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Le verità nascoste a proposito della struttura di Castelfranco di Giuliano Stenico (Presidente del CeIS di Modena – Fict)
Alla recente notizia dell’inaugurazione della Casa di Reclusione di Castelfranco si sono susseguite discussioni e polemiche, in relazione alle quali vorrei fornire alcuni elementi di chiarimento in mio possesso al fine di far luce sugli elementi essenziali, stravolti dai toni del dibattito affrontato, che costituiscono il progetto che si dovrebbe realizzare. Non si è persa l’occasione per spostare il confronto su argomenti che non c’entrano direttamente con la questione: si parla di "istituzione di carcere privato", di "scelta repressiva", di "negazione di una possibile politica di riduzione del danno" e varie altre argomentazioni che nulla hanno a che vedere con l’oggetto del contendere.
Da "Casa di Lavoro" a "Casa di Reclusione a custodia attenuata"
Il carcere di Castelfranco era una "Casa di Lavoro", struttura penitenziaria che ospita soggetti definiti "internati", oggetto di provvedimenti di prevenzione a causa della loro pericolosità sociale. Di norma, in queste strutture, si effettuano programmi fortemente orientati al reinserimento sociale, perciò si ha la possibilità di lavorare fuori l’istituto di giorno e rientrare la sera. La Casa di Castelfranco ospitava circa una trentina di persone. Il dott. Francesco D’Anselmo - attuale Direttore della Casa di Lavoro - ha presentato un progetto al Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) che prevede la trasformazione della Casa di Lavoro in Casa di Reclusione a custodia attenuata per detenuti tossicodipendenti che devono scontare pene definitive. All’inizio ne verranno "ristretti" circa quaranta, poi gradualmente arriveranno a oltre il centinaio. A questo scopo, il Direttore ha provveduto a far eseguire i lavori necessari per accogliere i detenuti, dotando la struttura di laboratori dove poterli impiegare per la formazione al lavoro e il Dap ha già designato il carcere come Casa di Reclusione a custodia attenuata.
Un progetto nato per l’esigenza di strutture specifiche
Il progetto era nato con la collaborazione di San Patrignano, con cui D’Anselmo aveva operato quando era stato responsabile del carcere di Rimini, città in cui è nato il primo servizio di custodia attenuata per tossicodipendenti. Però, già nel 2003, su richiesta dei Ser.T., delle Comunità terapeutiche modenesi e dei Comuni, il Direttore ravvisò l’importanza di coinvolgere questi Enti per ridefinire il progetto in modo più articolato e rispondente alle finalità che si volevano perseguire. Il progetto destinato ai detenuti tossicodipendenti che stanno già scontando pene superiori ai quattro anni - per i quali non è dunque possibile avvalersi in nessun modo, secondo l’attuale normativa, di misure alternative al carcere, come l’inserimento in comunità terapeutiche - ha come obiettivo di toglierli dal carcere comune per destinare loro una struttura riservata, più adatta alla loro specifica problematica. La suggestione è di poterli aiutare meglio a riflettere sulla loro situazione agevolandoli nel rimotivarsi circa un cambiamento del loro stile di vita. Il grosso limite è che questo avverrebbe in un ambiente di costrizione che mal si concilia con l’elaborazione di scelte. Ma trattandosi di detenuti, per cui non c’è la possibilità di misure alternative, è tutto quello che si può fare. La situazione si presenterà senz’altro migliorativa rispetto alla costituzione di sezioni ad hoc all’interno del carcere comune. Il Ser.T. e le Comunità collaborerebbero nella formazione del personale carcerario, nel trattamento dei detenuti con colloqui, negli incontri di gruppo, nell’analisi della situazione e nella modificazione del programma che si cercherà di attuare. Il tentativo sarà di coniugare le regole dell’ordinamento carcerario con lo stile di comunità. È prevista una formazione al lavoro interna con l’attivazione di settori di lavorazione del legno, del verde e relativa produzione. La parte più specifica è più impegnativa, per i Ser.T. e le Comunità, consisterà nell’aiutare e accompagnare gli ospiti ad elaborare percorsi di reinserimento sociale, adatti alla loro specifica personalità, quando il tempo della pena residua lo consentirà. Ciò potrà comportare anche l’inserimento nei percorsi riabilitativi delle comunità terapeutiche o dei Ser.T. È stato, dunque, istituito un tavolo di coordinamento tra queste realtà per valutare i casi e decidere gli invii dei detenuti che lo sceglieranno nei programmi riabilitativi più adatti per loro. Il principio che si seguirà rigidamente è quello della territorialità. I detenuti, cioè, verranno inviati nei territori di provenienza, sia per non gravare sul territorio modenese sia per consentire loro di valorizzare eventuali relazioni positive preesistenti. Il tavolo di Coordinamento si avvarrà della rete delle Comunità della regione disponibili e non solo. Non sarà dunque in nessun modo un carcere privato. La direzione è in capo al Dap con la responsabilità esecutiva del dott. Francesco D’Anselmo, che opererà unitamente alle realtà del territorio coinvolte.
I limiti accertati
Non posso non precisare che il finanziamento è a sola copertura della formazione del personale carcerario, mentre le risorse per la formazione al lavoro, per gli interventi degli operatori del Ser.T. e delle Comunità non sono state stanziate. Come dire: la macchina è pronta, ma manca il combustibile. Prima di proclamare che sarà un "fiore all’occhiello", come pomposamente ha affermato il Ministro della Giustizia, Roberto Castelli, bisognerebbe accertarsi se esistono le condizioni. Per ora manca l’humus perché il fiore spunti, e la temperatura per farlo crescere è troppo rigida. Sarebbe bello se oltre al caos, indebitamente creato, ci fosse qualcuno che si preoccupasse davvero di chi ne deve beneficiare: i tossicodipendenti. Se no, ancora una volta, noi operatori in questo difficile campo, avremo la riprova di essere stati usati per fini assolutamente estranei alla nostra missione e poi lasciati soli. È già successo tante volte. Non chiedeteci di inneggiare a qualcuno e di dire anche grazie! Siamo di fronte ad una opportunità importante e a una sfida difficile che potrebbe dar vita ad una realtà positiva e innovativa per chi deve scontare pene connesse alla tossicodipendenza. Certo la partenza è pessima: troppi padri desiderosi di adottare il progetto, troppi detrattori del bambino che deve ancor nascere.
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