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Oltre il muro, un carciofo "apre il dialogo" nel carcere della Giudecca
L’Assessorato alle Attività Produttive della Provincia di Venezia, attraverso la Cooperativa "Rio Terà dei Pensieri", sta predisponendo nel carcere femminile della Giudecca la realizzazione di un impianto per una carciofaia su circa 1000 mq di terreno e parteciperà alla realizzazione, stampa e diffusione di quattro diversi testi su ortaggi, ricette di cucina internazionale, esperienze di lavoro. Un tecnico della Provincia, inoltre, sarà a disposizione proprio per contribuire ai progetti. Con quest’ulteriore iniziativa, che viene ad aggiungersi a quelle da tempo in corso sotto l’etichetta "gli orti delle meraviglie", si è cercato di individuare, assieme alle detenute, da una parte un sostegno alla già avviata attività agricola che dà buoni risultati e che è finalizzata alla produzione di prodotti biologici molto richiesti, e dall’altra un potenziamento della commercializzazione. Da qualche anno, ogni giovedì mattina il banco di verdure (ortaggi, frutta, fiori ecc.) dislocato davanti al carcere femminile, è un appuntamento importante per molti cittadini dell’isola: un’occasione per fare acquisti, che assume un grande e molteplice valore civile. Il progetto infatti si incentra proprio sulla relazione che viene a crearsi tra le detenute, che coltivano, curano e vendono, e gli acquirenti, amici o clienti occasionali. Un legame culturale e spontaneo che necessita di informazioni e di comunicazione. Per quanto riguarda il progetto sulla carciofaia, il contributo economico che abbiamo garantito alla Cooperativa deve servire per acquistare le piante, nonché le attrezzature e quant’altro sia necessario per avviare la carciofaia stessa. II secondo progetto intende dare visibilità, attraverso alcune pubblicazioni, a quanto la Cooperativa e le singole detenute hanno messo insieme (ciascuna apportando la propria esperienza, non necessariamente legata alla cultura veneta) preparando nuove ricette che nascono dal dialogo di un mondo che è chiuso tra quattro mura, ma che non affievolisce la storia della vita di ogni donna che è dentro. C’è ancora tanto, tanto da fare, ma come Provincia di Venezia è nostra intenzione dare continuità agli interventi nel carcere, a partire proprio dall’esperienza del "Progetto Orto delle Meraviglie".
Giuseppe Scabro, Assessore alle Attività Produttive della Provincia di Venezia
Ma quante cose può produrre l’Orto delle Meraviglie!
Dai carciofi ai cosmetici. Più sane, più belle? Sono iniziati da poco nell’orto dell’Istituto di pena dell’isola della Giudecca i lavori di restauro per l’insediamento di un laboratorio di produzione di cosmetici a base vegetale, che impiegherà alcune detenute come lavoranti fisse. È un progetto, finanziato dal Ministero di Giustizia, che potrebbe fornire a tutte le carceri italiane i cosmetici più largamente usati, come shampoo, bagnoschiuma, balsamo per capelli ecc. L’orto di circa 6000 mq, é rivolto a sud con l’articolato delle costruzioni alle spalle a proteggerlo dai venti freddi, ed è racchiuso da mura in mattoni. Le mura, più che suggerire la dissuasione alla fuga, trasmettono il senso antico della separazione conventuale. Preso in gestione nell’anno 1995 dalla cooperativa sociale "Rio Terà dei Pensieri", l’orto era completamente abbandonato; oggi invece è in grado di produrre ortaggi che vengono poi venduti. Ora si coltiveranno anche piante aromatiche della macchia mediterranea, da cui si estrarrà in seguito l’olio essenziale che verrà impiegato per la produzione di shampoo, bagnoschiuma e fitocosmetici di largo consumo. Per la buona riuscita di questo progetto, che porterebbe quindi del lavoro sicuro e ben retribuito all’interno dell’Istituto, confidiamo nella collaborazione di tutti coloro che verranno a conoscenza di questa iniziativa.
Dell’iniziativa parliamo con Fabrizio Longo, tecnico responsabile del progetto.
Lei "è entrato" qui in carcere come insegnante di scuola media nel 1999: come mai le è venuto in mente di realizzare questo laboratorio in una struttura così chiusa? Dopo un anno di colloqui con le donne sui problemi del lavoro e dopo aver visionato i locali annessi all’orto, ho preso in considerazione la possibilità di organizzare un laboratorio di produzione, che potrebbe dare maggiori opportunità lavorative rispetto a quelle attuali, e questo è importante se si considera la necessità delle donne di avere un lavoro continuo e "sicuro", che permetta loro di disporre di uno stipendio per le loro esigenze e contemporaneamente offrire il modo di impiegare bene il tempo e dare una speranza per il futuro.
Ha trovato qualche ostacolo particolare per avviare questo progetto? All’inizio ero molto scettico, anche perché in Italia siamo abituati alle lentezze burocratiche. In questo caso invece c’è stato da subito l’interessamento della Direzione, e con il coinvolgimento della Cooperativa "Rio Terà dei Pensieri", i tempi si sono velocizzati a tal punto, che il laboratorio verrà consegnato al più presto.
E nel frattempo che cosa si farà?
Per la gestione di questo laboratorio serve un corso di formazione per le donne che parteciperanno a queste attività. È necessario infatti imparare ad usare correttamente tutti i macchinari che sono già stati acquistati.
Secondo lei, chi e quante persone potranno partecipare a questo corso? A rotazione, all’inizio si potrebbe cominciare con un gruppo di 10 persone, che lavorando part time potrebbero formare due squadre di lavoro da quattro, con due donne pronte a sostituire le altre in caso di necessità. Naturalmente poi si vedrà sul campo la situazione, ma ci tengo a sottolineare che il corso dovrebbe essere aperto a qualsiasi persona voglia partecipare, indipendentemente dal fine pena. Carciofi e cosmetici: c’è da pensare che l’Orto delle Meraviglie della Giudecca potrebbe finalmente migliorare le nostre condizioni di vita. Bellezza, un po’ di soldi, buone ricette di cucina: speriamo che le Meraviglie dell’Orto rendano davvero più decenti queste giornate in carcere.
L’intervista è a cura di Svetlana e Patrizia
Svetlana, rom della Serbia con la passione per l’orticoltura
Si, in carcere ci sono anche i corsi, all’inizio non mi sembrava vero, ma è così. Quando arriva il giorno di cominciare a frequentare un corso ti senti un’altra almeno io mi sento diversa, per un attimo mi sembra di essere una studentessa e non più una detenuta. Per due anni di seguito ho frequentato il corso di ortofloricultura e se mi prenderanno lo frequenterò ancora. Il primo anno, era il 1997, a organizzarlo è stato il Comune di Venezia, nel ‘98 - ‘99 è stata invece la Regione. Gli insegnanti erano quattro: Lucia per la cultura generale, Francesco per la composizione dei fiori secchi, Senne per le piante officinali e Maurizio che c’insegnava a preparare il terreno per la semina, a coltivare le piante e anche come si tiene la vanga per girare la terra. C’è da ridere, ma per tante di noi è stata fa prima volta che abbiamo preso in mano una zappa e una vanga. All’inizio del corso eravamo più di dieci, ma poi alcune sono uscite e alcune sono state "sballate" (N. d. R.: in gergo carcerario, significa trasferite) in altre carceri. Alla fine, il giorno dell’esame eravamo rimaste in tre, quattro perché una era arrivata due mesi prima. Non vi dico come eravamo agitate, avevamo paura di non essere abbastanza preparate. Quando si è presentata la Commissione siamo andate all’orto per far vedere quello che avevamo imparato: abbiamo vangato, preparato i letti di semina, seminato. Poi dovevamo aspettare che ci facessero delle domande, ma la paura che ci chiedessero cose che non sapevamo ci costringeva a parlare in continuazione, in particolare una delle due italiane che erano nel gruppo, insieme a una venezuelana e a me, che sono jugoslava. Ci siamo messe d’accordo e abbiamo detto a questa ragazza italiana: tu che conosci la lingua parla anche per noi, noi gli mostreremo come si eseguono i lavori perché non siamo brave ad esprimerci in italiano. Alla fine però abbiamo recuperato un po’ di coraggio e abbiamo parlato pure noi. Dovevamo poi mostrare al computer la parte teorica del nostro lavoro, l’ha fatto per tutte la nostra compagna venezuelana, che era pratica di informatica: lei ha acceso il computer e, come comparivano le immagini del lavoro nell’orto. noi le spiegavamo ai commissari d’esame. È finito tutto bene, noi soddisfatte, i nostri insegnanti anche. Quel giorno non ho pensato neanche per un secondo che ero in carcere, soltanto la sera quando mi hanno chiusa in cella me ne sono resa conto. Adesso il problema è che l’orto (quella parte che abbiamo coltivato noi, per l’uso interno dei prodotti) è lì, secco e bisognoso di acqua, e io non posso scendere. Dicono che è troppo rischioso, la mia pena è lunga e l’orto poco "sicuro". Davvero non si può trovare una soluzione, per darmi modo di annaffiare la terra e raccogliere la verdura?
Svetlana
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