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No, l'autonomia non basta!
A margine del programma del Governo in tema di giustizia che sembra intenda rimettere in discussione l'assetto istituzionale della magistratura, sono necessarie alcune puntualizzazioni. Il periodo, soprattutto " milanese", dei primi anni 90 che passerà alla storia come " mani pulite", è stata una stagione eccezionale, già spenta e passata all'archivio. Il clima è già rientrato nella “routine” quotidiana,ma ha lasciato segni difficilmente cancellabili non solo nella classe politica, che ora teme il ripetersi di un evento analogo e "mette le mani avanti", come si dice, ma anche ai magistrati che a volte, sbagliando, si sono sentiti protagonisti e, perché no, moralizzatori e "salvatori della Patria", controllori delle virtù dei potenti. Ciò è avvenuto dietro la spinta e con l'appoggio di quasi tutta l'opinione pubblica. Del resto in siffatte condizioni era difficile non dare spettacolo, senza dimenticare che i media sono i produttori ed i registi dello spettacolo stesso, quei media che, quando lo vogliono, sanno far tacere l'orchestra e calare il sipario, mandando a letto anzitempo gli spettatori. Quindi bisogna essere cauti quando si accusano certi magistrati di fare gli attori, professione in cui non eccellono e dalla quale dovrebbero stare e sentirsi lontani. Che vi sia stata una temporanea sovraesposizione della magistratura in quel periodo e che la categoria abbia assunto una funzione di supplenza a causa della mancanza di un sistema politico sbandato, e' indubitabile. Prima di gettare la croce addosso soltanto ai magistrati occorre riflettere bene e con la mente sgombra da pregiudizi e da mode. I magistrati hanno compiuto un dovere, talvolta andando sopra le righe quanto alle modalità, ma non si dimentichino le pressioni subite ad opera di una opinione pubblica imprevedibile nelle proprie reazioni emotive, che nel giro di pochi anni ha cambiato rotta di 360 gradi sotto la spinta di una campagna pre e post elettorale martellante ed implacabile condotta contro parte della magistratura che ha finito, come era ed è naturale, per delegittimarla in blocco. I risultati elettorali del 13 maggio sono di evidenza solare, hanno invertito le parti per cui ora è l'accusa che si dovrà difendere. Certamente si è registrata, a partire dagli anni 70, una certa "espansione globale" del potere giudiziario, l'abbandono della tradizionale "neutralità" dell'ordinamento giuridico e l'assunzione da pare dei giudici anche di un "ruolo promozionale" a volte anche di vera e propria "supplenza". Il tutto ha prodotto una "rivoluzione" nel settore, nel quadro complessivo della nuova tendenza alla "giudizializzazione", connotata da una giurisprudenza fortemente "creativa", che ha fatto pensare a "giudici legislatori" o addirittura al "governo dei giudici" malamente intesi quali controllori degli altri poteri statuali. La cosa ha allarmato molti, ma si è trattato di movimenti di punta, di avanguardie da non sottovalutare che però non hanno fatto presa sulla massa, non hanno più di tanto modificato la solida cultura tradizionale di cui si è detto, e sono già passati alla storia. La verità è che il potere “debole” è quello giudiziario perché deve applicare la legge che emana dal potere legislativo e se la legge è chiara il giudice è disarmato, la deve applicare e basta, salvo elevare conflitto costituzionale. La subordinazione è già forte ed un ulteriore giro di vite sarebbe intollerabile perché inciderebbe sulla libertà non solo dei giudici, qualunque passo tendente a collegare ciò che deve invece essere separato, vale a dire il potere giudiziario da quello legislativo. Non vi sono vie di mezzo; l'indipendenza o c'è o non c'è. Una mezza indipendenza non basta perché è già la negazione dell'indipendenza vera. Non regge poi l'interpretazione della lettera del primo comma dell'art. 104 secondo cui la magistratura sarebbe un "ordine" e non un potere ed avrebbe pertanto una posizione subordinata. Infatti, al di là del termine usato, che del resto è esatto, lo stesso articolo assicura piena autonomia ed indipendenza alla magistratura e gli artt. 101 e 102 affidano ai giudici e soltanto a loro, soggetti alla sola legge, il potere di giurisdicere. Tanto è vero che la magistratura è organizzata non gerarchicamente, sulla base dell'ordinamento giudiziario ed è stato previsto il CSM dallo stesso art. 104 quale organo di autogoverno. In altre parole, il termine "ordine" attiene all'aspetto strutturale della magistratura intesa quale "corpus", mentre dal punto di vista funzionale il singolo giudice esercita il potere giurisdizionale che è tale e pieno soltanto se il giudice stesso è indipendente, condizione questa ultima - ha detto la Corte - volta ad assicurare l'imparzialità del giudice. Infine sia consentito rilevare che il Presidente del Consiglio nella rubrica e nel testo del documento di programma presentato al Parlamento riconosce quale principio fondamentale da accettare e difendere soltanto quello dell'"autonomia" della magistratura. Non accenna all'altro valore ancora più importante,quello dell'"indipendenza" dei singoli magistrati. Entrambi i valori sono scolpiti nell'art. 104, primo comma. Sono correlati tra di loro ma profondamente diversi. Non sono, in altri termini, un'endiade né, per i giuristi almeno, sono sinonimi. L'art. 104 non per caso li ha citati entrambi. "Autonomia" è la libertà all'interno di agire, organizzarsi, operare secondo norme prodotte dallo stesso ente, senza interventi dall'esterno; "indipendenza" invece è libertà di chi giudica da vincoli e condizionamenti provenienti dall'esterno. Tenuto conto della sede ufficiale, il documento - programma era stato predisposto. Sembra così da escludere che possa trattarsi di una svista. Allora è lecito dedurre - fino a prova contraria - che questo Governo non è disponibile a difendere l'indipendenza anche del magistrato giudicante e pensa ad una modifica costituzionale sul punto, in tal modo colpendo al cuore il sistema della separazione, dando l'addio definitivo allo "Spirito delle leggi" di quel vecchio galantuomo ed autentico liberale che rispondeva al nome di Charles de Secondat signore di Montesquieu. A questo punto bisogna fermarsi in attesa della prima mossa in concreto il che avverrà, secondo quanto ha detto il ministro, entro il dicembre 2001, quando sarà presentato il disegno di legge "ordinario" di riforma dell'ordinamento giudiziario. Non ha fatto riferimento della Costituzione. Prima di toccare la Carta occorrerà risentire gli elettori ed il Governo lo sa bene.
Giancarlo Zappa,
30 settembre 2001
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