|
L’imprenditore bresciano e il mondo penitenziario Il carcere è una componente imprescindibile
del territorio e ciò deve riflettersi in un programma concreto di
sviluppo e promozione culturale della partecipazione della comunità
esterna alle vicende della esecuzione penale, infra ed extra murale. Tale legame trova la propria maggior evidenza
nella individuazione di percorsi strutturati per il reinserimento
lavorativo e sociale dei condannati. Ma un percorso che voglia ammantarsi
di concretezza ed effettività non può non tener conto della realtà
delle risorse occupazionali espresse dal territorio e, prima ancora, del
clima culturale nel quale tali risorse sono generate. Per queste ragioni ci è parso non privo di
interesse sviluppare un contributo allo studio delle caratteristiche di un
campione di imprenditori bresciani nella prospettiva valutativa e
propositiva delle opportunità occupazionali che essi possono offrire a
persone sottoposte ad esecuzione della pena, sia detentiva che nelle forme
alternative concesse dall’ordinamento penitenziario attualmente vigente. Tale studio, attuato attraverso il metodo
dell’inchiesta confidenziale, si è prefisso di ottenere una lettura
degli stereotipi percettivi
e/o delle capacità critiche adeguate dell’imprenditore, rispetto ad un
problema sociale vissuto spesso con estrema diffidenza e scarso senso di
prossimità, al fine di meglio comprendere le modalità di valutazione con
cui lo stesso imprenditore, perlomeno quelli rappresentati dal campione
intervistato, intraprende un percorso decisionale sull’opportunità di
mettere a disposizione risorse occupazionali per lavoratori sottoposti ad
esecuzione penale. Il campione intervistato è composto da 80
imprenditori del territorio bresciano, appartenenti alle diverse
associazioni di categoria, ai quali è stato sottoposto un questionario in
forma anonima e riservata. Pur essendo tale campione numericamente
piuttosto esiguo costituisce un valido spaccato del mondo imprenditoriale
bresciano per il criterio di non casuale rappresentatività cui si è cercato di
conformarlo, offrendo adeguata dimensione proporzionale alle diverse realtà
imprenditoriali presenti sul territorio. Un territorio che, ricordiamo,
dal punto di vista demografico comprende 1.100.000 abitanti al 31
dicembre 1999 con una densità
pari a quasi 230 abitanti per kmq, superiore alla media italiana (191
ab./kmq) ma inferiore alla media lombarda (380 ab./kmq) e con un tessuto
imprenditoriale che, esprimendo circa 104.000 imprese (per la precisione
103.756), posiziona Brescia nella relativa graduatoria
nazionale al sesto posto. Di queste imprese, 26.562 sono nel
commercio, 19.079 nell’industria, 13.677 nelle costruzioni e13. 079
nell’agricoltura. Le imprese artigiane sono 34.913 (dati
Unioncamere). In termini percentuali tali dati significano
una presenza del 18,8 % del settore industriale,
33 % delle imprese artigiane, 13,2 % di costruttori, 25,6 % di
commercianti e 12,6 % di agricoltori. Le cooperative sociali presenti sul
territorio sono circa 150 (Pro-Brixia, III, 10, 1999). E’ evidente come una realtà così ricca dal
punto di vista imprenditoriale richieda una presenza di forza-lavoro
altrettanto corposa, che determina un tasso ufficiale di disoccupazione
del 4,2 %, inferiore
sia al dato regionale (4,8 %) che a quello nazionale 11,4 % (dati
Unioncamere). Il numero di stranieri residenti nel comune di
Brescia al 31.12.1999 era di 11.140;
gli stranieri residenti nella provincia di Brescia, allo stesso
giorno, risultavano essere 39.937, nella
regione Lombardia 292.251 e nell’intera nazione 1.270.553 (Ufficio
Diffusione Statistica , Comune di Brescia). Nel corso del 1998 lo stato italiano ha
rilasciato 660.335 permessi di soggiorno per motivi di lavoro (Ufficio
Diffusione Statistica, Comune di Brescia). Il reddito pro-capite degli abitanti la
provincia di Brescia si attesta ad un buon livello (25,9 milioni di lire),
risultando decisamente superiore al dato medio nazionale (22,7 milioni) ma
inferiore al valore medio regionale (27,4 milioni), ponendolo alla 25esima
posizione della graduatoria nazionale (dati Unioncamere). Quanto al mondo penitenziario nei due istituti
penali esistenti nel territorio bresciano i detenuti presenti al 31.12.2000 ammontano a 571 ( 474 nella
casa circondariale di Brescia e 97 nella casa di reclusione di Verziano),
dei quali 537 sono uomini e 34 donne , presenti unicamente nella sezione
femminile di Verziano (dati Dipartimento Amministrazione Penitenziaria). La lettura delle risposte date ai questionari
somministrati mostra alcuni dati interessanti. In merito alla rispondenza il numero dei questionari
è certamente da considerarsi molto buono. Infatti su un target previsto
di 80 interviste, i questionari validi sono 78 (n=78) pari al 97,5% del
campione predeterminato. In
particolare le categorie ritenute coerenti con l’oggetto della ricerca
sono state quelle degli artigiani (oltre 25%), industriali (oltre 15%), le
piccole e medie industrie (oltre 12%) così come i costruttori edili e i
commercianti, seguiti dalle cooperative sociali (oltre 11%) e dagli
agricoltori (oltre 8%). Rispetto alle quote previste si sono avuti
alcuni questionari in meno da agricoltori (3) cooperative (1), mentre gli
industriali hanno fornito questionari in soprannumero rispetto a quelli
decisi (2). L’assenza della categoria cooperative di
produzione e lavoro è dovuta alla decisione dell’unione provinciale di
inviare questionari di pertinenza propri presso cooperative sociali che,
comunque erano già previste come categorie autonome dal protocollo. In generale, tranne per un singolo caso
relativo alla direzione di un grande magazzino, la disponibilità alla
collaborazione è stata molto buona, e tutte le categorie interessate non
si sono comunque sottratte al confronto sul tema. La percezione del problema ‘lavoro
detenuti’ in proporzioni attendibili si evince dalla discreta quota di
intervistati (28%), che dichiara di aver considerato il problema
all’interno dell’azienda; il 70% non lo ha fatto e solo 1 caso non ha
risposto. La domanda seguente prevedeva di individuare
all’interno del gruppo di intervistati che avevano fornito risposta
positiva alla considerazione del problema coloro che avessero organizzato
iniziative a tal proposito. A causa di erronea comprensione dello sviluppo
logico o per eccesso di zelo nello rispondere, anziché 22 risposte a
questo item ne abbiamo ricevute 30 (8 in più) delle quali 10 in termini
positivi e 20 in termini negativi. E’ attendibile ritenere che coloro che hanno
risposto alla 3° domanda pur non avendone titolo, abbiano comunque dato
parere negativo (essendo soggetti che non avevano nemmeno considerato il
problema). Comunque gli imprenditori che hanno organizzato iniziative sono
oltre il 12% degli intervistati. Altrettanto interessante è l’item
successivo. Il gruppo che aveva detto NO era composto da 55 soggetti. A
questi è stato chiesto se pensavano che ciò dipendesse dalla mancanza di
informazioni. Anche in questo caso si sono avute più risposte rispetto al
dovuto (64 = 12 in più). Comunque di questi 64, 38 affermano che
effettivamente possa dipendere da ciò (oltre il 48% di 78), mentre 26 lo
negano (oltre il 33%). La domanda successiva ha inteso indagare la
percezione degli intervistati sulle concrete possibilità occupazionali
nelle rispettive realtà produttive. Sui 78 soggetti coinvolti, oltre il 42% ha
risposto affermativamente (33 casi) a fronte di oltre il 55% (43 casi) che
ha risposto di no. Ulteriormente a questi 33 soggetti è stato
chiesto di quantificare concretamente tale possibilità. Per il già
descritto meccanismo si sono avute 34 risposte, così suddivise: 20
pensano ad un posto di lavoro (oltre 25%). 9 pensano a 2/3 posti (oltre
11%) e 5 ritengono raggiungibili 5 posti (pari a oltre il 6%). Le qualifiche eventualmente richieste per
permettere un inserimento lavorativo sono state evidenziate dal successivo
item e sono le seguenti: operaio 8, operaio specializzato 8, operaio
apprendista 2, autista 2, giardiniere 2, magazziniere 2, informatico 1,
generica 1. L’esperienza di inserimento di almeno un
detenuto è stata dichiarata da 13 imprenditori (oltre il 16%), mentre non
lo è stata da 64 (oltre 82%). E’ stato chiesto a chi ha avuto modo di
inserire lavoratori detenuti di quantificare il numero. Su 6 risposte
ottenute, 2 hanno detto un lavoratore, una risposta per 2,3 o 4
inserimenti così come una risposta per oltre 100 inserimenti (trattasi di
una realtà specifica che effettivamente lavora con questi numeri). La domanda successiva rivolta a tutti gli
intervistati, riguardava l’individuazione degli aspetti di possibile
problematicità derivanti dall’inserimento di lavoratori detenuti. La maggior concentrazione di risposte si è
avuta riguardo alla gestione del personale (oltre il 38% pari a 30
soggetti) seguita dal timore di comportamenti negativi del detenuto (12
pari a oltre il 15%). Vengono poi i timori sul rispetto delle regole (8
oltre 10%), i problemi sulla formazione interna e sulla sicurezza degli
altri lavoratori (entrambi 7 risposte oltre 8%) e infine solo 3
imprenditori paventano le difficoltà previdenziali/amministrative (più
del 3%). Coloro che negano aspetti di problematicità
assommano a 10 soggetti (oltre 12%). Uno solo non ha risposto. L’ultima domanda concerneva la descrizione
della forma contrattuale ritenuta più idonea per dar luogo ad inserimenti
lavorativi di persone detenute: 22 sono state le risposte a favore della
borsa Lavoro (oltre 28%), così come 22 le risposte per l’assunzione a
tempo determinato. Il Contratto Formazione Lavoro è stato
prescelto da 11 soggetti (oltre 14%), mentre in 9 hanno individuato il
salario di ingresso come forma elettiva (oltre 11%). 7 casi non hanno
risposto, 6 hanno individuato altre forme non meglio specificate e infine
1 imprenditore ha prescelto l’assunzione ordinaria come forma ideale per
questo rapporto di lavoro. Prima di passare alla lettura degli incroci
effettuati, ci pare opportuno spendere alcune righe di commento ai dati
finora ottenuti. 22 imprenditori su 78 dichiarano di aver
considerato il problema lavoro per i detenuti (cioè quasi il 30%); è
certamente un dato che lascia ben sperare, soprattutto laddove si
consideri che questi 22 ben 10 affermano di aver organizzato una qualche
iniziativa (oltre il 12%). La maggioranza di che invece non ha
considerato il problema (quasi il 40%) addossa le ragioni di tale fatto
alla mancanza di informazioni al riguardo e non a scarsa o assente volontà
in proposito. Altrettanto foriera di speranze (oltre 40%) è
la quota degli imprenditori che ritiene esistano occupazioni per detenuti
nella propria realtà produttiva. Non è molto elevata ala percentuale di chi
dichiara di aver già dato corso ad inserimenti (oltre il 10%), ma le
aspettative in proposito erano in realtà decisamente più pessimistiche. Le risposte sugli eventuali aspetti di maggior
problematicità appaiono sovrapponibili a quanto ci si poteva attendere,
fermo restando che oltre il 12% che non pensa possano esservi problemi, è
una quota di ‘ottimisti’ superiore all’attesa. Infine le forme contrattuali individuate come
più idonee vedono la preponderanza dell’assunzione a Tempo Determinato
(più per motivi di diffidenza probabilmente) e della Borsa Lavoro,
giustamente indicata come valido strumento di inserimento, ma non sempre
presente nei percorsi di politica del lavoro degli enti istituzionali
interessati. Approfondendo l’indagine all’incrocio di
alcuni dati abbiamo individuato i soggetti che hanno dichiarato di aver
considerato il problema lavoro per i detenuti distribuiti tra le
specifiche categorie interviste. Artigiani 5 su 20, industriali 4 su 12,
piccole e medie industrie 0 su 10, agricoltori 1 su 7, costruttori edili 3
su 10, commercianti 1 su 10, cooperative sociali 8 su 9: compongono le 22
risposte positive. Se è certamente attendibile l’alto
contributo delle cooperative, colpiscono favorevolmente l’1/3 e il 1/ 2
rispettivamente di industriali e di artigiani. Al contrario appare
sconfortante il dato 0 riferito a piccole e medie industrie. Analogo procedimento è stato applicato per
individuare all’interno delle diverse categorie la percezione
dell’esistenza di opportunità occupazionali per i detenuti. Delle 33 risposte ottenute, 10 si riferiscono
agli artigiani (su 20 intervistati), 7 ai costruttori edili (su 10
intervistati), 8 su 9 alle cooperative sociali ed invece contrariamente
alla precedente domanda solo 1 industriale su 12 coinvolti, meno ancora
delle piccolo e medie industrie che hanno dato 2 risposte positive su 10.
Completano 3 commercianti (su 10) e 2 agricoltori (su 7). Sempre con riferimento alle categorie abbiamo
individuato la distribuzione dei 13 soggetti che hanno affermato di aver
già assunto lavoratori detenuti. Sono 1 artigiano, 1 industriale, 1
piccole medie industrie, nessun agricoltore, 2 costruttori edili, 1
commerciante e 7 cooperative sociali. E’ apparso interessante delineare la
distribuzione delle 55 risposte negative alla considerazione del problema
lavoro/detenuti sulle risposte complessive di definizione degli aspetti di
maggior problematicità. Abbiamo 2 risposte negative su 3 soggetti che
hanno dichiarato problematicità negli aspetti
previdenziali/amministrativi, 16 su 30 nella gestione del personale, 4 su
7 nella formazione interna del lavoratore/detenuto, 5 su 7 nella sicurezza
altri detenuti, 7 su 8 rispetto regole, 9 su 12 comportamento negativo, 9
su 10 non ci sono aspetti di problematicità. Da notare le 9 risposte nella categoria non ci
sono problemi, il che fa sperare che ad affermare ciò siano soggetti che
non si sono posti il problema. Altrettanto è stato fatto con le 43 risposte
negative alla occupazione per detenuti nella propria azienda. Anche in questo caso emerge come dalle 10
indicazioni non ci sono problemi, ben 7 abbiano comunque affermato di non
trovare spazi occupazionali: evidentemente la risposta non ci sono
problemi nasce da un grado di disinteresse. Infine è stato indagato fra i soggetti che
hanno già assunto lavoratori detenuti, qual è la forma contrattuale
ritenuta più idonea. Da notare solo 1 risposta sulle 22 indicazioni
per la Borsa Lavoro e 2 sulle 22 a Tempo Determinato. Vi sono invece ben 7 risposte sulle 9
indicazioni totali per il salario d’ingresso. Riportiamo di seguito, in forma
tabellata,
tutte le risposte ottenute all’intervista svolta. 1)
CATEGORIA IMPRENDITORIALE DI APPARTENENZA
2) HA MAI CONSIDERATO IL PROBLEMA ‘LAVORO PER I DETENUTI NELLA SUA AZIENDA?
3)
CHI HA RISPOSTO SI (22)
HA MAI ORGANIZZATO INIZIATIVE IN PROPOSITO?
4) CHI HA RISPOSTO NO (55) PENSA CHE DIPENDA DALLA MANCANZA DI INFORMAZIONE A PROPOSITO?
5) RITIENE CHE ESISTANO DELLE OPPORTUNITA’ OCCUPAZIONALI PER I DETENUTI AMMESSI ALLA MISURA ALTERNATIVA ALL’INTERNO DELLE VOSTRE REALTA’ PRODUTTIVE?
6) CHI HA RISPOSTO SI (33) QUANTIFICHI TALI OPPORTUNITA’.
7)
QUALI PENSA SIANO LE QUALIFICHE PROFESSIONALI IDONEE PER POTER DARE
CORSO A TALI INSERIMENTI LAVORATIVI?
8) LEI HA GIA’ AVUTO MODO DI ASSUMERE LAVORATORI DETENUTI/E NELLA SUA AZIENDA?
9) SE HA RISPOSTO SI, PUO’ INDICARE QUANTI POSTI DI LAVORO HA COMPLESSIVAMENTE OFFERTO AI DETENUTI/E?
10) PENSA CHE IL RAPPORTO DI LAVORO CON PERSONE DETENUTE PRESENTI ASPETTI DI MAGGIORE PROBLEMATICITA’
11) QUALE RITIENE POSSA ESSERE LA FORMA CONTRATTUALE PIU’ INDICATA
PER OFFRIRE LAVORO A DETENUTI/E?
A) FRA LE SPECIFICHE CATEGORIE INTERVISTATE, CHI HA MAI CONSIDERATO IL PROBLEMA LAVORO PER I DETENUTI?
B) FRA TALI CATEGORIE, CHI RITIENE CHE ESISTANO OPPORTUNITA’ OCCUPAZIONALI PER DETENUTI IN MISURA ALTERNATIVA NELLE REALTA’ PRODUTTIVE?
C) CHI HA GIA’ ASSUNTO LAVORATORI DETENUTI?
D) FRA CHI HA RISPOSTO DI NON AVER MAI CONSIDERATO IL PROBLEMA LAVORO DETENUTI, QUALI SONO STATE LE RISPOSTE SUGLI ASPETTI DI MAGGIORE PROBLEMATICITA’?
E) FRA COLORO CHE HANNO NEGATO LA POSSIBILITA’ LAVORATIVE PER I DETENUTI, QUALI SONO STATE LE RISPOSTE SUGLI ASPETTI DI MAGGIORE PROBLEMATICITA’?
F)
FRA CHI HA GIA’ ASSUNTO LAVORATORI DETENUTI, QUALI SONO LE FORME
CONTRATTUALI RITENUTE PIU’ IDONEE?
La situazione pur non connotandosi come sfavorevole allo sviluppo di relazioni interattive fra il mondo imprenditoriale bresciano e quello penitenziario necessita indubbiamente di alcuni interventi migliorativi. Il primo fra questi sembrerebbe essere quello di migliorare la conoscenza
dell’ambiente carcerario fra gli imprenditori, da questo punto di vista
non dissimile dal resto del contesto sociale, piuttosto orientata in
termini di visione stereotipata e superficiale. In quest’ottica
l’indizione di conferenze periodiche fra la direzione penitenziaria e le
parti sociali del territorio potrebbero essere una risposta adeguata, in
linea, tra l’altro, con l’orientamento espresso dal Legislatore nel
nuovo regolamento penitenziario (D.Lgs. 230/2000), cui potrebbero
aggiungersi delle visite all’interno degli istituti penali da parte di
rappresentanti delle associazioni di categoria e del sindacato. Un costante monitoraggio dei flussi di accesso della popolazione
penitenziaria al mercato del lavoro potrebbe essere un secondo passo
fondamentale, ciò consentirebbe infatti
l’eventuale gestione dei percorsi di reinserimento lavorativo in
tempo reale, con la possibilità di inserire i necessari interventi
correttivi alle esigenze del singolo caso. La cornice in cui ha preso
corpo il “progetto carcere” da parte dell’Amministrazione
provinciale di Brescia parrebbe perseguire tale obiettivo, con il
coinvolgimento di tutte le parti sociali del territorio e
l’avvio di uno sportello ad hoc (la cui gestione sarà affidata
all’associazione Carcere e Territorio di Brescia) per la gestione dei
percorsi di reinserimento lavorativo dei soggetti coinvolti
nell’esecuzione penale infra ed extra muraria che potrebbe costituire
la connotazione principale, oltre ad essere un laboratorio
sperimentale di notevole valore per l’eventuale riproducibilità
in altri contesti territoriali. Il legislatore infine deve fare la sua parte. La legge 193 del 22 giugno
2000 meglio nota come “Smuraglia”, ha introdotto importantissime novità;
per la prima volta infatti il mondo imprenditoriale privato viene
coinvolto nell’esecuzione penale, e la forza-lavoro dei detenuti potrà
quindi entrare a pieno titolo nel libero mercato del lavoro. Prevede infatti l’art. 3 della legge che
sgravi fiscali devono essere
concessi alle imprese che assumono lavoratori detenuti per un periodo di
tempo non inferiore ai trenta giorni o che svolgono effettivamente attività
formative nei confronti dei detenuti, e in particolare dei giovani
detenuti. Le agevolazioni di cui al presente comma si applicano anche nei
sei mesi successivi alla cessazione dello stato di detenzione. L’art. 2 dispone invece che le agevolazioni previste dall’articolo
4, comma 3-bis della legge 8 novembre 1991, n. 381, introdotto
dall’articolo 1, comma 2 della presente legge, sono estese alle aziende
pubbliche o private che organizzano attività produttive o di servizi,
all’interno degli istituti penitenziari, impiegando persone detenute o
internate, limitatamente ai contributi dovuti per questi soggetti. Occorre però che vengano emanati i decreti previsti dall’art. 4 della
legge, per cui le modalità ed entità delle agevolazioni e degli
sgravi di cui all’articolo 3 sono determinate annualmente, sulla base
delle risorse finanziarie di cui all’articolo 6, con apposito decreto
del Ministero della giustizia da emanare di concerto con il Ministero del
lavoro e della previdenza sociale, con il Ministero del tesoro, del
bilancio e della programmazione economica e con il ministero delle
finanze, entro il 31 maggio di ogni anno.
Come può facilmente comprendersi, se tali decreti non vengono
emanati, le pur illuminate e opportune disposizioni previste dagli artt. 2
e 3 rischiano di rimanere lettera morta per carenza di interesse specifico
all’applicazione da parte degli imprenditori. In definitiva potremo concludere affermando che le porte del carcere, dopo secoli, stanno iniziando ad aprirsi verso la comunità esterna. Adesso ognuno deve fare la propria parte affinché tale apertura sia il primo passo per riportare l’istituzione carceraria dentro quel territorio cui appartiene…
|