Castelfranco Emilia

 

Nel carcere destinato al recupero dei tossici, di Stefano Arduini

 

Vita, 25 febbraio 2005

 

Per la prima volta siamo entrati nell’istituto di Castelfranco Emilia. Unico caso al mondo di prigione dedicata ai detenuti tossicodipendenti.

Un rintocco: ore 8, la colazione. Due rintocchi: ore 13, il pranzo. Tre rintocchi: ore 19, la cena. La vita dei 90 detenuti tossicodipendenti che entro i prossimi due anni saranno trasferiti nel carcere di Castelfranco Emilia (siamo in provincia di Modena, lungo la via Emilia) sarà scandita da una campana posta proprio al centro della grande corte circondata dalle quattro ali che definiscono l’istituto.

Della fortificazione originaria (risalente al 1634), è rimasta in piedi solamente l’arcata d’ingresso. Tutto il resto è stato prima ricostruito ex novo in seguito ai bombardamenti della seconda guerra mondiale, e successivamente ristrutturato negli ultimi anni con un costo di 20 miliardi delle vecchie lire. Qualche falla è rimasta, certo.

Entro il 21 marzo, giorno dell’inaugurazione, però, dovranno essere rifiniti i collegamenti idraulici (ci sono ancora alcune perdite) e attivato il sistema di riscaldamento. Poi tutto sarà pronto per l’inaugurazione, in pompa magna con tanto di ministri e tv, del primo "carcere precomunitario" (nel senso che prepara l’ingresso alla comunità di recupero) della storia d’Italia.

Vita però ha giocato d’anticipo e ha varcato quella soglia un mese prima. Il benvenuto lo offre il direttore Francesco D’Anselmo, 47 anni, napoletano, ma residente a Bologna. A Castelfranco è arrivato nel settembre 2002, proveniente da Rimini, carcere dove aveva gestito i Seatt (servizi a custodia attenuata per i tossicodipendenti). Nelle sue mani il ministro Giovanardi aveva affidato il suo progetto più caro (l’idea risale a fine 2001): un carcere specializzato esclusivamente nella detenzione di tossicodipendenti.

Fin da allora il nome di D’Anselmo era in cima alla lista del ministro modenese. Ma qualcosa andò storto, forse anche a causa del clamore che suscitò l’iniziativa (la miccia esplose quando sulle pagine del Corriere della sera del 28 dicembre 2001 il comandante in capo della comunità di San Patrignano, Andrea Muccioli, rivendicò la primogenitura del progetto). Da allora, malgrado la sponsorizzazione così altolocata, il carcere-comunità di Castelfranco è rimasto "in sonno". Ma adesso il countdown è iniziato. "Ormai siamo pronti a gestire il progetto e senza alcun costo aggiuntivo per l’amministrazione pubblica", annuncia D’Anselmo.

Davanti al nuovo carcere-comunità c’è un’autostrada in discesa. Ma prima di ingranare la marcia, il direttore si vuole togliere un sassolino dalle scarpe: "I giornali devono smettere di dire che abbiamo ereditato l’idea da San Patrignano. È falso. Il merito è dell’amministrazione penitenziaria, Tinebra in testa".

Sarà, ma dalla comunità riminese il portavoce Carlo Forquet tiene a precisare che San Patrignano "ha ideato e sta definendo, insieme al direttore della Casa circondariale di Castelfranco Emilia e altre realtà attive nel campo del recupero e reinserimento dei tossicodipendenti dell’Emilia Romagna, un progetto d’avanguardia, di forte valenza educativa e sociale". Una partecipazione attiva, quindi (testimoniata anche dalle telefonate che D’Anselmo scambia proprio con Andrea Muccioli, una intercorsa proprio durante questa intervista).

Sulla via Emilia, il carcere a regime ospiterà 140 detenuti tossicodipendenti. La precedenza sarà data a quelli residenti nella regione (in Emilia Romagna i reclusi per reati connessi all’uso di droga sono 1.628 su 3.533), ma potranno arrivare anche da fuori, tramite la segnalazione delle quattro comunità coinvolte (Sanpa, Ceis, l’Angolo e Libera associazione genitori). Novità nelle novità, il trattamento riservato agli extracomunitari. "Una volta conclusa la detenzione, saranno riaccompagnati in patria dal personale del Consic, il Consorzio per l’integrazione delle culture, che li sosterrà nella ricerca del lavoro".

Nel periodo di sperimentazione che durerà 24 mesi, però, gli ospiti con problemi di droga saranno complessivamente solo 90, oltre ai 40 internati già presenti. Vivranno a gruppi di due o tre in celle dotate di bagno (in alcune c’è persino il vano doccia), "ma lì dentro passeranno giusto il tempo per dormire", assicura il direttore.

Nel resto della giornata, fino alle 17.30 saranno impegnati in attività professionali: "Non voglio che ci sia nemmeno un attimo di ozio. Avremo una lavanderia gestita dalla cooperativa sociale Progetto sociale che raccoglierà anche commesse esterne e assumerà 6 detenuti. Altri lavoreranno nelle 4 serre i cui prodotti, con marchio biologico, venderemo all’esterno attraverso lo spaccio dell’Istituto tecnico agrario Spallanzani di Castelfranco.

Poi c’è la stalla e presto comprerò 30 mucche modenesi (pregiatissime vacche bianche che sostituiranno le frisone da macello, ndr)". Ma non basta. Finito il lavoro, tutti in aula o in biblioteca. Falegnami, restauratori, carpentieri, e ancora elettricisti, idraulici, informatici, nelle 6 aule dell’ala nuova i detenuti dovranno partecipare ai più disparati corsi di formazione.

Fino ai tre rintocchi delle 19. Scoccata l’ora della cena (rigorosamente self service), tutti a letto. "Mi deve credere", chiosa il direttore, "conosco bene i detenuti tossicodipendenti. Molti di loro hanno problemi con l’autorità perché non hanno mai avuto un rapporto col padre. Lo si vede ai colloqui. Sono sempre le mamme a venire. Per aiutarli è necessario che noi incarniamo l’autorità. Per questo i tempi delle attività sono prestabiliti".

In questo quadro sarà cruciale il ruolo della polizia penitenziaria (attualmente in servizio ci sono 47 agenti, a fronte di una sola educatrice ministeriale e 4 volontari). "Si dovranno trasformare da semplici custodi ad attori della riabilitazione".

Per questo il direttore predisporrà una formazione ad hoc con l’obiettivo di farli partecipare concretamente, insieme ai rappresentanti della comunità, al gruppo di osservazione e trattamento cui spetta il compito di redigere la sintesi (il documento che prepara l’accesso alle misure alternative e quindi l’ingresso in comunità). "Studieranno psicologia e impareranno a gestire i tossicodipendenti con stage presso le comunità terapeutiche". Quali? "Siamo aperti a tutti, Ser.T. e privati. L’osmosi fra carcere e territorio deve essere completa".

"Noi non ne abbiamo saputo più nulla", ribatte Massimo Giusti, responsabile del Consorzio della solidarietà sociale di Modena (cartello che rappresenta 20 delle 24 cooperative di inserimento sociale della provincia), che già nel gennaio 2002 aveva avanzato la sua candidatura. Per ora, come detto, le uniche sigle coinvolte attivamente nel progetto sono, oltre naturalmente a San Patrignano, il Ceis, la comunità l’Angolo di don Soffritti e il Lag.

"Le abbiamo scelte perché sono le uniche accreditate presso la Regione", spiega D’Anselmo, seduto alla scrivania del suo ufficio. Giustificazione che però non regge alla verifica. Mina Ferri, dell’assessorato alle Politiche sociali di viale Aldo Moro, rivela che "gli enti ausiliari registrati nell’Albo regionale sono 35, con 81 sedi operative. E nell’elenco l’unica assenza è quella di San Patrignano".

 

 

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