misure alternative in condizioni di disagio psichico o sociale, i centri stessi possono ricorrere, con rapporto libero-convenzionale, a professionisti idonei a fornire la consulenza opportuna: gli stessi operano nell’ambito dell’area del servizio sociale. La collaborazione di tali professionisti, particolarmente nei centri di maggiori dimensioni, può anche essere assicurata da professionisti appartenenti all’area sanitaria o a quella degli esperti della osservazione e trattamento, distaccati dall’istituto penitenziario della stessa sede in cui si trova il centro o stabilmente assegnati presso il centro medesimo.
Art. 33. (Area amministrativa-contabile). 1. L’area amministrativa-contabile segue tutte le attività del centro, che attengono ai rapporti di carattere giuridico ed economico con i dipendenti, alle relazioni con gli organi della amministrazione penitenziaria e con organismi esterni, pubblici e privati, nonché alla attività amministrativa e contabile della gestione delle risorse economiche. 2. All’area è preposto un funzionario operativo di adeguata preparazione professionale e personale amministrativo-contabile in numero adeguato alle esigenze. Tale personale appartiene ai ruoli del personale dell’area corrispondente degli istituti.
Art. 34. (Organici dei centri e copertura degli stessi). 1. Con tabella allegata sono predisposti i ruoli organici, complessivi e per ogni centro, di tutti gli operatori delle diverse aree e dei diversi ruoli. Nella predisposizione degli organici dei singoli centri si tiene conto: del numero dei detenuti e degli internati presenti negli istituti di prevenzione e pena compresi nel territorio di ciascun centro e del numero delle misure alternative in esecuzione nello stesso territorio: tale calcolo è operato sui valori medi degli ultimi due anni. L’adeguatezza degli organici viene rivalutata ogni cinque anni: può essere rivalutata prima di tale termine se, per singole situazioni, ne risulti la necessità. 2. Per ogni ruolo si tiene presente, quando sia previsto, lo sviluppo di carriera fino, sempre se previsto, al livello dirigenziale. 3. Alla copertura dei nuovi organici di cui al comma 1, si provvede, nel termine massimo di cinque anni, con concorsi pubblici da organizzare ed espletare nell’ambito di ciascun provveditorato, con vincolo quinquennale, per gli assunti, di restare nell’ambito territoriale in cui il concorso si è svolto. Alla scadenza del vincolo predetto, l’accoglimento di istanze di trasferimento dovrà essere adeguatamente motivata e non potrà determinare criticità nel servizio relativo del singolo centro: si considera critica la situazione di un centro quando l’organico relativo resta scoperto, anche per effetto dell’accoglimento della istanza, nella misura del 5%.
Capo
VI°
Art. 35. (Provveditorati regionali della amministrazione penitenziaria). 1. Il provveditore regionale della amministrazione penitenziaria promuove la formazione di un sistema operativo coordinato fra gli istituti penitenziari e i centri di servizio sociale per adulti presenti nel territorio di sua competenza. A tal fine, si opera, in quanto possibile, perché siano realizzate nel territorio tutte le strutture per le quali è prevista una presenza regionale. Il provveditore provvede ai trasferimenti dei detenuti e degli internati nell’ambito del territorio di propria competenza. 2. Ogni anno, entro il 30 settembre, gli istituti penitenziari e i centri servizio sociale trasmettono al provveditorato il programma e il bilancio preventivo relativo all’anno solare successivo. Il provveditore, entro il 31 ottobre, con la propria approvazione e le eventuali modifiche, nonché con le proprie osservazioni e con il programma e il bilancio preventivo specifici dello stesso provveditorato, trasmette programmi e bilanci e la documentazione relativa al dipartimento della amministrazione penitenziaria. Questo, entro il 30 novembre, previe le sue valutazioni e disponibilità, metterà a disposizione dei singoli provveditorati le risorse richieste, compatibilmente con quelle esistenti. Per ogni provveditorato verrà effettuata la ripartizione delle risorse pervenute entro il 31 dicembre. Gli istituti e i centri, in relazione alle risorse pervenute, ridefiniranno programmi e bilanci preventivi, con il solo limite di mantenersi entro le risorse stesse. 3. Presso ogni provveditorato sono istituite aree corrispondenti a quelle esistenti presso gli istituti penitenziari e i centri di servizio sociale per adulti. Deve essere anche organizzata un’area ispettiva per la attività di sostegno e di vigilanza sugli istituti e sui centri, anche sotto il profilo della efficienza e della corrispondenza della loro attività agli indirizzi della normativa penitenziaria. Inoltre deve anche essere organizzata un’area tecnica, che svolga una attività di promozione, sostegno e vigilanza sulle attività degli istituti penitenziari e dei centri servizio sociale adulti sotto il profilo economico, sanitario e edilizio: per questo ultimo aspetto, si applica quanto previsto dal comma 2 dell’art. 6 del capo I° di questo titolo. 4. Il provveditore regionale, che proviene dai ruoli della amministrazione penitenziaria, ha la qualifica di direttore generale. Il provveditore può essere affiancato da un provveditore vicario. 5. Il provveditore regionale e il suo vicario svolgono tutte le funzioni ed attività loro attribuite dalle leggi e dai regolamenti. Anche le funzioni relative alle modifiche delle assegnazioni del personale nell’ambito degli istituti e dei centri di servizio sociale adulti del territorio regionale e fra questi e il provveditorato sono di competenza del provveditore regionale.
Art. 36. (Dipartimento della amministrazione penitenziaria). 1. Il capo del dipartimento della amministrazione penitenziaria è scelto fra coloro che hanno un riconosciuto prestigio in materia penitenziaria, acquisito sia attraverso la attività svolta nella amministrazione penitenziaria, sia attraverso l’attività giudiziaria concernente il settore penitenziario, sia attraverso l’insegnamento universitario nello stesso settore. 2. Il capo del dipartimento, annualmente, indica le linee di intervento che saranno seguite dalla amministrazione penitenziaria, che presenterà ai provveditori regionali, raccogliendo le richieste e le osservazioni degli stessi. 3. Le competenze del dipartimento della amministrazione penitenziaria sono distribuite fra le direzioni generali in cui si articola secondo le disposizioni di legge e regolamentari vigenti. Devono essere, comunque, configurate come direzioni generali le articolazioni relative al personale penitenziario, all’area interna dei detenuti e degli internati negli istituti penitenziari, all’area esterna dei centri di servizio sociale per adulti, all’ufficio che cura la redazione del bilancio e la gestione dei beni e dei servizi, e all’ufficio che svolge studi e ricerche. Presso l’ufficio per la redazione del bilancio e per la gestione dei beni e dei servizi, è organizzato, con propria autonomia dirigenziale e operativa, l’ufficio che segue la edilizia penitenziaria, previsto dal comma 2 dell’art. 6 del capo I° di questo titolo. 4. Il dipartimento esercita le competenze affidate dalla legge e dai regolamenti. Può sostituire i provveditorati solo nel caso di mancato esercizio delle competenze dei medesimi. 5. Il dipartimento provvede annualmente a mettere a punto, entro il 30 luglio il bilancio annuale della amministrazione penitenziaria, verificando le risorse disponibili e prevedendone l’impiego. 6. Il capo del dipartimento, in particolare, assume la presidenza della Cassa ammende, con facoltà di delega per lo svolgimento in tutto o parte delle funzioni.
Art. 37. (La Cassa ammende). 1. Le risorse economiche della Cassa Ammende devono essere impiegate: a) per il finanziamento di progetti per l’assistenza economica alle famiglie dei detenuti e per l’assistenza postpenitenziaria; b) per il finanziamento di programmi volti al reinserimento sociale dei detenuti e degli internati durante la esecuzione della pena e delle misure di sicurezza, anche in regimi alternativi alla detenzione. c) per il finanziamento di progetti per il soccorso e l’assistenza alle vittime del delitto. 2. Le risorse economiche, con le finalità di cui al comma 1, possono essere impiegate anche per il finanziamento congiunto con fondi europei. 3. Annualmente la Cassa delle ammende distribuisce le risorse economiche fra i provveditorati regionali della amministrazione penitenziaria per il finanziamento di progetti rispondenti alle finalità indicate nel comma 1. 4. La distribuzione avviene in base alla spesa prevista per i progetti trasmessi dai provveditorati e non può superare l’80% delle risorse stesse. L’importo residuo di tali risorse è gestito dalla Cassa per finanziamento di progetti disposti direttamente dalla medesima. 5. I progetti trasmessi dai provveditorati sono predisposti dagli stessi o ricevuti dagli istituti o centri servizio sociale adulti o da enti o organismi pubblici o privati. Ai progetti è unita una relazione di valutazione dell’assessorato alla sicurezza sociale della provincia nel cui territorio si trovano , gli uffici penitenziari, nonché gli enti o organismi proponenti. 6. Le risorse economiche ai singoli provveditorati sono corrisposte in relazione alla entità dei progetti presentati dagli stessi e previa una positiva valutazione dei medesimi. Quando il complesso delle richieste di finanziamento supera le risorse disponibili, sono preferiti i progetti che presentano la maggiore corrispondenza alle finalità di cui al comma 1 e una particolare rilevanza delle situazioni su cui intervengono. 7. La Cassa ammende deve promuovere il completo impiego delle risorse economiche di cui dispone.
Art. 38. La formazione del personale. 1. La formazione del personale appartenente a tutte le aree è operata dai Provveditorati generali della amministrazione penitenziaria nei territori di loro competenza. 2. Il personale frequenta corsi di formazione organizzati per ogni ruolo dello stesso, dopo la assunzione nella amministrazione e periodicamente nel seguito. I corsi di formazione iniziali devono avere durata di almeno sei mesi. 3. Durante i corsi di formazione ai periodi di docenza sono alternati, con l’accompagnamento di personale in servizio, periodi di sperimentazione pratica presso gli istituti. 4. Le docenze nei corsi sono tenute da esperti nelle materie penitenziarie o in altre utili all’inquadramento delle stesse e da operatori appartenenti ai vari ruoli e attualmente impegnati nel servizio. 5. I contenuti dei corsi di formazione devono fare costante riferimento ai principi costituzionali, delle leggi penali e dell’Ordinamento penitenziario in materia di esecuzione della pena e della custodia cautelare, di misure di sicurezza e di misure alternative alla detenzione. 6. Durante lo svolgimento dei corsi, vi possono essere momenti di aggregazione degli allievi in sede nazionale o per più regioni. Capo
VII°
Art. 39. (Nomina degli assistenti volontari). 1. L’amministrazione penitenziaria può, con parere del magistrato di sorveglianza, autorizzare persone idonee, singole o appartenenti ad associazioni o gruppi organizzati, a frequentare gli istituti penitenziari allo scopo di partecipare al sostegno dei detenuti e degli internati e al loro futuro reinserimento nella vita sociale. Analogamente tale autorizzazione può essere concessa per collaborare con i centri servizio sociale adulti nella esecuzione delle misure alternative e per l’assistenza ai dimessi dal carcere e alle loro famiglie. 2. Gli assistenti volontari sono nominati dal provveditore regionale della amministrazione penitenziaria o, nella inerzia di questi, dal dipartimento della stessa amministrazione. 3. L’opera degli stessi non è retribuita.
Art. 40. (Attività degli assistenti volontari). 1. Negli istituti, gli assistenti volontari svolgono la loro attività in rapporto diretto con i detenuti e gli internati. A tal fine effettuano colloqui con gli stessi e possono cooperare nelle attività di risocializzazione in coordinazione con il personale addetto al trattamento. Essi sono considerati operatori del trattamento e fanno parte dell’area educativa, anche se la loro collaborazione può essere prestata in aree diverse. 2. I loro interventi, di intesa con gli operatori penitenziari, riguardano anche le famiglie degli interessati per rilevarne i bisogni e indirizzarne e sostenerne il ricorso ai servizi pubblici o privati esistenti.
3. Gli assistenti volontari, inoltre, possono svolgere compiti di accompagnamento dei reclusi all’esterno, in relazione a concessioni della magistratura di sorveglianza, senza assunzione di responsabilità sulla loro custodia. 4. Per i detenuti e gli internati per cui hanno svolto le attività di cui ai commi precedenti gli assistenti volontari partecipano alle riunioni del gruppo di osservazione e trattamento. 5. Nella esecuzione delle misure alternative, gli assistenti volontari collaborano con gli operatori di servizio sociale di intesa e secondo le indicazioni degli stessi.
Art. 41. (Cooperazione sociale). 1. Gli enti o le organizzazioni che svolgono attività di cooperazione sociale possono concorrere, con apposite convenzioni con le direzioni degli istituti, nello svolgimento dei servizi interni nei settori della fornitura del vitto, della pulizia, della manutenzione ordinaria dei fabbricati e di tutta la rete dei servizi connessa. 2. In base ad apposite convenzioni, gli enti e gli organismi predetti possono anche organizzare negli istituti lavorazioni o assumere la gestione delle lavorazioni esistenti, senza oneri per la utilizzazione dei locali e delle attrezzature. 3. Gli stessi enti o organizzazioni, sempre attraverso apposite convenzioni, possono avere funzioni operative nella attuazione dei progetti per il reinserimento sociale di cui al titolo IV°. 4. Nelle convenzioni indicate le cooperative sociali sono considerate soggetto preferito e, quindi, i rapporti con le stesse possono essere definiti senza il ricorso a procedure pubbliche di gara. 5. Le associazioni di cooperative sociali promuovono la istituzione di un organismo di garanzia, formato da professionisti nelle varie materie, che svolga funzioni di consulenza e verifica della conformità alle regole che interessano lo svolgimento delle attività delle associate, con particolare riferimento alla copertura finanziaria, all’ordine contabile e amministrativo e al rispetto della normativa sul lavoro e sugli oneri assicurativi, previdenziali e sociali.
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