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Le carceri della Danimarca. Uno Stato e un popolo civili sanno rispettare gli affetti dei detenuti
di Antonio Mistri - Casa Circondariale di Piacenza
Questa è la storia di una mia esperienza personale vissuta in un carcere della Danimarca. Ma vi sono altre quattro o cinque nazioni europee che risolvono allo stesso modo il problema dell’affettività in carcere.
Ho purtroppo un’enorme esperienza in carceri italiane che mi ha portato a trascorrere parecchi anni nelle nostre galere dagli anni ‘70 ad oggi. Per "mia scelta" ho avuto modo di trascorrere tre anni in un carcere della Danimarca. Mi era stato detto della grande civiltà con cui i detenuti vengono trattati in quel paese. Ho constatato che tutto ciò è vero e supera abbondantemente quello che pensavo di positivo. Mi limito ovviamente a riferire la parte del trattamento affettivo che viene riservato ai detenuti. Già da solo questo importantissimo trattamento dà l’idea del concetto che questo popolo ha dell’espiazione della pena e del reinserimento sociale della persona detenuta. Da decenni in Danimarca la questione affettiva del carcerato è risolta: ritenendola un passaggio importante e necessario per il detenuto, gli mettono infatti a disposizione gli strumenti e la possibilità di curarla in modo adeguato. Pensano, infatti, che già la privazione della libertà sia una sanzione sufficiente senza dover gravare con altre ulteriori restrizioni.
I colloqui
Viene concesso ai detenuti di trascorrere alcune ore settimanali e dei momenti di intimità con i propri familiari, mogli e figli, compagne, amiche, amici senza alcuna distinzione. Per rendere possibile tutto ciò, in ogni carcere hanno adibito una sezione particolare per i colloqui con i familiari. Non ci sono grandi, enormi sale, bensì tante piccole stanzette arredate con divani letto, tavolini e sedie, seggioloni per i bambini piccoli, lavandino con acqua fredda e calda, una specchiera, tendine alla finestra e un armadietto sempre fornito di lenzuola pulite e di una scatola di profilattici. Le porte interne sono dotate di chiusura per un’ovvia questione di privacy ed è permesso, sia per il detenuto che per i parenti, portarsi da mangiare. Ci si può fare tè e caffè e in corridoio c’è un piccolo angolo cottura ove è possibile riscaldare il cibo, c’è un fornellino elettrico e un forno a microonde; c’è infine anche una macchinetta per le bibite, caramelle e cioccolato per i bambini (lì i detenuti hanno i soldi in tasca). Durante il periodo del colloquio, nessuno dico nessuno verrà disturbato o importunato dagli agenti che discretamente fanno un blando controllo da lontano. Nessuno "guarda o occhieggia" quello che il detenuto fa con la moglie o la compagna; se vi sono bambini piccoli, vi è una stanzetta apposita adibita ai giochi, piena zeppa di giocattoli ove i più piccoli hanno modo di svagarsi intanto che i loro genitori trascorrono questi momenti di intimità. Il tutto, ovviamente, senza che nessun agente interferisca con lo svolgimento dei colloqui, e colpisce vedere quanto rispetto, educazione e discrezione hanno questi agenti, non mettendo mai in nessun modo a disagio né il detenuto né i familiari. Tutto questo è dettato da una lunga esperienza, dalla loro cultura e visione del carcere nonché dal regolamento stesso che impone questi comportamenti, considerati semplicemente un modo civile di porsi nei confronti dei detenuti in un’ottica di reale rieducazione. Questa educazione innata nel popolo danese e il discorso degli affetti così impostato sono, ovviamente, di grandissimo beneficio per il detenuto, perché lo aiutano a mantenere il discorso affettivo nel giusto equilibrio con le mogli, le compagne e i figli, e contribuiscono a conservare questi rapporti indispensabili senza le privazioni che, ormai, sono del tutto anacronistiche e fuori dal tempo e dalla realtà.
Io stesso posso dire, per esperienza diretta, di aver notato e visto sul viso delle persone durante e dopo i colloqui, la felicità di quei momenti trascorsi così serenamente. Così tanto differenti dai nostri colloqui nelle carceri italiane, che tantissime volte si trasformano in tensioni e umiliazioni anche per i familiari, per le condizioni di disagio in cui si svolgono e sempre grazie alla solita giustificazione: motivi di sicurezza! E, si badi bene, anche in Danimarca alla sicurezza non rinunciano: il detenuto, dopo il colloquio, viene spogliato nudo e controllato, ma è un disagio che accetta volentieri dopo aver trascorso in modo umano quei momenti affettivi così importanti. Queste e tante altre cose simili ho vissuto in questa mia esperienza carceraria, che mi hanno fatto vedere e capire il differente grado di civiltà di questo popolo, che riesce a trattare con umanità anche chi ha sbagliato e recato danni alla società. Senza privarlo, di fatto, della possibilità di ravvedersi, evitando di infierire con privazioni gratuite e lesive della personalità, perché il detenuto è prima di tutto una persona.
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