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Un'insolita "tavola rotonda a distanza" sui temi della giustizia, della vita in carcere, dei progetti per il futuro, tra la redazione maschile e quella femminile di Ristretti Quando ho iniziato a corrispondere con la redazione femminile ero incuriosito da questa nuova esperienza, ma anche un po' in apprensione perché, abituato a vedere il carcere dal punto di vista di noi uomini, non avevo idea di quale realtà avrei incontrato. Mi è capitato di leggere dei libri sul carcere, scritti da donne che hanno vissuto la detenzione in prima persona, ma le lettere hanno un'immediatezza particolare: sembra quasi che, chi le scriva, si sposti fisicamente assieme ad esse, fino dal destinatario. L'autunno scorso, nella redazione di Padova, è così "arrivata" Luisa, seria e ordinata; Cristina, fantasiosa e irrequieta; Marianne, sensibile e riflessiva; Svetlana, pratica e orgogliosa e, con loro, tante altre compagne, che potevano essere immaginate solo attraverso i loro scritti, visto che non c'era alcuna possibilità di incontrarci. Scrivevano tutte "alla redazione maschile" e noi neanche rispondevamo, a dire il vero, se non con qualche saluto trasmesso da Ornella, finché decidemmo che questa corrispondenza doveva essere curata meglio e si trattò di assegnare l'incarico a "qualcuno". Pensavo che avremmo dovuto fare a botte, per conquistare il privilegio di conoscere un po' più da vicino le compagne della Giudecca, invece, stranamente, in redazione c'è stato un certo imbarazzo ad offrire la propria disponibilità e, ripensandoci, credo che il motivo stia nel disagio di sapere e "sentire" che delle donne soffrono le nostre stesse privazioni; questa cosa ti fa salire un groppo alla gola… Insomma, un certo timore l'avevo, ma si è subito dissolto, perché ho trovato donne che sanno il fatto loro, interlocutrici attente e determinate con le quali ho potuto avviare un dibattito su temi importanti, come il significato della giustizia, i metodi per sopravvivere al carcere, i progetti per il ritorno nella società esterna. Argomenti sui quali è quasi impossibile trovarsi d'accordo: ognuno se n'è fatta una propria idea, in base alle proprie esperienze, ma appunto per questo il confronto è stato molto interessante. Ho provato a riordinarlo, trasformandolo in un'immaginaria "tavola rotonda" tra persone che non si sono mai viste.
Francesco: Per me la giustizia è un valore importante, però ci sono anche leggi ingiuste, che dovrebbero essere cambiate per adeguarsi ai bisogni delle persone, di tutte le persone…
Marianne: La legge non è né giusta né ingiusta, ma serve a regolare la vita nella società, invece la giustizia è un valore solo individuale, un fatto di coscienza…
Cristina: Il problema non è quello di dare un significato alla giustizia: sta tutto nell'ottenerla perché, se non ne conosci i meccanismi, ci rimetti sempre e, se ti mancano i soldi per pagare un buon avvocato, sei condannata in partenza…
Luisa: Io sono convinta che, chi si trova in carcere, quasi mai è uno stinco di santo. Qualcosa di vero c'è, per aver indotto il giudice a condannarci. Poi, io credo che ci sia chi è più fortunato e chi meno. Troppe cose, il carattere stesso, possono influire sul giudizio finale. Non vado oltre, ma mi chiedo con quale coraggio vengano emesse certe sentenze: i giudici dovrebbero essere sempre coscienti di poter sbagliare anche loro, perché sono uomini e donne come noi…
Francesco: Certo, ottenere giustizia non è mai facile, così a volte succede che si scelga la via più breve e si cerchi di farsela da soli…
Luisa: Farsi sempre giustizia da soli non va bene, perché a volte la vita ti porta all'esasperazione e le reazioni che potresti avere sono imprevedibili. Se invece è fatta con coscienza, non sarei contraria, come principio. Rivolgersi alla legge? Personalmente, mai, non ci credo e la burocrazia va troppo per le lunghe. Tempo al tempo, mi siederò sull'argine del fiume e vedrò passare il cadavere del mio nemico…
Cristina: Anch'io credo sia possibile farsi giustizia da soli, però bisogna saper dare il giusto peso alle offese subite e non rispondervi con la violenza incontrollata. Ci sono leggi di correttezza che non sono scritte da nessuna parte, ma devono essere comunque rispettate: questa, secondo me, è la "regolarità" di una persona. Ai tribunali mi rivolgerei solo per vicende che non mettano a rischio la libertà altrui, cioè per cause civili, per trarne un utile se possibile, ma non a danno di persone povere…
Marianne: Ma, anche per rivolgersi a un tribunale, devi avere soldi, altrimenti è meglio che accetti quello che viene e cerchi di rispettarla almeno tu, la legge…
Francesco: Se io avessi avuto fiducia nella legge non avrei fatto vittime e non sarei neanche in carcere: sarebbe stato meglio per tutti, oppure no!? È difficile essere equilibrati, quando proviamo a farci giustizia da soli, perché finisci con il farti trasportare dall'odio e dal desiderio di vendetta…
Cristina: Personalmente, posso dire di non conoscere l'odio, neanche per chi mi ha fatto arrestare e, magari, lo ha fatto solo per evitare di finirci lui, in carcere. Preferisco usare l'indifferenza: in certe situazioni bisogna saper essere freddi…
Francesco: In carcere s'impara bene a riflettere prima d'agire, a controllarsi in ogni situazione, ma anche a fingere, ad essere ipocriti e opportunisti…
Marianne: Certo, perché il carcere è un sistema basato sui favoritismi, dove l'ipocrisia, il conformismo e la servilità sono ricompensati, mentre il coraggio e la dignità sono puniti. Questa non è certamente giustizia…
Luisa: Io scelgo di essere un'autentica cinica, piuttosto che essere ipocrita; d'ipocrisia ce n'è da vendere, nella società, e mi disgusta. Forse un po' buona lo sono, perché mi sono fatta fregare tante volte. Qui dentro ho imparato ad essere molto paziente e così riflessiva che mi meraviglio di me stessa. Ho saputo moderare moltissimo la mia impulsività, sarà che, con il passare degli anni, sto maturando anch'io…
Cristina: A fingersi buoni e ad essere ipocriti si ottengono più facilmente favori, però la vera natura delle persone esce fuori, alla fine. È meglio vivere senza nascondersi dietro a maschere, a costo di subire qualche conseguenza negativa…
Francesco: Penso spesso a ciò che faremo, che sapremo e potremo fare, all'uscita dal carcere, dopo tanto tempo trascorso in questo mondo così… artificiale. Per quanto mi riguarda, credo mi assumerò un solo impegno, quello della correttezza, di rispettare gli altri e di chiedere il loro rispetto. Non me la sento di fare l'eroe, o il missionario, per riscattarmi dagli sbagli commessi. Vorrei solo tornare ad essere una persona normale…
Marianne: Nella vita sociale, ognuno deve sapersi prendere le proprie responsabilità, perché "senza la società non siamo veri uomini", come diceva Aristotele. Per conto mio, spero che riavremo gli stessi diritti e doveri di tutti gli altri cittadini di uno stato democratico…
Cristina: Se potessimo sempre contare sul senso di responsabilità delle persone sarebbe possibile convivere anche senza leggi scritte e gestire la propria libertà senza intaccare quella degli altri, in una civile anarchia. Purtroppo non è quasi mai così, basta vedere cosa succede anche in una famiglia, che è una società in piccolo: incomprensioni, disaccordi, litigi, separazioni…
Luisa: Alla società io non dovrò più nulla, dopo la fine della pena. Ciò che dovrò sarà solo per me stessa per le persone alle quali voglio bene. Mantenere la promessa, che mi sono fatta, di non dare più problemi di questo genere ai miei cari, significherà aver portato a termine quanto vorrei fosse la mia vita futura. Solo così mi sentirò appagata e avrò pagato il mio debito fino alla fine.
Cristina, Luisa, Marianne, Francesco
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