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Governo e magistratura, un rapporto difficile?
Non
può sfuggire all’attenzione generale la singolare e preoccupante
affermazione usata dal Presidente Berlusconi al momento della
presentazione al Parlamento del programma di governo: “l’obbligatorietà
dell’azione penale e l’autonomia della magistratura sono principi…
da rispettare... ma sono anche problemi da risolvere” perché
tali principi sono “realizzati solo in parte e talvolta in modo
insoddisfacente” perché troppi reati restano impuniti e la totale
unificazione delle carriere e delle funzioni” tra magistratura
requirente e giudicante produce “effetti perversi…”. In
tal modo è stato dato l’annuncio di una campagna di riforme in tema di
ordinamento giudiziario, chiamando a raccolta anche le opposizioni per
evitare che “la fonte della sovranità legislativa” sia condannata
“ad inaridirsi ed estinguersi”. Fermi
quindi i principi, il Governo proporrà "integrazioni ed innovazioni,
che sono nella legittima potestà delle Assemblee Legislative”. Parole
dure queste che in sostanza suonano come un'accusa grave e precisa, da non
sottovalutare e meditare perché la magistratura sarebbe un pericolo per
la Repubblica, che quanto meno potrebbe uscirne “dimezzata”. A
sua volta il ministro della giustizia, presentando il suo programma, ha
rincarato la dose. L’Italia non è una democrazia compiuta in quanto il
principio della separazione dei poteri spesso non ha funzionato essendo in
atto un conflitto patologico tra i poteri perché “una parte della
magistratura… ha cercato di occupare spazi propri della politica...
utilizzando articoli del codice penale figli di periodi storici che non ci
appartengono più" ed ha “spettacolarizzato la giustizia”. Tale
lotta “senza esclusione di colpi” ha minato agli occhi del Paese la
credibilità delle istituzioni. Quindi
prima di parlare di “efficienza e di efficacia” del sistema -
giustizia (che pur presenta gravissime lacune e ritardi) bisogna
recuperare “il senso delle istituzioni democratiche e del comune
sentimento di giustizia”, anche con riforme costituzionali, perché il
testo della nostra Carta “non è immutabile”. A parere del ministro
pertanto bisogna varare finalmente il nuovo ordinamento giudiziario
(richiesto, è vero, dalla stessa Costituzione e mai realizzato dopo oltre
50 anni) per riportare la responsabilità della politica giudiziaria
“nell’alveo proprio della sovranità democratica”; stabilire un
migliore rapporto tra “l’esercizio autonomo” delle funzioni
giudiziarie e le esigenze del popolo”; “introdurre maggiore efficienza
nel servizio” Il Governo riapre cosi le ostilità, per altro mai sopite grazie anche alla battaglia pre-elettorale,cercando di valorizzare e rendere concreti (sulla base dei risultati ampiamente favorevoli scaturiti dalle urne) i risultati di una disputa antica e ricorrente, quella sulla opportunità o meno di difendere la c.d. “unità della giurisdizione” riaffiorata durante i lavori per il varo della Costituzione nel biennio 46/47 nonché della Commissione parlamentare per le riforme costituzionali nel 1997 ed in numerosi convegni di studio. La tesi contraria all’unità fino ad oggi è sempre stata minoritaria e quindi soccombente, essendo prevalsa largamente la tendenza a difendere ed anzi a potenziare il principio che postula e giustifica la posizione di autonomia ed indipendenza della magistratura (anche se denominata "ordine"dall'art. 104, 1° comma della Costituzione) rispetto agli altri poteri; l'appartenenza alla magistratura del PM; l’obbligo per il PM medesimo di esercitare l'azione penale (art.112); l'unicità del Consiglio Superiore. L'unità
di cui sopra è supportata dalla "cultura della giurisdizione",
un valore positivo da difendere che a ben riflettere costituisce una
garanzia per tutti in quanto caratterizzato dalla riservatezza, senso
della "terzietà" e quindi dell’imparzialità e
dell'equilibrio. Qualità tutte che sono un vanto nella storia e nella
tradizione della nostra magistratura. Se poi, come può capitare, un
magistrato sbaglia uscendo dai limiti dell'area suddetta, è responsabile penalmente e civilmente oltre che in via disciplinare. Nel
1997 in sede della "Bicamerale" sui temi suddetti il relatore
Boato si schierò per l’unità come tutti i commissari intervenuti
(compresi Pera e Parenti che allora erano all’opposizione). Soltanto il
sen. Maceratini si dichiarò contrario affermando esplicitamente che
l'unità attribuisce alla magistratura un potere eccessivo a scapito degli
altri due. La proposta del relatore fu in sostanza quella di confermare
l'art. 104 aggiungendo ai giudici "i magistrati del pubblico
ministero". È vero che il compromesso raggiunto in sede costituzionale presenta aspetti non chiari, specie per quanto attiene alla posizione del PM. La si modifichi dunque ma senza rivoluzionare il sistema, compiendo pericolosi passi indietro, rinunciando a tutti i positivi traguardi raggiunti con l'attuale Costituzione. Conviene anche precisare che invece sulle modalità della elezione dei membri togati al CSM si può discutere e si discuterà presto perché l'attuale Consiglio scade nell'aprile 2002 e che unicità delle carriere di giudice e di PM non significa AFFATTO CONFUSIONE delle FUNZIONI (art. 107, terzo comma, Cost.) che anzi debbono rimanere rigorosamente separate, anche con ulteriori restrizioni introducibili con legge ordinaria.
Giancarlo Zappa, 16 dicembre 2001
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