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Tossicodipendenza e mondo del lavoro
Il fenomeno delle tossicodipendenze attraversa tutti i sistemi sociali, da quello familiare a quello lavorativo. Quando entra nel mondo del lavoro, la tossicomania introduce bisogni, richieste, aspettative, disagi solitamente estranei alle consuete dinamiche dell’attività lavorativa. D’altro canto il lavoro costituisce uno degli elementi – cardine su cui fondare percorsi riabilitativi che possano ambire ad obiettivi di concreta reintegrazione sociale. L’interazione che viene a determinarsi tra il soggetto e il mondo del lavoro si rivela pertanto piuttosto complessa. I problemi originati dal contesto lavorativo (o dalla sua assenza) possono essere così sintetizzati:
La mancanza di un lavoro, la bassa professionalità, il bisogno mascherato di normalità, la falsa autonomia dell’individuo, il salario, come fonte di denaro "pulito", sono quindi i nodi che caratterizzano il lavoro del tossicodipendente. Alcuni di questi aspetti, però, possono anche divenire gli elementi fondamentali sui quali costruire validi percorsi riabilitativi orientati all’acquisizione di autonomia gestionale e comportamentale.
Il tossicodipendente - lavoratore
Il rapporto con l’attività lavorativa, si propone generalmente secondo uno schema comune e riproducibile. Esso è contraddistinto da alcune sequenze comportamentali che, pur non avendo una scansione lineare predeterminata, e anche se non sempre vengono realizzate nella loro interezza, possono essere definite come passaggi "standard"dell’interazione. La prima fase, definibile "della latenza", evidenzia come la situazione di dipendenza, anche se richiedente un asservimento quotidiano, non comprometta ancora il completo espletamento dei compiti legati alle mansioni svolte. Il tossicodipendente in questa fase cerca di comportarsi in modo tale da non farsi scoprire. La seconda fase, "della conflittualità", è caratterizzata dalla drammatica tendenza alla sovrapposizione delle esigenze nascenti dalla situazione di addiction rispetto a quelle lavorative. In questa fase compaiono segnali significativi: assenze frequenti e ingiustificate, errori nello svolgimento delle proprie mansioni, assunzione di sostanze durante l’orario di lavoro, richieste d’anticipo dello stipendio (con motivazioni sempre più pretestuose), diverbi con i colleghi, infortuni sul lavoro. Questi comportamenti contribuiscono a causare reazioni sempre più gravi nel datore di lavoro: dai provvedimenti disciplinari fino al licenziamento, proposte di abbandono del posto di lavoro con offerte economiche in contropartita, inasprimento del controllo, in un clima generale di sospetto e diffidenza, da cui discende inevitabilmente un grave rischio d’emarginazione. Solo raramente viene perseguita l’opportunità della conservazione del posto di lavoro per coloro che intendono sottoporsi al trattamento riabilitativo, una volta accertato il loro stato di tossicodipendenza, ai sensi dell’articolo 124 del D.P.R. n. 309/90, per una serie di ragioni che spaziano dall’ignoranza della norma alla sfiducia nei risultati del trattamento. In ogni caso si avvia una terza fase, definibile "della cura", in cui il tossicodipendente si rivolge ad una struttura sanitaria pubblica o privata. Il soggetto, talvolta, accede alla fase della cura direttamente dalla prima fase senza che le conseguenze più gravi della seconda lo rendano un passaggio imprescindibile, ma purtroppo non è un evento frequente. La fase della cura si caratterizza per una serie di variabili ben note, e non è certo il casi di dilungarsi in descrizioni in questa sede: durata del trattamento; tipo di trattamento (residenziale, semiresidenziale, ambulatoriale, integrato); metodologia (farmacologica, psicologica, sociale e integrata); etc Le ricadute sono una presenza scomoda ma ineludibile e la volontà del soggetto diventa il vero elemento fondamentale per l’esito del progetto riabilitativo. La quarta fase, denominata "del reinserimento", si caratterizza per il reinserimento del soggetto nel sistema sociale e produttivo e dovrebbe coincidere con la riabilitazione psicofisica. L’esperienza pratica la ricerca scientifica impongono il condizionale. E’ una fase delicata e critica; spesso segue un lungo e difficile cammino residenziale o semiresidenziale, già di per sé assai provante. Per coloro che seguono invece un percorso esclusivamente ambulatoriale, la fase del reinserimento spesso coincide con la fase della cura1, e, se possibile, in questo caso appare ancora più difficoltosa. Quale è l’atteggiamento delle parti sociali attorno al problema lavoro e tossicodipendenza? Occorre distinguere, in genere, fra l’approccio al lavoratore che diviene tossicodipendente e al tossicodipendente che vuole entrare (o rientrare) nel mondo del lavoro. Le due situazioni generano reazioni piuttosto differenti. Nel primo caso la vicenda tende ad inquadrarsi nei limiti della vertenza del lavoro, con sindacati e datore di lavoro su fronti contrapposti, comunque con un attenzione primaria al cittadino considerato nella sua veste lavorativa e solo secondariamente con riferimento al suo problema tossicomanico. Nel secondo caso, invece, la considerazione del mondo imprenditoriale è assai meno sviluppata e , spesso, le opportunità per l’accesso al mondo del lavoro dei tossicodipendenti che stanno attuando un cammino riabilitativo provengono quasi esclusivamente dal mondo della solidarietà sociale. Ovviamente discordiamo da questa impostazione e riteniamo che le parti sociali, tutte, debbano promuovere interventi ed azioni di reintegrazione sociale dell’individuo, negli specifici terreni di competenza funzionale e territoriale. Sul versante della conservazione del posto di lavoro già acquisito, occorre che chi possiede un rapporto prossemico con il lavoratore interessato, e le organizzazioni sindacali non sono certo esentate da questo impegno, incoraggi il lavoratore tossicodipendente ad inserirsi nei programmi terapeutici, sgombrando il campo da assurde ed inopportune pudicizie, aiutandolo in un percorso che si rivelerà piuttosto difficoltoso e rassicurandolo sulla possibilità di conservazione del suo posto di lavoro. Dall’altra parte i datori di lavoro devono assolutamente rispettare la normativa vigente, nella consapevolezza che è interesse di tutti riuscire a recuperare un lavoratore, sottraendolo ai contorti percorsi dell’emarginazione e della devianza, e il mantenimento del posto di lavoro è uno degli strumenti disponibili. Tutto ciò può essere realizzato, ad esempio, tramite il ricorso al congedo per malattia quando necessario, ai periodi d’aspettativa, al tempo parziale e alla flessibilità dell’orario di lavoro, con un uso controllato e proficuo dei provvedimenti disciplinari. La cessazione temporanea della prestazione lavorativa, può avere durata coincidente con la durata del programma riabilitativo, non è retribuita ma garantisce la conservazione del posto di lavoro al lavoratore. La possibilità di accesso al congedo per malattia nel settore privato è confermata dall’INPS, il cui consiglio di amministrazione con delibera n. 16 del 27 gennaio 1984 ha riconosciuto come l’indennità giornaliera di malattia fosse dovuta anche per eventi morbosi comportanti incapacità lavorativa procurati dall’assunzione di stupefacenti. Il ricorso al trattamento di malattia e alla relativa indennità si rivela utile per la tutela del lavoratore e per la salvaguardia del suo reddito nella fase acuta del problema. Concessioni di orario di lavoro a tempo parziale o flessibilità per i lavoratori coinvolti in un programma di recupero appaiono elementi di grande rilevanza pratica e concettuale. Così come lo è la possibilità di adibire il lavoratore tossicodipendente a mansioni che non mettano in pericolo la sua incolumità e non siano contrastanti con gli obbiettivi di recupero e di riabilitazione. Ovviamente tutto ciò appare adottabile limitatamente a quei programmi riabilitativi che non richiedono assenze dal posto di lavoro. L’uso "controllato" dei provvedimenti disciplinari a carico dei lavoratori tossicomani si sostanzia come una scelta capace di impedire la perdita del posto di lavoro ed il conseguente rischio di rottura di uno dei residui legami con il contesto di "normalità sociale". Anche per quanto riguarda i lavoratori familiari o tutori di tossicodipendenti la norma prevede la concessione di permessi retribuiti e no, di orari di lavoro particolari o periodi di aspettativa al fine di consentire loro di seguire la persona tossicodipendente garantendogli tutta l’assistenza necessaria, ma, in un compito così difficile e faticoso, ciò che conta soprattutto è la solidarietà e la comprensione dimostrata e praticata . Le tornate contrattuali degli anni 70 ed 80 hanno fatto registrare significative conquiste sul fronte della solidarietà a favore dei tossicodipendenti, anticipando, in alcuni casi, le successive determinazioni legislative. Un accordo interconfederale dell’artigianato di quell’epoca, oltre alla tutela dei lavoratori del settore, previde il coinvolgimento di comitati bilaterali, costituiti con il duplice scopo, da un lato, di orientare, informare e sostenere i soggetti interessati in materia d’accesso ai servizi e inserimento, mantenimento nella realtà produttiva; dall’altro, di portare a conoscenza delle imprese artigiane le esigenze di reinserimento lavorativo dei tossicodipendenti. L’accordo del pubblico impiego già nel 1988, aveva previsto anche per i dipendenti pubblici la possibilità di interventi atti a favorire la riabilitazione e il recupero dei soggetti tossicodipendenti. Tuttavia è proprio nel settore statale che si sono incontrate le maggiori difficoltà ad accettare una tutela di tale natura. Infatti, a differenza del settore privato dove è stato più facile avviare con gli imprenditori un confronto sulla tutela dei lavoratori tossicodipendenti, nel settore pubblico si sono incontrate più difficoltà sia perché il ricorso al congedo peri malattia viene letto come un tentativo di mascherare il problema, sia per la frantumazione della responsabilità che rinvia da un livello all’altro l’adozione di nuove e più efficaci soluzioni. La contrattazione nel pubblico impiego ha avuto pertanto un percorso lungo e tormentato2. Ne è prova anche la sentenza della Corte dei Conti, n. 4 del 2 marzo 1990, che dichiarò illegittimo il contratto del comparto degli Enti Pubblici non economici nella parte in cui prevede la possibilità di fruire d’aspettativa senza assegni per i dipendenti parenti di tossicodipendenti, in quanto si riferiscono a situazioni patologiche di soggetti estranei all’Amministrazione e non sono invece dirette a favorire la riabilitazione ed il recupero dei dipendenti, così come disposto dall’accordo intercompartimentale. Sul fronte sindacale , CGIL, CISL e UIL fin dal novembre del 1984 avanzarono proposte provenienti da precedenti sperimentazioni aziendali. Una prima proposta consisteva nel riconoscimento del ruolo di referenti interni per quei lavoratori che come volontari si rendono disponibili al sostegno del soggetto bisognoso quale il tossicodipendente o un suo familiare, fornendo informazioni sulle istituzioni pubbliche o private del territorio, sulle modalità di accesso a tali servizi e sugli strumenti per favorire il rientro nella realtà lavorativa. La seconda prevedeva la conservazione del posto di lavoro con aspettativa non retribuita. Altre proposte propugnavano la moderazione nell’uso dei provvedimenti disciplinari a carico dei lavoratori per non perdere il posto di lavoro. Comunque sia andata formandosi, la disciplina vigente in tema di diritti a tutela del rapporto di lavoro del cittadino tossicodipendente, è sancita dall’ art. 124 del D.P.R. n. 309/1990. Il Decreto del Presidente della Repubblica del 9 ottobre 1990, n. 309 contenente il "Testo Unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza" nel quale sono state riunite e coordinate tutte le precedenti disposizioni, prevede al suo interno alcune norme relative alla tutela del tossicodipendente nel mondo del lavoro. In particolare l’articolo 124 al primo comma sancisce per il lavoratore, "di cui viene accertato lo stato di tossicodipendenza, che intende accedere ai programmi terapeutici e di riabilitazione presso i servizi sanitari delle unità sanitarie locali o di altre strutture terapeutico - riabilitative e socio-assistenziali, se assunto a tempo indeterminato, il suo diritto alla conservazione del posto di lavoro per il tempo in cui la sospensione delle prestazioni lavorative è dovuta all’esecuzione del trattamento riabilitativo e, comunque per un periodo non superiore a tre anni". In ordine al periodo "i lavoratori di cui viene accertato lo stato di tossicodipendenza", sancito dal primo comma, sorge l’interrogativo di chi sia legittimato a compiere tale accertamento. Il datore di lavoro non può sapere al momento della assunzione o nel corso del rapporto di lavoro se un lavoratore sia tossicodipendente, in quanto è posto dagli articolo 5 e 6 della legge 5 giugno 1990, n. 135 il divieto al datore di lavoro sia pubblico che privato di richiedere in sede di assunzione accertamenti sanitari in ordine allo stato di tossicodipendenza dei lavoratori. Tale divieto vale anche per il medico dipendente o consulente del datore di lavoro (figura professionale prevista dall’articolo 17 del D Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 riguardante il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro) che non può eseguire alcun accertamento dello stato di tossicodipendenza, mentre può certamente compiere accertamenti preventivi e periodici ai fini della valutazione dell’idoneità dei lavoratori alla mansione specifica, controlli correlati ai rischi professionali e i cui esiti vengono comunicati al datore di lavoro. Del resto anche l’articolo 8 della legge n. 300, conosciuta come Statuto dei diritti dei lavoratori, vieta gli accertamenti che ledano la dignità del lavoratore sia dipendente o aspirante. Dunque, gli accertamenti finalizzati ad acclarare l’assenza di tossicodipendenza sono del tutto illegittimi, salvo il caso del personale delle forze di polizia, dei militari di leva e di carriera e dei marittimi; tale eccezione è contemplata dal IV comma dell’ articolo in esame che prevede per tali categorie anche la sospensione e la destituzione dal lavoro. La Corte di Cassazione ha condannato i dirigenti di una azienda che avevano sottoposto, in segreto, a test di tossicodipendenza alcuni candidati all’assunzione3. E’ quindi lasciata al lavoratore, nel momento in cui decide di recuperarsi, la libera scelta di comunicare o non comunicare al datore di lavoro il suo eventuale stato di tossicodipendenza. Tale norma specifica, inoltre, che condizione per poter usufruire della particolare disciplina offerta dal legislatore è l’essere "assunti a tempo indeterminato" e sottoporsi a "programmi terapeutici e di riabilitazione". Ne consegue che i lavoratori assunti con contratti a tempo determinato e con contratti di formazione di lavoro pur avendo gli stessi doveri e diritti economici e previdenziali dei lavoratori a tempo indeterminato non potranno beneficiare dell’aspettativa; vi è da dire, a commento, che proprio i giovani per cui queste agevolazioni all’ingresso nel mondo del lavoro sono state appositamente create, rappresentano una fascia a rischio per la tossicodipendenza, e ciò sembrerebbe realizzare una certa contraddizione operativa e di principio. La ratio della scelta legislativa pare risiedere nel fatto che il trattamento di recupero ha una durata media di 2 anni circa. Data la breve durata della prestazione lavorativa, il momento di fine rapporto porterebbe al termine del contratto molto prima del pieno recupero. Il programma terapeutico di riabilitazione indicato dalla norma, può essere attuato presso Comunità terapeutiche residenziali, semiresidenziali o altre realtà territoriali, purché sotto il controllo del Servizio sanitario pubblico (Ser.T). Il secondo comma sancisce che "I contratti collettivi di lavoro e gli accordi di lavoro per il pubblico impiego possono determinare specifiche modalità per l’esercizio della facoltà di cui al comma I. Salvo più favorevole disciplina contrattuale, l’assenza di lungo periodo per il trattamento terapeutico -riabilitativo è considerata, ai fini normativi, economici e previdenziali, come l’aspettativa senza retribuzione, né decorrenza d’anzianità degli impiegati civili e situazioni equiparate. I lavoratori, familiari di un tossicodipendente, possono a loro volta essere posti, a domanda, in aspettativa senza assegni per concorrere al programma terapeutico e socio-riabilitativo del tossicodipendente qualora il servizio per le tossicodipendenze ne attesti la necessità". Un primo rilievo può esprimersi in ordine alla priorità del ricorso all’istituto dell’aspettativa non retribuita, che si rende necessaria per diversi motivi:
Pare opportuno non predeterminare contrattualmente il periodo d’aspettativa che dovrebbe invece essere determinato, caso per caso, in base alle indicazioni della struttura che formula il programma riabilitativo, che ricordiamo, dovrà comunque essere approvato da una struttura del servizio sanitario pubblico a ciò preposta. Eventuali determinazioni contrattuali dovranno pertanto consentire la possibilità di proroga, fino ad esaurimento del programma riabilitativo. Il rientro non può che avvenire attraverso percorsi graduali e diversificati, che prevedano idonei momenti di riqualificazione professionale e opportune forme di mobilità. La possibilità per i familiari, dietro loro domanda, di chiedere l’aspettativa non retribuita per concorrere al programma riabilitativo, qualora ne sia attestata la necessità, del congiunto, si dimostra una previsione di notevole portata innovativa, nella quale si è affermato il principio, oggi indiscutibile, della correttezza di un approccio sistemico - ambientale ad un problema solo apparentemente individuale. Altro punto trattato dal secondo comma riguarda la necessità di sincronizzazione della norma con i diversi contratti collettivi. Un recente esempio di tale necessità si configura in ordine al "Contratto collettivo nazionale 8 giugno 1999 per i lavoratori addetti all’industria metalmeccanica privata e all’installazione d’impianti di lavoro", il quale, nell’assumere come proprio lo spirito del "Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo" del 23 luglio 1993, ne realizza, per quanto di competenza le finalità e gli indirizzi in tema di relazioni sindacali. In particolare l’articolo 3-bis, della sezione terza, "disciplina comune del rapporto individuale di lavoro", tratta della conservazione del posto di lavoro in caso d’accesso ai progetti terapeutici e di riabilitazione degli stati di accertata tossicodipendenza. Ai sensi del D.P.R. n. 309/90 il lavoratore del quale viene accertato lo stato di tossicodipendenza e che intende accedere ai programmi terapeutici e di riabilitazione presso i servizi sanitari delle unità sanitarie locali o di altre strutture terapeutico -riabilitative e socio - assistenziali, se assunto a tempo indeterminato, ha diritto, come sappiamo, alla conservazione del posto di lavoro per il tempo in cui la sospensione della prestazione lavorativa è dovuta all’esecuzione del trattamento riabilitativo e, comunque, per un periodo non superiore a tre anni. Il dipendente che intende avvalersi di detto periodo d’aspettativa è tenuto a presentare alla Direzione dell’azienda la documentazione d’accertamento dello stato di tossicodipendenza rilasciata dal servizio pubblico per le tossicodipendenze ed il relativo programma terapeutico socio - riabilitativo redatto ai sensi dell’articolo 122 del D.P.R. citato. Il servizio pubblico per le tossicodipendenze, compiuti i necessari accertamenti e sentito l’interessato, che può farsi assistere da un medico di fiducia, autorizzato a presenziare anche agli accertamenti necessari, definisce un programma terapeutico e socio-riabilitativo personalizzato. Nell’ambito del programma, in casi di riconosciute necessità ed urgenza, il servizio per le tossicodipendenze può disporre l’attuazione di terapie disintossicanti, nonché trattamenti psico - sociali e farmacologici adeguati. Il servizio per le tossicodipendenze controlla l’attuazione del programma da parte del tossicodipendente. Il programma deve essere formato nel rispetto della dignità della persona, tenendo conto in ogni caso esigenze di lavoro e di studio delle condizioni di vita familiare e sociale dell’assuntore. Il programma è attuato presso strutture del servizio pubblico o presso strutture riabilitative iscritte in un albo regionale o provinciale o in alternativa con l’assistenza del medico di fiducia. Il dipendente interessato dovrà pertanto presentare, con periodicità mensile, la documentazione rilasciata dalla struttura presso la quale sta eseguendo il programma terapeutico attestante l’effettiva prosecuzione del programma stesso. Il rapporto di lavoro s’intende risolto qualora il lavoratore non riprenda servizio entro sette giorni dal completamento della terapia di riabilitazione o dalla scadenza del periodo massimo d’aspettativa, ovvero dalla data dell’eventuale volontaria interruzione anticipata del programma terapeutico. Previa richiesta scritta, ai lavoratori che ne facciano richiesta, per le necessità, attestate dal servizio sanitario pubblico, di concorrere al programma terapeutico e socio riabilitativo di un familiare tossicodipendente, l’azienda concederà un periodo d’aspettativa, compatibilmente con le esigenze tecnico-produttive, non superiore a quattro mesi, anche frazionabile per periodi non inferiori ad un mese. Durante i suddetti periodi d’aspettativa non decorrerà retribuzione, né si avrà decorrenza d’anzianità di servizio per alcun istituto di legge o contratto. Si sottolinea inoltre, che nell’attuazione degli adempimenti disciplinati dal presente articolo dovrà essere posta particolare attenzione alla tutela della riservatezza dei soggetti interessati. Meno dettagliato ma comunque conforme allo spirito del D.P.R. 309/90, era anche l’articolo 77 del "Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del 14 dicembre 1990 per i lavoratori dipendenti da aziende del terziario, della distribuzione e dei servizi", successivamente rinnovato dalle competenti parti sociali. Diversa però la disciplina prevista per i lavoratori familiari dei tossicodipendenti. Essi possono essere posti, con domanda presentata al datore di lavoro in forma scritta e corredata di idonea documentazione redatta dai servizi sanitari o da altre strutture a ciò preposte, in aspettativa non retribuita per un periodo massimo di tre mesi non frazionabile e non ripetibile, necessario per seguire il programma terapeutico. Tale periodo d’aspettativa può essere frazionato esclusivamente nel caso in cui l’Autorità sanitaria competente ne certifichi la necessità. Nel pubblico impiego troviamo un esempio pertinente nell’ipotesi d’accordo relativa al contratto per il personale del comparto regioni e autonomie locali, che all’articolo 21 prevede la tutela dei dipendenti in particolari condizioni psico-fisiche tra cui vengono compresi anche coloro nei confronti dei quali sia stato accertato lo stato di tossicodipendenza. Allo scopo di favorire la riabilitazione e il recupero dei soggetti in questione è sancito il loro diritto alla conservazione del posto di lavoro per l’intera durata del progetto di recupero, con la corresponsione del trattamento economico, ma per i periodi eccedenti i diciotto mesi non vi è retribuzione; concessione di permessi giornalieri orari retribuiti nel limite massimo di due ore, per la durata del progetto; riduzione dell’orario di lavoro, con l’applicazione degli istituti normativi e retributivi previsti per il rapporto di lavoro a tempo parziale, limitatamente alla durata del progetto di recupero; assegnazione del lavoratore a mansioni della stessa categoria d’inquadramento contrattuale diverse da quelle abituali, quando tale misura sia individuata dalla struttura che gestisce il progetto di recupero come supporto della terapia in atto. Qualora i dipendenti tossicodipendenti non si sottopongano per loro volontà alle terapie previste l’ente dispone l’accertamento dell’idoneità allo svolgimento della prestazione lavorativa. Il dipendente deve inoltre prendere servizio presso l’ente nei quindici giorni successivi alla data del completamento del progetto di recupero. Tale norma specifica il grado di parentela, che deve essere il secondo o in mancanza il terzo, che lega il dipendente con il tossicodipendente per ottenere l’aspettativa per motivi familiari; la stabile convivenza è accertata sulla base di certificazione anagrafica. Altro esempio è il contratto 1995-1998 dei "pubblici servizi del gas, dell’acqua e vari" che prevede tre anni d’aspettativa o in alternativa possono essere concessi permessi non retribuiti per brevi periodi. Esso promuove situazioni lavorative adeguate all’effettuazione della terapia di recupero: adozione di un orario individuale, mansioni diverse da quelle assegnate, spostamento in altra unità produttiva dietro richiesta dell’interessato senza trascurare le esigenze del servizio e, a conclusione della terapia, ricerca di un’idonea sistemazione lavorativa. E’ facoltà dell’azienda concedere ai dipendenti che hanno necessità di assistere uno stretto congiunto tossicodipendente nella fase della riabilitazione aspettative, permessi non retribuiti, soluzioni lavorative più adeguate, trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale; in casi eccezionali può accordare permessi retribuiti o con recupero di prestazioni non effettuate. La contrattazione ha introdotto anche una serie d’indicazioni e modalità su come affrontare il delicato rapporto tra la tossicodipendenza e il mondo del lavoro. Si sono realizzati tavoli di confronto tra i soggetti istituzionali direttamente coinvolti: sanità, imprenditori, organizzazioni sindacali, privato sociale, enti locali, centri di formazione professionale e culturale al fine di raggiungere un’operatività fattibile che ha sostanzialmente tre obbiettivi4:
L’inserimento nella contrattazione di alcune misure a tutela dei tossicodipendenti nel mondo del lavoro rappresenta una tappa importante ma parziale; per rendere effettiva tale tutela è necessario elevare il livello di competenza specifica delle organizzazioni sindacali. Per questo vanno incentivate le occasioni formative, soprattutto se in raccordo con gli enti locali e le realtà del privato-sociale, per approfondire anche il piano operativo dell’intervento in rapporto alle diverse fasi del percorso del lavoratore tossicodipendente. In questo senso appare rilevante un esempio di prototipo progettuale per la tutela e l’aiuto dei lavoratori tossicodipendenti nella fabbrica Officine Breda di Pistoia. L’uso di sostanze tossiche minaccia da vicino il rapporto di lavoro, come già detto, all’inizio si verificano assenze ripetute e saltuarie, giustificate come malattia e poi sempre più spesso del tutto ingiustificate, distrazioni, noncuranza delle norme che vigono nell’ambiente di lavoro, con conseguenti e frequenti interventi di natura disciplinare. Di fronte al ripetersi di storie come questa, tra lavoratori è andato maturando un cambiamento negli atteggiamenti: dal biasimo, al compatimento, alla solidarietà, all’assunzione di responsabilità, alla ricerca di referenti istituzionali e sociali. Il sindacato ha sviluppato misure di tutela e di promozione di un programma terapeutico per i lavoratori tossicodipendenti all’interno delle aziende. Un primo progetto pilota è stato sviluppato all’interno delle Officine Breda di Pistoia nei primi anni ottanta e si è concretizzato nella formazione di gruppi di lavoratori che individuarono i percorsi personali per i compagni di lavoro tossicodipendenti con l’aiuto delle strutture pubbliche e delle comunità del territorio5. Si trattava di un movimento d’opinione che all’interno dell’azienda seppe affrontare correttamente il problema, sviluppare un’iniziativa di risocializzazione, dando risposte positive ai comportamenti quotidiani orientati all’autoemarginazione. Primo strumento di questa formazione e informazione fu un breve corso sui problemi del tossicodipendente, con l’obbiettivo di creare un gruppo di referenti interni che, fortemente motivati, fossero disposti ad operare in questo campo e capaci di condurre interventi personalizzati nei confronti dei compagni di lavoro. Lo stato di tossicodipendenza si manifesta, di solito anche attraverso una sostanziale alterazione dei comportamenti relazionali, che esprimono la difficoltà all’impegno personale e alla responsabilità verso il lavoro. E’ necessario intervenire con spirito solidale; per questo che nella Breda fu attuato un programma in concorso con il servizio sociale della Breda stessa, l’eventuale referente interno e comunque un rappresentante del Consiglio di Fabbrica, un operatore dell’Associazione genitori, uno della Comunità Incontro e uno psicologo dell’ (allora) gruppo operativo per le tossicodipendenze dell’USL n. 8 (area pistoiese). Si stabilì che nessun provvedimento di tipo disciplinare venisse adottato senza aver prima tentato un recupero all’attività lavorativa attraverso l’adozione del programma, i cui tempi potevano variare caso per caso. Si ritenne, che un anno costituisse un tempo precauzionalmente sufficiente per verificare l’impegno a cambiare e per rimuovere gli eventuali ostacoli d’ordine sociale o familiare ostativi al cambiamento. L’attuazione del programma fu seguita da coloro che di volta in volta ne erano incaricati e periodicamente verificata dal gruppo. Era compito della Direzione e del Consiglio di Fabbrica avviare la procedura, segnalando all’assistente sociale la necessità dell’intervento. Qualora i tossicodipendenti richiedessero l’intervento in Comunità e nei centri d’aggregazione del volontariato, la Direzione dell’azienda s’impegnava, a concedere una sospensione, non retribuita, dall’obbligo del servizio per il periodo necessario e la conservazione del posto di lavoro fino al momento di compimento del programma terapeutico. La Breda in quegli anni sottoscrisse il primo accordo sindacale nel quale venne riconosciuto al lavoratore tossicodipendente che decide di disintossicarsi il diritto alla conservazione del posto di lavoro. Un diritto che in seguito fu esteso ad altre categorie con la firma di altre importanti intese. Oggi, alle Officine Breda, il problema tossicodipendenza è certamente inferiore rispetto a situazioni analoghe per struttura e dimensione. Un settore che invece non ha visto grossi coinvolgimenti da parte del mondo lavorativo e imprenditoriale è quello dell’implementazione di progetti di ricerca, formazione e sviluppo in un campo, quello del rapporto lavoro/sostanze d’abuso che abitualmente viene considerato come marginale e periferico rispetto all’organizzazione economica. La ricerca, dove è stata compiuta6, ha permesso invece di individuare gli stereotipi culturali ricorrenti attorno alla droga, il modo come l’individuo si è costruito l’idea del sé, l’idea degli altri e l’idea delle prospettive future attorno al tossicodipendente. La formazione ha avuto come meta quella di trasferire in un gruppo di lavoratori interessati conoscenze vaste e complete, che hanno permesso di sviluppare competenze e di apprendere tecniche d’intervento, sia sul processo decisionale sia sul governo di gruppi umani complessi. Lo sviluppo si è manifestato attraverso l’individuazione d’iniziative concrete di intervento a sostegno dell’idea centrale che il luogo di lavoro è una risorsa da valorizzare e da utilizzare nell’aiuto al lavoratore che, in maniera diretta o indiretta, è alle prese con la tossicodipendenza e nella lotta alla droga. La tossicodipendenza, infatti, per il suo carattere trasversale a tutti i gruppi e le classi sociali deve essere terreno di unificazione degli interessi e non di divisione e contrasto. Nel progetto Euridice 7 sono state sperimentate cinque forme d’intervento tra di loro integrate: la prevenzione, la formazione di un gruppo di lavoratori, forme di aiuto, il lavoratore come genitore e il gruppo . Il primo consisteva nel promuovere tra tutti i lavoratori un’attività d’informazione, di sensibilizzazione, di formazione sulla tossicodipendenza idonea a favorire una conoscenza del problema più approfondita e sgombra da idee preconcette o fattori illogici e irrazionali. L’obbiettivo è stato quello di riportare l’attenzione dei lavoratori sulla specificità del contesto di fabbrica per incrementare i livelli di padronanza di sé e di autostima, per far emergere un’attitudine di base ispirata al sentimento di fiducia e di speranza nell’affrontare un problema che spesso ci fa sentire impotenti e sovrasta il nostro modo di essere e di pensare. La seconda forma d’intervento, consisteva nella realizzazione di un corso di 150 ore con un gruppo di 20 lavoratori selezionati tra coloro che spontaneamente avevano chiesto di prendervi parte. Il corso è stato strutturato in tre moduli formativi: il primo ha affrontato il problema della tossicodipendenza in generale e in relazione al mondo del lavoro; il secondo ha introdotto il gruppo alla teoria cognitiva della conoscenza con particolare riferimento a come si costruisce un progetto personalizzato di intervento; il terzo modulo ha sperimentato l’impiego di regole che sottostanno alla costruzione di un programma di aiuto. La terza tipologia d’intervento sperimentata dal progetto Euridice, si è rivolta in particolare a quei lavoratori che in forma diretta o indiretta erano alle prese con la tossicodipendenza. Essa si è concretizzata nella predisposizione, realizzazione e valutazione di programmi di aiuto da parte del gruppo formato attraverso il corso di 150 ore e con il sostegno degli esperti e dei tecnici che seguivano il progetto. L’obiettivo è stato duplice: da una parte, quello di aiutare il lavoratore tossicodipendente sia nella fase di reinserimento che in quella dell’integrazione professionale, prevedendo le ricadute; dall’altra, quello di sviluppare un’azione di sostegno psico – socio - educativo nei confronti di quei lavoratori che indirettamente erano alle prese con la tossicodipendenza. Queste azioni sono state svolte in collegamento e coordinamento con i servizi pubblici preposti al trattamento delle tossicodipendenze. La quarta azione, "il lavoratore come genitore", è stata riservata a quei lavoratori che, in quanto genitori, volevano approfondire le loro conoscenze in ordine al comportamento da tenere con i figli in generale e con quelli adolescenti in particolare. Essa è nata come risposta ad un’esigenza molto diffusa che aveva individuato nella qualità del rapporto educativo e nella fase adolescenziale dello sviluppo della persona alcuni dei fattori di rischio per l’insorgenza della curiosità e dell’interesse per la droga. Il quinto e ultimo tipo d’intervento fu "il gruppo Euridice", consistente in un gruppo stabile di lavoro costituito in azienda al termine del progetto. Esso si configura come un punto stabile di riferimento e si affianca al lavoro del Consiglio di fabbrica diventando un organismo operativo, che propone e realizza interventi a sostegno del lavoro effettuato con il progetto. Alla fine del progetto Euridice in Lombardia all’interno di alcune aziende si sono formati dei gruppi di dipendenti organizzati in équipe con il compito di individuare i percorsi più idonei per la disintossicazione dei colleghi alle prese con la droga, perché ciò che è importante è rendere compatibile l’ambiente di lavoro con chi è assuefatto alla droga dando risposte diverse dalle strutture pubbliche senza per questo sostituirle.Il programma collaudato con successo ha iniziato ad essere trasferito in altri settori produttivi. Sull’altro versante delle dinamiche inerenti al rapporto di lavoro, abbiamo già detto come alcuni elementi concettuali e sostanziali dell’attività lavorativa possano costituire gli elementi fondativi di un percorso di reinserimento sociale del tossicodipendente.
Il reinserimento lavorativo del tossicodipendente
trova, a mio parere, sede elettiva di realizzazione nella cooperazione sociale. Non intendo qui riprendere alcuni pregevoli spunti apparsi su questa rivista, ai quali rimando8, per individuare la cooperativa sociale di inserimento come eventuale fonte alternativa di reinserimento sociale alla comunità terapeutica; mi interessa invece sottolineare come nelle cooperative sociali il lavoro "…non è un fine in sé.Esso è inglobato in un processo più generale grazie al quale l’attività economica è radicata in strutture portatrici di senso in cui il soggetto s’iscrive in collettività concrete".9 L’art. 4 della 381, come è noto, fornisce un elenco di persone da considerarsi "svantaggiate" che comprende i tossicodipendenti (per sapere a quali figure di tossicodipendenti si debba fare riferimento, vedi Romano10, su questa stessa rivista)" e l’esperienza della cooperazione sociale con la tossicodipendenza appare multiforme e profonda; non si può non essere d’accordo con chi11 , peraltro, rileva come il concetto stesso di svantaggio abbia "generato non pochi equivoci". In concreto il lavoro in cooperativa con i tossicodipendenti non può prescindere da alcune specificità del loro vissuto, ma, anzi adattare tali peculiarità ai processi e alle dinamiche interne della cooperativa stessa. Il tossicodipendente che inizia un percorso di reinserimento lavorativo sa che gli verranno richiesti puntualità, continuità, impegno e sa che ci sono delle regole dichiarate da rispettare. Tutto ciò diventa però formativo nel momento in cui è compreso all’interno di un progetto personalizzato e sottoposto a verifica periodica, altrimenti non si differenzia da altri contesti lavorativi già provati in precedenza e quasi certamente poco apprezzati. Al momento dell’inserimento è necessaria una prima valutazione del reale possesso di comportamenti coerenti con le necessità e le regole del lavoro:
Questi punti, presentati o come "regole" o come obiettivi generali della cooperativa, una volta esplorati e verificati, devono diventare obiettivi personali da raggiungere. Su tali obiettivi va costruito il progetto individuale affinché diventi lo strumento intorno al quale ruota tutto l’intervento. Il progetto individuale deve prevedere alcune fasi che non necessariamente sono da realizzarsi in sequenza una di seguito all’altra, ma possono espletarsi anche in contemporanea, necessarie per il raggiungimento di abilità di un minimo livello di integrazione sociale. Tali fasi sono:
La metodologia che la cooperativa fa propria per il raggiungimento degli obiettivi collettivi, è strettamente connessa al coinvolgimento della persona nella costruzione del proprio progetto e nel raggiungimento degli obiettivi personali. Tutto questo per rimanere nel contesto strettamente lavorativo, ma all’interno della cooperativa è anche possibile, sempre a parer mio, aiutare le persone ad acquisire quelle capacità relazionali necessarie a rendere la propria professionalità maggiormente spendibile. Infatti è ormai oggi un dato acquisito che in tutte le professioni viene richiesto ai lavoratori di essere capaci di comunicare in modo costruttivo, di saper collaborare con gli altri, di saper riconoscere e accettare il conflitto, di essere in grado di assumersi responsabilità anche minime, ecc. Il lavoro con/per il tossicodipendente dovrà svilupparsi particolarmente su questo versante. E’ chiaro che, per far ciò, la cooperativa deve curare in modo particolare la rete di relazioni interne trasformandole in continua occasione di crescita. A tale proposito, due possono essere le strade percorribili:
con i compagni; con gli operatori; con il proprio operatore; con il coordinatore/responsabile, e se fa un lavoro per privati (ad es. nel verde) con le persone che incontra nei luoghi di lavoro. Dovendo agire tali relazioni, essa metterà in evidenza immediatamente capacità e carenze, sulle quali l’operatore di riferimento, e comunque il gruppo nel suo insieme, che è nella cooperativa al centro del flusso di comunicazioni/relazioni, deve essere in grado non solo di intervenire positivamente, ma anche di rendere efficaci per aiutare i processi di crescita professionale e di maturazione personale. Per concludere ci pare opportuno ricordare come il tossicodipendente - lavoratore, inteso come cittadino radicato in un contesto lavorativo definito e più o meno stabile, la permanenza nel quale è direttamente proporzionale alle risorse del sistema di manutenzione sociale investite nei suoi confronti e inversamente proporzionale alle dinamiche di esclusione poste in essere, e il tossicodipendente in procinto di (ri)diventare lavoratore, inteso invece come cittadino escluso dai processi produttivi, che attraverso un intervento guidato di reinserimento in essi, cerca di riappropriarsi di un ruolo di protagonismo nel tessuto di interrelazioni sociali da cui è stato estromesso, sia sempre e comunque una persona in situazione di disagio, che deve ricostruire la propria identità e i propri legami; una persona che deve saper leggere il proprio vissuto per capire il proprio futuro: e "Legere enim et non intellegere negligere est.
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